Encicliche missionarie
Le Encicliche missionarie hanno come tema specifico la missione. Da sempre infatti i Pontefici nella fedeltà al mandato divino di evangelizzare il mondo hanno preso parte attiva all'opera missionaria con direttive, istruzioni, encicliche, lettere pastorali e documenti di ogni genere.
Nel 1662 Gregorio XV fondò il dicastero della Sacra Congregazione de Propaganda fide ( oggi Sacra Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli) alla quale affidò il compito specifico dell'evangelizzazione. Da allora il tema della missione è entrato a far parte delle riflessioni del Magistero pontificio principalmente riguardo alla:
- formazione del clero locale o autoctono
- inculturazione del Vangelo
- cooperazione missionaria
Non pochi pontefici hanno poi accompagnato l'impegno per la missione con i loro viaggi apostolici in tutte le parti del mondo[1]
Encicliche missionarie nella Storia della Chiesa
Si fornisce un elenco di encicliche ordinate secondo un criterio cronologico, a partire dalla più antica fino a raggiungere la più recente.
Prope nostis
La prima enciclica missionaria è la Prope nostis di Gregorio XVI del 15 agosto 1840[2]. Il papa si rallegra per i felici progressi della propagazione della fede in molte parti del mondo, ottenuti nonostante gli sforzi fatti dai nemici della verità per attirare anche i popoli cattolici. Nel testo si afferma che occorre avere fiducia, perché Dio non abbandona la sua Chiesa e si sottolinea il fatto che nuove istituzioni, anche di suore e laici hanno arricchito con i loro carismi la realtà ecclesiale.
Il papa apprezza in particolare l'Opera della Propagazione della Fede, fondata nel 1822 a Lione in Francia e prega i vescovi di incrementare, attraverso un capillare lavoro nelle diocesi i frutti di questa realtà.[3]
Sancta Dei civitas
Sancta Dei civitas è l'enciclica di Leone XIII, pubblicata il 3 dicembre 1880 e dedicata all'evangelizzazione[4]
Il pensiero centrale del documento è la cooperazione missionaria di tutti i fedeli attraverso la preghiera e l' elemosina. Il testo cita espressamente l'Opera della Propagazione della Fede che nei sessant'anni di vita ha contribuito al sostentamento delle missioni e dei missionari. Menziona anche le due opere missionarie fondate dopo: L'Opera della Santa Infanzia, nel 1843 e l'Opera d'Oriente, detta anche l'Opera delle Scuole d'Oriente, nel 1856. Esorta i fedeli a provvedere con zelo alle necessità di queste opere ed invita a realizzare con gioia una vita consacrata alla missione.
L'esiguo numero dei missionari infatti non permette la conoscenza Vangelo a tutti i popoli della terra. La mancanza di vocazioni missionarie viene attribuita alle leggi civili contro gli ordini religiosi. Il Papa esorta quindi i fedeli a pregare per la promozione delle vocazioni missionarie.
Maximum illud
Benedetto XV pubblicò il 30 novembre 1919[5][6] la lettera apostolica Maximun illud.
L'Europa usciva appena dalla Prima guerra mondiale che aveva lasciato profonde ferite materiali e lacerazioni psicologiche ed umane. Anche per le missioni e l'evangelizzazione dei popoli la guerra era stata disastrosa. Questa enciclica rappresentò per l'epoca la ripresa di un dialogo e fu così importante e programmatica, da essere considerata una pietra miliare. Sotto i successivi pontificati ne vennero riprese e ampliate le linee guida.
Con essa, infatti, il Papa orienta in modo nuovo l'opera missionaria della Chiesa. Si rivolge ai vescovi e ai superiori missionari e li esorta ad avere come intento non solo quello di essere buoni pastori del gregge, ma anche quello di promuovere continuamente l'evangelizzazione nel loro territorio. Egli invita, inoltre, gli ordini religiosi a non considerare come proprietà personale le zone di missione loro affidate, ma di accettare volentieri la cooperazione di appartenenti ad altri ordini: Auspica l'impiego di un maggior numero di suore missionarie per la conduzione di scuole, orfanotrofi ed ospedali.
Ma la novità più importante dell' enciclica di Benedetto XV riguarda la formazione del clero autoctono e la sua preparazione ad assumere la guida della missione. Il testo fa quindi riferimento all'istituzione di vere Chiese particolari e locali in comunione con il Papa. I superiori missionari devono quindi essere i responsabili di questo compito delicato.[7] Soltanto il sacerdote indigeno, afferma il testo dell'enciclica, può veramente radicare il messaggio cristiano nel suo popolo e nel suo ambiente[8].
