Discernimento
Il discernimento è una realtà che appartiene all'esistenza umana e che ha acquisito una maggiore tematizzazione e un più ampio utilizzo nella cultura e nel linguaggio ecclesiale a partire dalla seconda metà del Novecento. Gli studi biblici e teologici sull'argomento si sono moltiplicati e il magistero ecclesiale ne ha indicato la necessità e l'urgenza per la corretta gestione dei cambiamenti culturali e pastorali in corso.
Già Papa san Giovanni XXIII, nella Costituzione Humanae Salutis, con la quale veniva indetto il Concilio Vaticano II il 25 dicembre 1961, senza usare esplicitamente il termine, ne presentava la sostanza per un uso universale:
« | Al mondo, smarrito, confuso, ansioso sotto la continua minaccia di nuovi spaventosi conflitti, il prossimo Concilio è chiamato a offrire una possibilità per tutti gli uomini di buona volontà e ad avviare pensieri e propositi di pace: pace che può e deve venire soprattutto dalle realtà spirituali e soprannaturali[1] » |
Da quel momento il discernimento e il conseguente atteggiamento di accompagnamento a chi lo svolge sono diventati una prassi ordinaria della comunità ecclesiale, un atteggiamento vissuto a tutti i livelli e promosso dai Papi successivi.
Definizione
Il discernimento consiste in un processo decisionale, individuale o comunitario, in cui si ricerca la volontà di Dio, cioè il vero bene da farsi, in una data situazione storica, personale, sociale o comunitaria. Esso include una serie di operazioni complesse e connesse tra loro, come il prendere coscienza della propria situazione, il cercare le informazioni necessarie per la necessaria decisione, il procedere nell'elezione e infine il verificare se la scelta che è stata fatta viene confermata dagli eventi successivi.
In ambito ecclesiale si parla di «discernimento spirituale» in quanto si ritiene che ogni decisione vada vissuta sempre nella fede e nella sequela dello Spirito Santo, il quale illumina, muove e sostiene ogni buon processo di discernimento. Il discernimento è quindi fondato su una realtà spirituale, avvertita dalla persona come grazia, ed è aiutato sempre da qualcuno che accompagna, aiuta e contribuisce alla dinamica decisionale, senza sostituirsi però alla persona che la vive.
Il discernimento è una realtà collegata alla responsabilità morale personale, sia della persona fisica, quando il discernimento è individuale, sia della persona giuridica, quando è comunitario. Il discernimento del credente si svolge sempre «coram deo», cioè di fronte a Dio e nell'intimo della propria coscienza, nell'ascolto dell'azione dello Spirito e nella corretta valutazione di tutti gli aspetti presenti nelle diverse possibilità a disposizione.
Nell'antico linguaggio ecclesiale del Nuovo Testamento la realtà del discernimento era indicata con due verbi greci: δοκιμάζω, dokimázo e διακρίνω, diakríno. Il primo verbo, dokimàzo era utilizzato col significato originario di soppesare qualcosa, valutare il valore di ciò che si sta considerando, attribuirgli il giusto prezzo, al fine di accettarlo, cioè acquistarlo, oppure rifiutarlo, cioè lasciarlo; si trova ad esempio in Paolo, nelle 1Cor 11,28-29 e 1Ts 5,21 , e in Luca, in Lc 12,56 .
Il secondo verbo, diakrìno, era usato invece per indicare il giudizio che separa un oggetto da altri, la valutazione che distingue l'oggetto di valore, la preferenza per ciò verrà preso tra altro che verrà lasciato; ad esempio, è presente nel Vangelo di Matteo, in Mt 16,3 . Il verbo diakrìno è composto dalla preposizione dia, che significa separazione e la radice krìno, che indica il giudizio in un processo[2]. Dal termine diakrìno deriva il verbo latino dis-cernere, in cui il termine cernere include anche l'osservazione dell'oggetto, la conoscenza che porta al giudizio e alla separazione di un oggetto da un altro o della verità dalla falsità; il prefisso dis indica il movimento da luogo, cioè il risultato dell'intero processo di osservazione e valutazione. Dal termine latino dis-cernere derivano etimologicamente i sostantivi delle lingue moderne discernimento (it.), discernimiento (sp.), discernement (fr.) e discernment (Ing.)[3].
Il termine discernimento delle diverse lingue moderne integra e amplifica i significati dei due verbi greci e di quello latino, in quanto include l'osservazione, la ponderazione e la valutazione dell'oggetto, la sua elezione e la sua separazione da altri, ma contiene pure la dimensione semantica del dinamismo dell'intero processo decisionale, processo che coinvolge le facoltà conoscitive e valutative della persona umana e che attraverso l'elezione le permette di giungere al risultato desiderato, con l'aiuto dello Spirito di Dio, che assiste e conduce alla verità.
La struttura fondamentale
La realtà del discernimento è stata studiata dalla teologia in modo interdisciplinare, coinvolgendo diverse discipline, teologiche, filosofiche, psicologiche e sociologiche, e perseguendo molteplici prospettive[4].
Le discipline che tradizionalmente hanno studiato e spiegato il discernimento sono state la Teologia morale e la Teologia spirituale; ultimamente però anche la Teologia biblica, l'Antropologia teologica e la Teologia pastorale hanno dedicato una certa attenzione a questa tematica. In realtà, tenendo conto della cultura contemporanea e della sensibilità dell'uomo moderno, la disciplina teologica che oggi può spiegare meglio e in profondità la realtà e la necessità del discernimento è piuttosto la Teologia fondamentale, la quale ha come oggetto formale la relazione tra Dio e l'uomo, con le sue componenti di rivelazione e di accoglienza nella fede, relazione che è studiata all’interno delle diverse problematiche filosofiche, sociologiche, psicologiche e culturali.
Presentiamo qui alcune considerazioni che possono illustrare e spiegare i fondamenti teologici e antropologici del discernimento e che integrano le nuove acquisizioni della filosofia con quelle della teologia.
L'antropologia spirituale
Il punto di partenza di qualsiasi riflessione sul discernimento non può che essere l'uomo, con le sue multiformi esigenze e le sue intime aspirazioni di crescita e di autorizzazione[5]. L'uomo, sia maschio sia femmina, va visto e compreso nella sua realtà più profonda e dinamica, andando oltre gli approcci delle singole discipline scientifiche, come ad esempio la sociologia, la psicologia e la biologia, che approfondiscono soltanto una parte della sua vera identità. Per comprendere la natura del discernimento che l'uomo nella sua libertà e responsabilità si trova a dover svolgere, occorre assumere una prospettiva più ampia e comprensiva, guardare all'uomo nella sua dimensione metafisica come a un essere dotato di coscienza e posto in un determinato contesto vitale.
Non si può comprendere il discernimento senza comprendere la natura profonda dell'uomo, senza tenere conto che ogni persona umana è un essere in divenire, dotato di una sua personalità e di un'irripetibile individualità.
Ogni uomo è sempre portatore di risorse, innate e acquisite; è costituito da un progetto, di cui lui stesso avverte la presenza nella sua autocoscienza, ma di cui a volte non riconosce la configurazione né la destinazione. Ogni uomo non è mai un "foglio bianco", su cui Dio può scrivere qualsiasi cosa, come più volte si è affermato! Al contrario, la persona umana è sempre un foglio già scritto da Dio; è come una lettera che ha un destinatario, una lettera che il tempo fa crescere e diventare un libro e che poi con le nuove esperienze e le nuove acquisizioni cresce ancora fino a diventare una biblioteca, che custodisce conoscenze che lei stessa può usare.
Le nuove acquisizioni sul DNA e sul RNA hanno insegnato che ogni uomo è portatore di un bagaglio di risorse e di possibilità che non può essere dimenticato né trascurato, se non ci si vuole allontanare dalla realtà concreta della persona umana.
Su questa base fisica e storica, bisogna ricordare che l'essere umano è dotato di una coscienza di sé e di propri valori. Nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, la Chiesa insegna che « La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo[6]».
Proprio perché l'uomo è dotato naturalmente dell'autocoscienza ontologica e della conseguente coscienza morale di valori personali e universali, egli è un essere spirituale, dotato di libertà e di dignità; in quanto tale, egli va sempre rispettato, accolto e promosso, non gestito e maneggiato come un ente puramente materiale, riducendo così la sua innata e umana dignità.
In quanto essere spirituale l'uomo è dotato di una naturale capacità di scegliere, la quale fonda la sua responsabilità per la propria crescita e il proprio destino. Al riguardo nella Gaudium et spes la Chiesa insegna che « La dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali e non per un cieco impulso interno o per mera coazione esterna[7]».
Nella missione metafisica dell'uomo di essere sé stesso, libero e responsabile del proprio destino e del mondo in cui vive, si colloca il fondamento ultimo della necessità del suo discernimento del vero bene, indipendentemente dai «ciechi impulsi interni» e dalle «mere coazioni esterne». Con il discernimento l'uomo gestisce la propria vita e le proprie risorse, si orienta verso la crescita di sé e del suo mondo, si indirizza verso il bene assoluto, che lui stesso chiama Dio.
La rivelazione divina
Il cristianesimo è custode di una tradizione teologica nella quale si trova il racconto dell'esperienza della rivelazione divina, rivelazione documentata dalla Sacra Scrittura e trasmessa dalla vita delle comunità cristiane. Tutta la Chiesa è custode e nello stesso tempo è testimone di una comunicazione di Dio all'umanità, di una comunicazione benigna, favorevole e promuovente la persona umana e il suo ambiente[8].
La vita della Chiesa, con il suo modo di vivere, i suoi insegnamenti e i suoi comportamenti, testimonia che la rivelazione di Dio è veramente avvenuta e che è una rivelazione che aiuta l'umanità; attraverso di essa Dio si prende cura delle sue creature, le guarisce e le salva dai possibili danni dei loro errori. La rivelazione divina ha la forma di un insegnamento sapienziale e della cura amorosa di una madre e di un padre verso i loro figli, che allevano e educano al vero bene, in un dato contesto vitale. Nella Costituzione dogmatica Dei Verbum si spiega che « Con la rivelazione, Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé[9]».
Il discernimento non può prescindere dalla realtà della rivelazione divina e dalla sua attualità, in quanto la persona umana non è mai sola né è abbandonata a sé stessa; essa è sempre aiutata e sostenuta dalla grazia, cioè dalla presenza amorosa, vicina e attiva di Dio, che opera nella storia e nella persona stessa. Dimenticare l'opera salvifica di Dio e la sua amorosa e sapiente rivelazione farebbe perdere al discernimento la sua dimensione fondamentale e ontologica. La tradizione cristiana insegna che Dio si rivela e opera continuamente nella storia dell'umanità e che la Sacra Scrittura ne custodisce in modo perpetuo e autentico le parole e gli eventi.
Inoltre, la Chiesa ha sperimentato e insegna che la divina rivelazione ha il suo culmine nella persona di Gesù di Nazaret, il vero e pieno Rivelatore del progetto amoroso del Padre. Al riguardo la Dei Verbum afferma che « Gesù Cristo, vedendo il quale si vede anche il Padre, con tutta la sua presenza e con la manifestazione di sé, con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli e specialmente con la sua morte e la gloriosa risurrezione di tra morti e infine con l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna[10]».
Anche da questo testo si rileva che la rivelazione di Dio avviene sempre nella storia e che ha una sua storia: dalla creazione Dio ha parlato all'uomo e alla donna e li ha invitati a essere fecondi e a gestire la terra; in seguito Dio si è scelto un popolo perché diventasse il segno visibile del suo amore per l'umanità, lo ha educato e lo ha promosso in vari modi; poi Dio ha inviato il suo stesso Figlio, si è reso visibile e ha manifestato la pienezza del suo amore per l'umanità con la sua risurrezione; infine, con il dono dello Spirito, Dio sostiene il dinamismo dell'intera creazione, della comunità cristiana e di ogni persona umana, la orienta al vero bene e alla comunione piena con Lui.
Pertanto, è da tener presente che ogni discernimento si svolge sempre all'interno di un contesto storico e di un ambiente culturale ben definiti e che avviene con l'ausilio dello Spirito Santo, il quale con la grazia, cioè la sua attività amorosa, sostiene, guida e orienta le scelte dell'uomo, nel rispetto della sua libertà creaturale.
La persona umana, infatti, sotto l'azione dello Spirito di Dio rimane sempre libera, quindi soggetta a possibili errori e influssi negativi, che provengono dalla presenza del male nel mondo, presenza ingannatrice e distruttrice. Nel discernimento l'uomo sperimenta, distingue e riconosce l'opera e l'identità dello Spirito di Dio, la segue e nello stesso tempo respinge quella di altri influssi, creature meno buone o addirittura negative.
La logica dell'incontro
Ogni discernimento inizia da una necessità storica, cioè da un bisogno che produce qualche disagio nella persona che vi è coinvolta e interessata. Proprio perché l'uomo è un essere spirituale, dotato di pensiero e di libertà, egli si trova a gestire sé stesso sempre in un contesto di carattere materiale, animale e sociale; il discernimento avviene in un contesto storico del quale egli deve tener conto. In quanto essere spirituale, l'uomo è un essere in relazione e la sua relazione fondamentale è col Creatore di sé e dell'ambiente in cui si trova a vivere[11].
Ascoltando sé stesso, l'uomo fa l'esperienza della trascendenza, di una presenza altra da sé, che va al di là di sé e dell'ambiente e che nella sua alterità tutto fonda e sostiene. Tutte le scelte responsabili della persona umana avvengono di fronte alla trascendenza, alla quale l'uomo sente di dover rendere conto e del cui aiuto sente di aver bisogno.
Se si dimentica la relazione fondamentale della persona umana e che le sue scelte avvengono «coram deo» e «coram domino», cioè di fronte a una Trascendenza altra da sé, anche se non sempre le si dà il nome di Dio, si riduce la persona umana a un livello creaturale inferiore e la si allontana di fatto dalla comunione con Dio e con Gesù Cristo. Con la relazione fondamentale e costitutiva della persona umana con Dio coopera l'azione amorosa e ausiliante della Chiesa, la quale per missione propria assume un atteggiamento di accompagnamento del discernimento.
L'accompagnamento è la modalità più autentica della relazione della Chiesa con l'umanità, sia con quella santa, che segue le ispirazioni divine, sia con quella peccatrice, succube invece delle tentazioni dello spirito cattivo presente nel mondo. Nella Costituzione Gaudium et spes, la Chiesa illustra la sua missione di accompagnamento dell'umanità così:
« | Il Concilio, testimoniando e proponendo la fede di tutto intero il popolo di Dio, riunito da Cristo, non può dare dimostrazione più eloquente della solidarietà, del rispetto e dell'amore di esso nei riguardi della intera famiglia umana, dentro la quale è inserito, che instaurando con questa un dialogo sui suoi vari problemi, arrecando la luce che viene dal vangelo e mettendo a disposizione degli uomini le energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo fondatore[12]. » |
Gli atteggiamenti con cui la Chiesa, nella persona di chi la rappresenta e l'attualizza, accompagna ogni discernimento sono quelli del dialogo, dell'ascolto, dell'umiltà, del servizio e del dono verso la persona coinvolta, rimanendo entrambi, chi svolge il discernimento e chi lo accompagna, sotto l'azione dello Spirito. Dato che ogni discernimento si svolge sull'asse della relazione con Dio, sostenuta dalla grazia, nella quale avviene la comunicazione tra la persona e Dio stesso, la realtà della rivelazione personale, detta anche auto-comunicazione di Dio, si svolge sempre in un contesto di preghiera e di ascolto delle mozioni divine.
