Papa Leone I

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San Leone I
Papa
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al secolo
battezzato
Santo
'

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Francisco de Herrera il Giovane, San Leone Magno (seconda metà del XVII secolo), olio su tela; Madrid (Spagna), Museo del Prado
Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte circa 71 anni
Nascita Volterra
390 ca.
Morte Roma
10 novembre 461
Sepoltura Città del Vaticano, Basilica di San Pietro
Appartenenza
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Professione religiosa [[{{{aPR}}}]]
Ordinato diacono
Ordinazione presbiterale
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Cardinale elettore
Incarichi ricoperti
prima dell'elezione
Eletto Antipapa {{{antipapa}}}
Opposto a {{{Opposto a}}}
Sostenuto da {{{Sostenuto da}}}
Scomunicato da
Riammesso da da
Emblem of the Papacy SE.svg Informazioni sul papato
45° vescovo di Roma
Elezione
al pontificato
29 settembre 440
Consacrazione
Fine del
pontificato
10 novembre 461
(per decesso)
Durata del
pontificato
Segretario
Predecessore papa Sisto III
Successore papa Ilario
Extra Anni di pontificato


Cardinali creazioni
Proclamazioni
Antipapi
Eventi
Venerato da Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa
Venerabile il [[{{{aV}}}]]
Beatificazione [[{{{aB}}}]]
Canonizzazione [[{{{aS}}}]]
Ricorrenza 10 novembre
Altre ricorrenze
Santuario principale {{{santuario principale}}}
Attributi Triregno
Devozioni particolari
Patrono di Musicisti, cantori, musica sacra
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Incoronazione
Investitura
Predecessore
Erede
Successore
Nome completo {{{nome completo}}}
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Onorificenze
Nome templare {{{nome templare}}}
Nomi postumi
Altri titoli
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Padre {{{padre}}}
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Coniuge

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Consorte

Consorte di

Figli
Religione {{{religione}}}
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Collegamenti esterni
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Invito all'ascolto
Firma autografa
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Tutti-i-santi.jpgNel Martirologio Romano, 10 novembre, n. 1:
« Memoria di san Leone I, papa e dottore della Chiesa: nato in Toscana, fu dapprima a Roma solerte diacono e poi, elevato alla cattedra di Pietro, meritò a buon diritto l'appellativo di Magno sia per aver nutrito il gregge a lui affidato con la sua parola raffinata e saggia, sia per aver sostenuto strenuamente attraverso i suoi legati nel Concilio Ecumenico di Calcedonia la retta dottrina sull'incarnazione di Dio. Riposò nel Signore a Roma, dove in questo giorno fu deposto presso san Pietro. »

San Leone I, detto anche Leone Magno (Volterra, 390 ca.; † Roma, 10 novembre 461), è stato il 45º vescovo di Roma e papa italiano dal 29 settembre 440 alla sua morte. È considerato Padre e Dottore della Chiesa.

Biografia

Elevato al soglio pontificio nel 440, Leone nei ventuno anni di pontificato realizzò attorno alla sua sede l'unità di tutta la Chiesa, impedendo usurpazioni di giurisdizione, stroncando abusi di potere, temperando le ambizioni del patriarcato costantinopolitano e del vicariato di Arles.

Non abbiamo molte sue notizie biografiche. Papa Leone non amava parlare di sé nei suoi scritti. Egli aveva un'idea altissima della sua funzione: sapeva di incarnare la dignità, il potere e la sollecitudine di Pietro, capo degli apostoli. La Chiesa cattolica lo venera, assieme alla Chiesa ortodossa, come santo.

Il diacono Leone

Il pontificato di Leone, come quello di san Gregorio I, fu il più significativo e importante dell'antichità cristiana. In un periodo in cui la Chiesa stava sperimentando i più grandi ostacoli al suo progresso in conseguenza della rapida disintegrazione dell'Impero d'occidente mentre l'oriente era profondamente agitato da controversie dogmatiche, questo papa guidò il destino della Chiesa romana. Secondo il Liber Pontificalis (ed. Theodor Mommsen, I, 101 sqq., ed. Louis Duchesne, I, 238 sqq.), Leone nacque in Toscana in una data ignota e suo padre si chiamava Quintianus. Le prime evidenze storiche certe su Leone parlavano di lui come diacono della Chiesa romana sotto papa Celestino I (422-432).

Durante questo periodo, comunque, era già noto al di fuori di Roma, e aveva delle relazioni con la Gallia, poiché Giovanni Cassiano nel 430 o nel 431 scrisse, dietro suo suggerimento, la sua opera De Incarnatione Domini contra Nestorium (Jacques-Paul Migne, P.L., L, 9 sqq.), usando come prefazione, una lettera di dedica a Leone. Intorno a questo periodo san Cirillo di Alessandria si appellò a Roma contro le pretese di Giovenale di Gerusalemme sulla giurisdizione patriarcale della Palestina. In base a una delle affermazioni di Leone riportata in due lettere successive (ep. CXVI, ed. Ballerini, I, 1212; II, 1528), comunque, non è molto chiaro se Cirillo scrisse a lui quale diacono romano, o a Papa Celestino. Durante il pontificato di Sisto III (432-440), Leone fu inviato in Gallia dall'imperatore Valentiniano III per ricomporre una disputa e far riconciliare Flavio Ezio, il comandante militare della provincia e il prefetto del pretorio, Albino. Questo incarico è una prova della grande fiducia riposta nell'intelligente e capace diacono dalla corte imperiale. Sisto III morì il 19 agosto 440, mentre Leone si trovava ancora in Gallia. Questi fu unanimemente scelto dal popolo come suo successore. Al suo ritorno a Roma, Leone fu consacrato. Era il 29 settembre. Avrebbe guidato la Chiesa romana per i successivi 21 anni e in questo periodo ne avrebbe stabilito la centralità rispetto alle altre Chiese.

Zelo per l'ortodossia

L'intento principale di Leone era quello di sostenere l'unità della Chiesa. Non molto dopo la sua elevazione alla cattedra di Pietro, si vide costretto combattere energicamente le eresie che minacciavano seriamente l'ortodossia della chiesa, persino di quella occidentale. Settimo, vescovo di Altino, informò Leone di quanto stava accadendo ad Aquileia, dove presbiteri, diaconi e chierici che erano stati seguaci di Pelagio venivano ammessi alla comunione senza un'abiura esplicita della loro eresia. Il papa criticò aspramente questa prassi e ordinò che venisse convocato un sinodo provinciale ad Aquileia. Di fronte a tale consesso, tutti coloro che erano stati pelagiani avrebbero dovuto abiurare pubblicamente le loro vecchie credenze e avrebbero dovuto sottoscrivere una inequivocabile confessione di fede (epp. I e II). Questo zelante pastore intraprese una lotta ancora più grande contro il Manicheismo. I seguaci di questa setta erano stati scacciati dall'Africa dai Vandali, si erano stabiliti a Roma e vi avevano fondato una comunità segreta. Il papa ordinò ai fedeli di indicare questi eretici ai presbiteri e, nel 443, insieme ai senatori e ai presbiteri stessi, istruì di persona un'inchiesta, nel corso della quale furono esaminati i capi di questa comunità. In molti dei suoi sermoni esortò, con grande enfasi, i cristiani di Roma affinché stessero in guardia contro questa eresia e li incaricò ripetutamente di dare informazioni sui suoi seguaci, le loro abitazioni, i loro simpatizzanti, e i loro appuntamenti (Sermo IX, 4, XVI, 4; XXIV, 4; XXXIV, 4 sq.; XLII, 4 sq.; LXXVI, 6).

In questo periodo, nella città di Roma vennero convertiti e ammessi alla confessione un certo numero di manichei; gli altri, che si ostinavano nella loro eresia, in ossequio agli editti imperiali, furono banditi. Il 30 gennaio 444, il papa inviò una lettera a tutti i vescovi italici alla quale allegò i documenti dei procedimenti istruiti nei confronti dei Manichei romani. In questa lettera li esortava a rimanere vigili e a denunciare qualsiasi seguace della setta (ep. VII). Il 19 giugno 445, l'imperatore Valentiniano III, indubbiamente per istigazione del papa, emise un editto in cui stabiliva sette punizioni per i Manichei (Epist. Leonis, ed. Ballerini, I, 626; ep. VIII inter Leon. ep.). Prospero d'Aquitania, nella sua "Cronaca" (ad an. 447; Mon. Germ. hist. Auct. Antiquissimi, IX, I, 341 sqq.) affermava che, in conseguenza delle energiche misure adottate da Leone, i manichei furono scacciati anche da tutte le province; persino i vescovi orientali seguirono l'esempio del papa. In Spagna, invece, ancora sopravviveva l'eresia priscilliana che, per qualche tempo continuò ad attirare nuovi seguaci. Turibio, vescovo di Astorga, ne venne a conoscenza e, nel corso di numerosi viaggi raccolse informazioni particolareggiate sulla condizione delle chiese e l'espansione del Priscillianesimo. Redasse una lista degli errori dell'eresia, ne scrisse una confutazione e spedì questi documenti a molti vescovi africani. Ne inviò anche una copia al papa, che gli rispose con una lunga lettera (ep. XV) nella quale confutava anch'esso gli errori dei Priscillianisti. Leone, nel frattempo, ordinò che si convocasse un concilio dei vescovi delle province limitrofe per istituire un'inchiesta avente il fine di determinare se qualche vescovo fosse caduto nell'eresia. Qualora se ne fossero trovati, essi avrebbero dovuto essere scomunicati senza esitazione. Il papa indirizzò una lettera simile anche ai vescovi delle altre province spagnole, notificandogli che stava per essere convocato un sinodo universale di tutti i principali pastori; se questo non fosse stato possibile, avrebbero dovuto essere convocati almeno i vescovi di Galizia.

Il primato della sede di Roma

La fortemente disorganizzata condizione ecclesiastica di alcuni paesi, risultante da migrazioni nazionali, obbligò relazioni più strette tra il loro episcopato e Roma per una migliore promozione della vita ecclesiastica. Leone, con questo obiettivo bene in vista decise di utilizzare il vicariato papale dei vescovi di Arles per la provincia di Gallia per creare un centro di aggregazione dell'episcopato gallico in stretta comunione con Roma. Patroclo di Arles (m. 426) aveva ricevuto da papa Zosimo il riconoscimento del primato sulla Chiesa di Gallia. Tale primato era stato fortemente rivendicato dal suo successore Sant'Ilario di Poitiers, che entrò in conflitto con Leone. Ilario si avvalse eccessivamente della sua autorità sulle altre province ecclesiastiche, e affermò che tutti i vescovi avrebbero dovuto essere consacrati da lui, invece che dal loro metropolita.

Quando, per esempio, fu resa pubblica la lamentela che Celidonio, vescovo di Besançon, era stato consacrato in violazione del canone (si diceva che, come laico, avesse sposato una vedova e, come pubblico ufficiale, avesse dato il suo assenso a una sentenza di morte), Ilario lo depose e consacrò Importuno quale suo successore. Celidonio, tuttavia, si appellò al papa e si recò di persona a Roma. Contemporaneamente Ilario, come se la sede interessata fosse stata vacante, consacrò un altro vescovo per prendere il posto di un certo Projectus che era malato. Projectus, però, si rimise e anche lui si appellò al papa contro le azioni del vescovo di Arles. Ilario si recò quindi a Roma per giustificarsi di fronte a un sinodo romano (circa 445). In questa occasione, quando le lagnanze portate contro Celidonio non poterono essere provate, Leone lo reinsediò nella sua sede. Anche Projectus ricevette nuovamente la sua diocesi. Ilario tornò ad Arles prima che il sinodo finisse. Il papa lo privò della giurisdizione sulle altre province galliche e dei diritti metropolitani sulla provincia di Vienne, lasciandogli solo la sua diocesi di Arles.

Leone rivelò queste decisioni ai vescovi della Provincia di Vienne attraverso una lettera (ep. X). Insieme a questa inviò loro anche un editto di Valentiniano III datato 8 luglio 445 in cui venivano appoggiate le misure prese del papa nei confronti di Sant'Ilario e veniva solennemente riconosciuto il primato del vescovo di Roma sull'intera Chiesa (Epist. Leonis, ed. Ballerini, I 642). Tale editto riconosceva che il primato del vescovo di Roma era basato sui meriti di Pietro, la dignità della città e il Credo di Nicea (nella sua forma interpolata); ordinava, inoltre, che ogni opposizione alle sue decisioni, che avrebbero avuto forza di legge, doveva essere trattata come tradimento e che chiunque si fosse rifiutato di rispondere agli avvertimenti di Roma avrebbe dovuto essere ivi estradato da parte dei governatori provinciali. Al ritorno nella sua diocesi, Ilario cercò immediatamente una riconciliazione col papa, dopo la quale non si verificarono ulteriori problemi tra questi due uomini. Dopo la sua morte (449), Leone dichiarò Ilario di beatae memoriae. Nello stesso anno, Leone indirizzò lettere cordialissime per l'elezione del loro nuovo metropolita (epp. XL, XLI) sia al vescovo Ravennio, successore di Sant'Ilario nella sede di Arles, che agli altri vescovi della provincia. Quando, poco tempo dopo, Ravennio consacrò un nuovo vescovo per succedere al vescovo di Vaison, l'arcivescovo di Vienne, che si trovava a Roma, si oppose a questa consacrazione.

I vescovi della provincia di Arles, quindi, tutti insieme, scrissero una lettera al papa, con la quale lo imploravano di rendere a Ravennio i diritti di cui era stato deprivato il suo predecessore Ilario (ep. LXV inter ep. Leonis). Nella sua risposta, datata 5 maggio 450 (ep. LXVI), Leone accondiscese alla loro richiesta. L'Arcivescovo di Vienne doveva avere quali suffraganee solamente le diocesi di Valence, Tarantasia, Ginevra e Grenoble; tutte le altre sedi insistenti nella provincia di Vienne divennero soggette all'arcivescovo di Arles che tornò nuovamente mediatore tra la Santa Sede e l'intero episcopato gallico. Leone, in seguito, inviò a Ravennio (ep. LXVII), per comunicarlo agli altri vescovi di Gallia, la sua celebre lettera a Flaviano di Costantinopoli sull'Incarnazione. Ravennio, allora, convocò un sinodo nel quale si riunirono 44 vescovi. Nella loro lettera sinodale del 451, questi ultimi affermarono di accettare la lettera del papa quale simbolo di fede (ep. XXIX inter ep. Leonis). Nella sua risposta Leone parlò ancora della condanna di Nestorio (ep. CII). Il vicariato di Arles esercitò per molto tempo i privilegi che Leone gli aveva concesso. Un altro vicariato papale era quello dei vescovi di Tessalonica, la cui giurisdizione si estendeva sull'Illiria. Particolare dovere di questo vicariato era la protezione contro il crescente potere del Patriarca di Costantinopoli dei privilegi della Santa Sede sul distretto dell'Illiria Orientale che apparteneva all'Impero Romano d'Oriente. Leone concesse il vicariato ad Anastasio, vescovo di Tessalonica, come Papa Siricio lo aveva precedentemente concesso al vescovo Anisio. Il vicario doveva consacrare i metropoliti, convocare in sinodo i vescovi della Provincia dell'Illiria Orientale e sorvegliarli nell'amministrazione del loro ufficio; ma le questioni più importanti avrebbero dovuto essere sottoposte a Roma (epp. V, VI, XIII). Tuttavia, Anastasio di Tessalonica, usò la sua autorità in una maniera tanto arbitraria e dispotica da essere severamente rimproverato da Leone, che gli inviò dettagliate direttive per l'esercizio del suo ufficio (ep. XIV).

Leone e la disciplina

Nella concezione leonina dei doveri di pastore supremo, occupava una posizione preminente la conservazione della stretta disciplina ecclesiastica. Ciò era particolarmente importante in un periodo in cui le continue devastazioni dei barbari portavano disordini in tutti gli aspetti della vita e le regole della moralità venivano seriamente violate. Leone usò la massima energia nel mantenimento di questa disciplina, insistette sull'esatta osservanza dei precetti ecclesiastici e non esitò a rimproverare, quando necessario, i vescovi. Lettere (ep. XVII) relative a questa e altre questioni vennero inviate ai vari vescovi dell'Impero d'Occidente: ai vescovi delle province italiane (epp. IV, XIX, CLXVI e CLXVIII), e a quelli di Sicilia che avevano tollerato alcune derive dalla Liturgia romana nell'amministrazione del Battesimo (ep. XVI e XVII) e ai quali comandò di inviare dei delegati presso un sinodo romano per imparare la corretta pratica. Un decreto disciplinare molto importante fu inviato anche al vescovo Rustico di Narbonne (ep. CLXVII). A causa del dominio dei Vandali nel nord Africa latino, in quel luogo la posizione della Chiesa era divenuta estremamente sconosciuta. Leone vi inviò il presbitero romano Potenzio per informarsi sulla sua esatta condizione, e inviare un rapporto a Roma. Alla sua ricezione, il papa inviò all'episcopato della provincia una lettera con istruzioni particolareggiate sulla soluzione di numerose questioni ecclesiastiche e disciplinari (ep. XII).

Leone spedì anche una lettera a Dioscoro di Alessandria (21 luglio 445), il successore di Cirillo al Patriarcato di Alessandria, insistendo che la pratica ecclesiastica della sua sede doveva seguire quella di Roma; poiché Marco, il discepolo di Pietro e fondatore della Chiesa alessandrina, non poteva avere altra tradizione che quella del "principe degli apostoli", esortandolo quindi alla severa osservanza dei canoni e della disciplina della Chiesa romana (ep. IX). Il primato della Chiesa di Roma fu, così, manifestato da questo papa nei più vari modi.

Ma fu soprattutto nelle sue prese di posizione sulla confusione Cristologica, che in seguito avrebbero agitato così profondamente la Cristianità Orientale, che Leone si rivelò il saggio, colto, ed energico pastore della Chiesa (vedere Monofisismo). Fin dalla sua prima lettera su questo soggetto, scritta ad Eutiche (1º giugno 448) (ep. XX), alla sua ultima lettera scritta al nuovo Patriarca di Alessandria, Timoteo Salofaciolo (18 agosto 460) (ep. CLXXI), non si può far altro che ammirare il modo chiaro, positivo e sistematico in cui Leone, fortificato dal primato della Santa Sede, si avventò su questo difficile ostacolo.

Eutiche si appellò al papa dopo la sua scomunica da parte di Flaviano, Patriarca di Costantinopoli, a causa delle sue concezioni Monofisite. Il papa, dopo avere investigato il nocciolo della disputa, inviò la sua famosa lettera dogmatica a Flaviano (ep. XXVIII), esponendo concisamente e confermando la dottrina dell'Incarnazione e dell'unione della natura Divina e umana nella Persona unica di Cristo. Nel 449 si tenne il concilio che fu definito da Leone come il "Latrocinio". Flaviano e altri potenti prelati orientali si appellarono al papa e, quindi, spedirono delle lettere all'Imperatore Teodosio II e all'imperatrice Pulcheria, esortandoli a convocare un concilio generale per restituire la pace alla Chiesa.

Allo stesso fine, il papa usò la sua influenza sull'imperatore d'Occidente, Valentiniano III e su sua madre Galla Placidia. Questo concilio generale si tenne a Calcedonia nel 451, sotto Marciano, successore di Teodosio. Il concilio accettò solennemente l'epistola dogmatica di Leone a Flaviano quale espressione della Fede cattolica sulla Persona di Cristo, allora il papa confermò le delibere del Concilio, dopo aver eliminato il canone che elevava il Patriarcato di Costantinopoli alla pari della Sede di Roma, diminuendo i privilegi degli antichi patriarchi Orientali. Il 21 marzo 453, Leone pubblicò una lettera circolare che confermava la sua definizione dogmatica (ep. CXIV). Grazie alla mediazione di Giuliano, vescovo di Cos, che in quel tempo era l'ambasciatore papale a Costantinopoli, il papa tentò di proteggere ulteriormente gli interessi ecclesiastici a Oriente. Questi persuase il nuovo Imperatore di Costantinopoli, Leone I, a rimuovere l'eretico e irregolare patriarca, Timoteo Eluro dalla Sede di Alessandria. Al suo posto fu scelto un nuovo patriarca ortodosso, Timoteo Salofaciolo, che ricevette le congratulazioni del papa nell'ultima lettera che Leone spedì a Oriente.

Gli affari italiani

Raffaello Sanzio, San Leone Magno incontra Attila (1513-1514), affresco; Città del Vaticano, Appartamento di Giulio II, stanza di Eliodoro

Nella sua cura pastorale per la Chiesa Universale, il papa non trascurò mai gli interessi nazionali della Chiesa di Roma. Quando l'Italia settentrionale fu devastata da Attila, Leone incontrò personalmente il re degli Unni e ne scongiurò una marcia su Roma. Nel 452, per volere dell'imperatore, Leone, accompagnato dal console Gennadio Avieno e dal prefetto Trigezio, si recò in Italia settentrionale, dove incontrò Attila sul Mincio, nei pressi di Mantova, ottenendone la promessa di un ritiro dall'Italia e dell'avvio di negoziati di pace con l'imperatore. Secondo Prospero, Attila si ritirò perché fu impressionato dalla figura di Leone, anche se Giordano fornisce altre motivazioni e gli storici moderni ritengono sopravvalutato, per motivi agiografici, il ruolo svolto da Leone nella vicenda.[1]

Quando, nel 455, la città fu invasa dai Vandali di Genserico, anche se per due settimane la città fu depredata, l'intercessione di Leone ottenne la promessa che le vite degli abitanti sarebbero state risparmiate. Questi avvenimenti dimostrano che l'alta autorità morale goduta dal papa si manifestava anche negli affari temporali. Leone fu sempre ben introdotto negli ambienti della corte imperiale d'Occidente, tanto che, in occasione della visita a Roma (450) dell'Imperatore Valentiniano III, accompagnato da sua moglie Eudossia e da sua madre Galla Placidia, la famiglia imperiale e tutto il suo seguito parteciparono ai solenni servizi che vennero tenuti in occasione della festa della Cathedra Petri (22 febbraio); in quell'occasione il papa recitò un impressionante sermone.

Leone era anche molto solerte nel far costruire e restaurare chiese. Fece costruire una basilica sulla tomba di papa Cornelio sulla Via Appia; Fece ricostruire il tetto della basilica di San Paolo fuori le mura, che era stato distrutto da fulmine e fece iniziare altre opere di miglioramento nella basilica stessa. Inoltre, persuase l'imperatrice Galla Placidia, come si evince dall'iscrizione, a far mettere in opera il grande mosaico dell'Arco di Trionfo che è sopravvissuto fino ai nostri giorni. Leone fece anche restaurare l'antica basilica di San Pietro in Vaticano, costruita da Costantino I. Durante il suo pontificato una pia signora romana, chiamata Demetria, eresse sulla sua proprietà, al III miglio della via latina una basilica in onore di santo Stefano.

Leone non fu meno attivo nell'elevazione spirituale delle congregazioni romane, e i suoi sermoni, dei quali si sono conservati ben 96, sono straordinari per la loro profondità, chiarezza di dizione ed elevatezza di stile. I primi cinque, che furono declamati nei vari anniversari della sua consacrazione, manifestavano l'alta concezione della dignità del suo ufficio, così come la completa convinzione del primato del vescovo di Roma, dimostrata in maniera così chiara e decisiva dalla sua opera di pastore supremo. Delle sue lettere, che sono di grande importanza per la storia della chiesa, se ne conservano 143, oltre ad altre 30 che gli furono inviate. Il cosiddetto Sacramentarium Leonianum è una raccolta di orazioni e prefazioni della messa, composto nella seconda metà del VI secolo.

Leone morì il 10 novembre 461 e fu sepolto nel vestibolo di Basilica di San Pietro in Vaticano. Nel 688 papa Sergio I fece traslare i suoi resti all'interno della Basilica e vi fece erigere sopra un altare. Le sue spoglie, attualmente si trovano in San Pietro, sotto l'altare della cappella della Madonna della Colonna, a lui dedicato, dove furono nuovamente trasportati nel 1715.

Culto

Nel 1754 papa Benedetto XIV lo innalzò alla dignità di dottore della Chiesa (doctor ecclesiae). La Chiesa cattolica Romana, fino al 1971, celebrava la sua festa l'11 aprile. Da quella data in poi, invece, la memoria viene celebrata il 10 novembre. Le Chiese Ortodosse orientali lo commemorano, invece, il 18 febbraio.


Predecessore: Papa Successore: Emblem of the Papacy SE.svg
papa Sisto III 29 settembre 440 - 10 novembre 461 papa Ilario I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
con
con
papa Sisto III {{{data}}} papa Ilario
Note
  1. Gillett, Andrew, Envoys and Political Communication in the Late Antique West, 411-533, Cambridge University Press, 2003, ISBN 0-521-81349-2, pp. 114-115, 200.
Fonti
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni