Parabola dei due figli

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Parabola dei due figli
Russia Coll.privata A.Mironov Paraboladuefigli 2012.jpg

Andrey Mironov, Parabola dei due figli (2012), olio su tela; Russia, collezione privata
Passo biblico Mt 21,28-32
Matteo
Parabola precedente Parabola dei lavoratori della vigna
Parabola successiva Parabola dei vignaioli omicidi
Insegnamento - Messaggio teologico
Occorre compiere la volontà di Dio e non solo affermare di volerla compiere.
Il testo della parabola
« 23Entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: "Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?". 24Gesù rispose loro: "Anch'io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch'io vi dirò con quale autorità faccio questo. 25Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?". Essi discutevano fra loro dicendo: "Se diciamo: 'Dal cielo', ci risponderà: 'Perché allora non gli avete creduto?'. 26Se diciamo: 'Dagli uomini', abbiamo paura della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta". 27Rispondendo a Gesù dissero: "Non lo sappiamo". Allora anch'egli disse loro: "Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose. 28Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: "Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna". 29Ed egli rispose: "Non ne ho voglia". Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: "Sì, signore". Ma non vi andò.

31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?". Risposero: "Il primo". E Gesù disse loro: "In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli. »

La parabola dei due figli è una breve parabola propria dell'evangelista Matteo (21,28-30); Gesù stesso ne dà immediatamente dopo (21,31-32) la spiegazione: ci sono di fatto due maniera di compiere la volontà di Dio, solo a parole, come il primo figlio, o con i fatti, e spesso dopo un primo rifiuto, come il secondo figlio.

Contesto

La parabola esprime la continuazione del dialogo che Gesù realizza con i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo mentre insegna nel Tempio di Gerusalemme (v. 23). Il dialogo inizia con la domanda a Gesù circa la sua autorità e chi gliel'ha conferita, e Gesù risponde con una controdomanda sull'interpretazione e l'origine del battesimo di Giovanni, alla quale i suoi interlocutori non vogliono rispondere per non compromettersi; allora neanche Gesù risponde loro, poiché non vede in essi la disponibilità ad un ascolto pieno. Segue quindi la parabola dei due figli, la spiegazione della quale riprende ancora l'accoglienza data a Giovanni Battista, nonché a Gesù stesso, da parte dei capi e dei peccatori.

La parabola è la prima di un trittico di parabole dette di rottura, perché segnano il confronto decisivo e la rottura tra Gesù e il giudaismo[1]:

Significato

L'immagine della vigna è comune nella Bibbia; essa è da Gesù desunta dalla tradizione dell'Antico Testamento, dove è usata dai profeti per designare il popolo d'Israele, piantagione di YHWH, che spesso non ha prodotto i frutti che Dio si aspettava da essa: cfr. Is 5,1-7 ; Ger 2,21 ; Ez 17,6-10; 19,10-14 [2].

È probabile che da parte di Gesù la parabola fosse un'autodifesa contro i farisei, che lo accusavano di tolleranza eccessiva verso i peccatori. Nel contesto attuale la parabola ha il significato di mettere in evidenza due diversi tipi di accettazione della chiamata di Dio.

Il primo figlio inviato nella vigna raffigura gli esponenti del giudaismo ufficiale, i tutori della Legge che stanno discutendo con Gesù nel Tempio.

Il secondo figlio rappresenta invece i peccatori, che a differenza delle autorità giudaiche hanno riconosciuto nel Battista l'inviato di Dio, e hanno prestato ascolto alla sua predicazione penitenziale, convertendosi.

L'espressione la via della giustizia (v. 21,32) indica la fedeltà del Precursore nel compiere la missione affidatagli da Dio, di preparare il popolo alla venuta del Messia. L'espressione appare nell'Antico Testamento in alcuni testi sapienziali (Pr 8,20; 16,31; 17,23 ; Tb 1,3 ).

Nella parabola, e nella spiegazione, è implicito che chi non ha accolto il Battista non accoglierà neppure Gesù e non crederà in lui come Messia, sbarrandosi così la via per l'accesso al Regno dei Cieli.

A livello della comunità per la quale Matteo scrive il primo Vangelo, la parabola si inserisce nel progetto pastorale dell'evangelista[3]: egli intende smascherare o per lo meno mettere in guardia quei gruppi che all'interno della sua comunità si accontentano di una dichiarazione verbale e teorica della loro fede; il secondo figlio, che a parole è obbediente, ma di fatto non compie la sua volontà, assomiglia a quelli che dicono "Signore, Signore", ma non fanno "la volontà del Padre che è nei cieli" (Mt 7,21 ); sono invece autentici discepoli, e costituiscono la nuova comunità di fratelli e figli, quelli che fanno la volontà del Padre che è nei cieli (Mt 12,50 ).

Approfondimento letterario

Anonimo, Gesù Cristo incontra Giovanni Battista (XV secolo), tavola: la spiegazione che Gesù stesso dà della parabola fa riferimento all'accettazione che il Battista ha avuto da parte del popolo d'Israele

A livello letterario la parabola si presenta come una composizione unitaria, ben inquadrata dalla domanda che la precede ("Che ve ne pare?", v. 28) e da quella che la segue ("Chi dei due ha fatto la volontà del padre?", v. 31)[4]. La ripresa finale della domanda iniziale invita gli ascoltatori a dare la loro valutazione, e la risposta ("Il primo") rappresenta un'implicita applicazione della parabola.

C'è poi, la seconda applicazione, più esplicita, ed è data dalla sentenza di Gesù che abbraccia la seconda parte del v. 31, e che è introdotta dal solenne "In verità vi dico": pubblicani e prostitute passano avanti ai capi nel Regno di Dio.

C'è infine la terza applicazione, che menziona Giovanni Battista, e che si ricollega al dialogo immediatamente precedente la parabola; il legame con quella parte è dato, sul piano terminologico, dalla ripresa del verbo "credere" (vv. 25.32); in questa terza applicazione si avverte la preoccupazione di far coincidere i due gruppi contrapposti (voi / pubblicani e prostitute) con le diverse posizioni dei due figli riguardo alla volontà del padre della parabola:

  • il pentirsi del primo figlio, in un primo momento disobbediente, è in relazione con i peccatori che accolgono la predicazione del Battista;
  • il cambio di idea del secondo figlio, apparentemente obbediente, in pratica disobbediente, corrisponde al formalismo dei capi giudei, che in realtà si chiudono al messaggio di Dio;
  • la volontà del padre della parabola è in relazione con la via della giustizia (v. 21,32) nella quale è venuto il Battista.

Nella tradizione manoscritta è attestata sia la lettura che viene fatta comunemente dalle Bibbie moderne, sia un'altra lettura in cui l'ordine dei due figli è invertito; ciò però non inficia minimamente il significato della parabola[5].

Note
  1. Angelico Poppi (1990) p. 143.
  2. Angelico Poppi (1990) p. 140.
  3. Rinaldo Fabris (1982) p. 441.
  4. Rinaldo Fabris (1982) p. 438.
  5. Nella lettura fatta dalla Bibbia CEI 2008 il primo figlio dice no e poi si pente, e il secondo figlio dice e poi cambia idea; tale lettura è attestata da diversi codici maiuscoli, tra cui il Sinaitico e diverse versioni antiche. La seconda è attestata dal Codice Vaticano e da altri maiuscoli. È più facile spiegare l'evoluzione dalla prima forma alla seconda che non viceversa. Una variante della prima forma è testimoniata dal Codice di Beza D e da diverse traduzioni latine antiche, dove gli interrogati rispondono "l'ultimo", identificandosi spudoratamente con il figlio che fa la volontà del padre solo a parole. Rinaldo Fabris (1982) p. 439.
Bibliografia
Voci correlate
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Il contenuto di questa voce è stato firmato il giorno 22 settembre 2011 da don Paolo Benvenuto, baccelliere in Teologia.

Il firmatario ne garantisce la correttezza, la scientificità, l'equilibrio delle sue parti.