Giuseppina Faro
Giuseppina Faro Vergine · Laica consacrata | |
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Serva di Dio Giuseppina Faro. Casa Museo Domus caritatis di Giuseppina Faro | |
Età alla morte | 24 anni |
Nascita | Pedara (Ct)[1] 16 gennaio 1847 |
Morte | Pedara 24 maggio 1871 |
Sepoltura | Pedara (Ct) Chiesa di Maria Santissima Annunziata |
Appartenenza | Arcidiocesi di Catania |
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La Serva di Dio Giuseppina Faro, anche conosciuta come Beata Peppina (Pedara (Ct)[1], 16 gennaio 1847; † Pedara, 24 maggio 1871), è stata una vergine e laica consacrata italiana.
Biografia
Terzogenita di una delle famiglie più agiate e influenti del piccolo comune etneo, nacque a Pedara[1] il 16 gennaio 1847, da Alfio Faro, medico particolarmente attento ai poveri, e da Teresa Consoli, donna di profonda religiosità, che ebbe cura di trasmettere ai figli. Ricevette il sacramento del Battesimo il giorno dopo la nascita nella Chiesa Madre di Santa Caterina Alessandrina[2] dal sacerdote Andrea Barbagallo. Il padrino fu il nonno materno, Gaetano Consoli.
Contesto storico e famigliare
Giuseppina Faro si trovò a vivere nel periodo della storia siciliana e italiana compreso fra la rivoluzione siciliana del 1848[3], i fenomeni del brigantaggio, gli anni della soppressione degli ordini religiosi e gli effetti della presa di Roma[4].
Su questo sfondo, ricco di incertezze, malesseri sociali e profondi cambiamenti, i suoi valori e l'esperienza religiosa, fondata sulla certezza della presenza di Dio nella storia e quindi sulla speranza, incisero in profondità nel tessuto sociale del suo tempo: testimonianza di vita cristiana impegnata e per la capacità di farsi prossimo ai poveri nel paesino di Pedara che, a metà ottocento, contava circa tremila abitanti.
Negli eventi risorgimentali[5], la famiglia Faro ebbe ruolo di protagonista. Nel 1848 a Pedara si costituì un "consiglio civico" di cui facevano parte il nonno materno e il padre (1812-1881) di lei. Quest'ultimo più volte era stato eletto decurione[6]. Anche al primo "consiglio civico", che si organizzò subito dopo lo sbarco dei Mille[7], prese parte il fratello di Giuseppina, Emanuele. Lo zio Filadelfo (1813-1883), noto avvocato, nel 1867 fu eletto deputato al parlamento italiano nel collegio di Paternò[8]. Questi militò nelle fila della sinistra liberale[9]. Il prozio Luigi Antonio (1755-1832), invece, dal 1819 al 1824 divenne priore generale dell'Ordine Carmelitano.
Nonostante il rilievo sociale e l'agiata posizione economica (nel 1838 il nonno paterno, Emanuele, risultava al primo posto nella lista dei ricchi), i genitori di Giuseppina erano particolarmente sensibili ai bisogni della gente; soprattutto a quelli dei braccianti e dei coloni parziari, le cui condizioni di vita rasentavano la miseria. La casa dei Faro, aperta agli strati più sfavoriti della popolazione, fu inoltre l'unica, a Pedara, che dispose di un oratorio privato[10]. Questo era il clima abituale che respirava in casa la "Beata Peppina", chiamata così dalla gente.
La formazione
Da queste "confidenze" emerge chiaro il suo stile di "farsi prossimo" ai più poveri e sofferenti. Ciò la spinse a fare esperienza di povertà e consegnarsi totalmente a Dio. La bontà del carattere, descritto come facile al sorriso, ottimista di natura, portata alla carità si rivelò in lei fin da bambina. Con questo bagaglio di qualità naturali, fu avviata allo studio delle lettere e delle arti. I genitori volevano che, attraverso lo studio, "ingentilisse l'animo". Fornita, inoltre, "di orecchio delicato e di bella voce ebbe grande genio per la musica e l'apprese ben presto sotto la direzione di persona versata in tal disciplina"[11]. Si recava anche al teatro Massimo di Catania dove la sua famiglia soleva periodicamente andare.
