Alberto Altana
Alberto Altana Presbitero | |
---|---|
Età alla morte | 78 anni |
Nascita | Reggio Emilia 28 agosto 1921 |
Morte | 22 dicembre 1999 |
Appartenenza | Servi della Chiesa |
Ordinazione presbiterale | Reggio Emilia, 19 marzo 1949 dal vescovo Beniamino Socche |
Alberto Altana (Reggio Emilia, 28 agosto 1921; † 22 dicembre 1999) è stato un presbitero italiano, appartenente ai Servi della Chiesa.
Biografia
Nato a Reggio Emilia da Giuseppe, originario di Sassari, e Anita Giaroli di Reggio, aveva un fratello di nome Giorgio. La sua era una famiglia borghese e legata al campo della professione medica; il padre ha istituìto il primo laboratorio privato di analisi chimico-cliniche e il fratello è stato uno dei più noti cardiologi di Reggio.
Formazione
Per Alberto il padre sognava la professione di avvocato, e per questo motivo Altana ha frequentato prima il Liceo e poi la facoltà di giurisprudenza a Bologna, dove ha conseguito la laurea; ha poi conseguito una seconda laurea in filosofia all'Università Cattolica di Milano e quella in teologia presso l'Università Gregoriana di Roma.
Il padre è rimasto molto deluso quando, negli anno ’40, Alberto ha manifestato l'intenzione di farsi sacerdote, e per di più con i Servi della Chiesa, l'Istituto secolare fondato da Don Dino Torreggiani che aveva condiviso la propria vita con i poveri. Altana fu ammesso nel gruppo di Azione Cattolica San Tarcisio della parrocchia di S. Teresa di Reggio Emilia il 13 settembre 1941, entrando contestualmente nel consiglio come delegato per l'oratorio. Alberto condivideva con altri giovani l'ideale proposto da Don Dino di donarsi all'apostolato parrocchiale, soprattutto attraverso la catechesi ai ragazzi e ai giovani. La proposta educativa messa a punto per tradurre la «finalità immediata» dell'Azione Cattolica mirava alla «formazione delle coscienze» sotto il triplice versante religioso, morale e sociale.
Ministero sacerdotale
Entrato fra i Servi della Chiesa, l'8 dicembre 1940 ha professato i voti di Voto di povertà, obbedienza e castità assieme a Don Dino Torreggiani, rinnovandoli l'8 dicembre 1943. Nel 1946 ha frequentato laPontificia Università Gregoriana di Roma, risiedendo presso il Collegio Capranica.
Ordinato presbitero il 19 marzo 1949, nella Cappella del Vescovado dal vescovo Beniamino Socche, ha officiato una delle sue prime Messe nella Cappella del Palazzo san Carlo di Guastalla, dove c'era la sede del Seminario dei Servi della Chiesa. Da allora sono iniziati degli incontri periodici che lui animava, venendo a Guastalla per i probandi e i novizi; dotato di una vasta preparazione in teologia e morale, spesso si mostrava intransigente e severo nei loro confronti. Era considerato come un santo per le sue virtù ed il suo amore alla Chiesa, all'Istituto e alla povera gente; durante il suo ministero si è sempre ispirato ai criteri indicati dal beato Antonio Chévrier e che anche Torreggiani aveva posto a fondamento della sua esperienza sacerdotale:
« | Il prete povero come Cristo nel presepio, il prete crocifisso come Cristo sul calvario, il prete mangiato, cioè donato, come Cristo nell’Eucaristia. » |
Con questo spirito ha dato inizio alla sua esperienza pastorale di parroco nei posti più emarginati, privi di tutto (anche di chiesa e di canonica) e considerati rischiosi per l’ostilità della popolazione: quindi a Reggio Emilia, a San Giuseppe al Migliolungo (1951-1958), a San Giovanni Bosco al Tondo (1958-1963), una nuova parrocchia priva di chiesa (dove gli morì, a soli 27 anni, il curato servo della Chiesa, don Urbano Bellini, il quale aveva trascurato la salute per dedicarsi alla salvezza delle anime) e alla Magliana a Roma.
Dal 1968 al 1982 Don Alberto ha prestato servizio, come animatore e guida spirituale, presso la Casa di accoglienza dei Servi della Chiesa in via Reverberi a Reggio Emilia, dal 1982 al 1991 nella Casa di accoglienza a Santa Croce (frazione di Reggio) e dal 1991 al 1999 presso la Casa dei Servi della Chiesa in San Domenico. Nel 1972 è diventato Superiore Generale dei Servi della Chiesa, ma ha rassegnato le dimissioni dall'incarico l'anno successivo in quanto era molto gravoso.
Il contatto con la diocesi di appartenenza, anche durante la permanenza a Roma, non si era mai interrotto ed è rimasto abbastanza intenso quello con don Dino Torreggiani, un riferimento imprescindibile per Alberto che, nonostante la resistenza dei familiari, era riuscito ad entrare tra i Servi della Chiesa. Come Torreggiani, Alberto è stato il prete dei Sinti, dei carcerati e dei senzatetto.
Nel Villaggio Catellani a Migliolungo
Nell’ottobre 1951 giunge il primo incarico pastorale come responsabile di una parrocchia: mons. Beniamino Socche invia Altana come vicario in località Migliolungo (frazione di Reggio), presso il Villaggio Catellani; lui, comunque, non era nuovo al servizio pastorale, poichè aiutava don Torreggiani nelle sue molteplici attività già dalla metà degli anni Quaranta.
Il Villaggio era sorto a partire dal 1938 per ospitare le famiglie del quartiere di Borgo Emilio, in via di demolizione. I residenti erano stati trasferiti in abitazioni definite popolarissime, di proprietà dell'Ente Comunale di Assistenza (ECA), e costruite, come ricorderà lo stesso Altana, con una disonesta e scandalosa economia, tanto che dopo vent’anni la maggior parte di esse erano inabitabili. Praticamente, per tutto il periodo in cui c'è stato don Altana, il Villaggio era rimasto una periferia nel vero senso della parola: niente telefono, niente autobus, l'unico collegamento con la città era una strada non asfaltata. La situazione economica, segnata da vera e propria miseria, era stata aggravata dalla crisi che aveva colpito le Officine Reggiane, dove lavoravano la maggior parte dei residenti del Villaggio.
Altana pensava che proprio questa particolare situazione aveva portato al sorgere di una comunità fortemente accentrata,
« | con la caratteristica positiva di una solidarietà reciproca fra gli abitanti, mista ad una protesta verso l'ordine costituito, e quindi una coscienza classista esasperata ed una compatta obbedienza ai capi politici che si facevano interpreti di tale coscienza. » |
In quel periodo, per un sacerdote proveniente dal centro storico, poteva essere pericoloso avventurarsi per il Migliolungo: i religiosi venivano insultati per l'abito e potevano essere oggetto di gesti violenti; nella scelta dei sacerdoti, in Curia si teneva conto del tessuto sociale, che nel caso del Villaggio Catellani era alquanto singolare (anticlericalismo, povertà, disoccupazione, analfabetismo). Il benvenuto ad Altana, infatti, non è stato dei migliori: ha passato al freddo la prima notte in parrocchia, perché i ragazzi avevano rotto a sassate i vetri della povera canonica, ricavata nell'ingresso della Cappella.
A differenza di altri preti, Altana ricordava anche che all'origine di questa ostilità non c’era solo la propaganda del Partito Comunista (PCI), ma piuttosto una lunga latitanza nell'azione pastorale diocesana verso questa realtà locale: sino ad allora, i sacerdoti giunti lì, erano rimasti solo per il tempo necessario alla celebrazione eucaristica o all'amministrazione dei sacramenti, svolte all’interno di una baracca di legno di proprietà del Comune, continuando a risiedere in città; la situazione era rimasta tesa, seppure per altre imprecisate ragioni, anche durante l’amministrazione del parroco di Coviolo, il predecessore di Altana, sotto la cui giurisdizione ricadeva il Villaggio: tesa al punto che «la celebrazione della Messa, pressochè disertata, dovette perfino essere protetta dalla polizia».
Ma, nonostante ciò, non si poteva dimenticare l'opera preziosa svolta dalle Suore Missionarie Francescane del Verbo Incarnato: assistevano gli ammalati, i poveri, gli anziani, i bambini, non negando mai a nessuno il loro aiuto; esse si recavano quotidianamente al Villaggio sin dalla sua fondazione e si erano pure impegnate a dare una formazione professionale alle ragazze, istituendo una scuola di taglio e cucito presso un locale della scuola elementare. Don Alberto si adoperava assieme alle suore, cercando contributi ovunque per aiutare i bambini e le famiglie della parrocchia.
L'arrivo di Don Altana nel Villaggio è stata una novità per gli abitanti del Migliolungo: restava in mezzo a loro tutti i giorni. Più tardi il sacerdote testimonierà di essersi recato al Villaggio
« | con l’intento soprattutto di dare una testimonianza di carità e di povertà. » |
E specificava:
« | Il popolo deve toccare con mano che noi condividiamo volontariamente le sofferenze dei poveri e in nessun modo condividiamo invece le mentalità o il tenore di vita della classe borghese. Questo aspetto sociale della consacrazione è di importanza fondamentale specialmente oggi in cui si presenta con angosciosa urgenza il problema del ritorno a Cristo di quella classe operaia che si è buttata in braccio al comunismo perché non ha conosciuto la realizzazione sociale del Cristianesimo. » |
Condividere la condizione di vita degli abitanti del Villaggio non significava però certo abbandonarsi alla rassegnazione: appena arrivato Don Alberto si era attivato per creare un minimo di struttura per creare la realtà parrocchiale. Accanto alla baracca di legno ne sorse una seconda di ferro che fungeva da sala parrocchiale: qui i ragazzi potevano giocare, seguire il doposcuola e fare refezione; era stato pure realizzato un campo sportivo. Solo nel 1952 fu terminata e inaugurata la prima Chiesetta in muratura, poi divenuta Salone Parrocchiale dopo la costruzione della nuova Chiesa nel 1965.
Proprio nello sforzo di svolgere una «evangelizzazione capillare» si è impegnato ad «avere un costante rapporto di amicizia, attraverso visite frequenti con tutte le famiglie. Con questo contatto ravvicinato, oltre a conquistare molti con la sua bontà e la sua condivisione, ha potuto conoscere e apprezzare le qualità positive della gente, dotata di grande cuore e spirito di solidarietà, anche se, per la situazione sociologica, furono modesti i risultati per quanto riguarda la pratica religiosa esteriore da parte degli adulti, ma i bambini però frequentavano la Parrocchia e i genitori, in grande maggioranza, volevano che fossero ammessi ai sacramenti.
A San Giovanni Bosco al Tondo
Nel luglio 1958 mons. Socche affidava ad Altana una nuova missione, nominandolo parroco di San Giovanni Bosco al Tondo: un'altra realtà di periferia, contraddistinta da grossi problemi umani e religiosi. Nel 1987 don Altana ricorderà come
« | le attuali chiese di S. Giuseppe, Corpus Domini, Regina Pacis, S. Famiglia di Roncina, S. Pio X, S. Giovanni Bosco trovano la radice della loro vita nell'iniziativa coraggiosa di don Dino, che andava a cercare le pecorelle più abbandonate.
L’affidamento a sacerdoti dell'Istituto del compito di dare vita a nuove parrocchie (al Villaggio Catellani, al Tondo, alla Magliana di Roma) si pone su questa linea. Tutto ciò ci ricorda: che il fine di ogni servizio nella Fede è la Salvezza, cioè il Regno di Dio; che la via non può essere solo quella dell’accoglienza, ma anche e soprattutto della ricerca di coloro che sono più abbandonati e bisognosi, particolarmente dal punto di vista spirituale. » |
La missione al Tondo rispondeva al progetto di ridisegnare l'organigramma dei vicariati urbani, istituendo una decina di parrocchie in quelle zone periferiche di più recente inurbamento e sprovviste di tutto. In questo caso, oltre alla condizione di estrema povertà in cui viveva il nuovo parroco, anche dal punto di vista dell'impatto pastorale c'erano forti analogie con la situazione del Villaggio Catellani: era difficile, cioè, vincere l'ostilità e il preconcetto che circondava l'opera di questi sacerdoti. Al Tondo, come al Villaggio Catellani, il suo apostolato era instancabile; la sua predicazione davvero profonda, comprensibile, però, a tutti per chiarezza e semplicità. I suoi riti celebrati con proprietà e amore alla Liturgia.
C’è una cosa di cui don Alberto andava fiero, e cioè di avere dato negli anni 50 e 60, quando era parroco al Tondo, la residenza ai Sinti (quelli che erroneamente vengono chiamiati zingari). Erano i tempi in cui l’amministrazione comunale era aperta a concedere la residenza a questo popolo e don Alberto, anche grazie alla sua formazione giuridica, era riuscito ad ottenere questo, grazie anche alla fattiva collaborazione del sindaco di allora.
Alla Magliana
Nel 1963 Don Dino lo ha incaricato di recarsi in Spagna presso la Casa dei Servi della Chiesa; aveva dei compiti specifici e doveva realizzare una serie di visite. Accompagnato da Don Mario Pini, don Alberto era addolorato perchè il Vescovo gli aveva affidato l'incarico di fondare una nuova parrocchia nella periferia di Roma: questo significava per lui lasciare una periferia per una nuova, anche se a Roma.
Infatti Paolo VI aveda affidato ai Servi della Chiesa la parrocchia di San Gregorio Magno, nella zona Magliana di Roma: mons.Socche ha deciso di inviare don Alberto, il quale come condizione aveva posto la presenza al suo fianco di don Pietro Cecchelani, ordinato da poco sacerdote. Andare alla Magliana significava mettere piede in un quartiere in continua espansione, con abitanti che provenivano da ogni parte d'Italia; in pochi anni arriveranno ad assommare a 60.000 ripartiti in circa 12.000 nuclei familiari, quando sono arrivati i Servi della Chiesa gli abitanti erano circa 5.000. L'ingresso di Altana e Cecchelani avviene il 13 dicembre 1963: non esisteva ancora una chiesa e la cappella era stata ricavata da un piccolo locale destinato a negozio in via Pescaglia. Grande è lo stupore tra gli abitanti della Magliana nel vedere finalmente due sacerdoti in mezzo a loro.
Nel bollettino che i due sacerdoti hanno subito stilato, esprimevano il desiderio di raggiungere tutti i parrocchiani, attraverso un fitto calendario di celebrazioni ed eventi; a ciò si aggiungeva una continua opera di assistenza verso i più poveri e di incontro con i ragazzi dell'Azione Cattolica che potevano contare su ben 4 squadre di calcio. La mancanza di una vera e propria Chiesa era da sempre il segno dell'abbandono in cui si ritrovavano alla Magliana, ma per i due sacerdoti era più importante ed urgente la formazione della Comunità Parrocchiale prima che la Chiesa Parrocchiale, che comunque verrà inaugurata solo dieci anni più tardi, quando Altana sarà già rientrato a Reggio.
Naturalmente in una simile condizione di disagio sociale era facile ed inevitabile che il parroco venisse investito anche di una serie di funzioni di ordine civile per la promozione e la protezione della comunità: ecco allora la corrispondenza epistolare fra Don Altana e gli amministratori locali per la creazione di una scuola elementare, la dotazione di fognature e l'estensione di corse degli autobus anche alla zona della parrocchia. Alla fine del 1967 si concluderà anche l'esperienza alla Magliana, che resterà affidata alle cure di don Cecchelani.
Il Diaconato Permanente
Richiamato a Reggio Emilia da don Dino Torreggiani, è stato incaricato di occuparsi per il ripristino del diaconato permanente in Italia, sia per l'approfondimento teologico che per la promozione a tutti i livelli. Nel 1966 ha creato la prima scuola per diaconi a Baggiovara (Modena) e ha fondato la rivista Il diaconato in Italia (1968), poi denominata la Comunità del diaconato in Italia (1970). Don Alberto ha scommesso molto sulla rivista e vi ha profuso per vent’anni le migliori energie, affrontando pesanti situazioni economiche, scrivendo moltissimo, e coinvolgendo di volta in volta un gran numero di persone. Un ruolo insostituibile la rivista ha svolto nel campo della formazione al diaconato, per aspiranti e candidati, e della formazione permanente per i diaconi già ordinati.
Altana ha legato strettamente la prospettiva conciliare di una chiesa-comunione, povera e missionaria, al ripristino del diaconato permanente, considerato espressione e fattore del rinnovamento della Chiesa. Il suo intervento ha interessato direttamente la CEI, le Chiese locali e le singole persone, mediante contatti personali, seminari, esercizi spirituali, convegni e, soprattutto, la sua rivista. L'Altana è stato entusiasta animatore e maestro chiarissimo in diverse Conferenze Episcopali in Europa e in America Latina, sostenendo il Diaconato e i Diaconi fino a che le forze glielo hanno permesso!
Don Alberto vive con Don Dino il servizio cristiano, quindi fa proprie fin dall'origine le intuizioni del fondatore e le sviluppa ampiamente nei suoi scritti. Egli colse ed elaborò il duplice legame inscindibile: da un lato tra vocazione comune al servizio cristiano e diaconato, quale segno sacramentale di tale vocazione, dall’altro tra l'edificazione di una Chiesa povera e missionaria e diaconato, in virtù della grazia sacramentale specifica. Su entrambi i versanti il diaconato si manifestava come fattore ed espressione del rinnovamento della Chiesa. Questo slogan non solo sottolineava l'interdipendenza tra i due termini, ma metteva in evidenza il ruolo di intermediazione del diacono. Ciò coincideva perfettamente con le indicazioni di Paolo VI nel Motu Proprio Ad pascendum (1967), là dove il Papa spiega che il diaconato fu ripristinato
« | come ordine intermedio tra i gradi superiori della gerarchia e il resto del popolo di Dio, perché fosse in qualche modo interprete delle necessità e dei desideri delle comunità cristiane, animatore del servizio, ossia della diaconia della chiesa presso le comunità cristiane locali, segno o sacramento dello stesso Cristo Signore, il quale non venne per essere servito, ma per servire(Mt 20,28). » |
Il legame inscindibile aveva così trovato nel Magistero la sua conferma più autorevole.
I contatti con la CEI furono intensi, tanto che la Comunità del diaconato fu invitata ad intervenire ai lavori della VI assemblea della CEI, svoltasi a Roma dal 4 all'11 aprile 1970. Vi parteciparono don Altana e Vittorio Cenini, che presero la parola durante i lavori per richiedere il ripristino del diaconato permanente ai Vescovi. Insperatamente l’Assemblea diede mandato di inserire la questione del diaconato nell’o.d.g. della successiva VII Assemblea del novembre 1970, nella quale la CEI approvò la restaurazione del diaconato permanente con 214 voti contro 16. I primi documenti, entrati in vigore nel 1972-73, accoglievano in pieno le prospettive elaborate da don Altana e dalla Comunità del diaconato in Italia. In essi il diaconato non è visto come sostegno quantitativo alle istituzioni ecclesiastiche, ma come una forza di grazia destinata a cambiare le cose: a rendere più profonda la comunione ecclesiale, a ravvivare l'impegno missionario, a promuovere il senso comunitario e lo spirito familiare del popolo di Dio. Il documento della CEI affermava testualmente che la restaurazione del diaconato permanente implica una scelta ecclesiale e pastorale di rinnovamento.
Il 13 luglio 1970 la CEI approvava il ripristino del Diaconato Permanente in Italia. Il 29 dicembre 1971 il documento base, intitolato La restaurazione del Diaconato permanente in Italia, viene presentato in udienza a Paolo VI; era corredato da un secondo documento dal titolo: Norme e direttive per la scelta e la formazione dei candidati al ministero diaconale. Questo secondo documento riportava letteralmente testi in precedenza scritti da Don Altana e diffusi in ciclostile; evidentemente questi testi erano ben noti agli estensori del documento, anche in virtù dei numerosi articoli sulla rivista Il diaconato in Italia, che era inviata a tutti i Vescovi della CEI nelle proprie diocesi.
Ultimo periodo
Negli ultimi anni, passati fra il 1994 e il 1999 a San Domenico e a San Prospero Strinati (frazione di Reggio), Don Alberto si è ammalato, perdendo a poco a poco la forza delle gambe, costretto in carrozzina e privato della parola, pur mantenendo un occhio vigile. Si sentiva umiliato per l'impotenza di reagire. Si avverava per lui quella aspirazione di immolazione totale e di annientamento, inscritta nella vocazione del cristiano, ad imitazione di Gesù che “annientò sé stesso”, come dice Paolo nella lettera ai Filippesi.
In una lettera scritta negli ultimi anni di vita a don Daniele Simonazzi rivelerà quello che era stato da sempre –e quindi anche nei quasi vent’anni di parroco delle periferie -il principio ispiratore della sua azione pastorale:
« | da quando (nel 1936) ho abbracciato la Fede, e quindi (nel 1940) ho fatto con Don Dino i primi voti, un solo pensiero mi ha dominato: quello della Salvezza Eterna, mia e di coloro –specialmente i poveri e sofferenti –che il Signore mi chiama a servire in questa prospettiva. » |
Morte
E' morto il 22 dicembre 1999 all'Ospedale Lazzaro Spallanzani di Reggio Emilia, dove era stato ricoverato per l'aggravarsi di episodi di ischemia.
Opere
- Don Dino, il suo messaggio, la sua opera; a cura dell'Istituto Secolare dei Servi della Chiesa; Reggio Emilia, 1963
- Scritti dal 1951 al 1979 apparsi su Il Vincolo e raccolti in fascicolo ciclostilato; Edizioni Brommo, Guastalla, 1968
- Pensieri di Don Urbano, Pro manuscripto, Reggio Emilia, 1963
- Vocazione cristiana e ministeri ecclesiali, Roma, 1976
- Il Rinnovamento della vita ecclesiale e il diaconato, Edizione Queriniana, 1973
- Tracce di riflessioni sulle costituzioni dei Servi della Chiesa; Reggio Emilia, 1982
- La riscoperta del diaconato e il suo sviluppo fino ad oggi, in Il diaconato in Italia, 1988, 72/32, pp.11-41
- Articoli sulla rivista Il diaconato in Italia
Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
|