Il Papa richiama poi l'attenzione sui Collegi, in particolare il Collegio Urbano di Propaganda Fide, istituiti a Roma per la formazione del clero indigeno[9] e sulla necessità che essi vengano eretti in tutte le zone di missione. In questa direzione l'enciclica ricorda che non vi sono ancora vescovi indigeni.
Nella parte diretta ai missionari il Papa sviluppa un altro pensiero centrale dell'enciclica, che si può definire anticoloniale. Il testo infatti avverte i missionari di non compromettere l'attività di evangelizzazione con interessi politici, nazionali e soprattutto con la politica coloniale.[10]
Il Papa raccomanda una solida formazione ai missionari prima che essi intraprendano la loro attività.Ogni missionario deve essere "scientificamente" all'altezza del suo compito, non solo per motivi inerenti alla controversia teologica che può trovare ma anche allo scopo di riscuotere maggiore credito presso il popolo che egli ha il mandato di evangelizzare.
Nell'ultima parte dell'enciclica il Papa si occupa degli aiuti alle missioni da parte dei fedeli. Sottolinea che è dovere di ogni cristiano sostenere le missioni con la preghiera e le elemosine, nonché promuovere vocazioni missionarie. Questi doveri possono essere compiuti nel modo migliore attraverso le Opere Missionarie della Propagazione della Fede, della Santa Infanzia e di San Pietro Apostolo.
I sacerdoti, invece, devono aderire all'Unione Missionaria del Clero, che deve essere presente in tutte le diocesi.
Rerum Ecclesiae
Rerum Ecclesiae è l'enciclica pubblicata il 28 febbraio1926 da Pio XI[11]. Riprende le linee già espresse da Benedetto XV, soprattutto in merito alla costituzione di autentiche Chiese particolari. Queste possono fondarsi sul clero autoctono ma anche - e questo è un elemento nuovo dell'Enciclica- su congregazioni religiose indigene, anche di vita contemplativa. Pio XI sottolinea che l'opera missionaria è un obbligo di carità verso Dio ed il prossimo ed interessa tutti i fedeli, chiamati ad una continua preghiera in favore delle missioni.
I vescovi devono favorire le vocazioni missionarie senza preoccuparsi per l'eventuale mancanza di vocazioni sacerdotali per la diocesi. Le Pontificie Opere Missionarie per La propagazione della Fede vengono fortemente raccomandate. Per quanto riguarda la formazione del clero autoctono l'Enciclica sottolinea (come già aveva fatto Benedetto XV nella Maximum illud) che ancora non sono stati nominati vescovi indigeni, nonostante la Storia della Chiesa primitiva insegni che gli Apostoli avevano trasmesso di volta in volta il governo delle nuove comunità al clero locale.[12]
Quindi il Papa traccia un'immagine concreta della Chiesa locale: è la Chiesa di Cristo istituita e stabilita in paesi lontani. Ed è essa stessa - prosegue l'enciclica nella sua esposizione - missionaria perché è fondata grazie alle energie umane delle comunità dei fedeli dei vari popoli, senza dover contare necessariamente sull'aiuto esterno.
A tal fine si raccomanda che gli indigeni, di ambedue i sessi vengano ammessi alle congregazioni religiose già esistenti, e che siano fondate delle congregazioni autoctone, adatte e conformi alla mentalità della popolazione locale e alle condizioni di vita loro proprie. Anche questo -afferma il documento- è un elemento costituivo della Chiesa locale. Inoltre occorre favorire anche nelle missioni la vita contemplativa, non solo per il suo valore intrinseco, ma anche perché corrisponde alle disposizioni naturali dei vari popoli.
Nell'ultima parte si insiste sulla formazione dei catechisti e vengono forniti orientamenti riguardo l'organizzazione dei territori missionari e la promozione delle scuole per la crescita umana e culturale della terra di missione.
Al momento della pubblicazione di questa Enciclica missionaria erano in corso le nomine dei primi vescovi cinesi dell'epoca moderna. Il 28 ottobre 1926 furono consacrati a Roma da Pio XI sei vescovi cinesi.
Evangelii Praecones
Pio XII pubblicò la Evangelii Praecones il 2 giugno 1951[13] una nuova enciclica missionaria, venticinque anni dopo quella, sempre sullo stesso tema, del suo predecessore. Con essa la Chiesa offrì un ulteriore incremento al processo, già in atto, di indigenizzazione e inculturazione del messaggio cristiano nelle Chiese locali.
Le disastrose conseguenze della Seconda Guerra Mondiale ed il rapido sviluppo del conseguimento dell'indipendenza politica dei popoli fino ad allora sottoposti a dominio coloniale ne avevano dimostrato l'urgenza e l'unica strada da seguire per un'efficace evangelizzazione.
Nell'enciclica il papa si rallegra per i progressi raggiunti dalle missioni durante gli ultimi venticinque anni. In particolare sottolinea come il numero del clero indigeno e straniero impegnato nelle missioni sia salito da 14.800 a più di 26.000 unità; che 88 Chiese missionarie siano state affidate a responsabili locali; che in alcuni paesi sia stata già creata una gerarchia ecclesiastica ordinaria con vescovi indigeni; che il numero dei seminaristi sia in aumento; che in Indocina, Australiae India siano stati convocati concili plenari; che siano stati eretti in diverse Università Istituti missionari; infine che siamo state istituite cinque nuove delegazioni apostoliche in terre di missione.
Il papa ricorda gli scopi della missione:
- annuncio del Vangelo
- fondazione di nuove Chiese locali
- sviluppo della cultura umana e civile
- concordia tra i popoli
ed i mezzi per ottenere queste finalità:
- formazione del clero autoctono
- nomina di vescovi locali
Un profondo desiderio del Papa espresso in questa enciclica riguarda l'introduzione dell'Azione Cattolica nelle chiese locali delle missioni, affinché in essa i laici vengano spronati a contribuire per la loro parte alla costruzione della Chiesa e alla sua influenza sull'ambiente culturale e sociale.
A tal fine ricorda quanti laici in tutti i tempi nella Storia della Chiesa abbiano contribuito alla propagazione della fede e allo stabile inserimento della Chiesa tra i popoli.[14]
L'enciclica auspica l'efficace contributo di tutta la comunità delle giovani Chiese allo sviluppo intellettuale dei popoli, invitando alla fondazione di scuole, collegi, all'educazione della gioventù così come alla produzione e alla diffusione della stampa cattolica.
Tra i compiti delle giovani Chiese vengono segnalati inoltre l' assistenza sanitaria e l'assistenza sociale sulla quale il Pontefice insiste particolarmente anche come strumento per la diffusione della dottrina sociale della Chiesa.
L'enciclica si chiude con un appello al popolo cattolico perché sostenga le missioni con la preghiera e l'offerta, particolarmente attraverso le Pontificie Opere Missionarie
Fidei Donum
Per approfondire, vedi la voce Fidei Donum (enciclica) |
È l'enciclica di Pio XII e datata 21 aprile 1957; riguarda in particolare le Chiese locali dell'Africa. Gli anni cinquanta del secolo scorso coincisero infatti, dal punto di vista missionario, con l'emancipazione dell'Africa sia dal punto di vista politico che religioso. Nella maggior parte dei territori di missione si era creata all'epoca una gerarchia ecclesiastica ordinaria con numerosi vescovi africani. Il Papa nell'enciclica sottolinea come il continente si trovi ad un punto cruciale della sua storia. I suoi popoli sono esposti ai pericoli del falso nazionalismo e del materialismo e la Chiesa deve perciò impegnarsi ad eliminare ogni ostacolo al loro sviluppo integrale.
Si rivolge anche ai vescovi di tutta la Chiesa chiedendo di appoggiare le vocazioni missionarie, di promuovere l'Unione Missionaria del Clero e le altre Opere della Propagazione della Fede. Esorta a collaborare con i direttori nazionali delle Pontificie Opere Missionarie nell'accogliere i giovani venuti dai Paesi di missione per studiare nelle Università cattoliche e nel favorire la formazione di laici capaci di dirigere attività missionarie.
Per sottolineare la comunione della Chiesa universale il Papa propone nell'enciclica che i vescovi mettano alcuni dei loro sacerdoti diocesani, almeno per un certo tempo, a disposizione dei vescovi africani. Da allora questa iniziativa è stata fatta propria da molti vescovi, e numerosi sacerdoti svolgono il loro ministero al servizio dei fratelli nelle Chiese in terra di missione. Tali sacerdoti vengono perciò chiamati fidei donum .
Princeps Pastorum
Princeps Pastorum è l'enciclica di Giovanni XXIII pubblicata il 28 novembre 1959[15], quaranta anni dopo la prima grande enciclica missionaria del XX secolo. Riprende le direttive già emanate in ordine alla formazione delle Chiese locali. Sottolinea ancora l' esigenza della creazione di gerarchie locali con vescovi autoctoni e la necessità di incrementare il clero nativo. Gran parte dell'enciclica è dedicata alla formazione dei sacerdoti autoctoni che devono essere preparati ed avere senso di responsabilità e di iniziativa. Devono in particolare promuovere centri di diffusione della cultura, specialmente nelle nazioni di antica formazione. Il Papa auspica che il clero nativo possa contribuire al bene del proprio Paese. A tal fine sarebbe opportuno che i seminaristi dell'Asia e dell'Africa siano formati dai propri connazionali e che il clero nativo assuma ben presto la direzione delle diocesi.
