Inno di giubilo
Inno di giubilo | |
Jacek Andrzej Rossakiewicz, La preghiera di Gesù (1990), olio su tela | |
Passi biblici | |
Insegnamento - Messaggio teologico | |
Gesù esprime la sua gioia perché la volontà del Padre è quella di tenere nascoste le cose del Regno di Dio ai dotti e ai sapienti e rivelarle ai piccoli. Gesù manifesta il suo intimo rapporto di conoscenza e di amore con il Padre. |
È comunemente chiamato Inno di giubilo (o a volte Inno di giubilo messianico o Inno di giubilo al Padre) quella preghiera di Gesù che si trova in Mt 11,25-27 [1] e in Lc 10,21-22 . È una preghiera di riconoscenza e di lode che per gli esegeti ha un'intonazione giovannea.
Rappresenta l'autorivelazione di Gesù più alta di tutta la tradizione sinottica. Gesù manifesta il suo intimo rapporto di conoscenza e di amore con il Padre, che lo autorizza a rivelare il mistero della sua identità alle persone semplici e piccole, ai suoi discepoli[2].
Contesto
I due brani nella traduzione CEI 2008 | ||||||||||||||
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Il contesto in cui appare l'Inno di giubilo è leggermente diverso nei due evangelisti:
- In Matteo è la gioia perché, nonostante le opposizioni e i rifiuti, ci sono dei "piccoli" che accolgono la sua parola e si aprono al dono della fede in Lui. L'Inno di giubilo, infatti, è preceduto dal contrasto tra l'elogio di Giovanni il Battista, uno dei piccoli che hanno riconosciuto l'agire di Dio in Gesù (cfr. Mt 11,2-19 ), e il rimprovero per l'incredulità delle città del lago "nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi" (cfr. Mt 11,20-24 ). Il giubilo quindi è visto da Matteo in relazione alle parole con cui Gesù constata l'efficacia della sua parola e della sua azione: "Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!" (Mt 11,4-6 ).
- Luca presenta l'Inno di giubilo in connessione con un momento di sviluppo dell'annuncio del Vangelo. Gesù ha inviato i settantadue discepoli (Lc 10,1 ), ed essi sono partiti con un senso di paura per il possibile insuccesso della loro missione. Anche Luca, come Matteo, sottolinea il rifiuto incontrato nelle città in cui il Signore ha predicato e ha compiuto segni prodigiosi. Ma i settantadue tornano pieni di gioia, perché la loro missione ha avuto successo; essi hanno constatato che, con la potenza della parola di Gesù, i mali dell'uomo vengono vinti. E Gesù condivide la loro soddisfazione: "in quella stessa ora", in quel momento, esulta di gioia.
Entrambi gli evangelisti poi fanno seguire all'Inno uno degli appelli più accorati di Gesù:
« | Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. » | |
Gesù chiede di andare a Lui che è la vera sapienza, a Lui che è "mite e umile di cuore"; Gesù propone il suo "giogo": la strada del Vangelo non è una dottrina da imparare o una proposta etica, ma una Persona da seguire: Egli stesso, il Figlio Unigenito in perfetta comunione con il Padre.
Note esegetiche
Luca introduce la preghiera di Gesù con l'annotazione: "Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo" (10,21). Gesù gioisce partendo dall'intimo di se stesso, in ciò che ha di più profondo: la comunione unica di conoscenza e di amore con il Padre, la pienezza dello Spirito Santo.
Gesù e il Padre
Nell'originale greco dei Vangeli il verbo con cui l'inno inizia, e che esprime l'atteggiamento di Gesù nel rivolgersi al Padre, è exomologoumai; esso è tradotto spesso con "rendo lode"[3] (Mt 11,25 ; Lc 10,21 ), ma negli scritti del Nuovo Testamento questo verbo indica principalmente due cose:
- la prima è "riconoscere fino in fondo"[4];
- la seconda cosa è "trovarsi d'accordo".
L'espressione con cui Gesù inizia la sua preghiera contiene quindi il suo riconoscere fino in fondo, pienamente, l'agire di Dio Padre, e, insieme, il suo essere in totale, consapevole e gioioso accordo con questo modo di agire, con il progetto del Padre. L'Inno di giubilo è l'apice di un cammino di preghiera in cui emerge chiaramente la profonda e intima comunione di Gesù con la vita del Padre nello Spirito Santo; in esso si manifesta la sua filiazione divina.
Gesù si rivolge a Dio chiamandolo "Padre". Questo termine esprime la coscienza e la certezza di Gesù di essere "il Figlio", in intima e costante comunione con Lui; da questo punto centrale sgorga la preghiera di Gesù, come si vede chiaramente nell'ultima parte dell'Inno, che illumina l'intero testo. Gesù dice: "Tutto è stato dato a me dal Padre mio, e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo" (Lc 10,22 ). Gesù quindi afferma che solo il Figlio conosce veramente il Padre. Non si può conoscere senza una comunione dell'essere: nell'Inno di giubilo, come in tutta la sua preghiera, Gesù mostra che la vera conoscenza di Dio presuppone la comunione con Lui: solo chi è in profonda comunione con l'altro può cominciare a conoscerlo. Quindi la vera conoscenza di Dio è riservata al suo Figlio, all'Unigenito che è da sempre nel seno del Padre (cfr. Gv 1,18 ), in perfetta unità con Lui. Solo il Figlio conosce veramente Dio, essendo in comunione intima dell'essere; solo il Figlio può rivelare veramente chi è Dio.
Il Signore del cielo e della terra
Il nome "Padre" è seguito da un secondo titolo, "Signore del cielo e della terra". Gesù, con questa espressione, ricapitola la fede nella creazione e fa risuonare le prime parole della Genesi: "In principio Dio creò il cielo e la terra" (1,1). Gesù richiama la grande narrazione biblica della storia di amore di Dio per l'uomo, che inizia con l'atto della creazione, e si inserisce in questa storia di amore, giungendo ad esserne il vertice e il compimento. Nell'esperienza di preghiera di Gesù la Sacra Scrittura viene illuminata e rivive nella sua più completa ampiezza: annuncio del mistero di Dio e risposta dell'uomo trasformato. Ma attraverso l'espressione "Signore del cielo e della terra" possiamo anche riconoscere come in Gesù, il Rivelatore del Padre, viene riaperta all'uomo la possibilità di accedere a Dio.
La rivelazione ai piccoli
A chi il Figlio vuole rivelare i misteri di Dio? All'inizio dell'Inno Gesù esprime la sua gioia perché la volontà del Padre è quella di tenere nascoste queste cose ai dotti e ai sapienti e rivelarle ai piccoli (cfr. Lc 10,21 ). Qui Gesù manifesta la sua comunione con la decisione del Padre che schiude i suoi misteri a chi ha il cuore semplice: la volontà del Figlio è una cosa sola con quella del Padre. La rivelazione divina non avviene secondo la logica terrena, per la quale sono gli uomini colti e potenti che possiedono le conoscenze importanti e le trasmettono alla gente più semplice, ai piccoli. Dio ha usato tutt'altro stile: i destinatari della sua comunicazione sono stati proprio i "piccoli". Questa è la volontà del Padre, e il Figlio la condivide con gioia[5]. Da qui deriva l'invocazione che i credenti rivolgono a Dio nel Padre nostro: "sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra": insieme con Cristo e in Cristo, i credenti chiedono di entrare in sintonia con la volontà del Padre, diventando così suoi figli. Gesù, pertanto, in questo Inno di giubilo esprime la volontà di coinvolgere nella sua conoscenza filiale di Dio tutti coloro che il Padre vuole renderne partecipi; e coloro che accolgono questo dono sono i "piccoli".
Uso liturgico
Nella liturgia romana il brano viene letto nella XIV domenica del Tempo Ordinario nell'Anno A (Mt 11,25-30 ), e il mercoledì della XV settimana del Tempo Ordinario (Mt 11,25-27 ).
Nella liturgia ambrosiana il brano è letto:
- il sabato nella settimana della II domenica Dopo la Dedicazione, sia nell'anno I che nell'anno II (Mt 11,25-27 );
- il sabato nella settimana della XIV domenica Dopo Pentecoste, nell'anno I (Lc 10,21-22 ).
Note | |||||||
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Bibliografia | |||||||
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Voci correlate | |||||||