Risurrezione di Lazzaro (Caravaggio)
Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro (1608 - 1609), olio su tela | |
Risurrezione di Lazzaro | |
Opera d'arte | |
Stato | |
Regione | Sicilia |
Regione ecclesiastica | Sicilia |
Provincia | Messina |
Comune | |
Diocesi | Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela |
Ubicazione specifica | Museo Regionale |
Uso liturgico | nessuno |
Comune di provenienza | Messina |
Luogo di provenienza | Chiesa di San Pietro dei Pisani |
Oggetto | pala d'altare |
Soggetto | Resurrezione di Lazzaro |
Datazione | 1608 - 1609 |
Autore |
Caravaggio (Michelangelo Merisi) |
Materia e tecnica | olio su tela |
Misure | h. 380 cm; l. 275 cm |
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La Risurrezione di Lazzaro è una pala d'altare, eseguita tra il 1608 e il 1609, ad olio su tela, da Michelangelo Merisi detto Caravaggio (1571 ca.-1610), proveniente dalla Chiesa di San Pietro dei Pisani di Messina e attualmente conservata presso il Museo Regionale della medesima città.
Descrizione
Ambientazione
La scena, su fondo scuro, si svolge in un sepolcreto, fuori della città di Betania, del quale si notano solo alcuni elementi architettonici, che suggeriscono l'interno di una chiesa o di un sepolcro.
Il dipinto è fortemente permeato da un senso di morte costituito sia dall'ambientazione presso la tomba terragna, sia dalle ossa di cadavere sparse, in primo piano, e un teschio, il quale rimanda al posto della crocifissione di Gesù, detto Golgota, che nella lingua ebraica significa "luogo del cranio".
Soggetto
Nel dipinto, in un gruppo serrato, compaiono:
- a sinistra, Gesù Cristo concentrato e teso, assume una posa energica e con un gesto eloquente, indicando Lazzaro, compie il miracolo.
- al centro, Lazzaro di Betania nudo, avvolto ancora parzialmente da bende e teli funerari, presenta il corpo, abbandonato in diagonale, ancora gonfio e rigido, ma già con un barlume di vita che lo pervade. La mano si spalanca, le braccia si allargano ad imitazione della croce, quale segno salvifico: un'allusione sia alla crocifissione di Cristo, sia all'abito dei Crociferi.
- a destra, Maria e Marta, sorelle di Lazzaro, pietosamente chine sul fratello:
- Marta, disperata sino a pochi attimi prima, anzi persino risentita con Gesù, che le aveva fatto dire: Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! (Gv 11,21 ); è ora proiettata, con un gesto mai visto prima, sul volto di Lazzaro, per baciarlo ma anche per sentirne, sul proprio il primo alito di vita. Particolare di grande verità e tenerezza, là dove l'immaginazione di Caravaggio va talmente dentro l'evento da coglierne dinamismi assolutamente realistici, mai prima descritti. La sua mano, accarezzata dalla luce, che quasi non osa accostarsi al volto del fratello: come avesse pudore e tremore a toccare un simile miracolo, quasi non potesse contenere il sussulto per quello di cui ella è testimone.
- Maria, disperata, ma più sobria e contenuta, nella sua esternazione emotiva.
- Due necrofori, uno dei quali sorregge il corpo di Lazzaro e l'altro, come attratto dalla luce, solleva la lastra tombale.
- Astanti, con i volti che emergono dalla luce intorno a Cristo, partecipano stupiti all'evento miracoloso appena accaduto. Tra essi si notano:
- Uomo, al centro, tutto concentrato, con il volto rivolto verso Cristo, ha la fronte aggrottata e la bocca semiaperta.
- Uomo, posto dietro al braccio di Gesù, ha le mani giunte e guarda verso di lui, fissando la luce che giunge da più oltre e passa però per suo tramite, donando la vita a Lazzaro: questa figura è probabilmente un autoritratto del pittore.
Note stilistiche, iconografiche e iconologiche
- Caravaggio costruisce la scena come un bassorilievo classico, dove su un unico piano stanno tutti i protagonisti dell'evento: Gesù, Lazzaro, le sorelle e, dietro di essi, la folla degli astanti. Anche i panneggi, realizzati con pennellate lunghe e sintetiche s'ispirano ad esempi della scultura greco-romana.
- La luce (simbolo della Grazia divina), direzionata da sinistra, evidenzia il profilo di Cristo, che resta in ombra, mentre investe in pieno il corpo di Lazzaro al centro della scena. Anche qui, come nelle altre sue opere, la luce ha un ruolo da protagonista, ma, in questi suoi ultimi lavori si denota una maggiore sperimentazione dell'illuminazione, che diviene più soffusa e drammatica, tanto da condurre le figure quasi a scomparire.
- L'artista, riprende nella Risurrezione di Lazzaro, il gesto perentorio di Gesù che chiama l'apostolo nella Vocazione di san Matteo (1599 - 1600) dipinta per la Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma. A sua volta quel gesto gli era stato ispirato dalla Creazione dell'uomo (1508 - 1512) di Michelangelo nella volta della Cappella Sistina. Quella mano crea, guidando la storia interviene in essa chiamando e, infine, dona la resurrezione.
- Nei volti di Lazzaro e Marta, Caravaggio ripropone il dettaglio del bacio della madre al bambino morto nel dipinto murale con Il fanciullo di Suessa tratto dalle macerie (1313 ca.), eseguito ad affresco da Giotto ad Assisi nella Basilica di San Francesco, con i caratteristici profili aderenti in senso inverso, ma spostando il punto focale nella mano destra dell'uomo. Esatto incontro delle diagonali dell'opera, estremità del braccio vivo, vibrante di luce, sollevato per rispondere al gesto di Cristo dalla mano con l'indice leggermente piegato verso la sinistra di Marta, la quale, colpita dalla medesima luce, è pronta ad articolarsi come quella del fratello, quasi a volersi caricare della stessa energia vitale per costituire il secondo polo di questo circuito rivitalizzante. Marta che aveva avuto fede, vedendo Lazzaro tornare in vita, con questo ingenuo, istintivo gesto di intima partecipazione vuole agevolare, duplicandola, la trasmissione dell'energia necessaria a ricondurlo alla vita. Nota vibrante di amore fraterno e chiara allusione al profondo dolore di Giovanni Battista de' Lazzari, committente dell'opera, per la perdita del fratello Tommaso al quale, come Marta per il suo, avrebbe fatto dono anche del proprio respiro.
- Considerata la presenza delle ossa in primo piano, indicate da Cristo con la mano sinistra, recentemente è stata, inoltre, formulata l'ipotesi che il Caravaggio, attraverso il tema miracolistico, si sia ispirato alle presunte guarigioni verificatesi a Messina tra il 1608 e il 1609 in seguito al rinvenimento, enfatizzato dalla cittadinanza e dalle autorità religiose, delle presunte spoglie dei martiri compagni di san Placido nel corso dei lavori di ristrutturazione della Chiesa di San Giovanni di Malta, nell'area riconosciuta successivamente come pertinente ad una necropoli romana, detta di "San Placido" in onore della storia tradizionale locale.[1]
Notizie storico-critiche
Appena giunto a Messina, dopo essere fuggito dalle prigioni maltesi e sbarcato a Siracusa, Caravaggio il 6 dicembre 1608 ricevette l'incarico dal mercante genovese, residente a Messina, Giovanni Battista de' Lazzari, di realizzare una pala per l'altare della sua cappella nella Chiesa di San Pietro dei Pisani,[2] gestita dal 1606 dai camilliani. Il committente accettò la proposta dell'artista di modificare il soggetto, rappresentando la Risurrezione di Lazzaro, anziché la Madonna con Gesù Bambino e santi come richiestogli: scelta dettata probabilmente sia dal cognome del mercante (Lazzari), sia dalla missione dei religiosi che, come Ministri degli Infermi, si dedicavano alla cura dei malati e all'assistenza dei moribondi, sull'esempio di san Camillo de Lellis, loro fondatore.
Le fonti storiche documentano che il 6 giugno 1609 il dipinto fu collocato sull'altare e annotano che ne era autore "Michelangelo Caravagio militis Gerosolimitanus".
Secondo l'erudito messinese Francesco Susinno (1670-1739),[3] per la realizzazione del dipinto, Caravaggio si fece assegnare un ambiente dell'ospedale cittadino, pretendendo di avere come modello un vero cadavere fatto disseppellire, «già puzzolente di alcuni giorni»; la scelta provocò poi molte proteste da parte dei facchini incaricati di sorreggere il lugubre carico. Inoltre, Susinno narra che il committente pagò l'opera mille scudi e che il dipinto ebbe una precedente versione distrutta a colpi di pugnale dal pittore stesso, offeso per le notevoli critiche ricevute dalla famiglia del mercante al momento della presentazione, salvo poi ripararlo e modificarlo. Notizie oggi ritenute poco credibili dagli storici dell'arte. Perfino il compenso sarebbe eccessivo, se si confronta con le quotazioni del pittore in quel periodo.
Note | |
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Bibliografia | |
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