Più della metà dell' enciclica è riservata a mettere in rilievo l'importanza del laicato cattolico nelle missioni e contiene opportune direttive in merito. Il Papa espone in modo particolareggiato i compiti dei laici che devono collaborare in piena autonomia, soprattutto nell'ambito dell'Azione cattolica. I laici vengono invitati ad impegnarsi nella propagazione della fede e a partecipare, conformemente ai principi cristiani all'evoluzione sociale, economica e politica del loro paese e del loro popolo. Nel contesto dell'apostolato laico speciale attenzione viene posta all'opera dei catechisti. Il Papa chiede alle organizzazioni cattoliche internazionali di estendere il loro aiuto, sotto la direzione dei vescovi, agli studenti che dall'Asia e dall'Africa si recano in Europa e in America e di incrementare sempre più le missioni.
Redemptoris Missio
Redemptoris Missio è l'enciclica di Giovanni Paolo II pubblicata il 7 dicembre 1990[16], in occasione del venticinquesimo anniversario del Decreto conciliare Ad Gentes. Due i motivi principali del documento: rinnovamento della fede e della vita cristiana mediante un nuovo slancio missionario[17]. Il Papa si sente spinto a proclamare l'urgenza della missione missionaria perché essa costituisce il primo servizio che la Chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità nel mondo odierno. Il documento offre risposte teologiche a interrogativi e dubbi, e alle ambiguità di certe opinioni missiologiche.
Nel primo capitolo ("Gesù Cristo unico Salvatore") il Papa chiarifica inequivocabilmente che la mediazione di Cristo è unica e universale, non escludendo mediazioni in virtù di una grazia che proviene da Cristo e che è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito Santo. Per questo la missione oltre che dal mandato del Signore deriva dall'esigenza profonda della vita di Dio in noi.
Nel secondo capitolo ("Il Regno di Dio") si afferma che la proclamazione e l'instaurazione del Regno di Dio sono l'oggetto della missione di Cristo e di conseguenza della Chiesa. Lo Spirito Santo la rende tutta missionaria: la guida, ed è presente in ogni tempo e luogo.
Il terzo capitolo ("Lo Spirito Santo protagonista della missione") centra la sua attenzione sullo Spirito Santo che è il protagonista della missione: orienta ogni iniziativa a Cristo e la vivifica.
Il quarto capitolo ("Gli immensi orizzonti della missione "ad gentes" ) si sofferma sul valore, sulle difficoltà e le aperture della missione ad gentes, che rappresenta ancora oggi la massima sfida per la Chiesa.
Nel quinto capitolo ("Le vie della missione ") si espone lo scopo e le vie della missione : l'annuncio di Cristo Salvatore, la conversione, la formazione elle Chiese locali, l'incarnazione del Vangelo nelle culture dei popoli. In questo contesto l'enciclica delinea grandi temi del dialogo interreligioso, che fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa,e della ppromozione umana, materiale e spirituale dei popoli.
Nel sesto ("I responsabili e gli operatori della pastorale missionaria") e nel settimo capitolo ("La cooperazione all'attività missionari") ci sono opportune direttive per i responsabili e gli operatori della missione. Inoltre contengono strategie di intervento per la cooperazione missionaria dei fedeli, che include anche la partecipazione diretta dei laici. Il documento presenta come segno dell'universalità del Regno di Dio proprio la comunione mistica e sostanziale tra le Chiese locali ed i fedeli.
L'ultimo capitolo ("La spiritualità missionaria") affronta il tema dell'intima comunione con Cristo che è la nota essenziale della specifica spiritualità missionaria. Questa si manifesta nella carità per i fratelli, nell'amore per la Chiesa e nella santità di vita del missionario.
Questa enciclica può chiamarsi la magna charta dell'evangelizzazione per il terzo millennio. Con essa il Papa riassume la dottrina della Chiesa e dei suoi Predecessori ( facendo riferimento in particolare, oltre al Decreto conciliare Ad Gentes, anche alla lettera apostolica Evangelii Nuntiandi); la arricchisce inserendovi come compito della missione universale della Chiesa anche la rievangelizzazione dei popoli.
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