Utente:Don Paolo Benvenuto/Parabola del banchetto di nozze
Il testo della parabola | ||||||||||||||||
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La parabola del banchetto di nozze o parabola della gran cena è una parabola che l'evangelista Matteo (22,2-14) condivide con l'evangelista Luca (14,15-24).[1]
L'evangelista Matteo completa la parabola con la scena dell'uomo senza abito nuziale; questo particolare e la diversità del contesto nei due evangelisti fanno sì che le due redazioni abbiano sfumature di significato diverse.
Contesto e significato
In Luca
In Luca la parabola ha una forma più semplice che in Matteo. Il contesto in cui Luca la presenta è quello dei banchetti conviviali di Gesù con i pubblicani e i peccatori, banchetti nei quali egli accoglieva anche poveri ed emarginati; la parabola è quindi un'apologia dell'operare di Gesù: il Regno di Dio, inaugurato nella sua missione, doveva essere annunziato proprio a i poveri e ai peccatori. Forse Gesù la raccontò proprio durante un convito, come lascia intendere la collocazione attuale nel terzo Vangelo: prima della parabola l'evangelista riporta la guarigione dell'idropico durante un banchetto 14,1-6), gli insegnamenti di Gesù sul non scegliere il primo posto (14,7-11) e le raccomandazioni su chi bisogna invitare 14,12-14).
In Luca il protagonista della parabola è un gran proprietario terriero, che esigeva dai contadini quanto gli spettava del frutto della vigna.
Si pensa[2] che la forma presentata da Luca sia più vicina a quella originaria, anche se è difficile ricostruire l'esatto tenore originale.
In Matteo
In Matteo la parabola è più elaborata, e il contesto è diverso. La parabola fa seguito a quella dei due figli (21,28-32) e a quella dei vignaioli omicidi (21,33-46): con esse delinea un quadro di rottura e costituisce una predizione del castigo d'Israele per aver respinto, con il rifiuto del Vangelo portato da Gesù, l'invito alle nozze messianiche.[2] Se nella parabola precedente il castigo era minacciato (21,41), ora ne è predetta l'attuazione con la distruzione della città (22,7). La parabola ha quindi un significato simile a quello della parabola dei lavoratori della vigna e a quello della parabola della pecorella perduta: è rivolta ai critici e ai nemici di Gesù che hanno rifiutato l'invito ad entrare nel Regno di Dio.
Matteo avrebbe rielaborato fortemente la parabola per riadattarla al contesto di conflittualità tra la Chiesa e la sinagoga; ciò appare dal fatto che la gran cena di Luca, allestita da un ricco signore, diventa in Matteo un banchetto nuziale preparato da un re splendido e munifico per le nozze del figlio; ciò esprime la gratuità del regno di Dio, cui sono invitati con insistenza anzitutto gli israeliti:
- il primo invito, fatto per mezzo dei servi (22,3), alluderebbe alla chiamata di Israele per mezzo dei profeti;
- la seconda chiamata (vv. 4-6) potrebbe alludere alla missione degli apostoli;
- la terza (vv. 8-10) riguarda certamente l'invito rivolto ai pagani.
La parabola ha così qui un significato escatologico ed allegorico trasparente:
- il gran re è Dio;
- il banchetto indica il suo regno nelle nozze eterne;
- il figlio designa Gesù, il Figlio di Dio.
In Matteo, poi, la parabola ha una seconda parte (vv. 11-14); si tratterebbe di un'altra composizione, aggiunta dall'evangelista a scopo parenetico.[3]
Riferimenti giudaici
La parabola si riallaccia a un soggetto di narrazione ben noto ai tempi di Gesù, la storia del ricco gabelliere Bar Maʿjan e del povero scriba, raccontata in aramaico nel Talmud palestinese.[4], a cui Gesù si sarebbe riferito anche nella Parabola di Lazzaro e del ricco epulone; di essa Gesù ha usato qui solo la conclusione.
Il racconto narra che Bar Maʿjan ebbe uno splendido funerale quando morì: nella città tutti si fermarono di lavorare per accompagnarlo nel rito funebre; contemporaneamente morì un pio scriba, e nessuno si accorse della sua inumazione. Come può Dio essere così ingiusto da permettere una cosa simile? La risposta del racconto è che Bar Maʿjan, nonostante non abbia condotto una vita buona moralmente, aveva compiuto una buona azione ed in quell'istante era stato sorpreso dalla morte. Poiché l'ora della morte è decisiva, e la buona azione non poteva più venir annullata da azioni cattive, essa doveva essere ricompensata da Dio, e ciò avvenne con il grandioso corteo funebre.
Ma qual era la buona azione compiuta da Bar Maʿjan?
« | Egli aveva approntato un banchetto per i consiglieri, ma questi non vennero. Allora egli ordinò: i poveri devono venire a mangiarlo, affinché le vivande non si sciupino. » | |
Il motivo del banchetto ai poveri non è altruistico e nobile, in maniera simile a quanto si ha nella parabola del giudice e della vedova; ciò non impedisce a Gesù di utilizzare il racconto aramaico nella sua parabola.
Nel Vangelo di Tommaso
Il Vangelo di Tommaso, un vangelo apocrifo, riporta una terza versione della parabola:
« | Gesù disse: Un uomo aveva ospiti, ed allorché la cena fu pronta, mandò il suo servo ad invitare gli ospiti. Egli (il servo) andò dal primo e gli disse: Il mio padrone ti invita! Quegli disse: Ho (da riscuotere) denaro da certi mercanti; essi vengono da me alla sera, e io devo andare e dar loro ordini. Mi scuso per la cena. Andò da un altro e gli disse: Il mio padrone ti ha invitato! Quello gli disse: Ho comperato una casa, e mi reclamano colà per un giorno. Non avrò tempo. Egli andò da un altro e gli disse: il mio padrone ti invita! Quello gli disse: il mio amico festeggia le nozze e io dovrò preparare il banchetto nuziale. Non potrò venire; mi scuso per la cena. Andò da un altro e gli disse: Il mio padrone ti invita! Quello gli disse: Ho comperato un villaggio e vado a riscuotere l'affitto. Non potrò venire: mi scuso. Il servo venne e disse al suo padrone: Quelli che tu hai invitato a cena si sono scusati di non poter venire. Il padrone disse al suo servo: Va' fuori sulle strade e porta quelli che trovi, affinché prendano parte alla cena. Compratori e mercanti non entreranno nel luogo del Padre mio. » | |
Jeremias ritiene che tale testo conservi le linee essenziali della redazione originale.
Note | |
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Bibliografia | |
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