Sant'Ignazio di Antiochia

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Sant'Ignazio di Antiochia
Vescovo · Martire
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battezzato
Santo
Padre della Chiesa
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Domenico Beccafumi, Sant'Ignazio d'Antiochia (1517 ca.), olio su tavola; Siena Collezione Chigi Saracini
Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte circa 72 anni
Nascita 35 ca.
Morte Roma
107
Sepoltura Roma, Basilica di San Clemente al Laterano
Conversione
Appartenenza
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Ordinato diacono
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Incarichi ricoperti Vescovo di Antiochia
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° vescovo di Roma
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Cardinali creazioni
Proclamazioni
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Eventi
Venerato da Tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi
Venerabile il [[{{{aV}}}]]
Beatificazione [[{{{aB}}}]]
Canonizzazione [[{{{aS}}}]]
Ricorrenza 17 ottobre
Altre ricorrenze 20 dicembre (Chiesa ortodossa)
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Attributi Vescovo sbranato dai leoni, o in catene, palma, baculo pastorale, cuore ferito
Devozioni particolari {{{devozioni}}}
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Incoronazione
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Erede
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Onorificenze
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Nomi postumi
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Tutti-i-santi.jpgNel Martirologio Romano, 17 ottobre, n. 1:
« Memoria di sant'Ignazio, vescovo e martire, che, discepolo di san Giovanni Apostolo, resse per secondo dopo san Pietro la Chiesa di Antiochia. Condannato alle fiere sotto l'imperatore Traiano, fu portato a Roma e qui coronato da un glorioso martirio: durante il viaggio, mentre sperimentava la ferocia delle guardie, simile a quella dei leopardi, scrisse sette lettere a Chiese diverse, nelle quali esortava i fratelli a servire Dio in comunione con i vescovi e a non impedire che egli fosse immolato come vittima per Cristo. »

Sant'Ignazio di Antiochia, detto il Teoforo (35 ca.; † Roma, 107), è stato un vescovo, teologo, martire e padre della Chiesa siro. Fu il secondo successore di Pietro come vescovo di Antiochia di Siria, dal 70 a circa 107, data del suo martirio.

Biografia

Eusebio di Cesarea, storico della Chiesa vissuto nel IV secolo, dedica un intero capitolo della sua Storia Ecclesiastica alla vita e all'opera letteraria di Ignazio:

« Dalla Siria Ignazio fu mandato a Roma per essere gettato in pasto alle belve, a causa della testimonianza da lui resa a Cristo. Compiendo il suo viaggio attraverso l'Asia, sotto la custodia severa delle guardie[1], nelle singole città dove sostava, con prediche e ammonizioni, andava rinsaldando le Chiese; soprattutto esortava, col calore più vivo, di guardarsi dalle eresie, che allora cominciavano a pullulare e raccomandava di non staccarsi dalla tradizione apostolica»
(3,36,3-4)

La prima tappa del viaggio di Ignazio verso il martirio fu la città di Smirne, dove era Vescovo san Policarpo, discepolo di san Giovanni Evangelista. Qui Ignazio scrisse quattro lettere, rispettivamente alle Chiese di Efeso, di Magnesia, di Tralli e di Roma.

Dice ancora Eusebio che, "partito da Smirne, Ignazio venne a Troade e di là spedì nuove lettere". Due di tali lettere sono alle Chiese di Filadelfia e di Smirne e una al Vescovo Policarpo. Eusebio completa così l'elenco delle lettere che sono giunte a noi.

Finalmente da Troade il martire giunse a Roma, dove, nell'Anfiteatro Flavio, venne dato in pasto alle bestie feroci.

Finalmente da Troade giunto a Roma dopo un faticoso viaggio, Ignazio subì il martirio nell'Urbe nel decimo anno del regno di Traiano (107), secondo la notizia riferita da Eusebio[9], dandolo in pasto alle bestie feroci.

Culto

Le sue spoglie furono raccolte da alcuni fedeli e ricondotte ad Antiochia, dove vennero sepolte nel cimitero della chiesa fuori della Porta di Dafne.

A seguito dell'invasione saracena, le reliquie furono ricondotte a Roma e sepolte nel 637 presso la Basilica di San Clemente al Laterano, dove tuttora riposano.

Stile e contenuto delle lettere

Ignazio è tra le principali personalità della Chiesa nascente.

I testi delle lettere di Ignazio lasciano trasparire tutta la freschezza della fede della generazione che ancora aveva conosciuto gli Apostoli.

Nessun Padre della Chiesa ha espresso con l'intensità di Ignazio l'anelito all'unione con Cristo e alla vita in Lui.

Confluiscono in Ignazio due correnti spirituali: quella di Paolo, tutta tesa all'unione con Cristo e quella di Giovanni, concentrata sulla vita in Lui. A loro volta, queste due correnti sfociano nell'imitazione di Cristo, più volte proclamato da Ignazio come "il mio" o "il nostro Dio".

Ignazio supplica i cristiani di Roma di non impedire il suo martirio, perché è impaziente di "congiungersi con Gesù Cristo". E spiega:

« È bello per me morire andando verso (eis in greco) Gesù Cristo, piuttosto che regnare sino ai confini della terra. Cerco Lui, che è morto per me, voglio Lui, che è risorto per noi. (..) Lasciate che io sia imitatore della Passione del mio Dio»
(Lettera di Ignazio ai Romani, 5-6)

Si può cogliere in queste espressioni brucianti d'amore lo spiccato realismo cristologico tipico della Chiesa di Antiochia, più che mai attento all'incarnazione del Figlio di Dio e alla sua vera e concreta umanità: Gesù Cristo, scrive Ignazio agli Smirnesi, "è realmente dalla stirpe di Davide", "realmente è nato da una vergine", "realmente fu inchiodato per noi" (1,1).

L'irresistibile tensione di Ignazio verso l'unione con Cristo fonda una vera e propria mistica dell'unità. Egli stesso si definisce "un uomo al quale è affidato il compito dell'unità" (Ai Filadelfiesi, 8,1). Per Ignazio l'unità è anzitutto una prerogativa di Dio che, esistendo in tre Persone, è Uno in assoluta unità. Egli ripete spesso che Dio è unità e che solo in Dio essa si trova allo stato puro e originario.

Per Ignazio l'unità da realizzare su questa terra da parte dei cristiani si configura come l'imitazione, il più possibile conforme, del suo archetipo divino. In questo modo egli giunge a elaborare una visione della Chiesa che richiama da vicino alcune espressioni della Lettera ai Corinti di Clemente Romano:

« È bene per voi procedere insieme d'accordo col pensiero del Vescovo, cosa che già fate. Infatti il vostro collegio dei presbiteri, giustamente famoso, degno di Dio, è così armonicamente unito al Vescovo come le corde alla cetra. Per questo nella vostra concordia e nel vostro amore sinfonico Gesù Cristo è cantato. E così voi, a uno a uno, diventate coro, affinché nella sinfonia della concordia, dopo aver preso il tono di Dio nell'unità, cantiate a una sola voce. »
(Lettera ai cristiani di Efeso, 4,1-2)

Dopo aver raccomandato agli Smirnesi di non "intraprendere nulla di ciò che riguarda la Chiesa senza il Vescovo" (8,1), confida a Policarpo:

« Io offro la mia vita per quelli che sono sottomessi al Vescovo, ai presbiteri e ai diaconi. Possa io con loro avere parte con Dio. Lavorate insieme gli uni per gli altri, lottate insieme, correte insieme, soffrite insieme, dormite e vegliate insieme come amministratori di Dio, suoi assessori e servi. Cercate di piacere a Colui per il quale militate e dal quale ricevete la mercede. Nessuno di voi sia trovato disertore. Il vostro Battesimo rimanga come uno scudo, la fede come un elmo, la carità come una lancia, la pazienza come un'armatura. »
(6,1-2)

Le Lettere di Ignazio si muovono all'interno di una dialettica costante e feconda tra due aspetti caratteristici della vita cristiana:

Di conseguenza, i ruoli ecclesiali non si possono contrapporre. Al contrario, l'insistenza sulla comunione dei credenti tra loro e con i propri pastori è continuamente riformulata attraverso eloquenti immagini e analogie: la cetra, le corde, l'intonazione, il concerto, la sinfonia. È evidente la responsabilità peculiare dei Vescovi, dei presbiteri e dei diaconi nell'edificazione della comunità. Vale anzitutto per loro l'invito all'amore e all'unità. "Siate una cosa sola", scrive Ignazio ai Magnesi, riprendendo la preghiera di Gesù nell'Ultima Cena:

« Un'unica supplica, un'unica mente, un'unica speranza nell'amore. (..) Accorrete tutti a Gesù Cristo come all'unico tempio di Dio, come all'unico altare: Egli è uno e procedendo dall'unico Padre, è rimasto a Lui unito e a Lui è ritornato nell'unità. »
(7,1-2)

Ignazio, per primo nella letteratura cristiana, attribuisce alla Chiesa l'aggettivo cattolica, cioè universale: "Dove è Gesù Cristo, lì è la Chiesa cattolica" (agli Smirnesi, 8,2). Nel servizio di unità alla Chiesa cattolica, la comunità cristiana di Roma esercita una sorta di primato nell'amore:

« In Roma essa presiede degna di Dio, venerabile, degna di essere chiamata beata. (..) Presiede alla carità, che ha la legge di Cristo e porta il nome del Padre. »
(Ai Romani, prologo)

Ignazio è il dottore dell'unità:

  • unità di Dio e unità di Cristo, a dispetto delle varie eresie che iniziavano a circolare e che dividevano l'uomo e Dio in Cristo;
  • unità della Chiesa, unità dei fedeli "nella fede e nella carità, delle quali non vi è nulla di più eccellente" (agli Smirnesi, 6,1).

Il realismo di Ignazio invita i fedeli a una sintesi progressiva tra:

  • configurazione a Cristo: unione con Lui, vita in Lui;
  • e dedizione alla sua Chiesa: unità con il Vescovo, servizio generoso alla comunità e al mondo.

La lettera di Ignazio ai cristiani di Tralli contiene un'esortazione valida ancora ai nostri giorni:

« Amatevi l'un l'altro con cuore non diviso. Il mio spirito si offre in sacrificio per voi, non solo ora, ma anche quando avrà raggiunto Dio. (..) In Cristo possiate essere trovati senza macchia. »
(13)

Successione degli incarichi

Predecessore: Vescovo di Antiochia Successore: Cruz ortodoxa.png
Evodio 69-107 Erone I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
con
con
Evodio {{{data}}} Erone
Note
  1. Ignazio ne parla come di dieci leopardi, nella sua Lettera ai Romani, 5,1.
Voci correlate
Collegamenti esterni