Lettera agli Efesini

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Lettera agli Efesini
Rublev Saint Paul.jpg
San Paolo è l'autore della Lettera agli Efesini
Sigla biblica Ef
Titolo originale
Altri titoli
Nazione [[]]
Lingua originale greco
Traduzione
Ambito culturale
Autore San Paolo apostolo
Note sull'autore
Pseudonimo
Serie
Collana
Editore
Datazione 62 ca.
Datazione italiana
Luogo edizione Roma
Numero di pagine
Genere epistola
Ambientazione
Ambientazione Geografica
Ambientazione Storica

Personaggi principali:

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Note
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Paolo apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, ai santi che sono in Efeso, credenti in Cristo Gesù: grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.
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La Lettera agli Efesini (comunemente abbreviata in Ef) è una delle lettere di San Paolo; fa parte del Nuovo Testamento della Bibbia cristiana, ed è scritta in greco come tutto il resto del Nuovo Testamento.

È composta da sei capitoli contenenti meditazioni teologiche su Gesù, la Chiesa, la salvezza per grazia, la condotta morale. Ha un andamento solenne, a volte innico (1,3-14), e una prospettiva ampia, che si allarga alle dimensioni dell'universo. Approfondisce, in un'ampia sintesi dottrinale, il mistero di Cristo e della Chiesa.

Stile e somiglianze

Lo stile di Efesini è alquanto nuovo rispetto a quello delle grandi lettere (Rm, 1-2Cor, Gal); è invece singolarmente vicino a quello della lettera ai Colossesi: con essa Efesini mostra numerosi parallelismi, come ad esempio: 1,7 e Col 1,14.20 ; 1,21 e Col 1,16 ; 2,5 e Col 2,13 ; 3,7 e Col 1,25 . Si nota poi parallelismo nell'ordine in cui sono disposte le diverse categorie di persone a cui sono rivolti precetti morali; entrambe le lettere infine sono portate da Tichico.

La Lettera presenta le argomentazioni in uno stile pacato e solenne, a servizio di un pensiero teologico profondo e sintetico.

Destinatari

Il titolo "agli Efesini" (Πρὸς Εφεσίους, Pròs Ephesíous) non fu apposto dall'autore; i codici sinaitico e vaticano non hanno nessuna indicazione; e così due codici posteriori, S e 67; alcuni Padri, tra cui Basilio, Origene e Ilario, non trovavano il nome di Efeso nella Lettera, e San Girolamo espressamente dice che vi erano esemplari nei quali si leggeva solo: τοῖς οὗσιν, toîs hoûsin, "a coloro che sono"[1]. Tertulliano poi[2] fa sapere che Marcione, verso l'anno 140, la riteneva destinata ai cristiani di Laodicea.

Si pensa che, all'origine, la lettera sia stata inviata non a una sola Chiesa ma a un gruppo di Chiese dell'Asia Minore e che, nella tradizione successiva, vi sia rimasto il nome di quella di Efeso. Ciò sarebbe confermato dal fatto che in molti manoscritti questo nome non compare. Comunque l'ambiente di destinazione è formato in prevalenza da cristiani non provenienti dal giudaismo e la cui fede era poco matura, ancora influenzata da una mentalità pagana (4,17-5,20). Si tratta di un contesto cosmopolita, dove regna la convivenza di culture e religioni. È un ambiente di sincretismo, di mescolanza di riti e credenze appartenenti a culti diversi. Efeso, allora, capitale della provincia romana di Asia, prestigiosa per la sua storia politica, culturale e religiosa, famosa per l'Artemision[3], città ponte tra oriente e occidente, fornisce un buon esempio, un po' come del resto molte città dell'Asia minore, per questo tipo di situazione.

Di fatto la lettera è priva di riferimenti alla situazione della comunità a cui è indirizzata; l'indirizzo del versetto iniziale (1,1) potrebbe benissimo essere rivolto a ogni comunità cristiana.

Autore

Sicuramente la Lettera è di ambiente paolino, ma la sua origine è oggetto di discussione:

  • alcuni studiosi attribuiscono questa lettera non direttamente a Paolo, ma a un suo discepolo, che - nello spirito della pseudoepigrafia - ne avrebbe sviluppato il messaggio in un'età successiva alla morte dell'apostolo, negli anni 80; sarebbe stata scritta dopo la sua morte, avvenuta nel 64-67 ca., e comunque prima della fine del I secolo;
  • sembra però più fondato considerare la Lettera come uno scritto di Paolo, che avrebbe dato, però, ampia libertà nella stesura a un suo discepolo o segretario; questi avrebbe sviluppato idee già espresse in Colossesi, a poca distanza di tempo rispetto alla composizione di quest'ultima, negli anni della prigionia romana, tra il 61 e il 63.

Una lettera di Paolo

In favore dell'autenticità paolina si può citare il fatto che Paolo aveva trascorso circa tre anni a Efeso (At 19,8-10; 20,31 ). A partire da lì, grazie all'opera dei suoi collaboratori, il Vangelo era stato annunziato anche in altre città vicine (At 19,10 ; 1Cor 16,8-9 ).