Ogni discernimento si conclude con una ispirazione, che nella Teologia spirituale è chiamata «ispirazione elettiva», in quanto muove la persona alla decisione[13]. Ogni buon discernimento, infatti, è sempre sostenuto dalla grazia, cioè da un'ispirazione divina che illumina e guida alla decisione e dall'accompagnamento, inteso come una relazione d'aiuto al discernimento personale. Nelle decisioni più importanti l'accompagnamento è sempre ecclesiale, cioè è diffuso e non svolto solo da una persona, è un'intera comunità che viene coinvolta, attraverso vari tipi di relazioni e di ruoli; nella molteplicità degli aiuti e nella ricorrenza delle soluzioni, la persona che svolge il discernimento può trovare il contributo poliedrico che è per lei significativo e utile.
L'accompagnamento ecclesiale cattolico si svolge attraverso diverse persone; con la corrispondenza delle opinioni e la convergenza delle soluzioni la persona che lo svolge può ricevere quell'aiuto luminoso che le media la rivelazione divina nella sua concreta situazione storica e le indica la strada da percorrere.
Ciò non toglie che la prima relazione e la più significativa rimanga sempre la sua relazione immediata con Dio, la relazione pre-riflessa che accoglie la comunicazione divina e la mozione. Su una base immediata, diretta e attuale di rivelazione personale, detta anche «mozione spirituale» e sui suoi segni, la persona coinvolta nel discernimento accoglie e riceve i diversi contributi ecclesiali, che le offrono una interpretazione del suo vissuto e le prospettano qualche possibile percorso[14].
In seguito, la persona stessa, di fronte a Dio, tenendo conto della preghiera personale, dei contributi ecclesiali ricevuti e delle informazioni da lei ricavate da altre fonti, da sola e in comunione con Dio, potrà ricevere la rivelazione che ha la forma della «mozione elettiva»; quella le darà l'intima certezza di cui ha bisogno, la certezza che quella possibilità le corrisponde, la certezza che le rivela la volontà di Dio, per lei, in quel dato momento e in quella particolare situazione.
Senza l'intima certezza morale acquisita con il tempo e con la preghiera il discernimento non può dirsi concluso. Inoltre, solo la persona coinvolta nella dinamica elettiva può stabilire il momento della conclusione del suo discernimento, perché quel momento le sarà segnalato dalla certezza sufficiente per la scelta, accompagnata da un senso di consolazione e di speranza. La certezza di coscienza moralmente sufficiente per la scelta dovrà essere comunque confermata dagli avvenimenti successivi, i quali solo convergendo renderanno definitivo il discernimento svolto.
Il discernimento delle vocazioni
La riflessione sul discernimento delle vocazioni e sulle loro ispirazioni è una delle operazioni più complesse e delicate della teologia contemporanea, infatti vi convergono varie discipline e prospettive[15]. L'esistenza della «vocazione divina» è documentata dalla Sacra Scrittura ed è una realtà che percorre l'intera storia della salvezza.
Già nella Genesi sono presenti grandi chiamate divine: la creazione è raccontata come una chiamata della Parola di Dio, il primo Uomo è cercato e chiamato da Dio nel giardino dell'Eden con le parole «Dove sei?» (Gen 3,9 ); poi Abramo, Mosè e tutti i profeti d'Israele, da Samuele a Isaia, Geremia, Ezechiele sono stati chiamati da Dio e raccontano la loro chiamata nei dettagli; nel Nuovo Testamento, Maria, Gesù stesso, i discepoli e Paolo vivono la chiamata di Dio e la testimoniano con la loro vita; negli Atti degli apostoli la realtà della chiamata è quotidiana e si dice che « il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2,48 ).
Nella storia della Chiesa i santi e le sante hanno raccontato spesso la loro vocazione, avvenuta attraverso eventi, incontri e letture, ma anche con visioni, parole interiori e mozioni spirituali. Ultimamente la teologia ha esteso il concetto di vocazione divina e lo ha applicato alla vita ordinaria del credente, sottraendolo così alle esperienze particolari ed esclusive dei profeti, dei santi e delle sante. Oggi si comprende la vocazione come una realtà universale, che concerne ogni persona e si ritiene che tutti siano chiamati alla santità e alla promozione della condizione umana[16].
Inoltre, la teologia spirituale contemporanea ha approfondito il concetto di vocazione e ha dimostrato l'esistenza di una "vocazione nella vocazione", cioè di una possibile specificazione della chiamata allo stato di vita in altre chiamate particolari, magari a uno stile di vita o a un determinato ministero[17]. L'antica tradizione del discernimento degli spiriti, recuperata e aggiornata dalla teologia e integrata dai nuovi apporti della psicologia, offre alla problematica contemporanea delle vocazioni la possibilità del loro riconoscimento, cioè la sapienza per poter distinguere la vera vocazione divina dalle possibili illusioni umane o addirittura dalle tentazioni sotto forma di bene, le quali producono sempre danni alla persona.
La dogmatica cattolica insegna che non si può conoscere e dichiarare la grazia che opera nella vocazione, ma se ne possono vedere gli effetti, cioè i «frutti» dello Spirito e quindi il discernimento delle vocazioni, cioè il loro riconoscimento e la loro verifica, è possibile attraverso la considerazione degli effetti degli spiriti che muovono la persona, effetti che assumono il valore di «segni», da rilevare e interpretare con la prudenza e l'ausilio della grazia.
Il magistero contemporaneo
L'attenzione alle vocazioni divine, sacerdotali e religiose, è stata presente nel magistero della Chiesa Cattolica lungo tutto il Novecento ed è culminata nel 1964 con l'istituzione dell'annuale Giornata di preghiera per le vocazioni da parte di Papa san Paolo VI. Anche il tema del discernimento e dei criteri necessari per il riconoscimento delle vere vocazioni divine si è sviluppato e definito col tempo e con molti interventi, a partire ad esempio dalla Costituzione apostolica Sedes sapientiae di Pio XII del 1956, al Decreto conciliare sul ministero e la vita dei sacerdoti Presbyterorum ordinis del 1965, fino alla nuova «Ratio fundamentalis» per le Istituzioni formative della romana Congregazione per il Clero «Il dono della vocazione», del 2016.
Evangelii gaudium
Una cura delle vocazioni intese nel senso ampio e profondo suggerito della teologia contemporanea ha cominciato a emergere nell'Esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco del 2013, il documento che è diventato il programma del suo pontificato[18]. All'interno del capitolo terzo del documento, capitolo dedicato ai mezzi dell'annuncio del Vangelo, sette paragrafi sono dedicati all'accompagnamento spirituale dei processi di crescita della persona (parr. 169-175).
In quei paragrafi vengono esposti i principi fondamentali che guidano oggi ogni direzione spirituale e che costituiscono un nuovo modo di relazionarsi alle persone in situazione di bisogno e di discernimento. Nel testo pontificio viene abbandonata l'espressione tradizionale «direzione spirituale», che evoca una relazione gerarchica e dominate, e viene sostituita con quella di «accompagnamento spirituale», più in sintonia col linguaggio della società attuale ed evocativa di rapporti di fraternità e di servizio[19]; scrive Papa Francesco: « La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri - sacerdoti, religiosi e laici - a questa "arte dell'accompagnamento", perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell'altro» (169).
