Inter Mirifica
Inter Mirifica Decreto del Concilio Vaticano II (1962-1965) sotto il pontificato di Paolo VI | |
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Data: | 4 dicembre 1963 |
Argomenti trattati: | strumenti di comunicazione sociale. |
(IT) Testo integrale sul sito della Santa Sede. | |
Tutti i documenti del Concilio Vaticano II |
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Lo schema del documento |
Proemio (1-2)
Capitolo primo
Capitolo secondo
Conclusione (23-24)
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Inter Mirifica (latino, "Tra le meraviglie") è il decreto del Concilio Vaticano II sugli strumenti di comunicazione sociale.
Esso venne votato il 4 dicembre 1963 da quasi 2000 Padri Conciliari, con 164 contrari. Questo decreto e la costituzione Sacrosanctum Concilium sulla liturgia furono i primi due testi approvati dal Concilio.
Contesto ecclesiale, mondiale e italiano
Il rapporto tra la Chiesa e gli strumenti della comunicazione era iniziato ben prima del Concilio. Negli anni trenta erano apparsi importanti documenti ecclesiali sulla comunicazione: la Vigilanti Cura di Pio XI (1936) e la Miranda Prorsus di Pio XII (1957); essi si riferivano soprattutto al cinema, che in quegli anni poneva numerosi interrogativi. L'atteggiamento della Chiesa, con le dovute cautele, si apriva alla positività, riconoscendo opportunità e potenzialità dei mezzi di comunicazione per la crescita dell'uomo, insieme ai possibili rischi.[1]
Nel 1962 la crisi di Cuba teneva il mondo con il fiato sospeso.[2] Il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, deciso a evitare la catastrofe coinvolse Giovanni XXIII, che redisse l'appello per la pace nella notte tra il 23 e il 24 ottobre 1962. Quattro giorni dopo venne firmato a Mosca, dai rappresentanti del Cremlino e dai diplomatici di Washington e Londra, il Test Ban Treaty (Trattato di divieto dei test nucleari) sancendo la rinuncia alle esplosioni atomiche sperimentali a eccezione di quelle sotterranee. La pace era salva, e si respirava nei confini delle due superpotenze un clima di rinnovamento.
In Italia, gli anni '60 rappresentano per il Paese e per la Chiesa Cattolica un periodo di significativi cambiamenti, soprattutto nel rapporto tra media e cultura. Regina indiscussa dei consumi familiari era la televisione, la cui fruizione aveva smesso di essere collettiva entrando definitivamente nelle case di gran parte degli italiani[3]. I grandi avvenimenti di quegli anni - il pontificato di Giovanni XXIII e l'indizione del Concilio - si intrecciarono con la storia dei media, e della televisione in particolare: la televisione, infatti, concesse ampia copertura al Concilio nei suoi anni di svolgimento; si ricorda soprattutto il momento dell'apertura dei lavori conciliari, che coinciseno anche con l'avvio delle trasmissioni televisive in mondovisione.
Storia del documento
La fase preparatoria
Il 19 dicembre 1959 ebbe inizio la fase ante-preparatoria del Concilio; la Commissione preparatoria si trovò a valutare ben 9.348 proposte che erano giunte da tutto il mondo; di esse, solo diciotto riguardavano le comunicazioni sociali.
Il 5 giugno 1960, con il Motu Proprio Superno Dei Nutu, Giovanni XXIII stabilì la Commissione preparatoria per il Concilio. Tale Commissione ebbe la responsabilità del testo sulle comunicazioni, e cominciò a lavorare nel luglio dello stesso anno, sotto la presidenza dell'arcivescovo Martin O'Connor e con l'allora mons. Andrzej Maria Deskur in qualità di segretario. Pochi giorni dopo nacque il Segretariato per trattare i problemi riguardanti i moderni mezzi di divulgazione del pensiero: stampa, radio, televisione, cinema, che includeva, tra gli altri, i 46 membri e consultori della Pontificia Commissione per il Cinema Religioso e Didattico.
Per giungere alla stesura organica di un documento da presentare alla Commissione centrale ci vollero quattro sessioni plenarie; al termine di esse fu necessario un ulteriore lavoro redazionale, che tenesse conto anche di altri emendamenti e suggerimenti. Presentato all'inizio di marzo del 1962 alla Commissione Centrale, per verificare se sussistessero ragioni sufficienti e motivi validi per sottoporre lo schema al Papa per un'eventuale discussione in aula conciliare, fu approvato agli inizi di aprile. Il 13 luglio il Papa fece includere il documento tra le materie che si sarebbero trattate nel concilio.
Nella prima sessione del Concilio (1962)
Lo schema Constitutionis de instrumentis communicationis socialis venne letto e discusso da tutti i padri conciliari e fu presentato da monsignor René-Louis-Marie Stourm, che era assolutamente convinto dell'importanza della questione. Nei fatti però, a inizio Concilio, lo schema non catturò particolare attenzione né da parte dei padri conciliari, concentrati su altre questioni, né da parte della stampa. La discussione avvenne dal 22 al 27 novembre 1962[4]. Parlarono solo 41 Padri conciliari, e non furono infrequenti, nelle loro parole, le critiche rivolte alla lunghezza del documento.
La presidenza del Concilio decise quindi di interrompere la discussione, e propose invece un'approvazione sostanziale dello schema ridotto però ad alcuni principi dottrinali fondamentali lasciando a un secondo momento l'elaborazione di direttive pratiche per l'approntamento di una Istruzione pastorale. La proposta fu approvata il 27 novembre: su 2.160 Padri presenti, furono 2.138 i voti a favore, quindici i contrari e sette gli astenuti.
Al termine della votazione, il documento passava nelle mani della decima Commissione per la rielaborazione e per le abbreviazioni richieste dai padri; la Commissione lo ridusse da 114 paragrafi a 24. Anche il suo genere cambiò: da Costituzione passò a Decreto conciliare.
Nella seconda sessione (1963)
{{ #ev: youtube | v9_Xs08AedA | 500 | right | La promulgazione del Decreto }}
Fu nel secondo periodo conciliare che si giocò il futuro del decreto. La relazione che presentava il nuovo documento fu consegnata in aula conciliare l'11 novembre e fu sottoposta a due differenti votazioni. I numeri della votazione presentavano una decisa maggioranza a favore, ma il documento doveva affrontare ancora molte difficoltà: i commenti negativi diffusi da alcuni mezzi di comunicazione, così come una campagna concertata dai giornalisti e da altre persone, ebbero un impatto notevole sui Padri conciliari: nella votazione del 25 novembre 1963 si ebbero 1.598 voti favorevoli, 503 contrari e 11 astenuti. Quella stessa mattina vi era l'ultimo tentativo in extremis di condizionare la votazione: firmato da ben ventiquattro tra vescovi e arcivescovi e un superiore generale, in piazza San Pietro e nell'atrio della basilica fu distribuito ai padri conciliari che si recavano in aula per la votazione un ciclostilato che diceva: "Si pregano i Padri di riflettere e votare non placet. Infatti lo Schema delude l'attesa dei cristiani, specialmente dei competenti in materia. Se venisse promulgato come decreto ne scapiterebbe l'onore del Concilio".[2]
Il 4 dicembre il Decreto venne letto in aula da monsignor Pericle Felici, e l'esito della solenne votazione, alla presenza del Santo Padre, fu di 1.960 placet e 164 non placet, di gran lunga l'opposizione più forte che avesse suscitato un documento del Concilio Vaticano II[5].
Nel discorso di chiusura della seconda sessione del Concilio, lo stesso giorno, Papa Paolo VI affermò:
« | Un altro frutto, e di non poco peso, del nostro Concilio è il Decreto sui cosiddetti strumenti di comunicazione sociale, che apertamente attesta che la Chiesa gode della capacità di collegare la vita esteriore a quella interiore, l'azione alla contemplazione, l'apostolato alla preghiera. Anche in questo settore il nostro Concilio farà sì che siano correttamente usufruite e potenziate molte impostazioni e forme di attività che, tanto come strumenti che come documenti, già servono nel mondo intero sia all'esplicazione del ministero pastorale che ad ogni industriosità dei cattolici. » | |
(n. 15, online)
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L'accoglienza
Il Decreto sollecitò, all'indomani della sua pubblicazione, molte riflessioni e studi. A livello ecclesiale esso scontentò un po' tutti:[1]
- i progressisti, perché ancora segnato da un linguaggio censorio e da un'antropologia ingenua;
- i tradizionalisti, per la mancanza di esplicite condanne e per un'apertura giudicata eccessiva a strumenti potenzialmente tanto pericolosi per la morale e l'integrità della fede cattolica.
Un anno dopo la sua promulgazione, p. René Laurentin lo definiva "banale, moralizzante, gretto e poco aperto al ruolo dei laici".
Paolo VI, nella lettera apostolica In fructibus multis di istituzione della Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali (2 aprile 1964), orientò la prospettiva della riflessione della Chiesa, affermando che i media propongono nel nostro tempo problemi di importanza tale da influire non solo sulla cultura, sulla civiltà e sul costume pubblico, ma sulla stessa religione.
L'importanza recepita dalla Chiesa circa l'utilizzazione dei mezzi di comunicazione sociale continuò ad essere spunto di riflessione del magistero con l'Istruzione pastorale Communio et progressio (1971): tale documento indicò tra i compiti della comunità cristiana nell'attività di evangelizzazione l'uso dei mass media, riconoscendone la "grandissima utilità per diffondere la dottrina cristiana" (n. 129).
Si apriva però un nuovo cammino che trovava il suo punto di riferimento nel Decreto che, con la sua dimensione profetica, riconosceva il valore di queste meraviglie, frutto del genio umano, dono di Dio all’uomo, pur considerandone i rischi e i pericoli. Un sottile filo conduttore lega il magistero di Pio XII e la sua consapevolezza del ruolo evangelizzatore della comunicazione all’appello del 2005 di Papa Giovanni Paolo II: “non abbiate paura delle nuove tecnologie! Esse sono tra le cose meravigliose, inter mirifica …” In mezzo c’è il merito epocale di Inter Mirifica: avere accolto la dimensione kerigmatica e salvifica dei mass media, per continuare a diffondere la Buona Novella.
L'iter del Decreto in relazione al rapporto tra Chiesa e media
L'esperienza dei padri conciliari nell'iter di approvazione del Decreto può essere vista come un cammino di maturazione nella consapevolezza di quanto rappresentino, dal punto di vista sociale, i mass media.[2]
Infatti, man mano che i lavori del Concilio maturavano, miglioravano anche i rapporti tra la Chiesa Cattolica e l'opinione pubblica, e maturava anche la capacità della Chiesa stessa nel mediare il linguaggio teologico. Per la prima volta il dibattito teologico di un concilio si svolse alla luce del sole, mediante la stampa, la radio e la televisione, ed ebbe dimensioni gigantesche.
Note | |
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Fonti | |
Bibliografia | |
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