Pericope dei dieci lebbrosi

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Pericope dei dieci lebbrosi
Guarigione dieci lebbrosi.jpg
Gesù Cristo guarisce dieci lebbrosi, manoscritto dal Codex Aureus, 1035-1040 ca.; Norimberga, Germanisches Nationalmuseum
Conosciuta anche come:
'
Passi biblici Lc 17,11-19
Matteo
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Marco
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Luca
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Giovanni
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Insegnamento - Messaggio teologico
La salvezza viene dall'incontro con Cristo e dal relazionarsi con lui. Non basta la salute del corpo per la vita terrena, ma è necessaria che tutta la persona entri nel Regno.
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La guarigione dei dieci lebbrosi (..) afferma il carattere universale e concreto della salvezza, del Regno in cui ciascuno deve sforzarsi di entrare.
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La pericope dei dieci lebbrosi
Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: "Gesù maestro, abbi pietà di noi!". Appena li vide, Gesù disse: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". E mentre essi andavano, furono sanati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: "Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?". E gli disse: "Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!".

(Lc 17,11-19 )

La Pericope dei dieci lebbrosi è un episodio evangelico nel quale dieci lebbrosi chiedono e ottengono da Gesù la guarigione; uno solo di essi, samaritano, torna da Gesù per ringraziarlo. È narrata solo dall'evangelista Luca (17,11-19).

Il racconto sottolinea l'importanza fondamentale della fede per conseguire la salvezza.

Contesto letterario

Maestranze siculo-bizantino, Gesù Cristo guarisce dieci lebbrosi (part.), ultimo quarto del XII secolo, mosaico; Monreale, Cattedrale di Santa Maria Nuova

La pericope apre la sezione della quarta tappa del viaggio teologico di Gesù verso Gerusalemme[1] (Lc 17,11-18,14 ), avente per oggetto l'attuazione del Regno di Dio.

Alla guarigione dei dieci lebbrosi segue la cosiddetta piccola apocalisse di Lc circa l'avvento improvviso del Regno (17,20-37); due parabole sottolineano poi l'importanza della preghiera perseverante (parabola del giudice e della vedova, 18,1-8) e umile (parabola del fariseo e del pubblicano, 18,9-14) per comprendere e preparare la venuta del Regno nella vita concreta di ogni persona.

Note esegetiche

L'indicazione topografica (v. 11) sembra allontanare Gesù dalla meta: la corretta successione sarebbe attraverso la Galilea (prima) e la Samaria (dopo). Si ritiene che questo particolare abbia un valore teologico, per riferirsi a un mondo che è ai margini di Israele, un mondo dove c'è mescolanza di giudei e pagani: è in questo universo di esclusi che Gesù opera la guarigione dalla lebbra[2].

Il villaggio in cui Gesù sta per entrare (v. 12), ai confini tra la Samaria e la Galilea è identificato da una tradi­zione molto tardiva come il villaggio di Genin.

I lebbrosi si tengono lontani (v. 12) da Gesù, secondo le severe prescrizioni igienico-cultuali ebraiche (cfr. Lev 13,9-17.45-46 ), ma il senso dell'espressione può includere anche la loro lontananza da Dio. I lebbrosi nell'antico Israele erano oggetto di grande orrore; esclusi per la Legge mosaica dal consorzio umano, avevano l'obbligo di mantenersi appartati in luoghi solitari, e di gridare "Scostatevi! c'è un impuro!" (cfr. Lam 4,15 ) quando un viandan­te si avvicinava, inconsapevole, al luogo di loro dimora. In ricambio di questo grido si gettava loro del cibo; ma, fuori di questo, la società non voleva saperne di loro, come di rifiuti dell'umanità, di personificazioni dell'impurità stessa, di vittime della massima collera del Dio JHWH: la lebbra, al pari delle altre malattie, era vista come conseguenza di una situazione di peccato e di lontananza da Dio (cfr. Gv 9,2 ). Non di rado, tuttavia, i lebbrosi violavano la segregazione loro imposta (cfr. Lc 5,12 ).

Il numero dieci è una cifra tonda per un racconto tipico[3].

Si ritiene che l'invocazione con cui i lebbrosi chiedono la guarigione ("Gesù, maestro, abbia pietà di noi", v. 13) sia modellata sulla liturgia cristiana: l'appellativo di maestro (epistàta) ha il significato di Signore (Kyrios).

L'ingiunzione di recarsi dai sacerdoti riflette quanto chiesto dalla legge di Mosè in Lev 14 per la verifica e la dichiarazione ufficiale dell'avvenuta guarigione. L'obbedienza dei lebbrosi a questa richiesta di Gesù implica in loro una piena fiducia nella sua parola guaritrice.

Il ritorno del samaritano da Gesù per ringraziarlo suona come un'accusa contro l'ingratitudine degli altri nove ebrei. Costoro, secondo la mentalità corrente nel giudaismo, consideravano la guarigione un loro diritto, in quanto membri del popolo di Dio.

Messaggio

La pericope insiste nella sua parte finale sulla salvezza conseguita dal samaritano, mentre per gli altri c'è stata solo la guarigione.

La salvezza viene dall'incontro con Cristo e dal relazionarsi con lui. Non basta la salute del corpo per la vita terrena, ma è necessaria che tutta la persona entri nel Regno.

Il comportamento del samaritano indica poi il ringraziamento a Dio come una base della vita cristiana.

Il lebbroso guarito e salvato è uno straniero: la pericope annuncia la purificazione dal peccato che la missione universale della Chiesa avrebbe procurato alle genti pagane.

Nella liturgia

Nella liturgia di Rito Romano la pericope dei dieci lebbrosi è proclamata nella XXVIII domenica del Tempo Ordinario Anno C; mentre nel Rito Ambrosiano si inserisce nella VI domenica Dopo Epifania Anno C e nel giovedì nella settimana della II domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore Anno I e II.

Note
  1. Ognuna delle quattro tappe è individuabile dall'annotazione redazionale di tipo geografico: Lc 9,51;10,38;12,2;17,11 .
  2. Jean Rademakers, Philippe Bossuyt (1983), p. 380.
  3. Angelico Poppi (1990), p. 366.
Bibliografia
Voci correlate
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Il contenuto di questa voce è stato firmato il giorno 11 dicembre 2010 da don Paolo Benvenuto, baccelliere in Teologia.

Il firmatario ne garantisce la correttezza, la scientificità, l'equilibrio delle sue parti.