Parabola dei due figli
Parabola dei due figli | |
Andrey Mironov, Parabola dei due figli (2012), olio su tela; Russia, collezione privata | |
Passo biblico | Mt 21,28-32 |
Matteo | |
Parabola precedente | Parabola dei lavoratori della vigna |
Parabola successiva | Parabola dei vignaioli omicidi |
Insegnamento - Messaggio teologico | |
Occorre compiere la volontà di Dio e non solo affermare di volerla compiere. | |
Il testo della parabola | ||||||
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La parabola dei due figli è una breve parabola propria dell'evangelista Matteo (21,28-30); Gesù stesso ne dà immediatamente dopo (21,31-32) la spiegazione: ci sono di fatto due maniera di compiere la volontà di Dio, solo a parole, come il primo figlio, o con i fatti, e spesso dopo un primo rifiuto, come il secondo figlio.
Contesto
La parabola esprime la continuazione del dialogo che Gesù realizza con i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo mentre insegna nel Tempio di Gerusalemme (v. 23). Il dialogo inizia con la domanda a Gesù circa la sua autorità e chi gliel'ha conferita, e Gesù risponde con una controdomanda sull'interpretazione e l'origine del battesimo di Giovanni, alla quale i suoi interlocutori non vogliono rispondere per non compromettersi; allora neanche Gesù risponde loro, poiché non vede in essi la disponibilità ad un ascolto pieno. Segue quindi la parabola dei due figli, la spiegazione della quale riprende ancora l'accoglienza data a Giovanni Battista, nonché a Gesù stesso, da parte dei capi e dei peccatori.
La parabola è la prima di un trittico di parabole dette di rottura, perché segnano il confronto decisivo e la rottura tra Gesù e il giudaismo[1]:
- nella parabola dei due figli Gesù smaschera l'incredulità colpevole dei suoi interlocutori;
- nella parabola dei vignaioli omicidi preannunzia la loro rimozione dalla vigna;
- nella parabola delle nozze regali parla della loro condanna e dell'inaugurazione di una nuova comunità.
Significato
L'immagine della vigna è comune nella Bibbia; essa è da Gesù desunta dalla tradizione dell'Antico Testamento, dove è usata dai profeti per designare il popolo d'Israele, piantagione di YHWH, che spesso non ha prodotto i frutti che Dio si aspettava da essa: cfr. Is 5,1-7 ; Ger 2,21 ; Ez 17,6-10; 19,10-14 [2].
È probabile che da parte di Gesù la parabola fosse un'autodifesa contro i farisei, che lo accusavano di tolleranza eccessiva verso i peccatori. Nel contesto attuale la parabola ha il significato di mettere in evidenza due diversi tipi di accettazione della chiamata di Dio.
Il primo figlio inviato nella vigna raffigura gli esponenti del giudaismo ufficiale, i tutori della Legge che stanno discutendo con Gesù nel Tempio.
Il secondo figlio rappresenta invece i peccatori, che a differenza delle autorità giudaiche hanno riconosciuto nel Battista l'inviato di Dio, e hanno prestato ascolto alla sua predicazione penitenziale, convertendosi.
L'espressione la via della giustizia (v. 21,32) indica la fedeltà del Precursore nel compiere la missione affidatagli da Dio, di preparare il popolo alla venuta del Messia. L'espressione appare nell'Antico Testamento in alcuni testi sapienziali (Pr 8,20; 16,31; 17,23 ; Tb 1,3 ).
Nella parabola, e nella spiegazione, è implicito che chi non ha accolto il Battista non accoglierà neppure Gesù e non crederà in lui come Messia, sbarrandosi così la via per l'accesso al Regno dei Cieli.
A livello della comunità per la quale Matteo scrive il primo Vangelo, la parabola si inserisce nel progetto pastorale dell'evangelista[3]: egli intende smascherare o per lo meno mettere in guardia quei gruppi che all'interno della sua comunità si accontentano di una dichiarazione verbale e teorica della loro fede; il secondo figlio, che a parole è obbediente, ma di fatto non compie la sua volontà, assomiglia a quelli che dicono "Signore, Signore", ma non fanno "la volontà del Padre che è nei cieli" (Mt 7,21 ); sono invece autentici discepoli, e costituiscono la nuova comunità di fratelli e figli, quelli che fanno la volontà del Padre che è nei cieli (Mt 12,50 ).
Approfondimento letterario
A livello letterario la parabola si presenta come una composizione unitaria, ben inquadrata dalla domanda che la precede ("Che ve ne pare?", v. 28) e da quella che la segue ("Chi dei due ha fatto la volontà del padre?", v. 31)[4]. La ripresa finale della domanda iniziale invita gli ascoltatori a dare la loro valutazione, e la risposta ("Il primo") rappresenta un'implicita applicazione della parabola.
C'è poi, la seconda applicazione, più esplicita, ed è data dalla sentenza di Gesù che abbraccia la seconda parte del v. 31, e che è introdotta dal solenne "In verità vi dico": pubblicani e prostitute passano avanti ai capi nel Regno di Dio.
C'è infine la terza applicazione, che menziona Giovanni Battista, e che si ricollega al dialogo immediatamente precedente la parabola; il legame con quella parte è dato, sul piano terminologico, dalla ripresa del verbo "credere" (vv. 25.32); in questa terza applicazione si avverte la preoccupazione di far coincidere i due gruppi contrapposti (voi / pubblicani e prostitute) con le diverse posizioni dei due figli riguardo alla volontà del padre della parabola:
- il pentirsi del primo figlio, in un primo momento disobbediente, è in relazione con i peccatori che accolgono la predicazione del Battista;
- il cambio di idea del secondo figlio, apparentemente obbediente, in pratica disobbediente, corrisponde al formalismo dei capi giudei, che in realtà si chiudono al messaggio di Dio;
- la volontà del padre della parabola è in relazione con la via della giustizia (v. 21,32) nella quale è venuto il Battista.
Nella tradizione manoscritta è attestata sia la lettura che viene fatta comunemente dalle Bibbie moderne, sia un'altra lettura in cui l'ordine dei due figli è invertito; ciò però non inficia minimamente il significato della parabola[5].
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |