Concilio di Nicea I

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Nota di disambigua - Se stai cercando il concilio di Nicea del 787, vedi secondo concilio di Nicea.
Concilio di Nicea
THE FIRST COUNCIL OF NICEA.jpg

Icona ortodossa con il Primo Concilio di Nicea
Concili ecumenici della Chiesa cattolica
Data 20 maggio 325
Luogo Nicea
Convocato da Imperatore Costantino I
Presieduto da Imperatore Costantino I
Argomenti in discussione Arianesimo, unicità di Dio, consustanzialità tra il Padre e il Figlio.
Documenti e pronunciamenti Simbolo Niceno
Gruppi scismatici Ariani, Meleziani, Novaziani
Concilio precedente Concilio di Gerusalemme (?)
Concilio successivo Concilio di Costantinopoli I
Storia del Cristianesimo

Il Primo concilio di Nicea è stato il primo concilio ecumenico[1] del mondo cristiano, secondo la prassi del Concilio di Gerusalemme di età apostolica.

Convocato (e presieduto) dall'imperatore Costantino I, preoccupato dalle dispute tra cristiani che si facevano sempre più aspre. Se prima tali dispute erano tenute all'interno di luoghi di culto quasi in sordina o confinate nelle sedi ecclesiastiche, ora che Costantino aveva dato al Cristianesimo un'autorità all'interno dello stato, queste dispute erano diventate anche una questione di stato e come tali andavano trattate: infatti, se queste non fossero state risolte avrebbero dato un ulteriore impulso centrifugo all'impero in una fase in cui esso si trovava sulla via della disgregazione. Con queste premesse, in un clima di grande tensione, il concilio ebbe inizio il 20 maggio del 325; i partecipanti provenivano in maggioranza dalla parte orientale dell'Impero.

Introduzione

Lo scopo del concilio era quello di rimuovere le divergenze nella Chiesa di Alessandria e stabilire la natura di Cristo in relazione al Padre; in particolare, stabilire se il Figlio fosse della stessa ousìa, o sostanza del Padre. Questo in quanto il Sinodo di Alessandria del 321, convocato da Alessandro, vescovo di Alessandria, pur concludendosi con la scomunica del presbitero Ario non ne aveva fermato la sua attività propagandistica. Infatti Ario, rifugiatosi in Palestina presso il suo antico compagno di scuola, l'influente Eusebio di Nicomedia, creò un centro per l'arianesimo.

Un'ulteriore decisione del concilio fu stabilire una data per la Pasqua, la festa principale della Chiesa. Il concilio stabilì che la Pasqua si festeggiasse la prima domenica dopo il plenilunio successivo all'equinozio di primavera, in modo quindi indipendente dalla Pasqua ebraica, stabilita in base al calendario ebraico. Il Vescovo di Alessandria (probabilmente usando il calendario copto) avrebbe d'allora in avanti stabilito la data e l'avrebbe poi comunicata agli altri vescovi.

Con il Concilio Costantino auspicava che fosse chiarito, una volta per tutte, un dogma (verità di fede) riguardo a una diatriba sorta in un primo momento intorno ad una questione cristologica, ma le cui conseguenti lacerazioni teologiche avevano effetto anche sulla pace dell'impero, di cui egli si riteneva il custode.

Siccome la disputa ariana nacque e coinvolse le chiese d'Oriente, di lingua greca, la rappresentanza latina al concilio fu ridotta: il papa Silvestro fu rappresentato da due preti (questa prassi divenne costante anche nei concili successivi). Più in generale, i 318 ecclesiastici presenti (il numero non è certo) erano tutti orientali tranne quattro europei e un africano: Marco di Calabria dall'Italia, Cecilio di Cartagine dall'Africa, Osio di Cordova dalla Spagna, Nicasio di Digione dalla Gallia, Domnus di Stridon dalla provincia danubiana.

Il Concilio fu tenuto presso il palazzo imperiale e gli ecclesiastici furono spesati nel viaggio come se fossero stati funzionari di stato. Il discorso inaugurale fu tenuto da Costantino, al quale stava a cuore l'unità dei sudditi; il documento conclusivo venne firmato prima dal rappresentante imperiale Osio di Cordova e poi dai rappresentanti del papa. Nonostante la presenza di Ario e soprattutto di Eusebio di Nicomedia (tanto in confidenza con l'imperatore che lo battezzò in punto di morte), la maggioranza fu contraria alle loro idee. Infatti il comportamento dei due, per nulla conciliante, indispose la fazione moderata che votò contro di loro.

Il clima conciliare niceno fu a dir poco turbolento; il dibattito sulle tesi di Ario degenerò a tal punto che Nicola di Mira prese a schiaffi l'eresiarca.[2]

Organizzazione del concilio

Teoria di santi, basilica di Sant'Apollinare Nuovo, Ravenna (VI secolo)

Costantino invitò tutti i 1800 vescovi della Chiesa cristiana (circa 1000 in Oriente e 800 in Occidente). Tuttavia, solo da 250 a 320 vescovi furono in grado di partecipare. Riguardo al numero esatto di partecipanti, le fonti coeve non sono concordi: secondo Eusebio di Nicomedia erano 250; Eustazio di Antiochia, citato da Teodoro, ne cita 270; sant'Atanasio, nelle sue Epistole ai Solitati, parla di 300 (come Costantino), anche se nella lettera agli Africani, racconta di 318[3]. Essendo stati dei testimoni oculari, sono tutti degni di fede.

Il numero di 318, che il papa san Leone definisce misterioso, è stato poi adottato dalla maggioranza di Padri della Chiesa. Ad esempio, Sant'Ambrogio spiegava che tale numero dava la dimostrazione della presenza del Signore Gesù nel Concilio, in quanto la croce ne indicava 300, mentre il nome di Gesù 18. Sant'Ilario, difendendo il termine "consustanziale" - approvato nel Concilio, anche se condannato 55 anni prima dal Sinodo di Antiochia - spiegava che:

« 80 vescovi rigettarono il termine consustanziale, ma 318 l'hanno approvato. Quest'ultimo numero è per me santo, poiché è quello degli uomini che accompagnarono Abramo, quando, vittorioso dei re empi, venne benedetto da colui che è il sacerdote eterno »

Infine Selden racconta che Doroteo, metropolita di Monembasa, diceva che il numero di padri conciliari era esattamente di 318, dato che erano passati esattamente 318 anni dall'incarnazione (tutti i cronologisti datano il concilio nel 325 dell'era volgare, ma Doroteo lo anticipa di 7 anni perché il suo ragionamento funzioni); d'altronde solo con il concilio di Lestina, nel 743, si iniziarono a contare gli anni a partire dalla nascita di Gesù.

A causa delle riserve espresse sulla dottrina dell'homooùsion da Eusebio di Nicomedia e da Teognis di Nicea, entrambi, pur avendo firmato gli atti, vennero esiliati in Gallia tre mesi dopo. Infatti, i due avendo ripreso a predicare che il Figlio non era consustanziale al Padre, si disse che avevano guadagnato alla loro causa il custode degli atti del concilio nominato dall'imperatore per cancellarne le proprie firme. A quel punto venne pensato di ristabilire il numero misterioso di 318 partecipanti, mettendo gli atti del concilio distinti per sessione sulle tombe di Crisanzio e di Misonio, morti durante lo svolgimento del concilio; all'indomani, dopo aver passato la notte in orazioni, si scoprì che i due vescovi avevano firmato.

Decisioni del Concilio

Costantino convoca i vescovi a Nicea per il concilio: mosaico in Hagia Sophia, Istanbul, c. 1000)

Le decisioni prese dal concilio con un'amplissima maggioranza - solo Teona di Marmarica e Secondo di Tolemaide votarono contro - furono essenzialmente tre:

  1. su proposta di Eusebio di Cesarea si arrivò ad una dichiarazione di fede [5], che ricevette il nome di Simbolo niceno o credo niceno. Il simbolo, che rappresenta ancora oggi un punto centrale delle celebrazioni cristiane, stabilì esplicitamente la dottrina dell'homooùsion, cioè della consustanzialità del Padre e del Figlio: nega che il Figlio sia creato (genitum, non factum) e che la sua esistenza sia posteriore al Padre (ante omnia saecula). In questo modo, l'arianesimo viene negato in tutti i suoi aspetti. Inoltre, viene ribadita l'incarnazione, morte e risurrezione di Cristo, in contrasto alle dottrine gnostiche che arrivavano a negare la crocifissione.
  2. venne dichiarata ufficialmente la nascita virginale di Gesù, definita nel simbolo niceno: [Gesù] nacque da Maria Vergine. In realtà la nascita verginale di Gesù era già affermata nel vangelo di Matteo, pertanto nel simbolo niceno essa venne solo ribadita.
  3. fu condannata come eretica la dottrina cristologica elaborata da Ario, che sosteneva che Gesù non avesse natura divina come il Padre.

Altre decisioni erano invece di carattere non solo dottrinale ma anche disciplinare e riguardavano la posizione da tenere in particolare rispetto agli eretici e a coloro che avevano rinnegato il cristianesimo e cioè:

  1. furono dichiarate eretiche le dottrine del vescovo Melezio di Licopoli.
  2. furono stabilite delle regole sul battesimo degli eretici.
  3. si presero delle decisioni su coloro che avevano rinnegato il cristianesimo durante la persecuzione di Licinio, cioè i cosiddetti lapsi.

L'imperatore fece trasmettere le decisioni del concilio a tutti i vescovi cristiani esortandoli ad accettarle, sotto la minaccia dell'esilio.

Alla fine del concilio vennero stabiliti i seguenti canoni (cioè, "regole"):

1. Proibizione dell'auto-castrazione; (vedi Origene) [6]
2. Definizione di un termine minimo per la ammissione dei neo-catecumeni nella Chiesa; [7]
3. Proibizione della presenza di donne nella casa di un chierico; [8]
4. Ordinazione di un vescovo in presenza di almeno tre vescovi della provincia, subordinata alla conferma da parte del vescovo metropolita; [9]
5. Sugli scomunicati e sull'obbligo di tenere almeno due sinodi all'anno in ciascuna provincia; [10]
6. Preminenza dei Vescovi di Roma e Alessandria; [11]
7. Riconoscimento di particolare onore per il vescovo di Gerusalemme; [12]
8. Riconoscimento dei Novaziani; [13]
9-14. Provvedimento di clemenza verso coloro che hanno rinnegato il Cristianesimo durante la persecuzione di Licinio; [14]-[15]
15-16. Proibizione di trasferimento di presbiteri e vescovi dalle loro città; [16]-[17]
17. Proibizione dell'usura fra i chierici; [18]
18. Precedenza di vescovi e presbiteri sui diaconi nel ricevere l'Eucaristia; [19]
19. Dichiarazione dell'invalidità del battesimo ordinato da Paolo di Samosata (vedi eresia adozionista); dichiarazione che le donne diacono sono da considerarsi come i laici; [20]
20. Proibizione di inginocchiarsi durante la liturgia della domenica e nei giorni pasquali, fino alla Pentecoste. [21]

Il 25 luglio 325 il Concilio si concluse e i Padri convenuti celebrarono il ventesimo anniversario di regno dell'imperatore. Nel suo discorso conclusivo, Costantino confermò la sua preoccupazione per le controversie cristologiche e sottolineò la sua volontà che la Chiesa vivesse in armonia e pace. In una lettera fatta circolare nella prima festa della Pasqua, annunciò la raggiunta unità di fatto dell'intera Chiesa.

Il credo niceno: differenze e similitudini con il credo cattolico

Icona russa con L'imperatore Costantino fra i Padri conciliari al primo Concilio di Nicea: il rotolo contiene il testo del Simbolo Niceno.

Sin dai primi tempi in cui il cristianesimo si tramandava solo oralmente, vari tipi di Credo erano segni distintivi di una comunità: a Roma, per esempio, era popolarissimo il Credo detto "degli apostoli", soprattutto durante la Quaresima e nella liturgia di Pasqua. Al Concilio di Nicea persino Ario avrebbe potuto citare il suo credo. Ma per Alessandro di Alessandria e i suoi sostenitori, occorreva maggiore chiarezza. La sua opinione alla fine prevalse. Il Concilio, infatti, adottò un credo specifico per stabilire in modo chiaro la fede di tutta la Chiesa, includendo coloro che la professavano ed escludendo gli altri.

Alcuni elementi distintivi del credo niceno furono probabilmente aggiunti da Osio di Cordova e cioè:

  1. Dio è uno solo: è il primo articolo del credo niceno: "Credo in unum Deum" (Credo in un solo Dio).
  2. Cristo è descritto come Deum de Deo, lumen de lumine (Dio da Dio, luce da luce), confermando la sua divinità. In un'epoca in cui tutte le sorgenti di luce erano naturali, l'essenza della luce era da considerarsi identica, indipendente dalla sua forma estrinseca. È singolare che un ragionamento del genere fosse usato dagli eretici modalisti, che erano stati condannati dal Sinodo di Antiochia nel 264-268.
  3. Gesù Cristo è affermato essere genitum, non factum (generato, non creato), in opposizione diretta con l'arianesimo.
  4. La dottrina dell'homooùsion (vedi più sotto) viene sancita esplicitamente (in latino, consustantialem Patri). Alcuni ascrivono questo termine a Costantino stesso, il quale, su questo punto in particolare, potrebbe avere scelto di manifestare chiaramente la sua volontà.

Del terzo articolo di fede, solo le parole et in Spiritum Sanctum ([Credo] nello Spirito Santo) erano presenti: il credo niceno finiva con queste parole, ed era immediatamente seguito dai 20 canoni del concilio. Quindi, invece di un credo battesimale che poteva essere accettato sia dagli ortodossi, sia dagli Ariani (come proposto da Eusebio), il concilio ne promulgò uno che era chiarissimo nei termini di contesa fra le due parti e quindi era totalmente incompatibile con la posizione degli Ariani.

Il ruolo del vescovo Osio di Cordova, uno dei primi sostenitori dell'homooùsion, fu probabilmente decisivo nel portare il concilio a un consenso. Al tempo del concilio, egli era il primo consigliere dell'imperatore bizantino sulle questioni ecclesiastiche. Osio è presente come primo della lista dei vescovi e Atanasio attribuisce a lui la formulazione attuale del Credo. I Padri che più difesero la dottrina dell'homooùsion furono Eustazio di Antiochia, Alessandro di Alessandria, Atanasio e Marcello di Ancyra.

Nonostante la simpatia personale per Ario, Eusebio di Cesarea aderì alla decisione del concilio, accettando il credo come era stato formulato. La dottrina nicena fu ratificata da Costantino e l'imperatore affermò che chiunque si fosse opposto alle decisioni del concilio avrebbe dovuto prepararsi a prendere immediatamente la via dell'esilio. A causa delle riserve espresse da Eusebio di Nicomedia e da Teognis di Nicea e della frode che secondo Costantino perpetrarono (nella parola originariamente concordata homoùsios inserirono una iota che cambiò la parola in homoioùsios, cioè di "simile sostanza", in luogo del significato originario di "medesima sostanza") essi, pur avendo avallato le decisioni conciliari, vennero esiliati in Gallia tre mesi dopo. Ario fu messo al bando in una remota provincia dell'Illirico, la sua persona e i suoi discepoli furono bollati dalla legge con il nome di porfiriani [22], i suoi scritti furono condannati alle fiamme e contro chiunque ne fosse stato trovato in possesso fu comminata la pena capitale.

Dichiarazione dell'homooùsios

La controversia ariana era una controversia cristologica che cominciò ad Alessandria d'Egitto fra i seguaci di Ario e i seguaci di Alessandro, vescovo di Alessandria. Mentre questi ultimi credevano che il Figlio fosse uguale al Padre in quanto alla divinità, cioè composto della stessa sostanza (nel senso aristotelico del termine), gli ariani credevano che Padre e Figlio fossero due distinti esseri divini: in particolare, il Figlio, pur essendo perfetto come creatura, era pur sempre creato dal Padre.

Gran parte della disputa riguardava la differenza fra l'essere nato o creato e l'essere generato dal Padre. Gli ariani dicevano che i due concetti erano la stessa cosa, i seguaci di Alessandro no. In effetti, molti dei termini usati nel concilio di Nicea erano abbastanza oscuri per coloro che non parlavano il greco; le parole del greco koinè, come "essenza" (ousìa), "sostanza" (ipostasi), "natura" (physis), "persona" (prosopon) contenevano una varietà di significati che venivano direttamente desunti dai filosofi pre-cristiani e che non potevano che introdurre gravi incomprensioni se non spiegati adeguatamente. La parola homooùsion (= della stessa essenza) in particolare, che tra l'altro viene approssimativamente tradotta nel latino del Credo con consubstantialem, fu inizialmente poco apprezzata dai vescovi convenuti, per la sua vicinanza formale con gli eretici gnostici, che ne facevano uso abbondante nella loro teologia. In particolare, il termine stesso homooùsion era stato proibito dal Sinodo di Antiochia nel 264-268, per l'interpretazione sabelliana della Trinità, nota anche come modalismo.

I seguaci dell'homooùsion credevano che seguire l'eresia ariana significasse spezzare l'unità della natura divina e rendere il Figlio ineguale al Padre, in palese contrasto con le Scritture ("Io e il Padre siamo una cosa sola", Gv 10,30).
Gli ariani, dal canto loro, credevano che, siccome il Padre ha creato il Figlio, il Figlio deve essere stato emanato dal Padre e quindi essere meno del Padre, in quanto il Padre è eterno, ma il Figlio è stato creato dopo di lui, e, quindi, non è eterno (nel senso che Aristotele dà all'infinito, per es. Nel De Coelo). Anche gli ariani citavano le Scritture, per esempio citando Gv 14,28: "Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me."
I seguaci dell'homooùsion rispondevano dicendo che la paternità di Dio, come tutti i suoi attributi, è eterna: il Padre è sempre stato Padre e quindi il Figlio è rimasto sempre Figlio, anche prima di esistere.

Il Concilio decretò alla fine il trionfo dell'homooùsion, cioè che il Padre e il Figlio sono della stessa sostanza e sono co-eterni: i padri conciliari basarono questa dichiarazione sulla autorità apostolica e sulla tradizione cristiana. La formulazione finale di questo dogma si ritrova nel Credo Niceno.

Determinazione della data della Pasqua

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Calcolo della Pasqua e Quartodecimani
Maestranze ravennati, Agnello di Dio, mosaico; Ravenna, Basilica di San Vitale, cupola

La festa della Pasqua è legata alla Pasqua ebraica, in quanto la crocifissione e resurrezione di Gesù avvennero durante questa festa. Intorno al 300, molte delle Chiese avevano adottato il costume occidentale di celebrare la festa la domenica dopo la Pasqua ebraica, per enfatizzare la resurrezione, che avvenne secondo i vangeli di domenica. Altri invece celebravano la Pasqua il 14 del mese di Nisan, la data della crocefissione secondo il calendario ebraico della Bibbia (23,5,19,14).

Questo gruppo veniva chiamato dei Quartodecimani. Le Chiese orientali di Siria, Cilicia e Mesopotamia determinavano la data della Pasqua a partire dal calendario ebraico; Alessandria e Roma invece seguivano un calcolo differente, attribuito a papa Sotero, in modo tale che la Pasqua cristiana non coincidesse mai con la Pasqua ebraica e decisero di fissarla alla prima domenica dopo il plenilunio successivo all'equinozio di primavera.

Secondo Duchesne[4], che fonda le sue conclusioni sui seguenti documenti:

  1. la lettera conciliare di Teodoreto di Ciro agli Alessandrini;[5]
  2. nella lettera circolare di Costantino ai vescovi alla conclusione del concilio;[6]
  3. su Atanasio;[7]

Sant'Epifanio di Salamina scrisse alla metà del IV secolo che[8]:

« ... L'imperatore... Convocò un concilio di 318 vescovi... Nella città di Nicea.... Essi approvarono alcuni canoni ecclesiastici durante il concilio e inoltre decretarono riguardo alla Pasqua ebraica che ci dovesse essere un accordo unanime sulla celebrazione del santo e supremo giorno di Dio. »

Il concilio si assunse il compito di regolare queste differenze, in parte anche perché in alcune diocesi era proibito fare coincidere la Pasqua ebraica con la Pasqua cristiana.
"Fu stabilito di celebrare ovunque la festa della resurrezione di domenica e di non farla coincidere con la Pasqua ebraica, cioè sempre dopo il 14 di Nisan, la domenica dopo il plenilunio di primavera. Il motivo principale di questa decisione era l'opposizione al giudaismo, che aveva disonorato la Pasqua con la crocefissione del Signore".[9]

Costantino scrisse che[10]

« ... Sembrava una cosa indegna che nella celebrazione di questa santissima festa si dovesse seguire la pratica dei Giudei, che hanno insozzato le loro mani con un peccato enorme e sono stati giustamente puniti con la cecità delle loro anime.... È bene non avere nulla in comune con la detestabile cricca dei Giudei; in quanto abbiamo ricevuto dal Salvatore una parte diversa. »

Teodoreto di Ciro riporta queste parole dell'imperatore[11]:

« Fu prima di tutto dichiarato improprio il seguire i costumi dei Giudei nella celebrazione della santa Pasqua, perché, a causa del fatto che le loro mani erano state macchiate dal crimine, le menti di questi uomini maledetti erano necessariamente accecate.... Non abbiamo nulla in comune con i Giudei, che sono i nostri avversari.... Evitando ogni contatto con quella parte malvagia. ... Le cui menti, dopo avere tramato la morte del Signore, fuori di sé, non sono guidate da una sana ragione, ma sono spinte da una passione irrefrenabile ovunque la loro follia innata le porti.... Un popolo così completamente depravato.... Quindi, questa irregolarità va corretta, in modo da non avere nulla in comune con quei parricidi e con gli assassini del nostro Signore.... Neanche un solo punto in comune con quegli spergiuri dei Giudei. »

Il Concilio di Nicea, comunque, non dichiarò i calcoli alessandrini o romani come obbligatori. Invece, il concilio diede al Vescovo di Alessandria il privilegio di annunciare annualmente la data della Pasqua cristiana alla Curia romana. Benché il Concilio avesse intrapreso il compito di dare una data alla Pasqua, si accontentò alla fine di comunicare la sua decisione alle differenti diocesi, invece di stabilire un canone. Ci furono quindi delle controversie sulla celebrazione della Pasqua.

Sull'eresia di Melezio

La soppressione dell'eresia meleziana fu una delle tre importanti questioni di ordine interno alla Chiesa che accompagnarono le decisioni teologiche del Concilio di Nicea.

Melezio fu deposto per varie ragioni, fra cui quella di offrire sacrifici agli idoli e di ordinare sacerdoti al di fuori della sua diocesi (il che era proibito fin quasi dall'inizio del cristianesimo). Gli scarsi riferimenti di Sant'Atanasio erano le uniche informazioni su di lui, fino a che nel XVIII secolo l'archeologo Scipione Maffei scoprì un manoscritto che riguardava l'eresia meleziana in Egitto. Da questi documenti e da quelli di Atanasio si deduce che l'eresia meleziana incominciò intorno al 304-305, cioè ai tempi della persecuzione di Diocleziano. Sant'Atanasio dice che i Meleziani divennero scismatici cinquantacinque anni fa, mentre quelli [gli Ariani] vennero dichiarati eretici trentasei anni fa[12]. Poiché si può ritenere che gli ariani venissero dichiarati eretici nel Concilio di Nicea nel 325, a ritroso si può calcolare che i meleziani divenissero scismatici nel 306.

Al Concilio si decise che Melezio dovesse rimanere nella sua città di Licopoli, ma senza potere ordinare nuovi preti; gli fu inoltre vietato di viaggiare nei dintorni della città, o entrare in un'altra diocesi per consacrare nuovi sacerdoti. Melezio mantenne il titolo episcopale, ma gli ecclesiastici che erano stati ordinati da lui dovevano ricevere di nuovo l'imposizione delle mani, in quanto le ordinazioni fatte da Melezio non erano da considerarsi valide.

Il clero consacrato da Melezio doveva dare la precedenza a quello ordinato da Alessandro e non poteva prendere nessun provvedimento se non previo consenso del vescovo Alessandro.[13]

Nel caso di morte di un vescovo o un presbitero non-meleziano, il soglio vacante avrebbe potuto essere assegnato a un meleziano, purché ne fosse degno e l'elezione popolare venisse confermata da Alessandro. Per quanto riguardava lo stesso Melezio, le prerogative e i diritti episcopali gli furono negati.

Questi provvedimenti blandi furono tuttavia inutili; i meleziani si unirono agli ariani e causarono dissensi ancora più gravi[14], diventando nemici implacabili di Atanasio, sotto il regno di Costanzo II, successore e nipote di Costantino, che era notoriamente un protettore degli Ariani. L'eresia meleziana venne meno comunque intorno alla metà del V secolo.

Il battesimo degli eretici

Sulla persecuzione di Licinio

Altre questioni

Infine il concilio promulgò 20 nuove leggi ecclesiastiche, chiamate canoni (sebbene il numero esatto sia oggetto di dibattito[15]), cioè, regole immutabili intese a disciplinare qualcosa. I 20 canoni sono elencati nella Patristica relativa a Nicene e successivamente ad essa, nel modo seguente:[16]

Effetti del concilio

Gli effetti a lungo termine del concilio di Nicea furono significativi. Per la prima volta, rappresentanti di tutti i vescovi della Chiesa furono concordi su un tema di dottrina. Sempre per la prima volta, l'Imperatore svolse un ruolo, convocando insieme i vescovi sotto la sua autorità e usando il potere dello Stato per dar seguito alle disposizioni conciliari. Questo fu l'inizio del cosiddetto cesaropapismo: un coinvolgimento di Chiesa e Stato che seguiterà fino ai nostri giorni ad essere oggetto di dibattito.

A breve termine tuttavia, il concilio non risolse del tutto i problemi per cui era stato convocato. Gli ariani e i meleziani quasi subito riguadagnarono pressoché tutti i diritti che avevano perduto e l'Arianesimo continuò a propagarsi e a causare divisioni nella Chiesa per tutto il rimanente IV secolo. Quasi immediatamente Eusebio di Nicomedia usò la sua influenza a corte per guadagnarsi il favore di Costantino, spostandolo dai vescovi ortodossi di Nicea agli Ariani. Eustazio di Antiochia fu deposto ed esiliato nel 330. Atanasio, che era succeduto ad Alessandro come vescovo di Alessandria, fu deposto dal primo sinodo di Tiro nel 335 e Marcello di Ancyra lo seguì nel 336. Ario stesso tornò a Costantinopoli per essere riaccolto nella Chiesa, ma morì poco prima che ciò potesse accadere. Costantino morì l'anno dopo, dopo avere finalmente ricevuto il battesimo, da un vescovo ariano.

Giudizi storici

Nel corso del XVIII secolo, l'atteggiamento di alcuni illuministi nei confronti del concilio di Nicea fu improntato su posizioni critiche, evidenziando gli aspetti politici e sociali che accompagnarono il primo dei concili ecumenici.

Notevole è la discussione che fa Edward Gibbon del Concilio nella sua monumentale opera Decline and Fall of the Roman Empire[17]. In particolare, Gibbon evidenzia le necessità politiche di mantenimento dell'unità dell'Impero, che spinsero Costantino a convocare il concilio. Gibbon non fa mistero del provvedimento di esilio da parte imperiale: «(...) la dottrina nicena fu ratificata da Costantino e quando l'imperatore affermò risolutamente che chiunque si fosse opposto al giudizio divino del concilio avrebbe dovuto prepararsi a prendere immediatamente la via dell'esilio, tacquero i mormorii di protesta di una fiacca opposizione, che da diciassette vescovi si ridusse quasi istantaneamente a due.»

Su posizioni più caustiche si situa Voltaire, che nel suo Dizionario filosofico dedica la voce "Concili" a una succinta storia dei concili ecumenici[18]. Voltaire indica l'attore primo della convocazione del concilio in Costantino, il quale desiderava che le "frivole" dispute teologiche non costituissero uno scandalo o, peggio, occasioni di dissidio nel popolo[19]. Voltaire ritiene che tali dispute avessero poco a che fare con il messaggio principale dei Vangeli e con la moralità che normalmente si chiede da una persona dabbene.

L'aneddoto citato da Voltaire è da lui riportato per affermare che i concili sono fatti dagli uomini e che quindi sono il frutto naturale delle passioni umane e delle circostanze storiche:

« Tutti i concili sono infallibili, senza alcun dubbio: se non altro perché sono fatti dagli uomini.

È cosa impossibile che in alcun modo le passioni, gli intrighi, lo spirito polemico, l'odio, la gelosia, il pregiudizio, l'ignoranza, regnino in tali consessi.
Ma perché, ci si potrebbe chiedere, tanti concili si sono opposti gli uni agli altri? È successo per esercitare la nostra fede; essi, ciascuno nel proprio tempo, hanno sempre avuto ragione.
Non si crede oggi, presso i cattolici romani, che ai concili approvati dal Vaticano; e non si crede oggi, presso i cattolici greci, che a quelli approvati in Costantinopoli. I protestanti si burlano sia dei primi che dei secondi; in tal modo tutti devono dichiararsi contenti. »

(Voltaire. Dizionario Filosofico, voce Conciles)

Infatti in una missiva San Gregorio di Nazianzo (che in qualità di Vescovo di Costantinopoli, presiedette per poco tempo il concilio di Costantinopoli scrivendo a Procopio ebbe a dire al riguardo:

« Temo i concili, non ne ho mai visto alcuno che non abbia fatto più male che bene e che abbia avuto una buona riuscita: lo spirito polemico, la vanità, l'ambizione vi dominano; colui che vuole riformare i maliziosi si espone a essere a sua volta accusato senza averli corretti »

Della distinzione tra libri ispirati e apocrifi

Voltaire amava giocare fra serietà e l'ironia; relativamente al concilio di Nicea cita ad esempio l'episodio che sarebbe avvenuto della distinzione fra libri apocrifi e ispirati

« I Padri del Concilio distinsero tra libri delle Scritture e apocrifi grazie ad un espediente piuttosto bizzarro: avendoli collocati alla rinfusa sull'altare vennero detti apocrifi quelli che caddero in terra. »

La citazione di Voltaire riguarda un testo denominato Synodicon Vetus del 887[20] che racconta dei concili e che aggiunge alcune informazioni (spesso considerate spurie) rispetto ai testi degli storici della chiesa. Restando alla citazione l'autenticità dell'episodio è dubbia in quanto comparendo solamente nel Synodicon non è possibile determinare con certezza se è una invenzione o se risale ad una antica tradizione al quale l'autore aveva accesso.

Secondo Andrew Hunwick:

« Il problema della distinzione tra vangeli spuri e autentici non è stato discusso nel primo concilio di Nicea: l'aneddoto è inventato. Compare nel testo clandestino La Religione Cristiana Analizzata (in francese nell'originale, La Religion chretienne analysée) attribuito a Dumarsais e pubblicato da Voltaire in forma ridotta in Raccolte Essenziali (Recueil necessaire) nel 1765, dove è indicata come fonte Sanctissima concilia (1671-1672, Parigi, vol II, pp 84-85) di Pierre Labbe (1607-1667), che afferma di seguire gli anni 325 § 158 degli Annales ecclesiasti (1559-1607) di Baronio (1538-1607), anche se si deve notare che Baronio, riportando dell'adozione di certi vangeli e del rifiuto di altri come spuri, non riporta in che modo fu fatta la distinzione.

Voltaire ripete l'aneddoto romanzesco più volte, citando Labbe come fonte, si veda B. E. Schwarzbach, p. 329 e n. 81. Dubbi furono espressi in precedenza, da Tillemont (si veda L. S. Le Nain de Tillemont, Memorie per la storia della Chiesa [Memoires pour servir a l'histoire ecclesiastique], 1701-14, seconda edizione, Parigi, Robustel - Arsenal 4° H.5547], volume VI, p. 676.)

Nei fatti l'aneddoto data Baronio più di sei secoli prima della sua nascita: compare in un anonimo Synodikon contenente brevi citazione di 158 concili dei primi nove secoli. Portato dalla Grecia nel XVI secolo da Andreas Darmasius, questo documento fu acquistato ed edito dal teologo luterano Johannes Pappus (1549-1610). Fu successivamente ristampato, certamente almeno nella Bibliotheca graeca [...] di Fabricio, la prima di queste edizioni fu pubblicata negli anni 1705-1707 e potrebbe essere stata conosciuta da D'Holbach. L'aneddoto si trova in Synodicon vetus sezione 34, "Council of Nicaea" (Johannes Albert Fabricius, Biblioteca graeca (..) [1790-1809, Amburgo: Bohn], Volume XII, pagine 370-371.) »

(Andrew Hunwick, edizione critica di Ecce Homo di Baron D'Holbach[21])

Nella narrativa contemporanea

Il primo concilio ha assunto una certa notorietà nel 2003, grazie al romanzo di Dan Brown Il codice da Vinci. Nel romanzo si sostiene che "fino a quel momento, Gesù era visto come un profeta mortale dai suoi seguaci... Un grande e potente uomo, ma sempre un uomo. Un mortale. La sua definizione come "il figlio di Dio" fu ufficialmente proposta e votata al concilio di Nicea". Il romanzo afferma quindi che la divinità di Gesù sia stata ottenuta dopo una votazione al concilio, con un margine stretto e che Costantino avrebbe condizionato il voto per consolidare il suo potere.

In realtà la divinità di Gesù fu affermata dagli apostoli quasi subito dopo la sua morte. Anche lo storico latino Plinio il Giovane, vissuto a cavallo tra il primo e il secondo secolo, parlando dei cristiani, afferma che "cantano un inno a Cristo come ad un dio"[22].

La versione più accreditata tra gli storici è che Costantino convocò il concilio per risolvere la disputa sulla natura di Gesù, ovvero se fosse "fatto" (cioè creato) o "generato" e non ci furono votazioni, ma piuttosto una discussione, per redigere un "Credo", che fu infine firmato da tutti i partecipanti tranne due.

Note
  1. Ecumenico, dal greco Koinè oikoumenikos, che letteralmente significa mondiale, ma che al tempo indicava di fatto i territori dell'Impero Romano, conformemente alla convinzione dei Cesari di essere governatori del mondo o ecumene. Il termine compare per la prima volta nel 338 nell'opera di Eusebio, Vita di Costantino [1]: "σύνοδον οἰκουμενικὴν συνεκρότει" ("convocò un concilio ecumenico"); lo stesso termine nella lettera Ad Afros Epistola Synodica di Atanasio nel 369 [2] e nella lettera del 382 a papa Damaso I e ai vescovi latini del primo Concilio di Costantinopoli-[3]. In questo senso il Concilio di Nicea si può intendere come il primo concilio universale di tutta la Chiesa cristiana e quindi occupa un posto di preminenza anche rispetto al Concilio di Gerusalemme citato negli Atti degli apostoli.
  2. Il primo a parlare dello schiaffo ad Ario sembra sia stato Pietro de Natalibus nel suo Catalogus sanctorum et gestorum eorum ex diversis voluminibus collectus, Lugduni 1508 (scritto nel XIV secolo).
  3. Epist. Ad Afros, ii.
  4. (FR) Revue des questions historiques, xxviii. 37.
  5. Hist. Eccl., I., ix. 12; Socrate Scolastico, Hist. Eccl., I., ix. 12.
  6. Eusebio, Vita Constantine, III., xviii. 19; Teodoreto, Hist. Eccl., I., x. 3 e sgg.
  7. De Synodo, v.; Epist. Ad Afros, ii.
  8. (EN) Epifanio, The Panarion of Epiphanius of Salamis, Books II and III (Sects 47-80), De Fide. Section VI, Verses 1,1 and 1,3. Translated by Frank Williams, E.J. Brill, New York, 1994, pp. 471-472).
  9. Philip Schaff, History of the Christian Church, Volume III: Nicene and Post-Nicene su ccel.org. URL consultato il 2006-05-08
  10. (EN) Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino Libro 3°, Cap. XVIII. su newadvent.org. URL consultato il 2006-05-08
  11. (EN) Blomfield Jackson, The Ecclesiastical History, Dialogues, and Letters of Theodoret su ccel.org. URL consultato il 2006-05-08
  12. (EN) Sant'Atanasio, Epistola ad episcopos,22.
  13. (EN) Catholic Encyclopedia, articolo su Melezio.
  14. (EN) Sant'Atanasio, ibidem, 22.
  15. Nicene and Post-Nicene Fathers, Series II, Vol. XIV, Excursus on the Number of the Nicene Canons su ccel.org in Early Church Fathers. URL consultato il 2006-05-08
  16. Nicene and post-Nicene Fathers, Series II, Vol. XIV, The Canons of the 318 Holy Fathers Assembled in the City of Nice (sic), in Bithynia. su ccel.org in Early Church Fathers. URL consultato il 2006-05-08
  17. Edward Gibbon, Decline and Fall of the Roman Empire, trad. Italiana Oscar Storia Mondadori, 1998, p.293, ISBN 8804452846.
  18. (FR) 'Concili', Dizionario filosofico. Voltaire, Parigi 1694 - 1778.
  19. Ces questions, qui ne sont point nécessaires et qui ne viennent que d'une oisiveté inutile, peuvent être faites pour exercer l'esprit; mais elles ne doivent pas être portées aux oreilles du peuple.
  20. John Duffy, John Parker (a cura di), The Synodicon Vetus. Washington: Dumbarton Oaks, Center for Byzantine Studies (1979). Series: Dumbarton Oaks texts 5 / Corpus fontium historiae Byzantinae. Series Washingtonensis 15. ISBN 0884020886.
  21. Andrew Hunwick, edizione critica di Ecce Homo di Baron D'Holbach, Mouton de Gruyter, 1995, pp. 48-49, nota 25 [4].
  22. Sugli scritti di autori non cristiani riguardo ai cristiani nei primi due secoli, si veda la voce testi non cristiani su Gesù storico.
Fonti primarie
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni