Santa Giovanna d'Arco
Santa Giovanna d'Arco Vergine | |
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Santa | |
Vergine | |
Andrew C.P. Haggard, Ritratto di santa Giovanna d'Arco (1912), olio su tela | |
Età alla morte | 19 anni |
Nascita | Domrémy-la-Pucelle 6 gennaio 1412 |
Morte | Rouen 30 maggio 1431 |
Iter verso la canonizzazione | |
Venerata da | Chiesa cattolica |
Beatificazione | 18 aprile 1909, da Pio X |
Canonizzazione | 16 maggio 1920, da Benedetto XV |
Ricorrenza | 30 maggio |
Attributi | Armatura, spesso a cavallo, vessillo, corona d'oro, gigli, spada |
Patrona di | Francia, telegrafia e radio |
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Nel Martirologio Romano, 30 maggio, n. 4:
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Santa Giovanna d'Arco, in francese Jeanne d'Arc, o Jehanne Darc nella versione più arcaica (Domrémy-la-Pucelle, 6 gennaio 1412; † Rouen, 30 maggio 1431), è stata una vergine francese. Eroina nazionale di Francia è oggi conosciuta come la Pulzella d'Orléans. Ebbe il merito di riunificare il proprio Paese contribuendo a risollevarne le sorti durante la guerra dei Cent'anni, guidando vittoriosamente le armate francesi contro quelle inglesi. Catturata dai Borgognoni davanti Compiègne, Giovanna fu venduta agli inglesi che la sottoposero a un processo per eresia, al termine del quale, il 30 maggio 1431, fu condannata al rogo e arsa viva.
Nel 1456 il Pontefice Callisto III, al termine di una seconda inchiesta, dichiarò la nullità di tale processo. Beatificata nel 1909 e canonizzata nel 1920 da Benedetto XV, Giovanna venne dichiarata patrona di Francia.
Infanzia e giovinezza
Nata a Domrémy[2] da Jacques Darc[3] e Isabelle Romée[4], in una famiglia di contadini della regione della Lorena, ma appartenente alla parrocchia di Greux, soggetta alla sovranità francese.
Giovanna era una ragazzina molto devota e caritatevole; nonostante la giovane età visitava e confortava i malati e non era insolito che offrisse il proprio giaciglio ai senzatetto per dormire lei stessa per terra, sotto la copertura del camino. Non frequentando la scuola, i momenti topici della sua esistenza erano le messe domenicali e i pellegrinaggi. All'età di tredici anni iniziò a udire voci celestiali spesso accompagnate da un bagliore e da visioni dell'Arcangelo Michele, di Santa Caterina d'Alessandria e di Santa Margherita di Antiochia[5], come sosterrà in seguito. La prima volta che queste voci le si palesarono, secondo il suo stesso racconto, reso durante il processo per eresia subito a Rouen nel 1431, Giovanna si trovava nel giardino della casa paterna; era il mezzodì di un giorno d'estate[6]: sebbene sorpresa e impaurita da quell'esperienza, Giovanna decise di consacrarsi interamente a Dio facendo voto di castità[7] «per tutto il tempo che a Dio fosse piaciuto»[8].
Fuga dalle devastazioni provocate dai borgognoni nel 1428
Nell'estate del 1428 la sua famiglia fuggì dalle devastazioni provocate dalle truppe di Giovanni di Lussemburgo e Antonio di Vergy, capitano borgognone, nella valle del fiume Mosa. Era da poco iniziato l'anno 1429 quando gli inglesi erano ormai prossimi a occupare completamente Orléans, cinta d'assedio sin dall'ottobre 1428[9]: la città, sul lato settentrionale della Loira, aveva, per la posizione geografica e il ruolo economico, un valore strategico quale via d'accesso a tutte le regioni meridionali; per Giovanna, che sarebbe diventata una figura emblematica della storia di Francia, fu quello il momento (sollecitata dalle voci), per correre in aiuto di Carlo, Delfino di Francia e futuro re, estromesso dalla successione al trono a beneficio della dinastia inglese nella guerra che l'opponeva agli Inglesi e ai loro alleati Borgognoni[10].
Come Giovanna stessa dichiarerà sotto interrogatorio, in un primo tempo mantenne il più stretto riserbo su queste apparizioni sovrannaturali, che all'inizio le parlavano della sua vita privata e che solo successivamente l'avrebbero spinta a lasciare la propria casa per guidare l'esercito francese. Tuttavia, i suoi genitori dovettero intuire qualcosa del cambiamento che stava avvenendo nella ragazza, forse anche allertati da qualche confidenza che Giovanna stessa si era lasciata sfuggire, come avrebbe ricordato, molti anni dopo, un suo amico di Domrémy[11], e avevano deciso di darla in sposa a un giovane di Toul. Giovanna rifiutò di accettare la proposta di matrimonio e il suo fidanzato la citò in giudizio dinanzi al tribunale episcopale; ascoltate entrambe le parti, il tribunale diede ragione a Giovanna, dal momento che il fidanzamento era avvenuto senza il suo assenso[12].
Vinta anche la resistenza dei genitori, la ragazza ebbe di nuovo le mani libere e poté dedicarsi alla sua missione. La prima tappa del suo viaggio la portò sino a Vaucouleurs, ove, con l'appoggio dello zio Durand Laxart, riuscì a incontrare il capitano della piazzaforte, Robert de Baudricourt, il quale, al primo incontro, avvenuto il 13 maggio 1428[13], la schernì rimandandola a casa come una povera folle. Per nulla demoralizzata da quell'insuccesso, Giovanna si recherà altre due volte presso il capitano di Vaucouleurs e questi, forse spinto dal consenso che Giovanna sapeva raccogliere tanto tra il popolo quanto tra i suoi uomini, mutò parere sul suo conto, sino a convincersi (non prima di averla sottoposta a esorcismo da parte del curato Jean Fournier) della sua buona fede e ad affidarle una scorta che l'accompagnasse al cospetto del sovrano, come la ragazza domandava. Proprio in questa occasione Giovanna indossò abiti maschili, forse perché più adatti al viaggio o forse per emulare Santa Margherita d'Antiochia o per evidenziare alla rinuncia di una vita familiare e sessuale consueta.[14]
Gesta belliche
Il tragitto di Giovanna da Vaucouleurs verso Chinon per incontrarsi col gentile Delfino, per usare le sue stesse parole, suscitò di per sé non poco interesse. Viaggiando tra i confini sempre incerti e sfumati tra villaggi francesi e anglo-borgognoni, recando con sé la promessa di un aiuto sovrannaturale che sarebbe stato in grado di rovesciare le sorti della guerra, che ormai sembravano segnate, l'esiguo drappello rappresentava l'ultima speranza per il partito che ancora sosteneva il "re di Bourges", come veniva sprezzantemente chiamato Carlo VII dai suoi detrattori. Il Jean de Dunois (Bastardo d'Orléans) inviò due suoi fidi a Gien, ove la Pulzella era passata, per raccogliere informazioni e l'intero paese ne attendeva le gesta, che effettivamente vi furono, anche se pagate ad alto prezzo.[15][16]
Incontro con Charle Valois, Delfino di Francia
Senza neppure avvisare i suoi genitori, Giovanna partì da Vaucouleurs il 22 febbraio 1429, accompagnata da un manipolo composto da Jean de Metz, Bertrand de Poulengy, uomini di fiducia di Robert de Baudricourt, da Richard Larcher, da servitori e guidata da un corriere reale, Colet de Vienne, diretti a Chinon. Il piccolo drappello percorse una non facile via fra territori contesi sino al castello di Chinon all'inizio del mese di marzo. Il fatto di essere scortata dagli uomini di un capitano fedele al Delfino probabilmente giocò non poco a favore dell'incontro con quest'ultimo.[18]
Presentandosi al Delfino Carlo, dopo due giorni di attesa, nella grande sala del castello di Chinon, Giovanna sostenne di essere stata inviata da Dio per portare soccorso a lui e al suo reame[19].
