Abbazia dei Santi Pietro e Andrea (Novalesa)
Abbazia dei Santi Pietro e Andrea | |
Novalesa, Abbazia dei Santi Pietro e Andrea | |
Altre denominazioni | Abbazia della Novalesa |
---|---|
Stato | Italia |
Regione | Piemonte |
Regione ecclesiastica |
Regione ecclesiastica Piemonte |
Provincia | Torino |
Comune | Novalesa |
Località | Abbazia |
Diocesi | Torino |
Religione | Cattolica |
Indirizzo |
Borgata San Pietro, 4 Loc. Abbazia 10050 Novalesa (TO) |
Telefono | +39 0122 653210 |
Fax | +39 0122 653210 |
Posta elettronica | info@abbazianovalesa.org |
Sito web | Sito ufficiale |
Proprietà | Provincia di Torino |
Oggetto tipo | Abbazia |
Oggetto qualificazione | benedettina |
Dedicazione |
San Pietro apostolo Sant'Andrea apostolo |
Sigla Ordine qualificante | O.S.B. |
Sigla Ordine reggente | O.S.B. |
Fondatore | Abbone |
Data fondazione | 30 gennaio 726 |
Architetto | Antonio Bertola (chiesa) |
Stile architettonico | Romanico, Barocco |
Inizio della costruzione | 726 |
Completamento | XVIII secolo |
Coordinate geografiche | |
Piemonte | |
L'Abbazia dei Santi Pietro e Andrea, detta anche Abbazia della Novalesa, è un complesso monumentale che ospita un monastero benedettino, situato nel territorio del comune di Novalesa (Torino).
Storia
Dalle origini al Mille
Nel VIII secolo, il territorio del Moncenisio era soggetto al Regno dei Franchi, in una posizione strategica importante, perché zona di confine con il Regno Longobardo.
Il 30 gennaio 726 Abbone, governatore franco di Susa, fonda su terre di sua proprietà l'abbazia che intitola a San Pietro e sant'Andrea apostoli, con il consenso del vescovo di St. Jean de Maurienne e di Susa. Vi nomina come primo abate un certo Godone.
La posizione del cenobio era determinante sia per esercitare un controllo sulle importanti vie di transito, sia per organizzare un ospizio per pellegrini e viandanti.
Nel IX secolo, la comunità monastica si mantiene nell'ambito d'influenza dei Franchi, per questo dovrà accettare la riorganizzazione voluta dal re Ludovico il Pio (778-840), con il capitolare monastico dell'817 e che affidata a Benedetto d'Aniane, il quale mirava a imporre in modo esclusivo la Regola benedettina. La figura che domina questo secolo è quella di sant'Eldrado, che ne fu abate dall'825 all'845 circa. Durante il regno di Ludovico il Pio a sant'Eldrado vengono donati l'ospizio del Moncenisio e il priorato di Pagno (presso Saluzzo).
Nel 906 le truppe saracene, spingendosi dal Frassineto (presso l'attuale Saint-Tropez) puntano sull'abbazia di Novalesa, saccheggiandola e incendiandola, causandone la fuga dei monaci, che guidati dall'abate Donniverto, riparano a Torino, presso la Chiesa dei SS. Andrea e Clemente, (l'attuale Santuario della Consolata), portando con sé non solo gli oggetti indispensabili, ma anche i preziosi codici della biblioteca.
I monaci, incontrando il favore di Adalberto, marchese di Ivrea che, qualche anno dopo dette loro le corti di Breme e di Policino in Lomellina, dove, durante il governo dell'abate Belegrino (955-972), si trasferirà tutta la comunità monastica. Successivamente, anche il monastero di Novalesa viene riaperto, ma solo come cenobio dipendente da Breme.
Dal Basso Medioevo al Rinascimento
Fin dai primi anni della rinascita del cenobio, molto attivo è lo scriptorium, la cui esistenza è documentata da numerosi codici conservati, quali:
- Chronicon novalicense (1060 ca.), composto un monaco anonimo;
- Biblia magna, oggi nell'Archivio statale di Torino.
Nel XII secolo, l'abbazia di Novalesa, pur continuando a essere soggetta a Breme, attraversava un periodo di grande prosperità, esercitando la sua giurisdizione su parrocchie, chiese e comunità locali, che gli è stata riconosciuta dal papa Eugenio III con una bolla del 1151.
I rapporti tra il monastero di Novalesa e l'Abbazia di Breme nel XIII secolo si faranno sempre più difficili, poiché il primo vuole rendersi indipendente dall'altro, giustificando la pretesa con l'antichità delle sue origini, anche se il priore continuerà a prestare giuramento di obbedienza all'abate di Breme. I monaci di Novalesa, dopo un lungo processo, dovranno accontentarsi solo dell'autonomia amministrativa.
All'inizio del XIV secolo, sia l'abbazia di Breme, sia il priorato di Novalesa sono in decadenza:
- esiguo è il numero dei monaci;
- fiaccata l'osservanza della Regola, in particolare il voto di povertà;
- ridotta a un basso livello è la cultura;
- critica la situazione economica per l'aumento dei debiti e le frequenti liti giudiziarie.
La situazione non migliora, nemmeno durante il governo del priore Vincenzo Aschieri (1399-1452), che anzi vede la Santa Sede emanare un decreto che contempla l'unione di Novalesa con l'abbazia di San Michele alla Chiusa, anche se un ricorso dei monaci novalicensi del 21 luglio 1451 impedisce l'attuazione del progetto. Tre anni dopo il monastero viene affidato dai Savoia, in amministrazione perpetua, al francescano Ubertino Borelli, confessore del re Ludovico di Savoia (1413-1465), con il quale l'abbazia diviene commenda.
Dal 1479 l'abbazia di Novalesa è affidata in commenda a Giorgio Provana, dei signori di Leinì e di fatto da quell'anno il monastero diviene feudo della sua famiglia, che tratterà per sé il titolo di priore, solo all'inizio del XVII secolo, quando con Antonio Provana (†1640) sarà ripristinato il titolo di abate.
Dal Cinquecento a oggi
Durante il XVI secolo, il monastero viene coinvolto, almeno indirettamente, nelle vicende politiche del tempo ed, in particolare, nelle conseguenze delle guerre tra Francia e Spagna, quando il territorio piemontese diviene teatro di scontri armati tra gli eserciti nemici.
Nel 1638, la comunità monastica è ridotta ormai a poche unità, per questo il commendatario, Filiberto Maurizio Provana (1640-1684) prende contatto con i Foglianti, che nel 1646 giungono a Novalesa, dove era rimasto un solo monaco anziano.
Nel XVIII secolo, nel cenobio coesistono due diverse realtà:
- la comunità dei Foglianti, dediti alla preghiera, alla penitenza e al lavoro, sotto la guida di un priore;
- l'abbazia in commenda, ridotta a un semplice beneficio ecclesiastico, assegnato dai Duchi di Savoia a propri amici.
Nel 1798 il governo provvisorio, sorto dopo l'invasione napoleonica, decreta la soppressione della commenda e della comunità monastica. Gli edifici sono incamerati dallo Stato; i monaci sono costretti a cercare rifugio altrove.
Dopo la fine di Napoleone, nel 1818, i monaci ritornano nell'abbazia, ma nel 1855 il Governo Sabaudo promulga la legge di soppressione per tutti i monasteri del Regno. La legge è attuata per Novalesa il 25 ottobre 1856. Espulsi i monaci, gli edifici sono messi all'asta e acquistati da un medico che nel 1861 ne fa un albergo per cure idroterapiche e successivamente diventano residenza estiva del Convitto Nazionale Umberto I di Torino.
Nel 1972 il complesso abbaziale, ormai fatiscente, è acquistato dalla Provincia di Torino e affidato ai monaci benedettini, provenienti dall'Abbazia di San Giorgio Maggiore di Venezia.
Descrizione
Il complesso monastico si compone di vari corpi di fabbrica:
- Chiesa abbaziale dei Santi Pietro e Andrea;
- Monastero
- Quattro cappelle esterne.
Chiesa abbaziale
La chiesa, con facciata a capanna, venne quasi completamente riedificata nel 1712 da Francesco Gallo e ultimata nel 1715 dall'architetto Antonio Bertola, per volere del duca Vittorio Amedeo II di Savoia.
L'interno, a un unica navata con volta a botte e due cappelle per lato, conserva alcuni resti della chiesa primitiva, databile al VIII - IX secolo e della decorazione originale, tra le quali si segnala:
- Lapidazione di santo Stefano (XI secolo), affresco.
Sulla destra della chiesa si eleva il campanile, costruito in pietra locale tra il 1725 e il 1730, dalle forme semplici ed eleganti, la cui sommità raggiunge l'altezza di 22,50 metri.
Monastero
Il monastero, che conserva ancora tracce dei precedenti edifici, si sviluppa alla destra della chiesa e vi si accede tramite un portale che immette in un primo cortile, con portico a tre campate con volta a crociera sormontato da un loggiato. Tutto il complesso monastico si sviluppa attorno a un chiostro centrale che ospita, al suo interno, le due ali superstiti del cenobio cinquecentesco, una con cinque e l'altra con sette archi a tutto sesto sorretti da tozze colonne cilindriche in mattoni prive di capitello.
Cappelle
Nei pressi del monastero si trovano quattro pregevoli cappelle.
Cappella di San Eldrado e San Nicola
La cappella, preceduta da un atrio, è la meglio conservata e l'unica aperta al culto. All'interno, presenta dipinti murali ad affresco di ambito lombardo, databili alla fine dell'XI secolo, raffiguranti:
- nell'abside, Gesù Cristo pantocratore tra san Michele e San Gabriele arcangeli, sant'Eldrado di Novalesa, san Nicola di Bari e due monaci in preghiera:[1] il monaco a destra è Adraldo, abate di Breme, committente dell'opera.
- nella controfacciata, Giudizio Universale, quasi completamente ridipinto nel 1828.
- nella volta:
- nella prima campata, Storie della vita di sant'Eldrado di Novalesa, tra i quali si nota:
- Sant'Eldrado di Novalesa riceve l'abito monastico, Sant'Eldrado di Novalesa riceve un bordone e una scarsella da pellegrino, Sant'Eldrado di Novalesa lavora la terra;[2]
- Miracolo di sant'Eldrado di Novalesa;[3]
- Morte di sant'Eldrado di Novalesa.[4]
- nella prima campata, Storie della vita di sant'Eldrado di Novalesa, tra i quali si nota:
- nella seconda campata, Storie della vita di san Nicola di Bari, tra cui si osserva:
- Elemosina di san Nicola di Bari e San Nicola di Bari consacrato vescovo;[5]
- San Nicola di Bari e il miracolo della fiasca d'olio;[6]
- nella seconda campata, Storie della vita di san Nicola di Bari, tra cui si osserva:
Cappella di Santa Maria Maddalena
La cappella, risalente all'VIII - IX secolo, con facciata a capanna, abside quadrata col tetto a doppio spiovente e, su ogni lato esterno, arcate cieche. All'interno, conserva due interessanti dipinti murali ad affresco del XV secolo, che raffigurano:
Cappella del Salvatore
La cappella, edificata nella seconda metà dell'XI secolo, con la soppressione del 1855 fu ridotta ad abitazione privata e i dipinti murali del XII secolo che ricoprivano l'abside andarono perduti. L'edificio ha fianchi scanditi da lesene e abside semicircolare con calotta a semicatino.
Cappella di San Michele
La cappella, conosciuta anche come cappella di San Pietro, costruita fra l'VIII e il IX secolo, con la soppressione del 1855 fu adibita a stalla e a deposito di attrezzi. L'edificio presenta una facciata segnata da tre arcature poste secondo l'inclinazione del tetto. All'interno, conserva solo alcune tracce della decorazione medioevale.
Galleria fotografica
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