Maranatha

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Ambito romano, Orante (part.), fine III secolo, affresco; Roma, Catacomba maggiore.
Il gesto di pregare alzando le mani al cielo esprime tra l'altro, dai primi secoli del cristianesimo, l'invocazione della parusia
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La Chiesa, sposa innamorata dell'Agnello, con lo sguardo fisso a quel giorno di luce, eleva l'invocazione ardente: "Maranathà" (1Cor 16,22 ), "Vieni, Signore Gesù!" (Ap 22,20 ).
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(Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 14 febbraio 2001)

Maranatha è un'espressione aramaica che compare, traslitterata in greco, in 1Cor 16,22 (μαραναθα, maranatha), e che può avere due significati: "il Signore nostro è venuto" oppure "Signore nostro, vieni".

Significato

Il motivo per cui sono possibili due significati è che l'espressione è fatta di due parole, ma il testo biblico dei manoscritti greci del Nuovo Testamento non permette di precisare dove esse vadano suddivise, e ciò lascia la porta aperta a due interpretazioni:

  • μαρὰν ἀθά, maràn athá, corrispondente all'aramaico māran ’athā’, "Il Signore nostro è venuto", nel senso che è presente tra gli uomini; in tal caso di tratta di una professione di fede nella parusia già realizzata
  • μαράνα θά, marána thá", corrispondente all'aramaico māranā’ thā’, "Signore nostro, vieni!", nel senso di Ap 22,20 e di Mt 6,10 ; in quest'altro caso si tratta di una preghiera con la quale si chiede che la parusia sia affrettata.

La seconda interpretazione è la più comune tra gli esegeti[1].

L'espressione è attestata anche nella Didaché, dove ha un chiaro senso di preghiera:

« Venga la grazia e passi questo mondo. Osanna alla casa di Davide. Chi è santo si avanzi, chi non lo è si penta. Maranatha. Amen»
(10,6)

Importanza

L'espressione ha una grande importanza, essendo una delle poche formule aramaiche inserite nel greco del Nuovo Testamento e conservata anche nel culto immediatamente postapostolico. Tutto fa supporre che in 1Cor 16,22 ci si trova di fronte a un'antichissima formula di preghiera che l'apostolo Paolo ha ricevuto dalla tradizione anteriore a lui; essa potrebbe risalire alla più primitiva liturgia della Chiesa madre di Gerusalemme[2].

L'invocazione maranatha suppone che la parusia sia oggetto d'attesa per il fedele e che essa può essere affrettata dalla preghiera.

Nella storia della Chiesa

Hans Memling, Trittico con Giudizio universale (1467 - 1473 ca.), olio su tavola; Danzica (Polonia), Muzeum Narodowe

La vicinanza di maranatha con anathema fece sì che la prima espressione si aggiunse alla seconda per rinforzarla, dando luogo fin dal IV secolo a una solenne formula di anatema[3]. L'Ambrosiastro (IV secolo) spiega l'espressione anathema maranatha in questo modo:

(LA) (IT)
« Si quis Dominum Iesum, qui venit, non amat, abscindatur. Maranatha enim "Dominus venit" significat. » « Se qualcuno non ama il Signore Gesù, che viene, sia allontanato. Maranatha infatti significa "Il Signore viene". »
(PL 17, 290 )

Un'iscrizione sepolcrale di Salamina del secolo IV o V[4] scaglia l'anathema maranatha. Così anche il III Concilio di Toledo (589) nel can. 18[5], e il IV Concilio di Toledo (633) nel can. 75[6], ove anathema maranatha è interpretato perditio in adventum Domini, "perdizione nella venuta del Signore"[7].

Nel medioevo la formula anathema maranatha ricorre in bolle papali, episcopali, abbaziali[8].

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica

Il Catechismo della Chiesa Cattolica riprende l'invocazione quattro volte:

Anzitutto l'espressione è citata nella trattazione dell'articolo del Credo su Gesù Cristo. Parlando del titolo di "Signore", afferma che la preghiera dei cristiani è contrassegnata da questo titolo, tra le altre modalità nel "grido pieno di fiducia e di speranza: 'Maran atha' ('Il Signore viene!'), oppure 'Marana tha' ('Vieni, Signore!') (1Cor 16,22 ), 'Amen, vieni, Signore Gesù!' (Ap 22,20 )"[9].

In secondo luogo l'espressione appare nell'articolo dedicato alla trattazione del mistero pasquale nei Sacramenti della Chiesa, ad esprimere l'orientamento di tutta l'azione liturgica verso la venuta finale di Cristo:

« La Chiesa celebra il mistero del suo Signore "finché egli venga" (1Cor 11,26 ) e "Dio sia tutto in tutti" (1Cor 15,28 ). Dall'età apostolica la liturgia è attirata verso il suo fine dal gemito dello Spirito nella Chiesa: "Marana tha!" (1Cor 16,22 ). »
(N. 1130)

In particolare, poi, ricompare dove si parla dell'Eucaristia come pegno della gloria futura:

« Nell'Ultima Cena il Signore stesso ha fatto volgere lo sguardo dei suoi discepoli verso il compimento della Pasqua nel regno di Dio: "Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio" (Mt 26,29 )[10]. Ogni volta che la Chiesa celebra l'Eucaristia, ricorda questa promessa e il suo sguardo si volge verso "Colui che viene" (Ap 1,4 ). Nella preghiera, essa invoca la sua venuta: "Marana tha" (1Cor 16,22 ), "Vieni, Signore Gesù" (Ap 22,20 ), "Venga la tua grazia e passi questo mondo!"[11]»
(N. 1403)

Infine, l'espressione appare nella trattazione dell'invocazione del Padre Nostro "Venga il tuo Regno". Di essa si spiega che "questa richiesta è il Marana tha, il grido dello Spirito e della Sposa: Vieni, Signore Gesù"[12].

Note
  1. Cándido Pozo (1983) 127, che cita in nota Raymond Brown, 1 Corinthians, in The Broadman Bible Commentary, vol. 10, Tennesee, 1970, p. 397; Frederick Fyvie Bruce, 1 and 2 Corinthians, Londra 1971, p. 162; Heinz-Dietrich Wendland, Die Briefe and die Korinther, 7 ed., Göttingen 1954, p. 143.
  2. Cándido Pozo (1983) 128.
  3. Antonino Romeo (1952) 4.
  4. A. Bosch, Corpus Inscriptionum Graecarum, 4 voll., Berlino 1828-1877, IV, 9303.
  5. PL 84, 348.
  6. PL 84, 385.
  7. Ugualmente nello Pseudo Isidoro (PL 82, 745) e anche, prima, in sant'Eucherio (PL 50, 815).
  8. Charles Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, IV, Parigi 1845, p. 270.
  9. N. 451
  10. Cfr. Lc 22,18 ; Mc 14,25 .
  11. Didaché, 10, 6
  12. N. 2817.
Bibliografia
Voci correlate