Utente:Don Paolo Benvenuto/Professione di fede (atto)

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Questa voce riguarda l'atto della professione di fede.
⇒  Se cercavi invece il testo, vedi Professione di fede (testo).

Nell'ambito degli atti del cristiano, la Professione di Fede è, in senso lato, qualunque atto esterno di virtù cristiana che suppone la fede. In senso proprio e formale è invece l'esplicita manifestazione delle proprie convinzioni religiose in obbedienza a Dio che si rivela[1].

Sviluppo storico

Nei primi secoli la professione solenne di fede doveva essere emessa prima di ricevere il Battesimo; ciò dura ancora oggi, e si esprime attraverso la recita del Simbolo Apostolico, eventualmente sotto forma di domande a cui il catecumeno risponde "Credo!".

In seguito si cominciò a imporla ai cattolici sospetti di eresia, e agli eretici che tornavano alla Chiesa, così come ai candidati agli Ordini. Nel VII secolo si hanno tracce anche di un giuramento connesso alla professione di fede, della quale poi il Concilio di Trento[2] determinò accuratamente il contenuto.

La formula di Trento, dovuta a Papa Pio IV († 1565), rimase in vigore fino al Concilio Vaticano II; fu modificata solo da Pio IX che, nel 1877, vi inserì il dogma dell'Immacolata Concezione e le definizioni del Concilio Vaticano I. Pio X, poi, con il motu proprio Sacrosanctum Antistitum (1º settembre 1910), prescrisse che la professione di fede letta fosse anche sottoscritta, e impose il giuramento antimodernistico.

Nel Codice pio benedettino

Il Codice pio benedettino precisava le persone tenute alla professione di fede e il modo di emetterla(cann. 1406-1408).

Le persone che la dovevano emetterla, e dinanzi a chi:

  • chi prendeva parte con voto deliberativo o consultivo a un concilio ecumenico o particolare, ovvero a un sinodo diocesano; il presidente emetteva la professione davanti all'assemblea, e i membri dinanzi al presidente o a un suo delegato;
  • che era promosso alla dignità cardinalizia; la professione veniva fatta dinanzi al decano del sacro collegio, ai primi cardinali degli ordini dei preti e dei diaconi e al cardinale Camerlengo;
  • chi era promosso a una sede episcopale, anche non residenziale, al governo di un'abbazia o prelatura nullius o a un vicariato apostolico;
  • il vicario capitolare, dinanzi al Capitolo cattedrale
  • coloro che erano promossi a una dignità o a un canonicato, dinanzi all'Ordinario del luogo o a un suo delegato e dinanzi agli altri consultori;
  • coloro che erano nominati consultori diocesani, dinanzi all'Ordinario del luogo o ad un suo delegato e dinanzi agli altri consultori;
  • il vicario generale, i parroci e tutti coloro che erano provvisti di un beneficio curato, anche se amovibile, dinanzi all'Ordinario del luogo o ad un suo delegato;
  • il rettore, i professori di teologia, di diritto canonico e di filosofia nei seminari all'inizio di ogni anno scolastico o almeno all'atto di assunzione all'ufficio, dinanzi all'Ordinario del luogo o ad un suo delegato;
  • chi veniva ordinati suddiaconi, dinanzi all'Ordinario del luogo o ad un suo delegato;
  • i censori dei libri, dinanzi all'Ordinario del luogo o ad un suo delegato;
  • i sacerdoti designati per le confessioni e per la predicazione, dinanzi all'Ordinario del luogo o ad un suo delegato;
  • il rettore di un'università o facoltà canonicamente eretta, dinanzi all'Ordinario del luogo o ad un suo delegato;
  • i professori, all'inizio di ciascun anno scolastico o almeno all'atto di assunzione all'insegnamento, dinanzi al rettore e ad un suo delegato;
  • tutti coloro che, superati gli esami, conseguivano i gradi accademici, dinanzi al rettore e ad un suo delegato;
  • nelle religioni clericali il superiore, dinanzi al Capitolo o al superiore che l'ha nominato o dinanzi a un loro delegato.

Tutte queste persone erano tenute a rinnovare la professione di fede ogni qualvolta passavano da un ufficio ad un altro che esigesse parimenti tale professione.

L'obbligo di fare la professione di fede non ammetteva l'uso di un procuratore, e la professione di fede non poteva farsi dinanzi ai laici (can. 1407).

L'obbligo della professione di fede era considerato grave, e chi lo tralasciava commetteva delitto ecclesiastico passibile di pene a norma del can. 2403.

Quando più persone compivano la professione di fede, era sufficiente che una leggesse la formula e le altre pronunziassero l'ultima espressione di promessa e di giuramento.

Note
  1. Cfr. Luigi Fini (1953) 90.
  2. Sessione XXV, decreto De reformatione generali, cap. 2.
Bibliografia
Voci correlate