Basilica di San Sisto Vecchio a Via Appia (Roma)

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Basilica di San Sisto Vecchio a Via Appia
Roma BaS.Sisto-Vecchio.png
Roma, Basilica di San Sisto Vecchio a Via Appia
Stato bandiera Italia
Regione bandiera Lazio
Regione ecclesiastica
Regione ecclesiastica Lazio
Provincia Roma
Comune Stemma Roma
Diocesi Roma
Vicariatus Urbis
Religione Cattolica
Indirizzo Piazza Numa Pompilio, 8
00184 Roma (RM)
Telefono +39 06 77205174
Oggetto tipo Chiesa
Oggetto qualificazione basilicale
Dedicazione San Sisto II
Sigla Ordine qualificante O.P.
Sigla Ordine reggente O.P.
Data fondazione V secolo, fine
Architetti Baccio Pontelli (facciata)
Giacomo Della Porta (restauri del XVI secolo)
Filippo Raguzzini (ristrutturazione del XVIII secolo)
Stile architettonico Romanico, barocco, neoclassico
Inizio della costruzione XIII secolo, primo quarto
Completamento 1725-1727
Marcatura simboli araldici di papa Gregorio XIII e del cardinale Filippo Boncompagni
Coordinate geografiche
41°52′50″N 12°29′45″E / 41.88057, 12.49579 Stemma Roma
Mappa di localizzazione New: Roma
Basilica di S. Sisto Vecchio
Basilica di S. Sisto Vecchio
Basilica di S. Pietro
Basilica di S. Pietro
Basilica di S. Giovanni in Laterano
Basilica di S. Giovanni in Laterano

La Basilica di San Sisto Vecchio a Via Appia è un chiesa di Roma, situata nel centro storico della città, nel rione Celio.

Storia

Dalla fondazione al Quattrocento

Nella zona malarica e acquitrinosa, nei pressi della convergenza della via Latina con la via Appia, prima delle porte omonime, sul sito dell'antico Titulus Crescentinae, fondato nel IV secolo da papa Anastasio I (399-401), fu edificata, alla fine del V secolo, la basilica dedicata a san Sisto II, papa e martire, la cui intitolazione appare per la prima volta in un documento del 595.

La chiesa originaria, a pianta basilicale a tre navate absidate, fu restaurata nell'ultimo quarto dell'VIII secolo da Adriano I (772-795) e successivamente ricostruita durante il pontificato di Innocenzo III (1198-1216): l'edificio paleocristiano, parzialmente interrato, fu riedificato a un livello più alto (oltre due metri) a unica navata e in proporzioni più piccole; dell'antico edificio si conservò soltanto l'abside (che fu decorata con importanti dipinti murali ad affresco ancor oggi visibili) e si eresse il campanile a trifore.

Nel 1219 Onorio III, tolse la chiesa ai Canonici Regolari di Sempringham e la affidò a san Domenico di Guzman (1170-1221) e all'Ordine da lui fondato dei Frati Predicatori, i quali vi rimasero però soltanto per breve tempo, perché già nel 1220 essi risultano trasferiti alla Basilica di Santa Sabina.

Nel 1221 san Domenico vi istituì primo monastero romano di Monache Domenicane: molte delle religiose provenivano dal vicino cenobio di Santa Maria in Tempulo, le quali condussero con sé preziosi arredi sacri come la celebre icona di Santa Maria in Tempulo (successivamente detta Madonna di San Sisto) del VII secolo,[1] per la quale avevano grande devozione e gli usi liturgici greci seguiti dalla comunità fin dalle sue origini, come la recita per cento volte al giorno per tutto l'anno del Kirie elison e del Kristi eleison, tradizione che proseguì fino al 1793.

II Catalogo di Torino[2] delle chiese di Roma, redatto intorno al 1320, documenta che all'epoca nel monastero risiedevano settanta monache e sedici frati predicatori.

Sisto IV (1471-1484), in attuazione del suo ampio programma di rinnovamento della città, fece eseguire complessi lavori di restauro e ristrutturazione della basilica, con la riedificazione della facciata a cura, forse, dell'architetto Baccio Pontelli (1450 ca. - 1494 ca.).

Alla fine del XV secolo dimorò nel monastero Lucrezia Borgia (1480-1519), prima di partire per Ferrara dove nel 1502, per esigenze politiche del padre Alessandro VI (1492-1503), avrebbe sposato Alfonso I d'Este (1476-1534).

Dal Cinquecento a oggi

Durante il pontificato di Gregorio XIII (1572-1585), furono effettuati alcuni restauri, costruito il chiostro e l'attuale ingresso su progetto di Giacomo Della Porta (1532-1602), per volontà del cardinale Filippo Boncompagni (1548-1586), nipote del papa.

Nel 1575 il complesso conventuale, a causa dell'insalubrità dei luoghi e del contino imperversare della malaria, fu lasciato dalle Monache Domenicane che si trasferirono nel monastero dei Santi Domenico e Sisto: da questo momento in poi San Sisto venne denominata con l'attributo "Vecchio" per distinguerla dalla Chiesa dei Santi Domenico e Sisto, a sua volta detta "Sisto Nuovo".

Tra il 1725 e il 1727 il complesso, oramai caduto in rovina, venne ristrutturato per volontà di papa Benedetto XIII (1724-1730) dall'architetto Filippo Raguzzini (1690-1771), il quale edificò l'attuale facciata e un nuovo chiostro, in sostituzione di quello medioevale.

Con la Rivoluzione Francese l'edificio decadde e dopo alterne vicende, nel 1873 il monastero fu epropriato dallo Stato Italiano[3] e adibito a rimessa di carri funebri.

Nel 1892-1893 il complesso risorse grazie all'iniziativa della venerabile Maria Antonia Lalia (1839-1914), fondatrice della Congregazione di Suore Domenicane Missionarie di San Sisto, che non solo riuscì a restaurarlo, ma lo trasformò in un'importante scuola, tuttora funzionate.[4]

A seguito dei restauri effettuati tra il 1930 e il 1935, per volontà del cardinale Achille Liénart (1884-1973), furono scavati i resti della basilica primitiva, ulteriormente esplorati nel 1967-1968.

La chiesa attualmente è luogo sussidiario di culto della parrocchia di Santa Maria in Domnica alla Navicella.

Titolo cardinalizio

La chiesa è sede del titolo cardinalizio di San Sisto istituito alla fine del IV secolo da papa Anastasio I: l'attuale titolare è il cardinale Antoine Kambanda.

Descrizione

Esterno

Basilica di San Sisto Vecchio a Via Appia (interno)

Facciata

La chiesa, con la facciata tra due avancorpi, è aperta al centro, tra due paraste, da un portale sovrastato da un timpano triangolare, da uno centinato e da un'alta finestra; ai lati sono posti quattro oculi polilobati e in alto uno circolare. Tra l'architrave del portale e il timpano triangolare sono posti due draghi, simboli araldici di papa Gregorio XIII e di suo nipote, il cardinale Filippo Boncompagni.

Il portale, risalente alla seconda metà del XVI secolo, sostituì quello del 1478 commissionato dal cardinale Pedro Ferris (1415-1478), reimpiegato sul prospetto occidentale della chiesa, nell'ingresso laterale sinistro, sul quale è visibile lo stemma del prelato e la seguente iscrizione:

(LA) (IT)
« PETRI T. T. S. SIXTI CARD. TIRASONENSIS MCCCCLXXVIII » « (Opera) di Pietro del titolo di San Sisto cardinale di Tarazona 1478»

Campanile

Sulla destra della basilica si erge il campanile romanico, in laterizi, edificato nel primo quarto del XIII secolo, che si presenta a pianta quadrangolare e articolato su tre ordini di trifore.

Interno

L'interno, completamente restaurato dal Filippo Raguzzini nel 1725-1727, si presenta a navata unica, illuminata da dodici finestre per lato ed è tutta ornata da stucchi. L'aula liturgia si conclude con un'ampia abside semicircolare decorata nella calotta con dipinti murali ad affresco del XVI secolo di ambito romano, raffigurati:

Bottega di Pietro Cavallini (attr.), Angeli (XIV secolo), affreschi

Inoltre, sul presbiterio, nella stretta intercapedine venutasi a formare tra l'abside del XIII secolo e quella quattrocentesca inscritta nella precedente, si possono ammirare i resti di un ciclo di dipinti murali ad affresco, databili al XIV secolo, attribuiti alla bottega di Pietro Cavallini e raffiguranti:[5]

Curiosità

Il sito dove un tempo era situato l'orto delle Suore Domenicane oggi è occupato dal Semenzaio Comunale, un'istituzione che provvede al rifornimento di alberi, piante e fiori per le "aree verdi" della città.

Note
  1. L'icona continuò a essere venerata in questo nuovo monastero e vi rimase fino al 1575: oggi si trova nella Chiesa di Santa Maria del Rosario a Monte Mario, con il titolo di Nostra Signora del Rosario.
  2. Il Catalogo di Torino è un manoscritto, conservato nella Biblioteca dell'Università di Torino (cod. E. V. 17), redatto intorno al 1320 sulla base di una precedente documentazione ufficiale della Curia romana, che contiene un elenco di tutte le chiese, le cappelle e gli ospedali di Roma allora esistenti.
  3. Legge 19 giugno 1873, n. 1402
  4. Sito ufficiale dell"Istituto San Sisto" su istitutosansistoroma.it. URL consultato il 26-08-2020
  5. Gilberto Ronci, Antichi affreschi in S. Sisto Vecchio a Roma (), in "Bollettino d'Arte", nº IV, 1951, pp. 15-26 su bollettinodarte.beniculturali.it, URL consultato il 27-08-2020
  6. Scheda dell'opera nel Catalogo della Fondazione "Federico Zeri" . URL consultato il 28.08.2020
  7. Scheda dell'opera nel Catalogo della Fondazione "Federico Zeri" . URL consultato il 28.08.2020
Bibliografia
  • Lidia Bianchi, S. Sisto Vecchio - Origini e vicende edilizie, in "L'Osservatore Romano", 2-3 gennaio 1939
  • Ferruccio Lombardi, Roma. Chiese conventi chiostri. Progetto per un inventario, 313-1925, Edil Stampa, Roma, 1993, p. 353
  • Claudio Rendina, Le Chiese di Roma. Storia e segreti, col. "Tradizioni italiane", Newton & Compton, Roma, 2017, pp. 346-347, ISBN 9788854188358
  • Aldo Scarpignato, San Sisto Vecchio a Porta Capena, S. Sisto Vecchio, Roma, 1975
  • Raimondo Spiazzi, La chiesa e il monastero di San Sisto all'Appia: raccolta di studi storici, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1992
  • Touring Club Italiano (a cura di), Roma, col. "Guide Rosse", Touring, Milano, 2005, pp. 521-522, ISBN 9770390107016
Voci correlate
Collegamenti esterni
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Il contenuto di questa voce è stato firmato il giorno 14 maggio 2021 da Teresa Morettoni, esperta in museologia, archeologia e storia dell'arte.

Il firmatario ne garantisce la correttezza, la scientificità, l'equilibrio delle sue parti.