Vengono presentati poi gli elementi costitutivi di ogni buon accompagnamento spirituale, elementi che preparano la modalità di comunicazione necessaria per il discernimento degli spiriti: lo sguardo di vicinanza, di rispetto e compassione, che stabilisce la prossimità e promuove libertà e maturità della persona (169); l'orientamento a Dio, nel pellegrinare con Cristo verso il Padre (170); l'ascolto cordiale e paziente, capace di capire e di compatire (171); la distinzione tra la persona e le sue azioni, magari da correggere, ma senza scendere in giudizi, fatalismi e pusillanimità (172); il servizio alla missione, in cui dei missionari accompagnano altri missionari, evitando qualsiasi intimismo e autorealizzazione isolata (173); la preghiera con la Sacra Scrittura, affinché il riferimento alla Parola di Dio alimenti e rafforzi la vita (174); lo studio della Bibbia, insieme alla sua lettura orante, personale e comunitaria (175).
Questi elementi compongono il quadro di riferimento generale dell'accompagnamento, ma in seguito, nel capitolo IV dell'Esortazione, che è dedicato alla dimensione sociale dell'evangelizzazione, papa Francesco espone quattro principi fondamentali dello sviluppo sociale, principi che ritorneranno spesso nei suoi discorsi e documenti successivi e che rappresentano anche quattro nuovi criteri per il discernimento degli spiriti, il quale si svolge sempre all'interno di «tensioni bipolari», cioè nelle tensioni tra lo spirito buono e lo spirito cattivo: la prima tensione è tra la pienezza e il limite, in essa lavora il criterio «Il tempo è superiore allo spazio» (222-225); la seconda tensione è tra il conflitto e la solidarietà, in essa porta luce «L'unità prevale sul conflitto» (226-230); poi la tensione tra ideali e realtà, il cui il principio dirimente è «La realtà è superiore dell'idea» (231-233); infine, la tensione tra globalizzazione e localizzazione, dove il principio per il discernimento è «Il tutto è superiore alla parte» (234-237).
Questi quattro principi o criteri di discernimento entrano a far parte della storia del discernimento degli spiriti, perché si possono applicare oltre che alle problematiche sociali anche al discernimento delle vocazioni divine.
Gaudete et exsultate
Un secondo documento in cui è esposto in modo ampio e sistematico il tema del discernimento è l'Esortazione di papa Francesco Gaudete et exsultate, sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, del 2018[20]. L'intero capitolo quinto, l'ultimo del documento, è dedicato al tema del combattimento e del discernimento. Il punto di partenza dell'insegnamento è quello tradizionale dei tre spiriti, da distinguere col discernimento, visto come un dono carismatico e come una capacità da acquisire: « Come sapere se una cosa viene dallo Spirito Santo o se deriva dallo spirito del mondo o dallo spirito del diavolo? L'unico modo è il discernimento» (166).
Papa Francesco ritiene che il discernimento sia un'attitudine particolarmente necessaria nella società attuale (167), soprattutto quando appare una «novità» nella propria vita e bisogna discernere da quale spirito essa provenga, se da Dio o dallo spirito del mondo o dallo spirito del diavolo. Vagliando i segni interni, desideri, angustie, timori e attese e i segni esterni, eventi del tempo, della storia e della società in cui si vive, si avvia il discernimento (168). Secondo papa Francesco il discernimento non è necessario solo nei momenti particolarmente intensi della vita, ma fa parte dell'esistenza quotidiana « per essere capaci di riconoscere i tempi di Dio e la sua grazia, per non sprecare le ispirazioni del Signore, per non lasciar cadere il suo invito a crescere» (169).
Il discernimento non esclude e anzi apprezza gli apporti delle scienze umane, però le trascende; è una grazia e un dono di Dio che permette di « intravedere il mistero del progetto unico e irripetibile che Dio ha per ciascuno e che si realizza in mezzo ai più svariati contesti e limiti» (170). Esso richiede il silenzio di una preghiera prolungata, per poter interpretare il significato delle ispirazioni che si pensa di aver ricevuto; in tal modo si permette la nascita di una nuova propria «sintesi esistenziale», che proviene dall'illuminazione dello Spirito (171). Il discernimento richiede: una disposizione ad ascoltare la possibile chiamata di Dio (172); una obbedienza al Vangelo e al Magistero della Chiesa, che lo custodisce e lo insegna (173); la pazienza di saper aspettare i tempi di Dio e di riconoscere il modo in cui compiere la propria missione (174).
Il vero discernimento non è mai solo un'autoanalisi né un'introspezione, ma secondo questo documento, è una uscita da noi stessi per andare verso Dio, che aiuta a vivere la missione alla quale ci ha chiamati, per il bene nostro e degli altri (175). In dieci brevi paragrafi l'antica sapienza del discernimento degli spiriti è ripresa, spiegata e riproposta con il linguaggio della sensibilità contemporanea e in modo pratico e pastorale.
Sinodo dei Vescovi del 2018
Il tema del discernimento delle vocazioni ha trovato maggiore espressione nella XV Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dedicata specificamente ai giovani, alla fede e al discernimento vocazionale, assemblea svoltasi a Roma dal 3 al 28 ottobre 2018. Nel Documento finale del Sinodo un intero capitolo, il IV della II parte, è dedicato all'arte del discernimento e all'accompagnamento vocazionale[21]. In dieci brevi ma densi paragrafi è riproposta la teologia tradizionale del discernimento, a un livello leggermente più astratto del documento pontificio precedente e il discernimento viene inserito in un contesto più comunitario.
Il punto di partenza è teorico e concerne il concetto stesso di discernimento: « [esso è] una dinamica spirituale attraverso cui una persona, un gruppo o un comunità cercano di riconoscere e di accogliere la volontà di Dio nel concreto della loro situazione» (par. 104). Si indicano poi sette elementi costitutivi del discernimento. Questo è presentato come un atteggiamento che si radica nell'atto di fede e che si inserisce in un orizzonte comunitario, « mai è riducibile alla sola dimensione individuale» (105); « nello stesso tempo però esso richiama al cuore della persona, alla Parola che Dio le rivolge e che diventa il criterio di valutazione della sua vita e delle sue scelte» (106).
Il discernimento porta all'ascolto della propria coscienza, la quale è intesa non come il sentire immediato né come la consapevolezza di sé stessi, ma come l'attestazione di « una presenza trascendente, che ciascuno ritrova nella propria interiorità, ma di cui non dispone» (107). La coscienza, si afferma del documento finale, ha bisogno di essere formata per avere gli stessi sentimenti di Gesù Cristo, per cui occorre una cura della formazione dell'interiorità, attraverso tempi di silenzio, la contemplazione e l'ascolto della Parola, la pratica sacramentale, l'ascolto dell'insegnamento della Chiesa e l'esercizio del bene, verificato nell'esame di coscienza; tutto ciò aiuta a crescere nella virtù della prudenza, che rimane la vera virtù del discernimento (108).