A tredici anni cominciò a meditare sulla vita di Gesù interrogandosi sulla possibilità di vivere e ripercorrerne l'insegnamento, consacrandogli la sua verginità e intraprendendo una missione educativa. Il dinamismo, intessuto di piccoli gesti quotidiani, con cui perseguiva questo progetto di fedeltà a Dio e la semplicità con cui si relazionava con gli altri diventarono il riflesso di una vita interiore vissuta come laica consacrata o, come in quel tempo si diceva, "monaca di casa"[12] o bizzocca[13] che conduceva la sua vita "in un ambiente di perfetta mortificazione", che comportava il "lasciare le vesti signorili e vestire da umile devota". Proprio lei - commentano i suoi biografi - che fino ad allora aveva mostrato eccessivo attaccamento all'eleganza della persona e si vestiva con una certa ricercatezza.
Farsi "monaca di casa"[12] era una modalità di vita, che tornava utile alle famiglie agiate, per evitare di disperdere il loro patrimonio. Nel caso di Giuseppina, però, non era questo il progetto dei genitori. All'età di circa quindici anni, solo dopo "due anni di preghiere e di prove", ottenne dalla madre il permesso di vestire da bizzoca[14]. Le amiche, attratte dai valori esemplari della sua testimonianza, volevano stare con lei non solo per il fascino umano che emanava dalla sua persona, ma perché in lei vedevano l'incarnazione di un progetto d'amore per Dio e per i poveri. Si sentivano, pertanto, sollecitate a condividerlo. Trasformò così la sua casa in "ritrovo di anime pie" che l'accompagnavano in Chiesa e nelle stamberghe[15] dei poverelli.
Servire i poveri e gli ammalati con fraterno slancio era per Giuseppina, pertanto, aperta alla voce dello Spirito, nel silenzio dell'essere, traduce la fede in itinerari di impegno cristiano e di solidarietà.
La vita consacrata ai poveri
A diciassette anni, nel 1864, introdusse nella chiesa madre[2] la pratica della recita quotidiana del rosario con il canto delle Litanie lauretane, le novene delle feste mariane e le pie devozioni del mese di maggio. Nello stesso anno realizzò la sua missione educativa, principalmente rivolta all'integrazione sociale dei più poveri. Vestita da contadina e accompagnata da donne familiari, correva per le case delle povere ammalate a spazzarne il lurido bugigattolo e prepararne a sue spese e con le sue mani il cibo, a medicarne le marciose e insanguinate pezzuole. Giuseppina con questi atti di carità mise nella sua lampada l'olio della fedeltà dinamica, si prese cura di tante vite spezzate. Durante le carestie che afflissero il paese negli anni sessanta e il colera del 1867, che fece molte vittime, Giuseppina fu molto attiva. Per evitare sprechi o sfoggio inopportuno di benessere, sedendo a mensa si metteva sovente sulle gambe un foglio di carta forte per non insudiciarsi la veste e, di nascosto, lasciava cadere la sua porzione di carne o altra pietanza che, poi, nascondeva nel grembiule, per portarla ai bisognosi. I parenti, per contentarla, lasciavano a tavola pane e altro. Al togliersi della mensa, tutto raccoglieva per farne dono. Soleva nascondere gli avanzi dietro un quadro di san Giuseppe che poggiava su un mobile. Quando si recava in chiesa, nell'uscire dal suo giardino, per evitare una delle vie principali del paese, chiamava qualche bambino povero a cui insegnava i primi rudimenti della fede e gli donava quegli avanzi. Diceva a loro: « Impara le orazioni e io ti farò un vestito». E manteneva le promesse.
La vita monastica
Cresceva in lei il desiderio di farsi monaca. Voleva ritirarsi in convento, ma non fu facile. I genitori - pur essendo cattolici praticanti - non diedero il consenso. Solo a ventun anni, nel 1869, poté entrare come educanda nell'antico monastero di San Giuliano di Catania[16]. Sul periodo di permanenza in questa istituzione le fonti sono discordanti: il Caruso assegna l'ingresso soltanto a ventun anni, cioè nel 1868[17]. Il Gaeta, invece si riferisce all'inverno 1869[18]. Monsignor Coco Zanghi[19] che si recava in monastero per confessare le monache, ci descrive di Giuseppina l'abitudine costante alla preghiera, la capacità di obbedienza, l'amore a Gesù Eucaristico, le meditazioni sulla persona di Cristo. In tutte le tappe della vita della "Beata Peppina" emerge la dimensione dell'interiorità. Questo elemento, ricco di significato e di valore, ha dato slancio alla sua unione con Dio, efficacia alle sue relazioni educative e l'ha resa disponibile al cambiamento, in una prospettiva progettuale di santità.
La malattia
In monastero agli inizi del 1871 venne colta da una grave malattia. Il fatto convinse i genitori a riportarla a Pedara, per tentare "il beneficio della pura aria nativa". La giovane visse l'esperienza della sofferenza fisica assimilandosi al mistero di Cristo sofferente. Nei primi giorni di maggio si pose a letto, né poté mai più levarsi. Soffriva acerbissimi dolori, ma dalle sue labbra non sfuggì mai una parola di lamento: tranquilla, serena, ilare, pativa e desiderava di patire sempre più per amor di Dio. Volle che nella sua camera s'innalzasse un altarino alla Madre di Dio e pregò le sue compagne di celebrare con lei per l'ultima volta il mese mariano.
La morte
Giuseppina Faro concluse la sua vita terrena a ventiquattro anni il 24 maggio 1871, giorno sacro a Maria Ausiliatrice. Il suo corpo rimase presso l'abitazione per due giorni affinché la gente potesse darle l'ultimo saluto. Due giorni dopo la salma fu seguita da un corteo insolito sino alla chiesa di Maria Santissima Annunziata di Pedara[20], dove vennero celebrate le esequie. Il corteo era formato dal clero, dalle confraternite, dalle autorità e da tutto il popolo che, in lacrime, faceva memoria delle virtù della beata Peppina. Il feretro fu sepolto in una stanza attigua al Santuario.
Il culto
Già nel giorno delle esequie per sua intercessione Giuseppina elargiva grazie che confermavano la sua fama di santità.
Nel 1896 il suo corpo, attesta in una relazione il dottor Giovanni Pappalardo, era ancora integro. Durante l'episcopato di monsignor Francica Nava (1895-1928) il corpo della Faro fu tolto dalla vista dei fedeli, e traslato e tumulato nella navata di sinistra della stessa chiesa. Nel 1982 avvenne una ricognizione alla presenza dell'autorità ecclesiastica. Dagli anni '30 agli anni '60 rimase ininterrotta, a Pedara e fuori, la devozione alla giovane Faro. Agli inizi degli anni '70 si formò il "Comitato pro Serva di Dio Giuseppina Faro", promosso quasi elusivamente da laici. Il 24 maggio 1988, l'arcivescovo monsignor Domenico Picchinenna, a Pedara, ritenuto maturo il tempo, aprì il processo diocesano per la sua causa di canonizzazione.
La vita di Giuseppina Faro stimola alla ricerca di senso e di valori perenni per la vera crescita personale nell'intensità della preghiera e della carità. La "Beata Peppina" ha saputo operare la più grande rivoluzione: quella di una vita che si apre all'Amore, che crede e opera nella certezza che il mondo è amato da Dio, sorretto dalla sua sapienza e dalla sua bontà piena di misericordia.
Note | |
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Bibliografia | |
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Collegamenti esterni | |
Comitato "Pro Serva di Dio Giuseppina Faro" su giuseppinafaro.it. URL consultato il 05-03-2022 |