Tuttavia, il Delfino, non fidandosi ancora completamente di lei, la sottopose a un lungo esame in materia di fede, protrattosi per circa tre settimane, facendola interrogare da un gruppo di teologi[20] della appena fondata Università di Poitiers, nata nel 1422[21], sotto la guida di François Garivel, consigliere reale in materia di giurisprudenza. Solo quando la giovane ebbe superato questa prova Carlo, convintosi, decise di affidarle un intendente, Jean d'Aulon, nonché l'incarico di "accompagnare" una spedizione militare (pur non ricoprendo alcun incarico ufficiale) in soccorso della città di Orléans assediata e difesa da Jean de Dunois (Bastardo d'Orléans), mettendo così nelle sue mani, di fatto, le sorti della Francia.[22]
Giovanna iniziò pertanto la riforma dell'armata trascinando con il suo esempio le truppe francesi e imponendo uno stile di vita rigoroso e quasi monastico: fece allontanare le prostitute che seguivano l'esercito, bandì ogni violenza o saccheggio, vietò che i soldati bestemmiassero; impose loro di confessarsi e fece riunire due volte al giorno, intorno al suo stendardo, l'esercito in preghiera, al richiamo del suo confessore, Jean Pasquerel. Il primo effetto fu quello di instaurare un rapporto di reciproca fiducia tra la popolazione civile e i suoi difensori i quali, invece, avevano l'inveterata abitudine di tramutarsi da soldati in briganti quando non erano impegnati in azioni di guerra[23][24] Soldati e capitani, contagiati dal carisma della giovane, sostenuti dalla popolazione di Orléans, si prepararono alla riscossa.
Assedio d'Orléans
Sebbene non le fosse stata affidata formalmente nessuna carica militare, Giovanna divenne presto la figura ispiratrice delle armate francesi: in armatura, impugnando spada e la bandiera bianca della Francia con raffigurato Dio benedicente il giglio araldico francese e ai lati gli Arcangeli Michele e Gabriele, chiamata da tutti come Jeanne la Pucelle (Giovanna la Pulzella, come le voci l'avevano chiamata), Giovanna raccolse 4.000 volontari francesi da tutto il regno che guidò infervorati nelle battaglie contro gli anglo-borgognoni, che erano a un passo dalla vittoria definitiva, dato che erano giunti a porre l'assedio a Orléans, chiave di volta della valle della Loira nella Francia centrale. Cadendo, l'intera Loira meridionale sarebbe stata presa; la stessa Chinon, corte del futuro re Carlo VII, era minacciata da vicino.
Orléans, era accerchiata dalle degli inglesi (principalmente arcieri) e dai borgognoni (cavalleria e fanteria pesante corazzata), che avevano costruito otto fortezze intorno alla città, per rinforzare l'assedio (bastioni di Tourelles, Augustins, Saint-Jean-le-Blanc, Saint-Laurent, Saint-Loup e tre fortezze poste a sud della Loira, dette "Londre", "Rouen" e "Paris" e infine la fortezza dell'isola di Charlemagne). L'assedio inglese stava per chiudere ogni via d'accesso alla città, che poteva capitolare per fame[25].
I francesi erano tuttavia riusciti a mantenere aperta la porta di Bourgogne e Giovanna, il 29 aprile giunse sulla riva meridionale, di fronte al borgo di Chécy, in sella a un destriero bianco e preceduta da un lungo corteo di presbiteri intonanti il Veni Creator. Li trovò ad attenderla Jean de Dunois (Bastardo d'Orléans), che la pregò di entrare in città per quella via mentre i suoi uomini compivano manovre diversive. L'esercito e i rifornimenti, necessari per sfamare la popolazione allo stremo, avrebbero atteso di poter essere traghettati attraverso il fiume con il vento favorevole.[26]
Incontro con Jean de Dunois (Bastardo d'Orléans)
L'incontro tra il giovane comandante e Giovanna d'Arco fu burrascoso, dinanzi alla decisione di attendere che il vento girasse in modo da consentire l'ingresso dei rifornimenti e dei rinforzi, Giovanna rimproverò aspramente l'uomo di guerra, sostenendo che suo compito sarebbe stato quello di condurre Lei e l'esercito direttamente in battaglia. Il Bastardo d'Orléans non ebbe neppure tempo di replicare poiché pressoché subito il vento mutò direzione e divenne favorevole al transito sulla Loira, consentendo l'ingresso dei rifornimenti e dei rinforzi, (4000 uomini), che accompagnavano Giovanna[27].
Nel frattempo, sulla via per Orléans, Giovanna venne raggiunta da due dei suoi fratelli: Giovanni e Pietro, che si erano uniti ai soldati. Dopo alcuni giorni, durante i quali venne conquistata la fortezza di Saint-Loup, Giovanna ordinò l'attacco ai bastioni più fortificati a sud del fiume (Saint-Jean-le-Blanc e Augustins), conquistandoli il 6 maggio dopo una giornata di combattimenti. Il 7 maggio 1429, riuscì a rompere l'accerchiamento, guidando le truppe (pur ferita a una spalla da una freccia alla scapola), conquistando il bastione di Tourelles, senza smettere di combattere e senza farsi curare sino al termine delle ostilità[28], per poi rientrare nella città attraverso il ponte[29].
Liberazione di Orléans
L'8 maggio 1429, l'esercito inglese demolì i propri bastioni, abbandonando i prigionieri e si dispose a dare battaglia in campo aperto. Giovanna, Jean de Dunois e gli altri capitani schierarono le loro forze e per un'ora i due eserciti si fronteggiarono; alla fine, gli Inglesi si ritirarono e Giovanna d'Arco impose ai francesi di non inseguirli, perché era domenica. La città di Orléans era finalmente libera.
Giovanna d'Arco e l'esercito, prima di rientrare, unitamente al popolo, assistettero a una messa all'aperto, ancora in vista del nemico in fuga[30].
Il successo fu fondamentale per le sorti della guerra, poiché esso impedì che gli anglo-borgognoni potessero occupare l'intera parte sud del paese, rimasta fedele a re Carlo e inoltre diede inizio a un'avanzata nella valle della Loira che sarebbe culminata nel trionfo francese della battaglia di Patay.
Campagna della Loira
Dopo soltanto tre giorni dalla liberazione di Orléans, Giovanna e Jean de Dunois si misero in viaggio per incontrare il Delfino a Tours, seguendo l'armata reale sino a Loches. In effetti, sebbene l'entusiasmo popolare si fosse acceso istantaneamente, così come l'interesse dei governanti (incluso l'imperatore Sigismondo), esisteva il rischio che si spegnesse con uguale facilità, lasciando solo il ricordo delle gesta alle poesie di Christine de Pisan o di Carlo d'Orléans (all'epoca prigioniero)[31]. La corte era divisa e molti nobili tentati di trarre profitti personali dall'inaspettata vittoria, temporeggiando o suggerendo obiettivi bellici d'interesse strategico secondario rispetto al cammino tracciato da Giovanna, lungo la Valle della Loira, sino a Reims. Jean de Dunois, forte della propria esperienza militare, dovette esercitare tutta la sua influenza sul Delfino prima che questi si decidesse a organizzare l'attacco su Reims.[32]
Inizio della campagna per la conquista di Reims
Il 9 giugno 1429, nei pressi di Orléans, il comando dell'armata reale venne affidato al duca Giovanni II d'Alençon, assieme alle compagnie del Bastardo d'Orléans e di Florent d'Illiers di Châteaudun. L'esercito raggiunse Jargeau l'11 giugno. Al loro arrivo i comandanti francesi volevano accamparsi nei sobborghi della città ma furono quasi travolti dalla controffensiva inglese. Giovanna d'Arco guidò al contrattacco la propria compagnia e l'esercito poté acquartierarsi.
Il 10 giugno Giovanna risolse un consiglio di guerra con irruenza, esortando ad attaccare senza esitazioni. Grazie a un diversivo improvvisato Jean de Dunois, le mura di Reims, sguarnite, vennero conquistate e così la stessa città. Durante l'attacco, Giovanna fu colpita al capo da una roccia. Tuttavia, la Pulzella, caduta al suolo, fu subito in piedi.
Il 13 e 14 giugno l'esercito, di ritorno a Orléans, ripartì immediatamente per un'offensiva su Meung-sur-Loire.Con un attacco fulmineo il 15 giugno venne preso il ponte sulla Loira, e, posta una guarnigione sullo stesso, l'esercito passò oltre per accamparsi davanti a Beaugency. Gli inglesi attendevano il corpo d'armata di rinforzo comandato da Sir John Falstof, famoso capitano, che si era liberato del peso dei rifornimenti e ora procedeva a marce forzate[33],[34].
Arrivo dei bretoni del Conestabile Arturo III di Bretagna (Richemont)
Pressoché contemporaneamente, tuttavia, anche l'esercito francese acquisiva un nuovo e scomodo alleato, il Conestabile Arturo di Richemont, comandante dei Bretoni, su cui pesava il bando dalle terre del Delfino per antiche dispute. All'interno dell'esercito si nutriva ostilità per il Richemont; il duca Giovanni II D'Alençon rifiutò di cedere il comando dell'armata reale al Conestabile di Francia, che ne aveva il diritto, senza nemmeno avvisare il Delfino ma senza neppure consultarsi con gli altri capitani o con Jean de Dunois, cugino del sovrano.
Giovanna, attenta ai bisogni dell'esercito e nel suo candore, incurante delle lotte intestine che dividevano la nobiltà, chiese al Conestabile se fosse pronto ad aiutarli onestamente; in altre parole, chiese a Richemont di offrire la propria parola e la propria spada al Valois. Ricevuta dal conestabile Richemont piena assicurazione di fedeltà, Giovanna non esitò ad ammetterlo nel regio esercito. In effetti, d'ora innanzi il Conestabile darà prova della propria lealtà a Carlo VII di Francia; tuttavia, l'accettazione nei ranghi dell'esercito di quell'uomo in disgrazia compromise non poco la fiducia a Giovanna. Qualcuno glielo fece notare, ma con semplicità Lei rispose che aveva bisogno di rinforzi.
Questo era senz'altro vero. Il castello di Beaugency, vista arrivare la compagnia di Bretoni, si decise infine a capitolare. Gli Inglesi negoziarono la resa contro un salvacondotto che permise loro di lasciare la città il 17 giugno.
Con la spensieratezza e la volontà di riappacificazione che le erano proprie e con l'impeto della giovinezza Giovanna si era esposta a favore di un uomo in disgrazia, a rischio della fiducia stessa di cui ella godeva presso la corte.[35]
L'armata francese si rimise in cammino; all'avanguardia, le compagnie del Jean de Dunois e di Jean Poton de Xaintrailles, seguite dal corpo d'armata principale, comandato da La Hire (capitano di ventura che già aveva partecipato all'assedio d'Orléans, sostenitore entusiasta della Pulzella); alla retroguardia, il signore di Graville e la stessa Giovanna.
La sera del 17 giugno l'esercito si vide sbarrare la strada da quello inglese, schierato in assetto da battaglia in campo aperto. Due araldi inglesi furono inviati a lanciare la sfida all'armata reale, posizionata in cima a una bassa collina. Tuttavia, memore delle passate sconfitte, il Duca D'Alençon esitava ad accettare il confronto. Fu Giovanna che, giungendo dalle retrovie, diede risposta al nemico, invitandolo a ritirarsi nei propri alloggiamenti, vista l'ora tarda e rimandando la battaglia al giorno successivo[36].
Quella notte, mentre un incerto Giovanni II d'Alençon chiedeva conforto a Giovanna, che lo rassicurava della prossima e facile vittoria. Nottetempo, l'esercito inglese, agli ordini del Conte John Talbot, si riposizionò per poter dispiegare le proprie forze attorno a una strettoia, per poter sorprendere i nemici francesi in un punto obbligato di passaggio. Tuttavia, le cose andarono diversamente.[37]
Grandiosa vittoria nella battaglia di Patay
Il 18 giugno 1429 un cervo attraversò il campo inglese a Patay, e i soldati inglesi, lanciato un alto grido, si misero al suo inseguimento; furono visti da esploratori francesi che riferirono con rapidità e precisione la posizione del nemico ai loro capitani, che non si lasciarono sfuggire l'occasione. L'avanguardia dell'esercito, con le compagnie di La Hire e di Giovanna d'Arco, attaccò improvvisamente il campo inglese, prima che gli inglesi avessero modo di erigere la consueta barriera difensiva di spuntoni, che impediva alla cavalleria pesante di travolgerli e dava modo agli arcieri (armati di arco lungo) di compiere stragi tra le fila del nemico. Senza questa protezione, in campo aperto, l'avanguardia inglese fu schiacciata dai cavalieri corazzati francesi.[38]
Dopo questo caso fortuito, una catena di malintesi e tattiche errate lasciò l'esercito inglese nella più totale confusione. Alcuni contingenti tentarono di ricongiungersi in tutta fretta al corpo d'armata principale, guidati dal Conte Talbot, ma questo fece credere al capitano dell'avanguardia che fossero stati sconfitti, al che egli stesso, accompagnato dal portastendardo, si diede a una fuga disordinata che presto si trasformò in rotta, coinvolgendo le compagnie poste a protezione del corpo d'armata principale e lasciando la massa degli arcieri inglesi esposti agli attacchi francesi senza più alcuna protezione della cavalleria pesante borgognona.
Per gli inglesi si trattò di una sconfitta completa e inattesa. Nella battaglia di Patay lasciarono sul campo oltre duemila uomini, mentre i francesi contavano soltanto tre morti e alcuni feriti. Gli echi della battaglia giunsero sino a Parigi, con la popolazione convinta che la liberazione della città fosse imminente. In campo inglese la fama di Giovanna la Pulzella crebbe enormemente, almeno quanto la sua importanza nelle fila francesi[39].
La battaglia di Patay fu anche un modo per Giovanna di confrontarsi con la realtà della guerra, se usualmente pregava per i soldati caduti da entrambe le schiere, se aveva pianto a Orléans nel vedere tanta violenza, a Patay, dopo la vittoria in campo aperto, vedeva i suoi soldati (peraltro non più guidati da Jean de Dunois, ma affidati al comando del Giovanni II d'Alençon) abbandonarsi a ogni brutalità. Dinanzi a un prigioniero inglese colpito con tale violenza da stramazzare al suolo Giovanna scese da cavallo e lo tenne tra le braccia, consolandolo e aiutandolo a confessarsi, sino a che la morte non sopraggiunse[40].
Fredda accoglienza da parte del Delfino Charle Valois
Dopo la battaglia di Patay, molte città e piazzeforti minori, a partire da Janville, si arresero volontariamente all'esercito francese. Mentre l'armata reale rientrava, vittoriosa, ad Orléans, il sovrano indugiava, invece, a Sully-sur-Loire, probabilmente per evitare un incontro imbarazzante con Arturo III di Bretagna (Richemont)[41].
Giovanna e il Duca D'Alençon cavalcarono velocemente verso il Delfino, ottenendo, nonostante il recente ed eclatante successo, una fredda accoglienza. Il contrasto tra i colori della città in festa, che l'aveva già vista trionfante e ora l'acclamava e l'umore cupo, vitreo, della corte, dovettero creare un'aspra dissonanza nell'animo di Giovanna che, tuttavia, instancabile, non cessò di rassicurare ed esortare il gentile Delfino affinché si recasse a Reims[42].
Nei giorni seguenti, la Pulzella cavalcò a fianco del sovrano sino a Châteauneuf-sur-Loire, dove il 22 giugno si sarebbe tenuto consiglio su come proseguire la campagna militare. Qui ebbe luogo, nuovamente, il confronto tra coloro che consigliavano prudenza e attesa o al massimo, il consolidamento della posizione raggiunta. La maggioranza dei capitani, meno influenti presso la corte, ma che avevano sperimentato sul campo il formidabile potenziale di cui disponevano, premeva per la continuazione dell'offensiva. L'esercito non era solo forte di 12.000 armati, ma anche del loro entusiasmo e della loro lealtà, e, per la prima volta da lungo tempo, poteva contare anche sull'appoggio popolare, tanto che ogni giorno nuovi volontari venivano ad aggiungersi. Infine, le insistenze della Pulzella, impaziente e dominata dal pensiero ricorrente della Consacrazione, affinché l'esercito marciasse risolutamente su Reims, vennero accolte[43],[44].
Il 29 giugno 1429, presso Gien, l'esercito "della Consacrazione", comandato, almeno nominalmente, dal Delfino in persona, si mise in marcia in pieno territorio borgognone.[45]
Conquista di Troyes
Preceduto da una lettera di Giovanna, l'esercito giunse dinanzi a Troyes, dove il Delfino Charle VII Valois era stato estromesso dalla successione al trono. La guarnigione di inglesi e borgognoni di Troyes rifiutò di arrendersi e si dispose alla battaglia, inoltre viveri e rifornimenti scarseggiavano in campo francese.
Il consiglio dei capitani di guerra, riunitisi dinanzi al Delfino, sembrava propenso a interrompere la spedizione o, al limite, a raggiungere Reims lasciandosi alle spalle Troyes ancora in mano anglo-borgognona. Giovanna, al limite della pazienza, bussò alle porte del consiglio. Venne ricevuta con scetticismo. Dinanzi alle difficoltà che le furono prospettate, obiettò che la città sarebbe stata senz'alcun dubbio presa e chiedendo che le venissero concessi tre giorni di assedio, i capitani furono d'accordo. Senza porre tempo in mezzo, la Pulzella schierò l'esercito in assetto da battaglia e portò la possente artiglieria francese a distanza di tiro delle mura, agitando il bianco stendardo gigliato al vento.
I cittadini di Troyes furono presi dal panico, come anche la guarnigione. Lo spiegamento di forze che Giovanna stava preparando era impressionante. In breve, vennero inviati messaggeri al campo francese. Troyes si arrendeva e riconosceva Carlo come proprio sovrano. Le truppe inglesi e borgognone ottennero un salvacondotto per poter lasciare la città con quanto avevano, persino con prigionieri francesi. Giovanna si oppose, chiese la loro liberazione e re Carlo pagò il riscatto. Il 10 luglio Giovanna la Pulzella entrava a Troyes con la propria compagnia e, di lì a poche ore, Charle VII Valois faceva il suo ingresso trionfale nella città. Senza colpo ferire, l'ostacolo più grande che si frapponeva tra l'esercito e Reims era caduto[46].
Il 14 luglio l'esercito "della Consacrazione" riprese velocemente la strada per Reims. Si diresse dapprima verso Châlons-sur-Marne, ove gli venne incontro il Vescovo della città, accompagnato da una delegazione di cittadini, che fece atto di piena obbedienza a Carlo VII di Francia. Proseguirono verso Sept-Saulx, ove gli abitanti avevano costretto la guarnigione anglo-borgognona ad abbandonare la città[47].
Lungo la via, Giovanna ebbe la gioia d'incontrare alcuni abitanti del suo paese natale, Domrémy, che avevano affrontato un difficile viaggio per presenziare alla solenne Consacrazione del Re, così come una moltitudine di persone dalle più diverse parti di Francia e di riabbracciare suo padre e sua madre, riconciliandosi con loro per quella partenza segreta verso Vaucouleurs di soli pochi mesi prima.
Reims si arrende senza combattere
Frattanto, il 16 luglio, il Delfino riceveva nel castello di Sept-Saulx una delegazione di borghesi di Reims che offrivano la totale obbedienza della città. Il giorno stesso l'esercito vi fece il suo ingresso e vennero iniziati i preparativi per la cerimonia della Consacrazione del Re a Reims[48].
Il 17 luglio 1429, dopo aver trascorso la notte in veglia di preghiera, Carlo VII fece il suo ingresso nella cattedrale, tra la folla festante, insieme agli "ostaggi" della Santa Ampolla, quattro cavalieri incaricati di scortare la reliquia che dai tempi di Clodoveo era utilizzata per consacrare e incoronare il Re di Francia, pronunciò i giuramenti prescritti dinanzi all'officiante, l'arcivescovo Regnault de Chartres; da un lato, presenziavano sei "pari ecclesiastici", dall'altro, sei "pari laici", esponenti della nobiltà, tra i quali, in rappresentanza del fratellastro prigioniero, il Jean de Dunois (Bastardo d'Orléans)[49].
Dinanzi a tutti gli altri stendardi, a un passo dall'altare, era stato posizionato quello bianco-gigliato della Pulzella e la stessa Giovanna assisteva alla cerimonia vicinissima al Re; infine, il sovrano, unto con il crisma, venne rivestito dei paramenti rituali e ricevette la corona, assumendo il nome di Carlo VII.[50]
Mentre i "pari laici" annunciavano al popolo la consacrazione e la festa s'iniziava per le vie della città, Giovanna si gettò dinanzi a Re Carlo VII, abbracciandogli le ginocchia, piangente, ed esclamò: «O gentile Re, ora è compiuto il volere di Dio, che voleva che vi conducessi a Reims per ricevere la Consacrazione, dimostrando che siete il vero re e colui al quale il Regno di Francia deve appartenere»[51]
Eredità ideale di Giovanna d'Arco
Dopo quella giornata, che aveva rappresentato l'apice delle imprese e dei progetti di cui Giovanna si sentiva investita, la ragazza si sentì avvolgere da un'aura di sconforto che non l'abbandonerà più, sino al giorno della sua cattura. Dopo la gioia di aver visto consacrare il suo re, di aver incontrato molti suoi compaesani che l'avevano vista partire come una folle visionaria e che, dopo aver affrontato il lungo viaggio sino a Reims, la ritrovavano a reggere il proprio stendardo nella cattedrale dinanzi a quello di tutti gli altri nobili e capitani, dopo essersi riconciliata coi genitori che sempre si erano opposti alla sua partenza e ora la guardavano meravigliati e commossi[52], Giovanna avvertiva che ormai il suo compito era terminato.
Giovanna confidò a Jean de Dunois, al suo fianco, che avrebbe lasciato volentieri le armi per tornare nella casa paterna[53] e che se avesse dovuto scegliere un luogo ove morire sarebbe stato tra i contadini che l'avevano seguita, semplici ed entusiasti e che si sentiva schiacciata dal peso della missione di cui si era fatta carico e che le appariva oramai compiuta.[54]
In realtà, Giovanna lasciava un'eredità ideale e spirituale non da poco. In un mondo di violenze estreme e sopraffazioni assolute, aveva seguito i convincimenti Cattolici e aveva dimostrato che era possibile riportare la pietà e la giustizia in un ambiente che le aveva dimenticate. Sia al suo arrivo a Orléans, sia alla formazione dell'esercito "della Consacrazione", Giovanna aveva imposto ai combattenti di astenersi dal saccheggiare e taglieggiare le popolazioni, aveva proibito la consueta abitudine brutale di uccidere i nemici e i poveri prigionieri dai quali non si sarebbe potuto trarre riscatto, aveva cercato una "buona pace stabile" con i nemici sia inglesi sia borgognoni, senza stancarsi d'inviare loro lettere in cui li invitava a deporre le armi, implorandoli sulla base del semplice amore cristiano, aveva galvanizzato il popolo, unendo idealmente i più umili contadini ai nobili feudatari che ora si sentivano parte integrante di una sola nazione.[55]
L'eredità di Santa Giovanna d'Arco non andrà perduta con il suo supplizio. Ciò che in Giovanna era frutto della fede, del dialogo con le sue voci, continuerà a vivere negli ideali di un popolo: rese centrale l'idea di identità nazionale francese sino ai giorni nostri; il suo slancio verso una forma di guerra che, pur nella violenza, risparmiasse i civili e non fosse condotta da capitani di ventura, che spesso si tramutavano in briganti, ma da gentiluomini ufficiali della corona, porteranno sia alla formazione di un esercito nazionale professionale e permanente, oltre ai primi rudimenti del diritto di guerra nel mondo.
Questo avverrà soprattutto con la promulgazione da parte di Carlo VII dell'«Ordinanza d'Orléans» del 1439[56]), in cui si sanciva il diritto delle genti, uguale per tutti, d'essere rispettati nella propria vita e nei propri beni, il divieto di servirsi di bande di mercenari senza che questi non rispondessero direttamente alla corona, la responsabilità dei capitani per ogni danno arrecato alla popolazione civile. Con la stessa Ordinanza, emanata sotto la spinta di Jean de Dunois, uomo ammirato e temuto ma circondato da fama di originalità e fedeltà, sia per la sua devozione alla causa di Giovanna anche dopo la morte sul rogo, sia perché era tra i pochi capitani di guerra che riuscivano a limitare la violenza nel campo di battaglia, era finalmente istituito un unico regio esercito francese[57].
Altre campagne militari
Dopo la Consacrazione, Carlo VII soggiornò per tre giorni a Reims, attorniato dall'entusiasmo popolare; infine, accompagnato dall'esercito, riprese il cammino, quando ormai gli echi di quell'impresa apparentemente impossibile si erano già sparsi per il paese. Entrò così a Soissons e a Château-Thierry, mentre Laon, Provins, Compiègne e altre città facevano atto di obbedienza al Re. L'armata reale trovava la strada spianata dinanzi a sé[58].
Giovanna cavalcava insieme al Jean de Dunois e a La Hire, assegnata a uno dei "corpi di battaglia" dell'esercito regio. Mentre il successo arrideva al progetto di Giovanna, le invidie e gelosie di corte riaffioravano. Il giorno stesso della Consacrazione, tra le assenze, spiccava quella del conestable Arturo III di Bretagna, che avrebbe dovuto reggere simbolicamente la spada durante la cerimonia ma, essendo in disgrazia, aveva dovuto cedere l'incarico al Sire d'Albret. Inoltre, era sempre più profonda la spaccatura tra i nobili che appoggiavano Giovanna e avrebbero voluto dirigersi verso Seine-Saint-Denis per riconquistare Parigi[59].
Battaglia di Montépilloy
Nel frattempo, il regio esercito francese, partito da Crépy-en-Valois, il 15 agosto 1429, si trovò dinanzi l'armata inglese, rinforzata, schierata in formazione da battaglia, presso Montépilloy; questa volta, gli inglesi avevano preparato con cura la siepe di pioli di legno che avrebbe impedito ogni carica di cavalleria frontale e attendevano i francesi al varco; questi ultimi non riuscivano a far spostare il nemico dalle sue posizioni, nonostante gli sforzi della compagnia di La Hire che tentò invano di impegnarli in battaglia per dare modo agli altri reparti di intervenire. Dopo una giornata spossante, tra il vento e la polvere, gli inglesi si ritirarono verso Parigi. L'armata francese rientrò a Crépy-en-Valois, quindi raggiunse prima Compiègne e, da lì, Seine-Saint-Denis, luogo delle sepolture reali[60].
Qui, per ordine di re Carlo VII, iniziò lo scioglimento dell'"esercito della Consacrazione", in attesa delle trattative con la Borgogna che a parte di ottenere una tregua di quindici giorni, non approdarono mai a quella "buona pace stabile" che Giovanna si augurava. Il Jean de Dunois (Bastardo d'Orléans) e la sua compagnia vennero licenziati e fatti ripiegare su Blois, a ispezionare inutilmente i territori del Ducato d'Orléans[61].
Indubbiamente, l'atteggiamento della corte verso la Pulzella era mutato; a Seine-Saint-Denis, Giovanna dovette evidentemente avvertire la differenza, le sue Voci la consigliarono, in quelle circostanze, di non procedere oltre. Questa volta, però, le sue parole furono accolte come quelle di uno dei tanti capitani di guerra al servizio della corona; l'aura d'entusiasmo che l'attorniava stava diminuendo, almeno presso la nobiltà. A fianco a Giovanna, per il momento, rimanevano il duca Giovanni II di Alençon D'Alençon e La Hire.[62]
Il Re e la corte, infatti, anziché approfittare del momento propizio per marciare su Parigi, avevano iniziato una serie di trattative con Filippo il Buono, Duca di Borgogna, al quale era stata affidata dagli inglesi la custodia della capitale, rinunciando a adoperare le risorse militari di cui disponevano. Il 21 agosto, a Compiègne, città difesa da Guglielmo di Flavy, iniziarono a prendere forma le linee di una tregua più lunga. Effettivamente, gli inglesi semplicemente non avevano più risorse finanziarie per sostenere la guerra[63].
Nonostante questo, la tregua con la potenza anglo-borgognona sembrava non tenere conto della debolezza della controparte e venne condotta da parte francese in modo scellerato, assicurando una pausa nelle ostilità senza ottenere alcun vantaggio in cambio.
Assedio di Parigi
Nel frattempo Giovanna e gli altri capitani si attestarono presso le mura di Parigi; il Duca D'Alençon mantenne i contatti con la corte, all'oscuro delle trattative in corso, convincendo infine Carlo VII a raggiungere Seine-Saint-Denis.
L'8 settembre 1429 i capitani francesi decisero di prendere d'assalto Parigi. Giovanna acconsentì all'offensiva, stanca di continui rinvii. Lasciato l'accampamento de La Chapelle, a metà strada fra Seine-Saint-Denis e Parigi, l'esercito francese prese d'assalto la porta "Saint Honoré" a colpi d'artiglieria, sino a che i difensori del camminamento che la sovrastava non si ritirarono all'interno; mentre D'Alençon comandava le truppe a difesa dell'artiglieria, Giovanna si recò con la sua compagnia fin sotto le mura della città, circondate da un primo e un secondo fossato; il secondo era allagato e qui la Pulzella dovette fermarsi, ordinando di gettare fascine e altro materiale per riempirlo. D'improvviso, venne ferita da una freccia che le attraversò la coscia. Ciononostante, non volle lasciare la posizione; si ritirò al riparo del primo fossato fino a sera, quando fu suonata la ritirata. Giovanni II d'Alençon la raggiunse e la fece trascinare via a forza mentre, sconfitto, l'esercito francese si ritirava nuovamente al campo[64].
Giovanna depone l'armatura sull'altare
Il giorno seguente, nonostante la ferita, Giovanna si preparava a un nuovo assalto, quando lei e il Duca D'Alençon furono raggiunti da due emissari, il Duca di Bar e il Conte di Clermont, che le intimarono, per ordine del Re, di interrompere l'offensiva e tornare a Seine-Saint-Denis. Giovanna ubbidì. Probabilmente rimproverata per quell'insuccesso dovuto a un'iniziativa neppure sua (ma decisa dai capitani che agivano in nome del Re) Giovanna ritornò alle rive del fiume Loira, dopo aver solennemente deposto sull'altare della chiesa di Saint-Denis la sua armatura[65].
Il 21 settembre 1429, a Gien, venne disciolto definitivamente dal Re l'esercito "della Consacrazione". Giovanna, separata dalle truppe e dalla guida del Duca d'Alençon, fu ridotta all'inazione; affidata al Sire d'Albret fu condotta a Bourges, ospitata da Margherita di Tourolde, moglie di un consigliere del sovrano, ove rimase tre settimane.
Re Carlo VII, infine, ordinò a Giovanna di accompagnare una spedizione contro Perrinet Gressart, comandante anglo-borgognone; il corpo di spedizione, formalmente comandato dal Sire d'Albret, pose l'assedio a Saint-Pierre-le-Moûtier, il 4 novembre la città fu presa d'assalto, ma l'esercito francese più volte respinto e fu costretto alla ritirata. Giovanna rimase invece sotto le mura con pochi soldati, quando il suo attendente, Jean D'Aulon, le chiese perché non tornasse indietro insieme agli altri, rispose che aveva intorno a sé cinquantamila uomini, mentre in realtà aveva soltanto cinque combattenti. Ripreso coraggio, l'esercito si volse nuovamente all'attacco, attraversò il fossato e di slancio prese la città[66].
Catastrofico assedio di Charité-sur-Loire
L'esercito francese allora mosse verso La Charité-sur-Loire e iniziò a fine novembre uno spossante assedio che si protrasse per circa quattro settimane, al termine delle quali dovette ritirarsi, perdendo sul campo anche i migliori pezzi d'artiglieria[67].
Giovanna ritornò a corte, presso il Re, trascorrendo il tempo principalmente a Sully-sur-Loire dopo aver passato il Natale a Jargeau. Stanca dell'inattività forzata, fra marzo e i primi di aprile Giovanna si rimise in marcia, alla testa di un gruppuscolo di circa duecento soldati comandati da Bartolomeo Baretta e, passando per il borgo di Melun, giunse infine, il 6 maggio 1430, a Compiègne, difesa da Guglielmo di Flavy; la città, assediata dalle truppe anglo-borgognone, resisteva ostinatamente[68].
Giovanna d'Arco catturata a Compiègne
A Montargis, Jean de Dunois venne raggiunto dalla notizia della nuova offensiva borgognona contro Compiègne e si mise in viaggio per ottenere dal Re il comando di un corpo d'armata. Lo ottenne troppo tardi, tuttavia, per soccorrere Giovanna che, il 23 maggio 1430, fu catturata durante una sortita insieme al suo intendente, Jean D'Aulon, sotto le mura di Compiègne[69].
Prigionia e supplizio
La sera del 23 maggio 1430, mentre proteggeva la ritirata delle compagnie che stavano rientrando nella assediata Compiègne, Giovanna fu strattonata da cavallo e costretta ad arrendersi al Bastardo di Wamdonne, al servizio di Jean de Luxembourg, vassallo del Re d'Inghilterra.[70]
Il 6 dicembre dello stesso anno Giovanna venne venduta agli Inglesi, dopo quattro mesi di prigionia nel castello di Beaurevoir, per la somma di 10.000 franchi tornesi, in qualità di prigioniera di guerra. Dopo un processo per eresia iniziato il 9 gennaio, Giovanna fu arsa viva nella piazza del mercato vecchio di Rouen il 30 maggio 1431.[71]
Cattura
Giovanna non aveva voluto abbandonare quella che considerava una missione divina; e, di conseguenza, fu con pochi volontari che affrontò gli anglo-borgognoni. La scarsità numerica e l'ostilità che la circondava, tuttavia, la misero subito in una situazione difficile. Ferita e catturata durante la battaglia di Compiègne dalle forze borgognone, la Pulzella fu venduta per la somma di diecimila franchi tornesi agli alleati inglesi, i quali la processarono per eresia e stregoneria a Rouen, senza che Carlo VII muovesse in suo soccorso.
Secondo alcuni, invece, Carlo VII avrebbe incaricato segretamente prima La Hire, che venne catturato in un'azione militare e poi il Bastardo d'Orléans di liberare la prigioniera, come proverebbero alcuni documenti che attestano due "imprese segrete" presso Rouen, tra cui uno datato 14 marzo 1431, in cui Jena de Dunois accusa ricevuta di 3.000 lire tornesi per una missione oltre la Senna.[72]
Processo a Jehanne d'Arc
Il processo a Giovanna ebbe inizio formale il 9 gennaio 1431, quando Pierre Cauchon, vescovo di Beauvais, ottenuta la giurisdizione su Rouen (allora sede arcivescovile vacante), conferì l'incarico di procuratore a Jean d'Estivet, uomo di sua fiducia e canonico della cattedrale di Beuavais, il quale convocò un collegio inquisitoriale composto da oltre cinquanta esperti in teologia e diritto canonico. Terminata una prima fase istruttoria, durata circa 40 giorni, nei quali furono ascoltati vari testimoni (tra questi la sedicente veggente Catherine de la Rochelle, che aveva avuto alcuni dissapori con l'accusata) e fu condotta un'inchiesta nella stessa Domrémy, Estivet convocò Giovanna d'Arco per la prima udienza processuale, che si tenne il 21 febbraio 1431. Altri tre interrogatori seguirono a brevissima distanza fino al 27 febbraio, quando iniziò la fase dibattimentale. Fino a quel momento nessuno era riuscito a indurre Giovanna in contraddizione, né a fare in modo che si compromettesse con dichiarazioni inappropriate sulle "voci" che diceva di udire.
Chiesa trionfante e chiesa militante
A partire dal 1º marzo tutte le udienze del processo furono tenute a porte chiuse e alla giovane imputata non fu consentito di incontrare nessuno che non fosse inquisitore o giudice. Con tale disposizione Cauchon ed Estivet volevano provocare un crollo nervoso da parte di Giovanna, che tuttavia non cedette. Durante il secondo di questi interrogatori, tenutosi in forma riservata il 15 marzo, gli inquisitori chiesero a Giovanna se sapeva distinguere tra la "Chiesa trionfante" e la "Chiesa militante"; comprendendo la capziosità della domanda, l'imputata si rifiutò di fornire una risposta precisa ("Visto che la Chiesa è opera di Dio non ci deve essere una grande differenza") ma accennò brevemente al fatto che considerava la Chiesa militante, ossia la "Chiesa dei preti", subordinata alla Chiesa trionfante e spiegò comunque di essere sottomessa all'autorità di ambedue le chiese. Quando poi le fu chiesto se riteneva di trovarsi nella "Grazia di Dio", Giovanna, che intuiva l'ambiguità della domanda (se avesse risposto di no avrebbe distrutto i presupposti su cui fondava la sua difesa, se avesse risposto di sì avrebbe peccato di superbia), rispose: "Se non lo sono prego il Signore che mi ci metta, ma se lo sono lo prego perché mi ci mantenga, perché preferirei morire piuttosto che restarne esclusa".
Il 27 marzo fu convocata un'udienza pubblica del collegio inquisitoriale, durante la quale Jean d'Estivet diede sfogo a tutta la propria valenza oratoria, assumendo toni decisamente violenti nel formulare accuse teologiche e nel muovere rimproveri alla condotta morale della giovane imputata; tuttavia, l'accusa ricevette ancora delle risposte parzialmente insoddisfacenti e interlocutorie da parte di Giovanna d'Arco, che cominciò anche a dare segni di impazienza di fronte al tribunale ecclesiastico, probabilmente temendo che il suo destino fosse segnato e la sentenza già decisa ancora prima di essere messa per iscritto.
Verdetto di colpevolezza
Il 12 aprile nel palazzo arcivescovile di Rouen si riunì il collegio giudicante, formato da teologi e giuristi, provenienti in gran parte dalla Sorbona e presieduto dal "magister" Ermengardo. Nonostante le prove raccolte contro Giovanna d'Arco fossero oggettivamente assai deboli, venne emesso un verdetto di colpevolezza per una lunga lista di imputazioni, le più gravi delle quali erano la blasfemia, l'idolatria e la superstizione.
Seppure stremata nel morale e nel fisico, Giovanna d'Arco continuò a professarsi innocente anche nelle settimane successive e ad affermare la veridicità delle voci che continuava a udire.
Il 18 aprile 1431 Giovanna fu colpita da un grave malessere accompagnato da un violento stato febbrile, che fece temere per la sua vita, ma si riprese nel giro di pochi giorni. Nel frattempo gli inglesi facevano pressione su Pierre Cauchon perché accelerasse l'esecuzione della sentenza, ma il vescovo di Bauvais, forse non del tutto convinto della regolarità formale del processo, né della effettiva colpevolezza della ragazza, continuò a prendere tempo. Del resto, Cauchon era sottoposto alle pressioni contrapposte da Giovanni Lancaster, duca di Bedford, da un lato, che auspicava una rapida messa a morte della condannata e da Filippo III di Borgogna dall'altro, che, pur avendone richiesto la condanna, non voleva la morte di Giovanna, forse perché ne aveva pietà ma soprattutto perché temeva di farne una martire.
Abiura
Il 23 maggio 1431 fu data lettura pubblica della sentenza di condanna nel cimitero di Rouen e Giovanna d'Arco, fisicamente stremata e terrorizzata dalla prospettiva di morire bruciata, non reagì, né controbatté alla lunga e infamante lista di imputazioni. Sulla promessa di aver salva la vita e di restare in mano francese, accettò quindi di sottoscrivere l'atto di abiura, segnando il documento con una croce o con un cerchio (fatto che molti studiosi hanno ritenuto insolito, perché la donna, pur priva di qualsiasi istruzione formale, sapeva scrivere il proprio nome, cosa che fece praticamente in tutte le occasioni in cui le fu richiesto, tracciando a fatica la firma "Jehanne"). Giovanna fu quindi reintegrata nel seno della Santa Chiesa cattolica di Roma e condannata alla carcerazione perpetua. Tuttavia, il giorno successivo, durante una cerimonia solenne in cui dava notizia dell'abiura e della conseguente condanna all'ergastolo di Giovanna d'Arco, Pierre Cauchon la consegnò di fatto ai carcerieri inglesi.
In realtà l'abiura, se da un lato favorì la commutazione della pena di morte in quella dell'ergastolo, dall'altro ebbe però l'effetto di legittimare sotto ogni profilo il processo. Infatti, se non avesse abiurato, Giovanna d'Arco avrebbe potuto appellarsi direttamente alla Santa Sede, chiedendo che il processo fosse dichiarato illegittimo e nel frattempo gli effetti della sentenza sarebbero rimasti sospesi. Ammettendo, invece, la propria colpevolezza, Giovanna si precluse ogni possibilità di appello, e il processo celebrato a suo carico vide sanato ogni suo eventuale vizio.
Tra le condizioni dell'atto di abiura di Giovanna vi era anche quella di non indossare più vestiti di foggia maschile. La mattina del 27 maggio, però, i carcerieri inglesi che sorvegliavano la sua cella dichiararono di aver trovato Giovanna con indosso abiti maschili. Condotta dinnanzi ai giudici e agli inquisitori, la ragazza affermò di aver sottoscritto l'abiura perché intimorita dalla prospettiva del rogo e perché non aveva del tutto compreso il significato del documento firmato; ribadì quindi la sua innocenza e la veridicità delle voci e delle rivelazioni da essa ricevute. Di fronte alla sostanziale ritrattazione dell'abiura, Pierre Cauchon la dichiarò allora "relapsa" e dispose che fosse consegnata al braccio secolare perché fosse eseguita la condanna a morte.
Il processo non fu esente da irregolarità, come ad esempio la detenzione di Giovanna in un carcere laico con guardiani maschi che la trattarono da prigioniera di guerra, oppure la mancanza di un difensore, di un curator, vista anche la giovane età dell'imputata, come anche, infine il legame che saldava i guidici con la causa anglo-borgognona.
Supplizio
Il 30 maggio 1431, di fronte a una folla numerosa riunitasi per l'occasione, Giovanna d'Arco fu condotta al rogo che era stato allestito sulla piazza del mercato di Rouen. Contrariamente alla prassi dell'epoca, che prevedeva che il condannato fosse scomunicato prima di essere arso e che gli fossero negati i conforti religiosi, Giovanna d'Arco poté confessarsi e ricevere la comunione, fu quindi incatenata a un pilastro di pietra, posto al di sopra di un cumulo di legna e fascine alto circa tre metri, perché fosse ben visibile anche da una certa distanza. Le testimonianze raccolte durante la revisione del processo affermano che la giovane, dopo che era stato appiccato il fuoco alla pira, abbia urlato ancora una volta che le voci che continuava a udire erano vere e non se le era inventate, cosa che di fatto secondo lei era vera, ma per i suoi detrattori non corrispondeva a verità. Nel momento in cui il fuoco cominciò a bruciarle il corpo la ragazza urlò fortissimo Gesù, tante volte per cercare di non pensare all'orrore e al male che stava subendo in maniera puramente efferata. Una volta che le fiamme l'ebbero completamente avvolta, prima di morire vide apparire davanti ai suoi occhi una croce astile, come conforto per il suo martirio, dal Papa che molto teneva a lei e che era stato costretto a condannare a una pena così atroce perché pressato dagli stessi inglesi che desideravano una condanna molto più crudele dell'ergastolo per "Pulzella". Gettarono le ceneri nel fiume Senna per evitare che i venditori di reliquie potessero alimentare il culto della Pulzella, salvatrice della Francia condannata dai nemici a un supplizio raccapricciante.
Verginità della Pulzella Giovanna d'Arco
Definendosi apertamente la "Pulzella", Giovanna accreditava l'idea di essere un'inviata da Dio e non una strega: la sua verginità simboleggiava chiaramente la purezza, tanto da un punto di vista fisico quanto da quello delle intenzioni religiose e politiche. Di conseguenza, verificarne la veridicità era questione di fondamentale importanza: così, per ben due volte venne constatata dalle matrone, a Poitiers nel marzo 1429, e a Rouen il 13 gennaio 1431, su ordine dello stesso Cauchon.
L'abitudine di Giovanna di portare abiti maschili aveva probabilmente il fine di impedire ai malintenzionati di violentarla. Secondo Jean Massieu riprese a vestire abiti femminili, ma le guardie inglesi le avrebbero tolto le stesse gettandole in cella il sacco nel quale vi era l'abito da uomo[73].
Riabilitazione (1456)
Quando ormai le truppe inglesi avevano perso la propria influenza, nel 1456, la Chiesa, sotto papa Callisto III riaprì l'inchiesta, autorizzando un nuovo processo: il precedente tribunale fu riconosciuto come illegittimo, il processo annullato e Giovanna fu, a posteriori, riabilitata e riconosciuta innocente. Il grande accusatore della Pulzella, il vescovo Pierre Cauchon, subì la scomunica postuma come eretico.
Nel 1869 il vescovo d'Orléans diede avvio a una petizione per la canonizzazione della fanciulla. Papa Leone XIII diede inizio al suo processo di beatificazione, che costituì anche un segnale per migliorare i rapporti della Santa Sede con il governo francese instauratosi nel 1893, fortemente anticlericale.
Proclamata Santa (1920)
Giovanna venne beatificata il 18 aprile 1909 da papa Pio X e proclamata santa da papa Benedetto XV il 16 maggio 1920, dopo che le era stato riconosciuto il potere intercessorio per i miracoli prescritti (guarigione di due suore da ulcere incurabili e di una suora da una osteo-periostite cronica tubercolare, per quanto concerne la beatificazione e la guarigione "istantanea e perfetta" di altre due donne, l'una affetta da una malattia perforante la pianta del piede, l'altra da "tubercolosi peritoneale e polmonare e da lesione organica dell'orifizio mitralico", per quanto concerne la canonizzazione[74]).
Il governo francese, lo stesso anno, riallacciò i rapporti con la Santa Sede (che erano sospesi dal 1895) e dichiarò festa nazionale l'8 maggio, giorno della battaglia di Orléans. Santa Giovanna d'Arco venne dichiarata patrona di Francia; della telegrafia e della radiofonia.
È venerata anche come protettrice dei martiri e dei perseguitati religiosi, delle forze armate e di polizia. La sua memoria liturgica viene celebrata il 30 maggio.
Santa Giovanna d'Arco viene richiamata esplicitamente nel Catechismo della Chiesa cattolica quale una delle più belle dimostrazioni d'un animo aperto alla Grazia salvatrice[75].
L'incredibile e breve vita, la passione e la drammatica morte di Giovanna d'Arco sono state raccontate innumerevoli volte in saggi, romanzi, biografie, drammi per il teatro; anche il cinema e l'opera lirica si sono occupati di questa figura. Tra le opere più significative riguardanti Giovanna sono da annoverare quelle dello storico Jules Michelet e del drammaturgo Johann Schiller.
Oggi è la Santa francese più venerata.
Reliquie
Giovanna d'Arco fu arsa viva sul rogo il 30 maggio 1431, l'esecuzione procedette con modalità ben descritte nelle cronache dell'epoca e consistette in una sorta di "tripla cremazione". Giovanna non fu infatti uccisa direttamente dalle fiamme ma dall'inalazione dei fumi incandescenti prodotti dalla combustione della paglia, morte atroce ma molto rapida (per soffocamento dovuto a edema della laringe). Si sa con certezza che, pochi minuti dopo che le fiamme avevano completamente avvolto la pira, i boia le fecero abbassare, consentendo ad alcuni spettatori di avvicinarsi, per mostrare loro che il cadavere era di una donna e che si trattava di Giovanna d'Arco (dunque era riconoscibile), successivamente il fuoco fu riattizzato, in modo che il cadavere potesse essere completamente distrutto dal calore. A questa seconda cremazione, ne seguì una terza, perché i carnefici si erano resi conto che il corpo, seppure carbonizzato, non bruciava completamente.
I resti del rogo furono quindi caricati su un carro e gettati nella Senna. La dispersione delle ceneri era una sorta di pena accessoria e postuma, ma aveva anche uno scopo immediato e pratico: impedire che venissero prelevate reliquie di Giovanna d'Arco, perché a meno di due anni dalle grandi imprese militari della "Pulzella", la sua fama era ancora enorme e il coraggio con cui aveva affrontato il processo e la condanna potevano rafforzarla ulteriormente; la presenza di eventuali reliquie poteva quindi costituire la base di un culto pericoloso, perché rivolto a una nemica implacabile di inglesi e borgognoni.
Nonostante la meticolosità dei carnefici e le rigide disposizioni delle autorità borgognone e inglesi avessero reso molto improbabile questa eventualità, nel 1867 furono rinvenute alcune presunte reliquie di Giovanna d'Arco. Le recenti analisi condotte da Philippe Charlier hanno però dimostrato che le reliquie attribuite alla santa sono in realtà databili tra il VI e il III secolo a.C. e sono frammenti di una mummia egiziana (i presunti segni di combustione sono in realtà, secondo Charlier, il prodotto di un processo di imbalsamazione).[76] [77]
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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