La coscienza del credente è posta sempre in relazione con la coscienza ecclesiale, perché solo attraverso la mediazione della Chiesa e della sua tradizione, affermano i Padri sinodali, il credente può accedere all'autentico volto di Gesù Cristo e alla sua parola (109). Il discernimento è compreso quindi come una forma di preghiera che si svolge in tutte le modalità dell'orazione, sia nella preghiera quotidiana sia in quella dei ritiri e degli esercizi (110). Esso richiede però alcune disposizioni interiori, come l'ascolto del cuore, la consapevolezza, l'accettazione di sé, il pentimento, l'attenzione ai movimenti interiori, il coraggio della lotta spirituale (111) e il confronto regolare con un accompagnatore, il quale rappresenta la mediazione della Chiesa (112). Il discernimento realizza processi che portano a uscire dall'indeterminatezza e ad assumersi la responsabilità delle proprie decisioni, le quali dovranno essere verificate nella vita quotidiana attraverso la fraternità e il servizio ai poveri (113).
In questi dieci paragrafi il discernimento delle vocazioni è descritto nei suoi particolari ed è inserito decisamente nella vita della Chiesa.
Christus vivit
Tutti questi contenuti sono ripresi, rielaborati e integrati nell'Esortazione apostolica Christus vivit di Papa Francesco, il documento magisteriale che conclude il processo sinodale[22]. Anche nell'Esortazione apostolica il tema del discernimento è trattato nell'ultimo capitolo, questa volta il nono, che è interamente dedicato a questo argomento e che riprende alcuni passaggi dell'esortazione Gaudete et exsultate, giungendo a una sintesi teologica con uno stile di comunicazione personale e diretto.
La prospettiva magisteriale è esplicitata dall'inizio, quando Papa Francesco non parla del discernimento astratto e teorico, ma di quello applicato alla vita concreta di chi legge, cioè: « al discernimento della propria vocazione nel mondo» (par. 278). Anche qui il Papa parla della necessità di un discernimento davanti a una «novità» nella propria vita (279), in cui è coinvolto il senso della propria esistenza, da cogliere « davanti al Padre che mi conosce e mi ama» (280). In quel momento viene coinvolta la coscienza della persona, coscienza che deve essere formata (281) dalla conformazione a Cristo nella pratica quotidiana del bene (282). Il riconoscimento della propria vocazione è un'attività che richiede momenti di silenzio e di solitudine e una preghiera prolungata, per poter ascoltare e interpretare le ispirazioni che si pensa di aver ricevuto (283).
Non si tratta però, insegna Papa Francesco, di un isolamento egoistico, ma di una disposizione dell'anima all'ascolto di Dio, degli altri, della realtà e di sé (284); nel momento del discernimento si pongono delle domande sulla propria esistenza e nel testo se ne indicano nove, ad esempio: « So che cosa dà gioia al mio cuore e che cosa lo intristisce?», « Come posso servire meglio ed essere più utile al mondo e alla Chiesa?» (285), « Per chi sono io?» (286).
Papa Francesco inserisce il discernimento della propria vocazione all'interno di una relazione affettiva di amicizia direttamente con Gesù, al quale si fa un dono che gli dà gioia (287). Così Gesù stesso a sua volta dona una grazia, un carisma, a un suo amico personale e lo rende felice (288). La vocazione viene interpretata come un dono, come un regalo interattivo, che interpella e coinvolge la persona in prospettiva migliorativa (289). Ogni vocazione include una relazione di amicizia con Gesù e contiene la proposta della sequela, « come quello degli amici che si seguono, si cercano e si trovano per pura amicizia» (290). L'aiuto dei giovani nel discernimento della loro vocazione richiede, secondo Papa Francesco, tre sensibilità o attenzioni, distinte e complementari:
- attenzione alla persona, dandogli il tempo di cui ha bisogno per esprimere ciò che vuole e desidera (292);
- cogliere il punto del discernimento, dove è necessario distinguere la grazia dalla tentazione, le parole dello Spirito buono, che corrispondono alla verità di Cristo, dalle trappole, dagli inganni e dalle seduzioni dello spirito cattivo (293);
- ascoltare gli impulsi in avanti che la persona sperimenta, capire dove vuole andare veramente, ciò che vorrebbe essere: « Questo ascolto è attenzione all'intenzione ultima, che è quella che alla fine decide la vita [...] Gesù comprende e apprezza questa intenzione ultima del cuore. Per questo Egli è sempre pronto ad aiutare ognuno a riconoscerla» (294).
Inteso in questo senso il discernimento porta in luce la realtà profonda e unica della persona, una realtà che solo Dio conosce e può rivelare. A un certo punto quindi l'accompagnatore deve scomparire, per lasciare che la persona segua la strada che lei stessa ha scoperto (296); si tratta, dice Papa Francesco, di suscitare e di accompagnare processi di persone che sono sempre uniche e libere, mai di imporre dei percorsi, per questo bisogna sottoporre a discernimento sia i segni positivi sia quelli negativi, per cogliere in ciascuno di essi il valore che attende di essere riconosciuto ed esplicitato (297).
Questi documenti magisteriali contengono un insegnamento dettagliato sul discernimento spirituale, che come si è visto ripropone una sapienza antica con un linguaggio nuovo e diretto, conforme alla sensibilità contemporanea. In essi il contributo personale di Papa Francesco si definisce sempre meglio; emergono i caratteri di una relazione di accompagnamento amicale e di uno stile di vita ecclesiale fatto di vicinanza,rispetto e aiuto[23].
I segni della vocazione
Il tema del discernimento spirituale è connesso strettamente con quello della vocazione divina, in quanto l'oggetto del discernimento è il riconoscimento dell'azione dei diversi spiriti nel cuore dell'uomo e il fine è individuare e riconoscere la presenza dello Spirito di Dio, che suscita e sostiene ogni vera vocazione. Verso la metà del Novecento, un missionario d'Africa dei Padri Bianchi, padre Robert Marie Gay, ha svolto una tesi di dottorato in Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana di Roma su questo argomento, mettendo in luce i punti controversi e gli aspetti salienti del discernimento delle vocazioni; la tesi di laurea è stata pubblicata nel 1959 con il titolo Vocazione e discernimento degli spiriti[24] e dopo molti anni offre ancora un buon contributo.
Ciò che costituisce l'aspetto di novità e il valore permanente di quella tesi è la focalizzazione sull'opera della «grazia interna» nella dinamica della vocazione personale, la grazia che il discernimento degli spiriti intende appunto mettere in luce e verificare. Lo studio di padre Gay concerneva le vocazioni al sacerdozio ministeriale, ma lui stesso affermava già allora che la dinamica della «grazia interna» è presente in tutte le vere vocazioni: « Il principio chiamato in causa in questo lavoro vale non solo per il discernimento della vocazione sacerdotale ma anche per le vocazioni religiose e per ogni chiamata a un particolare stato di vita» (p. 14).
L'opera della grazia, infatti, cioè dello Spirito di Dio, nella vita e nell'interiorità della persona non può essere dimenticata se si vuole individuare l'elemento originario e dinamico della vocazione divina. Con l'acquisizione da parte del Concilio Vaticano II dei concetti di vocazione universale alla santità, in cui « lo Spirito Santo muove [tutti] dall'interno[25]» e di dignità della coscienza morale, in cui Cristo « svela pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione[26]», le tematiche affrontate negli anni Cinquanta del secolo scorso da padre Gay mantengono ancora la loro valenza e la loro utilità. D'altra parte lui stesso era consapevole della dimensione universale della vocazione divina e delle conseguenze per la teologia: « Se la vocazione dell'uomo alla santità è universale, è evidente che ognuno deve attuarla nel quadro della propria vita personale. Proprio a causa dell'assoluta universalità della causalità divina, nessuno stato di vita, celibato, matrimonio, vita religiosa, professione, sacerdozio, sfugge all'appello della volontà di Dio» (31).
In questa prospettiva universale padre Gay inserisce la sapienza della tradizione teologica sul discernimento degli spiriti e ritiene che esso sia primariamente un'attività della persona che vi è coinvolta, la quale aiutata dal magistero della Chiesa e dall'accompagnamento spirituale può giungere a riconoscere con sufficiente certezza la chiamata di Dio per lei e a decidersi per uno stato di vita o per qualche data situazione esistenziale. Padre Gay ritiene, insieme ad altri teologi del suo tempo, come ad esempio mons. Pier Carlo Landucci, che Dio comunichi direttamente la sua volontà all'uomo attraverso le ispirazioni dello Spirito Santo e che queste siano il mezzo ordinario della grazia e della comunicazione della volontà divina[27]; afferma infatti che: « Queste ispirazioni appartengono all'ordine comune e sono una cosa normale per ogni vocazione. E proprio questo fattore noi chiamiamo "grazia interna" d'una vocazione speciale» (34).
Sull'affermazione dell'esistenza della grazia interna e della sua natura di mezzo ordinario della comunicazione divina, egli sviluppa tutta la sua tesi.
Grazia interna e grazia esterna
La distinzione di padre Gay tra «grazia interna» e «grazia esterna», derivata dall'opinione teologica comune e dal magistero del suo tempo, permette di entrare in profondità nel discernimento delle vocazioni. In entrambi i casi si tratta, secondo il linguaggio teologico tradizionale, di «grazie attuali», cioè di un aiuto temporaneo dato da Dio all'anima per soccorrerla in un suo momento di bisogno. Questo aiuto viene definito «interno» per distinguerlo da altri di carattere esterno e storico che padre Gay descrive in questo modo: « per esempio, le persone, i luoghi, le diverse influenze esterne, le letture, le prediche, ecc... che manifestano le intenzioni della Provvidenza su questa o quella persona» (60).
Anche la grazia interna è definita in modo generale, con l'antropologia scolastica del teologo Landucci e con un linguaggio chiaro e duraturo: « La grazia interna, di cui si parla qui, è luce e forza insieme: luce per l'intelligenza che, col suo aiuto, può cogliere meglio le manifestazioni della volontà divina nelle cause naturali; forza per la volontà, che così soccorsa, potrà realizzare pienamente la sua missione» (61). In questa prospettiva, essendo una luce dell'intelletto, la grazia interna manifesta una prima funzione che si potrebbe chiamare sapienziale, in quanto permette alla persona di interpretare le grazie esterne e gli eventi storici come «segni» della volontà di Dio, cioè di riconoscere il loro valore « significativo» (64).
Essendo indicata come forza della volontà, la seconda funzione della grazia interna è di operare nella volontà «movimenti» di generosità, impegno e fermezza oppure desideri, progetti e intenzioni che andranno sottoposti a discernimento. Anche a essi si può attribuire il valore di «segni» della volontà divina, perché sono moti che non provengono dalla natura umana e che sono frutto della grazia interna: « sarà opera dell'individuo, aiutato da un buon direttore spirituale, il cercare di vedere se questi moti dell'anima sono illusione oppure vere espressioni della volontà di Dio» (66).
Comunicazione e manifestazione della grazia
Si pone quindi il problema del riconoscimento della grazia della vocazione, riconoscimento che avviene attraverso l'interpretazione dei segni della presenza operosa di Dio nella persona e nella storia. Si vedrà che l'autenticità di ogni vocazione va valutata nell'insieme, tenendo conto della grazia interna e dei fattori esterni che vi concorrono, gli elementi di carattere fisico, cognitivo, materiale e relazionale, i quali conferiscono l'idoneità necessaria per la realizzazione e l'esercizio dell'ispirazione ricevuta.
Questa può essere anche solo un buon desiderio, una santa aspirazione, sempre utile per la santificazione personale, ma se l'ispirazione non è confermata dai fattori esterni non può essere definita una vera e propria vocazione e quindi neppure una vera ispirazione divina. La dinamica dell'Incarnazione e il dogma dell'Unione ipostatica delle due nature nell'unica persona del Figlio portano all'integrazione dei due aspetti, quello interno e quello esterno, quello della grazia e quello della storia.
Il riconoscimento della grazia interna permette di cogliere l'elemento dinamico di ogni vocazione, il suo fondamento esistenziale. Come si è detto, la grazia in sé non può essere oggetto di comprensione diretta, in quanto ogni grazia contiene la presenza di Dio, che si autocomunica direttamente alla persona umana. La presenza di Dio può essere solo adorata e amata, non compresa e verificata empiricamente. Essa può essere riconosciuta però dai segni, cioè dai suoi effetti, che san Paolo nella Lettera ai Galati indica come i frutti dello Spirito (Gal 5,22 ), ben distinti dai frutti della carne (Gal 5,19-21 ).
La distinzione tra la «comunicazione» e la «manifestazione» della grazia permette di definire quale sia la certezza che si deve cercare e raggiungere nel discernimento degli spiriti, attraverso l'interpretazione dei segni, per non cadere in possibili illusioni e per evitare, come dice padre Gay, i pericoli del soggettivismo e dell'illuminismo[28].
Certezza morale sufficiente
Per definire la certezza propria del discernimento bisogna distinguere tra l'oggetto «immediato» del discernimento, cioè i diversi stati d'animo avvertiti dalla persona; l'oggetto «mediato», cioè lo spirito che produce quegli effetti, cioè il loro principio e la loro causa; l'oggetto «mediato prossimo», cioè lo Spirito Santo, attraverso il quale Dio si fa prossimo alla persona umana e opera in modo salvifico; quest'ultimo oggetto è l'obiettivo della ricerca e della conoscenza del discernimento.
Seguendo gli insegnamenti di san Tommaso d'Aquino, padre Gay ritiene che essendo la grazia interna, cioè la presenza operosa di Dio, conoscibile soltanto attraverso i suoi «segni», non è possibile una conoscenza scientifica e una certezza assoluta. La conoscenza attraverso i segni è una conoscenza congetturale e quindi la certezza raggiungibile sarà leggera, solo una certezza morale, che comunque è sufficiente per giungere alla decisione sulla propria vocazione. La certezza morale è chiamata da san Tommaso certezza di probabilità (probabilis certitudo): « San Tommaso parla di una conoscenza "probabile", ma che è anche una certezza, poiché secondo lui essa basta (sufficit) ad assicurare la moralità degli atti umani» (114)[29]». Questa è la certezza che si può ottenere nel discernimento!
Essa è sufficiente per giungere alla decisione e proprio la sua leggerezza lascia aperto lo spazio per la speranza e l'affidamento a Dio. Si illustreranno ora i quattro punti cardinali di ogni buon discernimento vocazionale secondo padre Gay: l'oggetto, l'atto, l'autore e le attitudini.
L'oggetto materiale e formale
Il discernimento vocazionale ha come fine il riconoscimento delle vere ispirazioni divine, quindi il suo oggetto materiale immediato sono i «moti dell'anima», i quali manifestano l'opera dei diversi spiriti e la grazia divina. L'oggetto materiale specifico è l'atto interiore che orienta la persona verso un fine. Si tratta di un atto di volontà che tradizionalmente si chiama «intenzione» ed è costituito da un ideale orientativo: « l'orientamento efficace dell'anima verso un fine è il prodotto di una serie d'atti dell'intelligenza e della volontà, i quali in definitiva si concludono nell'atto della volontà che si chiama intenzione» (176)[30].
L'atto della volontà nasce dalla conoscenza del fine ed è seguito da un desiderio vago di tendere a quell'ideale; poi, coi dati della memoria, l'intelligenza formula il giudizio sulla perseguibilità personale o no di quell'ideale; infine, la volontà accetta o rifiuta il giudizio e formula un atto di intenzione, che porta il desiderio iniziale, vago e indefinito, a diventare determinato e deliberato, volontà efficace, impegnata nel raggiungimento dell'ideale. L'atto intenzionale deve essere «sincero», corrispondere veramente al percorso interiore vissuto dalla persona; deve essere «vero», corrispondere cioè alla realtà e alla storia, al fine reale e ai mezzi disponibili; deve essere formalmente «retto», avere dei motivi giusti, onesti e corretti che lo guidano e lo sostengono.
In tal modo si forma la «retta intenzione» che è l'oggetto formale della ricerca conoscitiva del discernimento, il segno specifico che manifesta la presenza della grazia interna: « in quanto segno, questa retta intenzione costituisce l'oggetto formale proprio del discernimento della grazia interna» (185); essa è « il presupposto fondamentale delle regole del discernimento che sant'Ignazio propone per la scelta d'uno stato di vita» (190)[31] e costituisce l'elemento dinamico di ogni esistenza umana.
L'atto del discernimento
Dopo aver messo in luce l'oggetto specifico del discernimento, oggetto materiale e formale, padre Gay presenta gli elementi strutturali dell'atto di discernimento, che secondo la tradizione teologica proviene dalla virtù della prudenza, intesa come habitus soprannaturale della persona. L'atto del discernimento è distinto dall'atto della teologia del discernimento, in quanto è diverso il loro oggetto: la teologia considera i concetti universali che derivano dalla rivelazione o si estraggono dall'esperienza, mentre il discernimento concerne la grazia interna e le attitudini esterne che riguardano la singola persona e la sua intenzione fondamentale.
L'atto prudenziale di discernimento appartiene all'intelletto, si realizza col contributo della memoria e della volontà e si svolge in tre momenti successivi:
- la conoscenza dei principi teorici di riferimento, « i valori universali umani e soprannaturali che s'intrecciano in un'intenzione retta» (228);
- la deliberazione propriamente detta, che formula il giudizio teorico-pratico facendo il confronto tra le diverse possibilità, « potrà fare il confronto tra questi dati e giungere a riconoscere una intenzione come segno dell'azione divina o come frutto dello spirito della carne» (232);
- la formulazione di un auto-precetto concreto, mediante il quale il giudizio teorico-pratico diventa pratico-pratico e la persona decide di impegnarsi e di applicare la sua deliberazione
questo ultimo giudizio « è una cosa incomunicabile che dipende unicamente dal soggetto» (226); finché il giudizio è sospeso « il discernimento della grazia interna rimane praticamente inefficace in sé» (236); infatti, essendo il discernimento del soggetto inconcluso, egli non si attiva né si sente di procedere.
In ogni vocazione divina si manifestano sempre tre segni fondamentali: la retta intenzione, le attitudini personali e gli eventi storici che permettono la realizzazione dell'ispirazione. Senza l'ultimazione del giudizio e senza la certezza morale sufficiente l'intenzione originaria non è interpretabile come grazia divina e quindi non sono comprensibili come segni rivelativi e confermativi neppure le attitudini personali e gli eventi successivi.
I soggetti del discernimento
Alcuni problemi concernono anche l'autore del discernimento e i soggetti che vi sono coinvolti. Padre Gay ritiene che il primo responsabile del discernimento sia la persona stessa, la quale non può rinunciare alla propria responsabilità, neanche nel caso si tratti della vocazione al ministero sacerdotale, dove il ruolo del Vescovo è determinante nella valutazione della vocazione del candidato, o alla consacrazione religiosa, dove altrettanto decisivo è il giudizio del Superiore Generale sulla idoneità del religioso.
Una dinamica analoga avviene anche nella vita coniugale, dove il discernimento della grazia interna di una persona al matrimonio deve essere confermato dalla grazia interna dell'altra persona; senza la corrispondenza delle intenzioni e il riconoscimento reciproco della loro rettitudine non si può procedere alla celebrazione del sacramento; ciò che padre Gay ritiene necessario per il candidato al sacerdozio vale in realtà per ogni vocazione: « Si tratta di un dovere di coscienza, il candidato è il primo interessato a doverne rispondere; è lui l'autore principale del discernimento della grazia interna, sul piano della risposta all'appello» (278).
Tuttavia, la persona che affronta un percorso di discernimento della propria vocazione, può non avere tutte le informazioni necessarie per procedere nella decisione e quindi teme di seguire illusioni o tentazioni invece che le ispirazioni dello Spirito di Dio. La virtù della prudenza, soprannaturale e abituale, la condurrà allora a cercare un aiuto per il discernimento, a rivolgersi a qualcuno che considera competente, onesto, serio e affidabile, a chiedere informazioni per l'intelligenza e sostegni per la volontà. La persona per il suo discernimento si rivolgerà ovviamente a persone vicine, come fratelli, sorelle, amici, genitori, animatori, religiosi, insegnanti e sacerdoti.
C'è infatti un primo accompagnamento diffuso, che proviene dalla comunità in cui la persona vive. Può darsi però che lei non trovi lì l'aiuto specifico di cui ha bisogno e allora dovrà cercare qualcuno veramente esperto di discernimento e quando lo avrà trovato egli diventerà il suo accompagnatore spirituale; nella vita religiosa e nella formazione dei seminari questa figura è istituzionalizzata e opera per incarico dei Superiori maggiori o del Vescovo diocesano. Una virtù che padre Gay indica come un segno della presenza della grazia interna è la docilità, virtù che fa parte della prudenza: « la docilità di cui si parla qui esige non solo la recettività dell'intelligenza, ma anche la confidenza della volontà» (287).
Alla docilità nei confronti dello Spirito Santo, della comunità e dell'esperto accompagnatore, si oppongono però alcuni ostacoli:
- l'orgoglio intellettuale,
- la pigrizia volitiva,
- la timidezza naturale,
- l'infantilismo spirituale,
quest'ultimo è di chi si rimette al giudizio dell'accompagnatore senza formulare un giudizio proprio. Questi quattro pericoli indicano nel loro contrario le virtù di chi discerne: « sarà diligente, umile, cosciente della propria responsabilità, in tutte le sue relazioni» (290). Il dinamismo che conduce avanti il discernimento e l'accompagnamento è lo spirito della fede, non soltanto l'atto di fede, ma proprio il sentimento che si fonda sulla fede e che guida il discernimento da dentro.
L'intenzione e le attitudini
Come si è detto, ogni buon discernimento della grazia vocazionale tende a mettere in luce la retta intenzione e le attitudini necessarie per realizzarla; è un discernimento che prima deve fare la persona che vi è coinvolta e poi l'autorità ecclesiale, la quale ha il compito di valutare la sua idoneità ed eventualmente di confermare e accogliere la sua vocazione. Il giudizio dell'autorità competente sugli elementi della vocazione dovrà tener conto dei pareri dei vari collaboratori e sarà formulato seguendo l'ispirazione dello Spirito Santo.
L'attenzione alle attitudini oggettive della persona attribuisce loro il valore di « criterio negativo» (336), nel senso che chi ne risulta sprovvisto non può essere chiamato da Dio su quella strada, mentre chi ne è provvisto può continuare il discernimento. In questo secondo caso poi il giudizio dell'autorità potrà essere negativo e non corrispondere al giudizio della persona, pertanto se la grazia vocazionale non è riconosciuta la persona non può procedere. Invece, nel caso il giudizio sia positivo e l'autorità competente riconosca la presenza della grazia vocazionale, la persona dovrà comunque continuare il suo discernimento per giungere al giudizio pratico-pratico sulla sua intenzione e sulle sue attitudini, tenendo conto del giudizio ricevuto dall'autorità competente e degli eventi storici che l'accompagnano.
La grazia interna condurrà la persona alla « valorizzazione» (341) delle sue attitudini e a scoprire il loro valore di segno della volontà divina; l'esperienza dei santi dimostra che la grazia porta anche a interpretare gli eventi storici come segni della chiamata divina e ad attribuire loro un significato rivelativo. La grazia della retta intenzione valorizza attitudini e avvenimenti, riconosce il loro valore di segno e ne comprende il significato, infine giunge a formulare il giudizio pratico-pratico, il quale intima alla persona il suo compito e la sua missione, per la gloria di Dio e il bene delle anime.
Riflessioni conclusive
Tenendo conto della situazione della società contemporanea, caratterizzata dalla frammentazione delle culture e dalla pluralità delle opinioni e dei valori personali, spesso ritenuti effimeri e mutabili, la «sapienza del discernimento» è di grande attualità, sia a livello individuale, per sapersi orientare in un ambiente multiforme e in continua trasformazione, sia a livello comunitario, per mantenere i valori che fondano e orientano la comunità a cui si appartiene e per poterli aggiornare e adeguare alle nuove necessità.
La riflessione teologica sul discernimento, frutto di una tradizione che ha attraversato i secoli e le culture, non è necessaria solo per i suoi contenuti concettuali, ma anche per l'atteggiamento relazionale che comporta e che insegna a vivere. Il discernimento, come ha ricordato ultimamente il più alto magistero ecclesiale, non è una sapienza teologica concettuale e astratta, ma un atteggiamento esistenziale, uno stile di vita e un modo relazionale. Esso richiede e nello stesso tempo favorisce, una comprensione positiva del mondo, dell'uomo e dell'ambiente.
Al di là dei conflitti etici e culturali, il discernimento tende a riconoscere la presenza e l'opera dello Spirito e porta a individuare la grazia profonda, che si manifesta con segni ed effetti, da interpretare con prudenza. La conoscenza del discernimento, come ha insegnato san Tommaso d'Aquino, non è una «conoscenza scientifica», almeno come si intendeva allora la scienza: non ha modalità deduttive e logicamente vincolanti.
Piuttosto essa è una sapienza che si acquista con l'esperienza, lo studio e la grazia di Dio. Secondo la tradizione, la sapienza del discernimento è una sapienza «acquisita», frutto della propria applicazione e del proprio studio, ma anche una sapienza «infusa», un dono di Dio e un carisma dello Spirito Santo. L'affermazione di san Tommaso sulla conoscenza del discernimento rimane comunque valida, anche se la concezione della scienza è cambiata. Oggi per scienza si intende una conoscenza empirica, che parte dai dati dell'esperienza, fa ipotesi interpretative e le verifica con esperimenti. Il discernimento non è neppure una conoscenza di questo genere, non ha un apparato scientifico che consideri dati empirici verificabili.
Tuttavia, la conoscenza del discernimento ha una sua precisa metodologia e una sua logica, per cui la si può inserire oggi nella «conoscenza ermeneutica», la scienza dell'interpretazione delle forme, che coglie nei fenomeni l'essenza profonda che li sostiene e che in essi si esprime. Un buon discernimento richiede sempre un atteggiamento ermeneutico, con tutto ciò che esso comporta: vicinanza empatica, percezione dei fenomeni, distacco per la lettura, confronto con la propria esperienza, intuizione dell'essenza e percezione del significato.
L'ermeneutica è una scienza nata dallo studio dei testi, passata poi alla comprensione delle opere d'arte, degli eventi storici e infine dell'intera realtà. Per comprendere le divine ispirazioni non si può fare a meno dell'atteggiamento ermeneutico, perché l'oggetto è una realtà complessa e in movimento, un'essenza che si esprime in fenomeni che vanno compresi nel loro significato profondo. L'indicazione di san Tommaso sulla conoscenza del discernimento come di una «conoscenza congetturale», che parte dai segni, giunge a una verità probabile e possiede una certezza morale, rimane ancora valida, perché i segni sono i fenomeni della realtà profonda della grazia, che si manifesta nell'interiorità e nella vita della persona.
La distinzione teorica tra «discernimento spirituale», espressione usata per indicare le procedure guidate dallo Spirito Santo, e il «discernimento degli spiriti», per riferirsi invece all'oggetto specifico della procedura, ha una valenza permanente. Non ci può essere un vero discernimento senza una componente spirituale e trascendente, senza il riferimento all'aiuto di Dio. Storicamente, il discernimento cristiano nasce come discernimento delle ispirazioni e il suo oggetto materiale sono sempre stati gli spiriti che influiscono sulla persona umana. Tuttavia, esso può essere applicato a qualsiasi oggetto che comporti una scelta da fare.
Discernere rimane un'attività importante della vita umana e va vissuta bene. Per la persona che ha la fede e che è mossa dallo Spirito di Dio, il discernimento è sempre accompagnato dalla preghiera per la luce e la forza della grazia. Invece per chi non vive l'esperienza cristiana, ma ha comunque la percezione del Mistero Santo in cui la propria esistenza è collocata, il discernimento comincia con l'ascolto della coscienza e dei movimenti che vi avverte. Tra essi potrà percepire delle risonanze positive e durature, che lo guideranno progressivamente verso il suo vero bene, che in realtà è la volontà di Dio per lui. Essendo l'oggetto formale del discernimento il riconoscimento delle mozioni divine, il suo principale ambito di applicazione sono le ispirazioni vocazionali, come ha dimostrato padre Robert Gay. Il discernimento della vocazione è il discernimento di una possibile ispirazione divina, che va messa in luce. Padre Gay ha insegnato che il primo responsabile del discernimento è la persona stessa che vi è coinvolta, colui o colei che avverte i movimenti dello Spirito di Dio.
Questa affermazione richiama il fondamento dogmatico del discernimento, in quanto è la grazia di Dio che genera nella persona il movimento che la orienta in una direzione. Può darsi che l'orientamento non sia chiaro, che abbia ancora bisogno di maturare e di definirsi. In quel momento appare la necessità di un accompagnatore, di un aiuto al discernimento personale. L'accompagnatore deve assumere gli atteggiamenti suggeriti dal magistero ecclesiale contemporaneo: la vicinanza, l'ascolto, la comprensione, la pazienza, il rispetto, l'insegnamento ben preparato e delicato.
L'Esortazione apostolica Christus vivit che ha concluso il Sinodo dei Vescovi del 2018 ha messo bene in luce l'obiettivo di ogni discernimento vocazionale, come già aveva fatto Robert Gay. Negli anni Cinquanta del secolo scorso la teologia parlava della «retta intenzione», vista come un segno della grazia interna della vocazione; oggi il più alto magistero delle Chiesa parla della «intenzione ultima», che guida e unifica il vissuto esistenziale della persona. Quello è l'oggetto principale del discernimento, l'ispirazione da mettere in luce, l'atto di cui prendere coscienza e da valutare! Padre Gay ha dimostrato che il chiarimento dell'intenzione fondamentale non conclude il discernimento, perché essa deve essere verificata dalle attitudini necessarie alla sua realizzazione ed essere confermata dagli eventi successivi.
Al riguardo si può ricordare che padre Karl Rahner ha insegnato a distinguere tra il «momento pre-riflesso» della grazia, quando Dio si comunica all'uomo e lo muove da dentro, e il successivo «momento riflesso», in cui la persona prende consapevolezza della grazia ricevuta e si attiva responsabilmente per attuarla. Sono tutti elementi da tenere presenti, sia nel discernimento proprio sia nell'aiuto a quello altrui, affinché il discernimento possa essere fatto bene e portare i frutti di pace che si desiderano.
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