Abbazia di San Giorgio Maggiore (Venezia)
Abbazia di San Giorgio Maggiore | |
Abbazia di San Giorgio Maggiore, complesso monastico | |
Stato | Italia |
---|---|
Regione | Veneto |
Regione ecclesiastica |
Regione ecclesiastica Triveneto |
Provincia | Venezia |
Comune | Venezia |
Diocesi | Venezia |
Religione | Cattolica |
Indirizzo |
Isola di San Giorgio Maggiore 30133 - Venezia (VE) |
Telefono | +39 041 5227827 |
Posta elettronica | abbazia@abbaziasangiorgio.it |
Sito web | Sito ufficiale |
Oggetto tipo | Abbazia |
Oggetto qualificazione | benedettina |
Dedicazione | San Giorgio |
Sigla Ordine qualificante | O.S.B. |
Sigla Ordine reggente | O.S.B. |
Fondatore | Participazio |
Data fondazione | 790 |
Architetti |
Giovanni Buora Andrea Buora Andrea Palladio Vincenzo Scamozzi Baldassare Longhena |
Coordinate geografiche | |
Veneto | |
L'Abbazia di San Giorgio Maggiore è un complesso monumentale che ospita un monastero benedettino, situato sull'omonima isola al centro della laguna di Venezia, davanti al bacino di San Marco.
Storia
L'origine dell'insediamento nel sito anticamente detto isola dei Cipressi si intreccia con quello di Venezia e della sua Signoria, di cui era proprietà. La tradizione colloca intorno all'anno 790 la fondazione della prima chiesa sull'isola, per volere del doge Participazio.
Nell'anno 982 l'isola di San Giorgio venne donata dal doge Tribuno Memmo al monaco benedettino, Giovanni Morosini, che edificò il cenobio e ne fu il primo abate. Grazie ai particolari benefici ed alle abbondanti donazioni il monastero crebbe con gli anni a tal punto da divenire uno dei maggiori centri europei in campo teologico, culturale ed artistico.
Nel tempo il monastero venne utilizzato come foresteria per gli ospiti illustri della Repubblica, fra cui nel 1232 Federico II di Svevia.
L'intesa vita religiosa e culturale del cenobio fu favorita a partire dal 1429 dalla riforma dell'Ordine che lo collegava alla Congregazione di Santa Giustina di Padova - destinata a divenire la più influente e ricca famiglia benedettina d'Italia - e non a caso Cosimo I de' Medici, qui accolto nel 1433 durante il suo breve esilio, vi fece costruire una splendida biblioteca dall'architetto fiorentino Michelozzo Michelozzi (1396 – 1472), andata distrutta nell'incendio del 1614.
La riforma permise non solo un forte rilancio della vita monastica, ma anche una ripresa dell'attività edilizia che portò alla decisione di ricostruire l'intero complesso architettonico; ma i lavori avviati alla fine del XV secolo, proseguirono con grande lentezza, tanto che le opere possono considerarsi concluse solo al termine del XVII secolo.
Nella metà del XVI secolo fu eseguito il refettorio di Andrea Palladio e l'immenso dipinto che doveva poi decorarlo, le Nozze di Cana di Paolo Veronese. Il suo lavoro riscosse un notevole riconoscimento da parte dei monaci che nel 1565 gli commissionarono la costruzione della nuova chiesa e del secondo chiostro. Sfortunatamente il Palladio non riuscì a vedere completate le opere in quanto morì nel 1580. Più avanti, sotto la direzione di Baldassare Longhena, si realizzarono lo scalone d'onore, la nuova facciata del monastero, il noviziato, l'infermeria e la foresteria.
La caduta della Repubblica (1797) stravolse il ruolo dell'abbazia che fu anche privata delle opere più importanti, fra cui le Nozze di Cana, ma tuttavia il prestigio del monastero era ancora tale che nel 1800, durante l'occupazione di Roma da parte dell'esercito francese, vi si tenne il conclave in cui fu eletto papa Pio VII.
Nel 1806, l'intera isola venne costituita in porto franco ed il monastero fu soppresso dalle leggi napoleoniche, e molti dei beni rimasti andarono venduti o rubati. Solamente pochi monaci ottennero di restare per amministrare la basilica, mentre il monastero - ad eccezione della chiesa riaperta al culto nel 1808 – veniva destinato a magazzini e dogane, e successivamente destinato a sede del Comando d'Artiglieria e deposito d'armi. Rimase presidio militare anche sotto i governi dell'Impero austro-ungarico e del Regno d’Italia, andando così incontro ad un drammatico deterioramento.
Degradato e spogliato, il complesso monastico, dovette attendere il 1951, quando il conte Vittorio Cini si attivò per la ristrutturazione dell'abbazia con l'istituzione della fondazione in memoria del figlio Giorgio, contribuendo alla definitiva rinascita della comunità benedettina sull'isola.
Descrizione
Il complesso monastico si compone sostanzialmente di due corpi di fabbrica:
Basilica di San Giorgio Maggiore
La chiesa abbaziale, dedicata a san Giorgio, progettata ed iniziata nel 1566 da Andrea Palladio, che ne seguì sporadicamente i lavori fino alla morte (1580), fu ultimata nelle strutture nel 1589, mentre la facciata venne realizzata tra il 1607 ed il 1610 da Vincenzo Scamozzi rispettando sostanzialmente il modello originario dell'architetto padovano e consacrata, nello stesso anno, dal patriarca Francesco Vendramin (1555 – 1619).
Il 31 marzo 1900 papa Leone XIII l'ha elevata alla dignità di Basilica minore.[1]
Esterno
La basilica presenta una facciata a salienti, in pietra d'Istria, con quattro enormi colonne di ordine composito, su alti plinti, che si addossano al muro della parte centrale, includendo:
- al centro,
- iscrizione dedicatoria ai santi Stefano e Giorgio;
- portale sormontato da una lunetta contenente:
- Stemma di Barnaba Chiaramonti, eletto qui nel 1800 con il nome di papa Pio VII;
- ai lati, due nicchie entro le quali sono collocate altrettante statue, eseguite nel 1618 da Giulio del Moro, raffiguranti:
La facciata è coronata da un timpano triangolare su cui si profilano tre statue, opera di Antonio Tarsia, raffiguranti:
- al centro, Gesù Cristo redentore
- ai lati, Due angeli.
Il forte aggetto e gli effetti chiaroscurali della parte centrale si stemperano nelle ali laterali, dove il prospetto ha meno rilievo ed è costituito da un ordine minore di lesene corinzie appaiate, la cui trabeazione, attraversata la fronte in tutta la sua larghezza, si rialza in mezzi timpani di raccordo con la parte mediana. Inoltre, le ali latrali presentano:
- nelle campate, entro nicchie classicheggianti, Urne e busti dei dogi Tribuono Memmo e Sebastiano Ziani, benefattori del monastero benedettino.
- alle estremità, Statue di san Marco evangelista e san Benedetto da Norcia (primo quarto del XVII secolo), che furono probabilmente realizzate da Antonio Tarsia.
Ai lati della facciata due piccoli prospetti con portale a semicolonne e timpano, coronati da una merlatura ad archetti rovesciati, la raccordano agli edifici limitrofi.
Sul lato sinistro dell'abside si eleva il campanile (alto 75 m), a base quadrangolare, in laterizi rossi con cella in pietra d'Istria sormontata da un corpo cilindrico che sorregge la cuspide conica con un Angelo rotante. La torre campanaria fu progettata dall'architetto Benedetto Buratti e costruita nel 1791, poiché l'originaria, edificata nel 1467, era crollata nel 1774.
Interno
L'interno si presenta come una struttura molto complessa, in cui il Palladio sperimenta per la prima volta soluzioni innovatrici in ambito ecclesiale, conseguenti alle nuove prescrizioni liturgiche del Concilio di Trento (1545 - 1563) ed al coevo dibattito sull'architettura sacra, diviso tra soluzioni a pianta centrale o a croce latina. Per questo, la pianta rappresenta una soluzione originale, che combina (corpo a croce latina a tre navate, transetto, presbiterio e coro), tradizionalmente caratteristiche proprie delle chiese monastiche in relazioni ai diversi momenti liturgici, sono disposte e dimensionate in modo inusuale, richiamando quasi una pianta centrale. Infatti, la navata centrale, breve nel tratto anteriore, si allarga, mantenendo pari larghezza, nei profondi bracci absidali del transetto, e si prolunga oltre questo nel presbiterio, di modo che la cupola (posta all'incrocio della navata con il transetto) viene ad elevarsi nella parte mediana non solo del corpo trasversale, ma anche di quello longitudinale. Tuttavia, questo effetto è ulteriormente modificato dal prolungarsi del corpo longitudinale nel profondo coro, posto dietro al presbiterio e separato dal semplice diaframma di una duplice coppia di colonne che sorreggono l'organo. L'intonaco a stucco tinteggiato di bianco, l'intensa luce che vi si riflette dalle finestre termali, aperte in serie continua nelle navate, dalla cupola e dal coro, la precisa predisposizione di un apparato decorativo abbastanza semplice completano la più evidente novità e suggestione di questo spazio.
La chiesa conserva opere, fra cui spiccano per pregio ed interesse storico-artistico::
- sulla controfacciata,
- sopra l'ingresso, Monumento funebre del doge Leonardo Donà (1612), opera di un allievo di Alessandro Vittoria;
- ai lati, entro nicchie, Evangelisti (1574), in stucco, di Alessandro Vittoria.
- nella navata destra,
- Monumento funebre di Lorenzo († 1625) e Sebastiano Vernier († 1667), della seconda metà del XVII secolo.
- al primo altare, Adorazione dei pastori (1592), olio su tela, di Jacopo Bassano;
- al secondo altare, Gesù Cristo crocifisso (seconda metà del XV secolo), in legno policromo, di ambito veneziano;[2]
- al terzo altare, Martirio dei santi Cosma e Damiano (1580 ca. - ante 1594), olio su tela, dipinto commissionato a Jacopo Robusti detto il Tintoretto, ma probabilmente opera della bottega.[3]
- nel transetto destro,
- all'altare, San Benedetto da Norcia, san Gregorio Magno, santi benedettini e donatori in contemplazione dell'incoronazione di Maria Vergine (1593 - 1594), olio su tela, attribuita a Jacopo Robusti detto il Tintoretto.[4]
- all'altare, a destra del presbiterio, Madonna con Gesù Bambino in trono e santi (1708), olio su tela, di Sebastiano Ricci;[5]
- alla parete destra, Ritratto di papa Pio VII (1801), olio su tela, di Teodoro Matteini: il dipinto raffigura il pontefice eletto nel conclave qui svolto nel 1800.
- nel presbiterio,
- all'entrata, sulla balaustra, Due candelieri (1592), in bronzo, di Niccolò Roccatagliata e Cesare Groppo;
- alla parete destra, Ultima Cena (1592 - 1594), ad olio su tela, capolavoro di Jacopo Robusti detto il Tintoretto;[6]
- alla parete sinistra, Mosè e la raccolta della manna (1592 - 1594), ad olio su tela, capolavoro di Jacopo Robusti detto il Tintoretto;[7]
- nell'abside, separata dal presbiterio da un colonnato che sorregge l'organo a canne (1750), opera di Pietro Nacchini, è collocato:
- Coro ligneo (1594 - 1598), intagliato dal fiammingo Albert van der Brulle e da Gasparo Gatti.
- all'altare a sinistra del presbiterio, Gesù Cristo risorto (1583 - 1586), olio su tela di Jacopo Robusti detto il Tintoretto, ultimata dal figlio Domenico.
- nel transetto sinistro,
- all'altare, Martirio di santo Stefano e la Trinità (ultimo quarto del XVI secolo), olio su tela di Jacopo Robusti detto il Tintoretto, realizzata in collaborazione con il figlio Domenico.
- nella navata sinistra,
- al terzo altare, San Giorgio uccide il drago (prima metà del XVII secolo), olio su tela, di Matteo Ponzone;
- al secondo altare, gruppo scultoreo con Madonna con Gesù Bambino incoronata da angeli (1595), in marmo, di Girolamo Campagna: l'opera è detta Auxilium Christianorum, poiché venne invocata durante la battaglia di Lepanto (1571).
- al primo altare, Santa Lucia condotta al martirio (1596), olio su tela, di Leandro Bassano.
Coro invernale e coro notturno
Dal coro, a destra, per una scala a chiocciola si entra al Coro invernale o Sala del Conclave, dove ebbe luogo dal 1 dicembre 1799 al 14 marzo 1800 l'elezione di papa Pio VII.
Per approfondire, vedi la voce Conclave del 1799-1800 |
All'interno si conservano:
- Coro ligneo (terzo quarto del XV secolo), costituito da settantadue sedili di fattura piuttosto austera, disposti su due file suddivise in due semicori: questi sono i seggi del coro collocato nella chiesa tre-quattrocentesca qui trasferiti nel 1593.
- all'altare, San Giorgio uccide il drago (1516), olio su tela, di Vittorio Carpaccio.
Nell'attiguo Coro notturno o Cappella dei Morti, è collocato:
- Deposizione di Gesù Cristo nel sepolcro (1592 ca. - ante 1594), olio su tela, di Jacopo Robusti detto il Tintoretto.[8]
Monastero
L'imponente monastero, che sviluppa a destra della chiesa, venne fondato dai monaci benedettini nel X secolo e ricostruito dopo il terremoto del 1223.
L'attuale struttura è frutto della lunga e complessa ricostruzione iniziata nel 1494, ad opera dell'architetto Giovanni Buora (1450 – 1513) e proseguita dopo la sua morte, sotto la direzione del figlio Andrea, che costruì fra il 1516 ed il 1540 il contiguo chiostro degli Allori. Nel frattempo - agli inizi del XVI secolo secondo alcuni studiosi, intorno al 1522 per altri – fu predisposto il progetto di massima per l'intero complesso i cui lavori, iniziati nel 1540, procedettero con grande lentezza.
Tra il 1560 ed il 1580, si ebbe un grande impulso nel completamento del monastero per opera di Andrea Palladio; venne così ultimato il refettorio (1561) ed avviata la costruzione del chiostro dei Cipressi (1579) e la chiesa con il sagrato antistante.
Il complesso architettonico fu portato a termine, solo nel XVII secolo, sotto la direzione di Baldassare Longhena con la realizzazione della biblioteca (1641 - 1653) e dello scalone d'onore (1643 - 1644), la nuova facciata del monastero (1652), l'ampliamento del noviziato (1657), la costruzione dell'infermeria (1677) e della foresteria (1680).
Nel 1951, il monastero, notevolmente degradato a causa delle improprie destinazioni seguite alla soppressione napoleonica (1806), fu affidata dallo Stato italiano alla Fondazione "Giorgio Cini", voluta da Vittorio Cini in memoria del figlio, con gli obiettivi di restaurare il complesso monumentale e di insediarvi istituzioni culturali, artistiche e sociali.
Il complesso monumentale, che si articola attorno a due chiostri, e l'intera isola sono attualmente occupati, oltre che da una piccola comunità monastica benedettina (cui è affidata la gestione della chiesa) che svolge attività pastorale e liturgica e cura un laboratorio di restauro di codici antichi, dalle varie istituzioni della Fondazione "Giorgio Cini", articolate in nuclei autonomi:
- Centro Marinaro, nella parte nord-settentrionale, con i suoi edifici scolastici ed il cantiere;
- Centro Arti e Mestieri, affidato ai salesiani, che occupa la parte più antica del monastero:
- Centro di Cultura e Civiltà, che ospita incontri e convegni di risonanza nazionale ed internazionale.
- Scuola di San Giorgio, che svolge attività per lo studio della civiltà e della cultura veneziana.
Chiostro dei Cipressi
Dal sagrato, antistante la chiesa, si accede al Chiostro dei Cipressi (detto anche Palladiano), iniziato nel 1579 su progetto di Andrea Palladio, forse parzialmente modificato nel corso dei lavori di costruzione, durati a lungo e non ancora conclusi nel 1646.
Il chiostro, a pianta rettangolare, è circondato da un portico con arcate a tutto sesto sorrette da colonne binate, cui corrispondono al piano superiore finestre alternativamente coronate a timpano e arco.
Refettorio
Tra il Chiostro dei Cipressi ed il successivo si apre sul lato meridionale il monumentale refettorio (o Aula Palladiana), progettato da Andrea Palladio, i cui lavori iniziarono nel 1560 per concludersi tre anni più tardi. In realtà si tratta della ristrutturazione e del completamento di un ambiente impostato due decenni prima che l'architetto padovano trasforma in una delle sue realizzazioni più splendide ed incantevoli.
La grande aula esistente venne suddiviso con notevole senso scenografico in tre ambienti su livelli diversi:
- un ingresso a pianta quadrata con un'ampia scalinata che conduce ad un primo grande portale di linee classiche;
- un vestibolo dove, su un pavimento bianco e rosso, sono ubicati due monumentali lavamani gemelli, in marmo rosso, entro edicole corinzie;
- un sontuoso salone introdotto da un secondo portale di linee analoghe al precedente e coperto da una volta a botte con crociera centrale: il modello sono, evidentemente le architetture termali antiche (analogia accentuata da tre grandi finestre semicircolari, successivamente tamponate).
La splendida struttura del refettorio era originariamente completata sulla parete di fondo dall'enorme dipinto con le Nozze di Cana, commissionato a Paolo Veronese nel 1562 e concluso in poco più di un anno di lavoro; si trattava di una composizione pittorica dalla suggestiva prospettiva, probabilmente concepita per proiettare virtualmente lo sguardo fuori dall'ambiente chiuso. L'opera, molto ammirata, fu trafugato nel 1797 da Napoleone e destinata al Museo del Louvre;[9] oggi al suo posto è collocato un dipinto raffigurante:
- Sposalizio di Maria Vergine di Tintoretto.
Chiostro degli Allori
Il Chiostro degli Allori (detto anche dei Cipressi per i quattro impiantativi dopo il restauro), progettato da Giovanni Buora, fu costruito tra il 1516 ed il 1540 da suo figlio Andrea.
Il chiostro, circondato da un semplice porticato ad arcate e colonne, è caratterizzato sul lato orientale da finestre quadre appaiate, che corrispondono alle celle del dormitorio, e su quelli settentrionali e meridionali da bifore distanziate, mentre l'ultimo presenta le grandi monofore della Biblioteca.
Sala capitolare
Dal lato settentrionale del Chiostro degli Allori, si accede alla Sala capitolare, edificata nel 1533 in eleganti forme rinascimentali: questo era l'ambiente, dove i monaci si riunivano con l'abate e prendevano importanti decisioni sulla vita del monastero, comprese le questioni legali relative a possedimenti, acquisti, vendite, ecc.
Scalone d'onore e Foresteria piccola
Dal lato occidentale del chiostro dei Cipressi, attraverso tre arcate, si accede all'ampio spazio dello scalone d'onore a due rampe simmetriche, costruito da Baldassare Longhena tra il 1643 ed il 1644, nel quale si notano:
- entro nicchie, tre statue raffiguranti:
- Venezia, Prudenza e Giustizia (1645), in marmo, di Giovanni Battista Paliari.
- nella volta, Visione di Giacobbe (terzo quarto del XVII secolo), affresco di Valentin Lefebvre.
Al piano superiore si trova la Foresteria piccola (o degli Abati), sistemata da Baldassare Longhena intorno al 1680: attualmente è la sede del Presidenza e delle manifestazioni temporanee della Fondazione.
Biblioteca
Tra il Chiostro dei Cipressi e quello degli Allori è situato lo splendido salone della biblioteca realizzata da Baldassare Longhena tra il 1641 ed il 1653, all'interno della quale si conservano:
- Librerie (ante 1671), in legno intagliato, da Franz Pauc.
- Ciclo di cinque dipinti sull’Origine dell'ispirazione (ante 1671), olio su tela, di Giovanni Coli e Filippo Gherardi: il tema delle opere è suggerito dai Pensieri morali (1668) di padre Marco Valle.
- Due globi, terrestre e celeste (ultimo quarto del XVII secolo), opera di Vincenzo Maria Coronelli, provenienti dal Seminario patriarcale.
La biblioteca possiede un patrimonio librario di circa 100.000 volumi di storia dell'arte.
Dormitorio
L'ala orientale del monastero è interamente occupata dal dormitorio (detto anche Manica Lunga e sviluppato per 128 metri), iniziato nel 1494 da Giovanni Buora e completato nel 1533; aperto con una trifora a settentrione, verso il canale di San Marco, e scandito dalle porte incorniciate in pietra e dalle finestre quadre ritagliate nelle volta a botte (le celle, distrutte nel XIX secolo, sono state parzialmente ripristinate. Esternamente, lungo il bacino, la facciata settentrionale del dormitorio, è coronata da tre lunettoni in pietra e presenta un rilievo raffigurante:
- San Giorgio e il drago (1508), opera dei fratelli Giambattista e Lorenzo Bregno.
Sale di rappresentanza e riunione
Nelle varie sale di rappresentanza e riunione della Fondazione "Giorgio Cini" sono conservati pregevoli dipinti e sculture, tra cui spiccano:
- Isaia (1580 - 1581), olio su tela di Paolo Veronese.[10]
- Adorazione dei Magi (ultimo quarto del XVI secolo - primo quarto del XVII secolo), olio su tela di Jacopo Robusti detto il Tintoretto.[11]
- Mosè fa scaturire l'acqua dalla roccia (1718 - 1720), olio su tela di Sebastiano Ricci.[12]
- Moltiplicazione dei pani e dei pesci (1725 - 1725 ca.), olio su tela di Giovanni Battista Pittoni.[13]
Note | |
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Bibliografia | |
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