Che la lettera sia di Paolo è poi un dato tradizionale nella Chiesa: La Lettera è citata come opera di Paolo da Marcione[4], dal Canone Muratoriano, da Tertulliano stesso e da Cipriano, che rappresentano le Chiese occidentali, nonché da Ireneo, ottimo testimone delle Chiese della Gallia e dell'Asia[5], da Clemente Alessandrino e da Origene, tanto che Eusebio di Cesarea può annoverarla tra gli scritti riconosciuti autentici senza discussione.

L'ipotesi epseudopigrafa

I dubbi sull'autenticità si affacciarono nel XIX secolo. Il primo a manifestarli sembra sia stato il De Wette; lo Schleiermacher ne ritenne autore Tichico; Ferdinand_Christian_Baur la suppose scritta negli anni 110-120.

In seguito molti altri critici la ritennero non paolina: così Adolf Hilgenfeld, Hitzig, von Soden, Weizsäcker, Johannes Weiss. Più di recente critici liberali come Adolf von Harnack e Adolf Ju̇licher sono stati più prudenti.

In favore di questa ipotesi gioca il fatto che il Paolo di questa Lettera è già San Paolo; è cioè una figura dalla vita trasfigurata, senza il suo contrastato passato, ormai esemplare:

L'autore sarebbe stato in grado di rileggere, traghettare e incarnare il pensiero vivace ed efficace del suo grande maestro, Paolo, in una situazione nuova, a pochi decenni dalla morte del suo maestro.

Fanno propendere a favore dell'ipotesi pseudoepigrafa lo stile e il linguaggio: la Lettera presenta l'uso di numerosi termini che non ricorrono in altre parti dell'epistolario paolino.

Suddivisione

La Lettera, dopo la cornice del saluto iniziale (1,1-2) e finale (6,21-24), consta di due grandi parti:

  • una prima parte dottrinale (1,3-3,21, nella quale abbondano i temi teologici, espressi anche attraverso formule di preghiera (1,3-14.20-23; 2,14-18; 3,20-21); tale prima parte delinea il misterioso disegno di Dio, che ha avuto inizio prima della creazione del mondo, e che porta gli uomini alla salvezza in Cristo: si tratta di un disegno che coinvolge cielo e terra, e dove Giudei e pagani trovano pace e unità, per formare un solo popolo, quel corpo di cui Cristo è il capo, quell'edificio di cui egli è la pietra d'angolo;
  • una seconda parte parenetica (4,1-6,20), nella quale abbondano le indicazioni morali, in un invito insistente ai destinatari perché rendano testimonianza della loro fede, soprattutto nei rapporti familiari e sociali; anche questa seconda questa parte è ricca di contenuto teologico in modo molto originale e suggestivo.

Temi essenziali

Pur mantenendosi nella linea di una certa sensibilità giudaica, l'autore della Lettera lascia trasparire il conflitto con i giudaizzanti, con coloro, cioè, che portavano nelle comunità scompiglio teologico: predicatori di un Vangelo diverso da quello di Paolo (Gal 1,6-10 ) del quale screditavano la figura e l'operato (Gal 5,7-8 ; 2Cor 11,13 ).

Si respira, dunque, un tempo nuovo, quello degli anni 80/90[6], con nuovi problemi incalzanti. Emerge la consapevolezza di una Chiesa orientata all'unità, immaginata nell'unico edificio e corpo (2,20; 4,3-6; 4,15-16). Giudei o stranieri hanno in questa Chiesa la medesima cittadinanza (2,19). Si avverte poi l'influenza di sollecitazioni magico-pagane (6,10-12), che comporta una conseguente deriva morale (4,17-24).

Da tutto questo si possiamo delineare almeno due coordinate fondamentali della Lettera:

  • l'unità ecclesiale (4,7-12); i carismi e i ministeri, sono dono di Cristo, e sono a servizio dell'unità della Chiesa, non per "servirsi della Chiesa";
  • la maturità dell'uomo credente nella linea della piena maturità di Cristo (4,13): se quella di Cristo è una maturità piena, in altre parole compiuta, quella del credente è una maturità maturante, cioè in cammino: essa implica accettare la distanza tra una situazione presente rinnovata ma incompiuta, cioè gratificata dal dono di una caparra (1,6.14) ma sempre immersa nelle difficoltà della mondanità (5,1-20), e la promessa della vita futura, cioè del pieno compimento di tutto (1,10.14.23; 2,21; 4,13).
Note
  1. Commentarium in Ephesios, I,1.
  2. Contra Marcionem 5, 11.
  3. Si tratta del tempio dedicato ad Artemide citato in At 19,24.27.35 .
  4. Tertulliano, Adversus Marcionem 5, 17.
  5. Adversus Haereses V, 2, 3; 14, 3.
  6. Paolo morì nella prima metà degli anni 60.
Fonti
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni