Giansenismo

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Panorama di Port-Royal des Champes

Il giansenismo è una corrente di pensiero teologico, nonché politico-ecclesiastico, sviluppatasi nella Chiesa cattolica fra il 1600 e il 1800, che muoveva dal testo Augustinus di Giansenio, nel quale veniva posto il problema dei rapporti fra grazia e libero arbitrio. Secondo questo pensiero, l'uomo è indotto al male dalla propria concupiscenza e solo nell'intervento della grazia divina può trovare approdo alla salvezza, cosa questa che rientra nella verità cattolica. La grazia non è concessa però a tutti gli uomini, ma solo a quelli che Dio ha stabilito nei suoi imperscrutabili disegni, e questo è il vero punto problematico.

Il movimento del giansenismo professava inoltre un certo rigorismo in materia morale e un'affermazione dello stato di equiparazione fra il Papa e i Vescovi.

Nel corso della Quaestio de auxiliis" i Domenicani erano accusati dai Gesuiti di essere eretici, in quanto equiparabili ai calvinisti, e i Gesuiti a loro volta erano accusati dai Domenicani di essere eretici, in quanto semipelagiani, quindi Giansenio si schiera contro i Gesuiti già con il titolo stesso Augustinus, visto che Sant'Agostino era stato il grande avversario di Pelagio. Ne segue che i Gesuiti erano particolarmente avversi a Giansenio.

Ritenuto eretico, soprattutto in seguito alle critiche dei Gesuiti, il movimento fu condannato da Papa Innocenzo X nel 1653, ma ebbe un rapido sviluppo sia in Francia, dove ebbe il suo centro propulsore nell'abbazia di Port-Royal des Champes (chiusa e distrutta ai primi del '700 ad opera di Luigi XIV) trovando consenso in parecchi autorevoli esponenti come Pascal, sia in Italia.

Dottrina

Le idee principali del Giansenismo si possono ridurre a tre aspetti principali:[1]

  1. un giansenismo dogmatico, il cui maggior rappresentante fu Giansenio
  2. un giansenismo morale, col suo maggior esponente in Antoine Arnauld
  3. e un giansenismo disciplinare, legato alla figura di Jean Duvergier de Hauranne

Giansenismo dogmatico

La dottrina del giansenismo ritiene che l'uomo sia corrotto dalla concupiscenza e quindi destinato a fare il male. Questa corruzione viene trasmessa ereditariamente. L'uomo dunque non è libero, e senza la grazia divina, l'uomo non può far altro che peccare e disobbedire alla sua volontà. Dio, all'atto della creazione, aveva dotato l'uomo della «grazia sufficiente» ma questi l'aveva persa con il peccato originale. Allora Dio ha deciso di donare, attraverso la morte e resurrezione di Cristo, una «grazia efficace» agli uomini da lui predestinati, resi giusti dalla fede e dalle opere.

Per quanto riguarda il rapporto fra la grazia divina e il libero arbitrio dell'uomo, argomento su cui all'epoca si disputava aspramente, il Giansenismo, influenzato dal Baianismo (dottrina di Baio, cioè Michel de Bay) cercava una via equidistante fra il Cattolicesimo e il Protestantesimo, asserendo che, con il conferimento della grazia, questa si compenetra alla volontà, la quale non è più umana ma diventa divina.

Giansenismo morale

È la diretta conseguenza del giansenismo dogmatico: di fronte ad un Dio arbitro assoluto della nostra sorte, l'atteggiamento più spontaneo non è l'amore, ma il timore, da cui una morale austera e rigorosa.

Giansenismo disciplinare

La Chiesa, per il Saint-Cyran, è adultera e infedele, e deve essere rinnovata integralmente, mediante un ritorno alle origini che elimini le novità introdotte in seguito. Si svaluta in genere l'autorità del papa per aumentare quella dei vescovi e dei parroci: è alla Chiesa intera che viene attribuita l'infallibilità, e non solo al pontefice.

Storia

Controversie sulla grazia

Dal punto di vista morale, il Concilio di Trento si era limitato a ribadire due punti fermi: la libertà dell'uomo (libero arbitrio) e la libertà di Dio (la grazia divina). La loro conciliazione spettava alle scuole teologiche.

A Lovanio, dopo il 1550, Michel de Bay insegnò varie tesi molto vicine a quelle di Lutero e Calvino: egli negava il carattere soprannaturale della condizione originale dell'uomo nel paradiso terrestre e perciò ne deduceva la corruzione totale dell'uomo dopo il peccato originale e l'impossibilità di resistere alla grazia. Baio fu condannato nel 1567 da papa Pio V e ancora da papa Gregorio XIII nel 1580.

Alla fine del Cinquecento scoppiò un'altra polemica tra domenicani e gesuiti, conosciuta come quaestio de auxiliis: i primi, ponevano l'accento sulla grazia, i secondi, accentuavano il libero consenso dell'uomo. Ne derivarono accuse reciproche di eresia: per i Gesuiti, i Domenicani erano calvinisti; per i Domenicani, i Gesuiti erano semipelagiani. La disputa venne sospesa d'autorità da parte del Papa (Paolo V per primo, ma poi altri interventi seguirono), con un provvedimento che lasciava alle due scuole libertà di opinione, ma proibiva le reciproche accuse di eresia. A questo punto, se si tiene conto che l'avversario di Pelagio fu Sant'Agostino, è chiaro l'aspetto polemico, in chiave antigesuita, del titolo Augustinus dell'opera di Giansenio, così come sono chiare le reazioni antigianseniste dei Gesuiti.

Giansenio (1585-1638)

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Giansenio

Nella discussione teologica sui rapporti tra libertà dell'uomo e grazia divina, intervenne anche il professore di Sacra Scrittura dell'università di Lovanio, Cornelio Jansen; questi morì nel 1638, lasciando un'opera postuma, l'Augustinus, che venne pubblicato due anni dopo, nel 1640.

Tre erano i volumi dell'opera:

  1. nel primo, Jansen riassume le posizioni dei pelagiani e dei semipelagiani;
  2. nel secondo, l'autore respinge la possibilità dello stato di natura pura, affermando che dopo il peccato originale l'uomo non può che peccare;
  3. nel terzo, Jansen espone la sua concezione sulla grazia: questa è assolutamente necessaria per fare il bene. Se Dio dona la grazia, l'amore di Dio trionfa; senza la grazia l'uomo decaduto obbedisce solo all'amore di sé. Ma per Jansen questo non è mancanza di libertà; infatti per lui la libertà non suppone l'assenza della necessità, ma soltanto l'assenza della costrizione. Per meritare o non meritare non è necessario cioè di essere liberi dalla necessità (da una determinazione intrinseca), ma solo liberi dalla costrizione. L'effetto della grazia non dipende dunque dal libero arbitrio, ma ogni grazia ottiene necessariamente il suo effetto.

Il primo intervento della Santa Sede; la bolla In eminenti

La pubblicazione dell'Augustinus suscitò una ridda di reazioni, soprattutto ad opera dei Gesuiti, che già avevano cercato di impedire l'uscita del libro. In Francia qualche dottore della Sorbona era favorevole all'opera di Giansenio. Roma intervenne tramite il nunzio a Colonia, Fabio Chigi, cercando di impedire la pubblicazione di qualsiasi opera sul tema della grazia. Urbano VIII incaricò il Sant'Uffizio di preparare un decreto per condannare tutte le opere pubblicate su questa disputa, in quanto erano contro i decreti di papa Paolo V (che in precedenza aveva vietato la pubblicazione di ogni libro sulla controversia).

Il decreto della Sacra Congregazione dell'Indice, che condannava l'opera di Jansen e imponeva il silenzio ai gesuiti, fu inviato al nunzio Chigi che lo fece affiggere nei luoghi pubblici (1641). Gli amici di Jansen a Lovanio tardarono a sottomettersi.

Inoltre venne sottoposto ad esame anche l'Augustinus, ma la mole del libro non permetteva un esame rapido. Solo il 19 giugno 1643 la bolla pontifica In eminenti venne spedita a Chigi e agli altri nunzi: in essa veniva condannato l'Augustinus come contenente proposizioni già condannate in precedenti documenti.

Malgrado alcune resistenze, e solo alla fine del 1651, la bolla pontificia era stata pubblicata in tutte le diocesi e i libri condannati non erano più in vendita. La questione sembrava chiusa.

Refettorio del monastero di Port-Royal‎ de Champes

Saint Cyran (1581-1643)

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Jean Duvergier de Hauranne

La polemica giansenista continuò in Francia con Jean Duvergier de Hauranne, nel 1620 diventato abate commendatizio di Saint Cyran. Per il suo modo di guidare spiritualmente le religiose del convento venne accusato di eresia e rinchiuso in prigione. E fu proprio in prigione che Saint Cyran lesse l'Augustinus, ed in esso vi lesse la vera dottrina di Sant'Agostino. Alla morte del Richelieu, Saint Cyran poté uscire dalla prigione, ma nell'ottobre 1643 anch'egli morì. Le sue idee e la sua influenza trovarono dei validi continuatori in Antonio e Angelica Arnauld.

Antoine Arnauld (1612-1694)

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Antoine Arnauld

Figlio di Roberto, amico del Duvergier, Antoine aveva studiato diritto e teologia. Diventato sacerdote e confessore del monastero di Port Royal (dove era abadessa la sorella, Angelica), fu il più grande continuatore di Saint Cyran e propugnatore delle idee giansenistiche. Delle sue molte opere, quella che suscitò più scalpore fu De la fréquente communion (1643). In essa affermava il principio che ebbe larga diffusione fino all'Ottocento: l'Eucaristia è un premio per i santi, non un rimedio per chi è debole: l'eccessiva frequenza alla comunione è causa di gravi danni, di cui i gesuiti con la loro pastorale lassista sono responsabili.

La pubblicazione del libro sollevò una tempesta di reazioni. A Roma il libro fu messo all'indice nel 1647.

Il secondo intervento della Santa Sede; la bolla Cum occasione

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Cum occasione

Nel frattempo la polemica intorno all'Augustinus e ai trattati di Arnauld continuavano, con diverse pubblicazioni. Il rettore della Sorbona, Nicola Cornet, nel 1649, propose di far esaminare alla facoltà le proposizioni o articoli che causavano i maggiori disordini e precisamente:

  • alcuni comandamenti sono impossibili anche agli uomini giusti, che si sforzano di eseguirli, in quanto anche a loro manca la grazia;
  • nello stato di natura decaduta non si resiste mai alla grazia interiore che viene da Dio;
  • per meritare nello stato di natura decaduta non è necessario che ci sia nell'uomo una libertà da necessità; basta la libertà da costrizione;
  • è eretica, perché semipelagiana, l'affermazione dell'esistenza di una grazia sufficiente a cui la volontà può resistere;
  • è semipelagiano affermare che Cristo è morto per tutti gli uomini senza alcuna eccezione;

Durante l'assemblea del clero del 1650, quasi 80 vescovi posero la propria firma ad una lettera che chiedeva l'intervento del papa sulle cinque proposizioni della Sorbona.

Innocenzo X preparò così una speciale commissione per studiare le proposizioni. Il lavoro durò due anni. Il 9 giugno 1653 era pronta la bolla Cum occasione, nella quale le cinque proposizioni erano condannate, le prime quattro come eretiche e l'ultima come falsa in senso eretico. La bolla, senza dirlo, affermava implicitamente che le proposizioni si trovavano nell'Augustinus. In realtà solo la prima proposizione si trova integralmente e negli stessi termini nell'opera dello Jansen.

La recezione della bolla del 1653; i Formulari

La controversia sembrava non avere termine. Lo stesso re di Francia, Luigi XIV, dovette intervenire per far pubblicare la bolla pontificia in tutto il regno. La dura opposizione dei giansenisti, obbligò il re ad indire una assemblea di vescovi parigini, la quale giunse alla conclusione che la Cum occasione aveva condannato le cinque proposizioni ritenendole di Jansen e nel senso di Jansen. Una lettera in questo senso fu scritta al papa e una circolare indirizzata ai vescovi del regno. Innocenzo X confermò con un breve le decisioni del clero francese. La bolla Cum occasione e il breve papale furono inviati a tutti i vescovi francesi perché li sottoscrivessero e li mettessero in esecuzione.

Intanto alcuni polemisti colsero l'occasione della bolla per fare diverse pubblicazioni, spesso di tono ingiurioso. Antoine Arnauld intervenne nella polemica affermando che solo la prima proposizione era tratta direttamente dell'opera di Jansen e che le altre quattro erano solo dei riassunti del suo pensiero. Fece una famosa distinzione tra la quaestio juris (questione di diritto) e la quaestio facti (questione di fatto): un conto è dire che le 5 proposizioni sono eretiche, e un conto è affermare che tale eresia si trova nell'Augustinus (cosa che l'Arnauld negava). In altri termini, la Chiesa può condannare solo le dottrine in astratto, ma non può giudicare infallibilmente della dottrina concreta di un individuo. Nel primo caso il fedele deve accettare la decisione della Chiesa, nel secondo caso invece deve solo mantenere un silenzio ossequioso (ossia non insegnare pubblicamente dottrine contrarie).

Nella disputa intervenne anche il filosofo Blaise Pascal, la cui sorella era religiosa a Port Royal. Egli scrisse le Provinciali, intervenendo in modo brillante a favore dei giansenisti e in particolare dell'Arnauld, minacciato di condanna da parte della Sorbona. Ma a nulla valse l'intervento del filosofo: Arnauld venne condannato e le Provinciali condannate ad essere bruciate.

Nel 1655 si riunì la sessione ordinaria dell'assemblea del clero francese, che ritenne necessario prendere conoscenza della questione dell'Augustinus. Dopo vivaci discussioni l'assemblea votò una risoluzione nella quale riconosceva nelle 5 proposizioni la dottrina di Jansen, contenuta nel suo libro, e che non era la dottrina di Agostino. Si scrisse al papa e a tutti i prelati del regno per far eseguire le decisioni di condanna. La lettera scritta ai prelati era accompagnata da un formulario che doveva essere sottoscritto. Si tratta di un formulario di sottomissione alla bolla e al breve papale e di condanna personale delle proposizioni di Jansen.

Alessandro VII decise di pubblicare a sua volta una costituzione apostolica, la Ad Sanctam Beati Petri Sedem (ottobre 1656), per confermare la presenza delle 5 proposizioni nell'Augustinus. La bolla fu approvata dall'assemblea del clero francese e venne accompagnata da un altro formulario di sottomissione.

Papa, re e vescovi sembravano uniti contro il giansenismo. Ma i teologi continuavano la lotta. Arnauld accettava la condanna delle 5 proposizioni (il diritto), ma negava che esse si trovassero nell'Augustinus (il fatto). Comunque la bolla Ad sacram fu seguita da un periodo di tregua. Alcuni giansenisti furono condannati ed esiliati da Parigi; un altro passò due mesi alla Bastiglia; gli associati a Port Royal furono dispersi e il monastero ebbe la proibizione di ricevere novizi.

Verso la pace

Ma non tutti erano d'accordo nel firmare i Formulari imposti dall'Assemblea del Clero. Quattro vescovi, e le monache di Port Royal continuarono a rifiutare di firmare. L'arcivescovo di Parigi deportò allora le dodici religiose e affidò il monastero a sei Visitandine e ad ufficiali del re. Il vescovo di Alet rimproverò il re di lasciarsi ingannare combattendo un'eresia immaginaria. Il punto debole era la sottoscrizione del formulario, che era imposto dall'assemblea, e che non aveva quella forza vincolante richiesta nell'occasione. Si chiese perciò l'intervento del papa con un suo formulario che sarebbe stato certamente più vincolante.

Alessandro VII fece allora scrivere la Regiminis apostolicis (febbraio 1665) con un formulario identico come senso a quello dell'assemblea, ma più breve. Nuove opposizioni francesi obbligarono il papa a convocare una nuova commissione di studio; questa volta ben 19 vescovi francesi si dichiararono contrari ad un nuovo intervento diretto del papa.

Il nuovo papa, Clemente IX, si mostrò più moderato nel voler la sottomissione dei vescovi ribelli: era disposto ad accontentarsi della sottoscrizione dei formulari, una senza restrizioni o interpretazioni. Alla fine i vescovi ribelli e lo stesso Antoine Arnauld firmarono e sottoscrissero il formulario e la bolla di Alessandro VII.

Il nuovo papa Clemente IX accettò con sollievo la sottoscrizione del formulario. Luigi XIV proibì le pubblicazioni sulle questioni controverse e l'uso dei termini di «giansenisti» e di «eretici». Ma rimase il dubbio sulla sincerità della firma. Nel febbraio 1669 anche le religiose di Port Royal firmarono.

Finalmente, dopo decenni di controversie teologiche, si arrivò ad una pace, chiamata "pace clementina". Ma le differenze rimasero e Roma era ancora diffidente.

La polemica sul Caso di coscienza

All'inizio del Settecento la controversia teologica sul giansenismo si riaccese attorno all'opuscolo anonimo "Un caso di coscienza", che sollevava il problema della liceità del silenzio ossequioso: si poteva dare l'assoluzione ad un ecclesiastico che solo esternamente accettava l'interpretazione che la Chiesa dava delle proposizioni contenute nel libro di Jansen?

L'opuscolo venne esaminato dal Sant'Uffizio e con il breve Cum Nuper (febbraio 1703) papa Clemente XI lo condannava e ne vietava la lettura e la stampa. La polemica gallicana costrinse il re Luigi XIV a chiedere al papa di emanare una nuova bolla di condanna del giansenismo. Il 16 luglio 1705 Clemente XI emanò la Vineam Domini, che respingeva la teoria del silenzio ossequioso, considerata un cavillo, e rivendicava alla Chiesa romana il diritto di condannare le dottrine e gli uomini che le difendevano.

In Francia fu viva la resistenza a questo nuovo intervento papale, soprattutto a Port Royal, che fu dapprima colpito da interdetti, poi definitivamente chiuso, occupato militarmente, poi raso al suolo (1709).

Pasquier Quesnel (1634-1719) e la bolla Unigenitus

Intanto l'oratoriano Pasquier Quesnel, che a Bruxelles aveva conosciuto l'Arnauld, aveva pubblicato le Réflexions morales sur le Nouveau Testament (1692), impregnato di idee giansenistiche e tuttavia approvato dall'arcivescovo di Parigi Noailles.

Con il breve Universi dominici gregis (luglio 1708) papa Clemente XI aveva condannato il libro vietandone la stampa. Ma in Francia il breve pontificio non ebbe nessun effetto (sia il papa che Luigi XIV erano impegnati nella guerra di successione spagnola), tanto che nel 1710 uscì una seconda edizione delle Réflexions morales. Lo stesso episcopato francese era diviso, ed il Quesnel era difeso dallo stesso arcivescovo di Parigi, Noailles.

Nel novembre del 1711 il re Luigi XIV domandò al papa una nuova bolla (ma rispettosa delle libertà gallicane) che egli stesso si impegnava a far pubblicare. L'8 settembre 1713 usciva la bolla Unigenitus Dei Filius che condannava 101 proposizioni estratte dal libro di Quesnel.

Ma in Francia le cose non andarono come il re desiderava. Il Noailles e altri 48 prelati si rifiutarono di accettare semplicemente ed immediatamente la bolla di Clemente XI, e nemmeno accettarono di partecipare ad un sinodo nazionale per confermare la bolla. Nel frattempo moriva Luigi XIV e il debole periodo di reggenza che ne seguì fu tutto a vantaggio degli oppositori. Quattro vescovi, il Noailles e la Sorbona si appellarono ben presto ad un concilio ecumenico contro la bolla. Ormai la Francia era divisa in due: gli appellanti e coloro che avevano accettato la bolla Unigenitus.

Davanti alla possibilità di uno scisma, nel 1718 Clemente XI, con la bolla Pastoralis officii, scomunicava tutti gli appellanti e confermò tutti i documenti già promulgati contro il giansenismo. Con la morte nel 1719 del Quesnel e nel 1729 del Noailles, il giansenismo francese perdeva definitivamente vigore. Nel 1730 la bolla Unigenitus divenne legge di Stato.

In Olanda invece non si poté evitare lo scisma. Il capitolo di Utrecht, dopo aver costretto il vicario apostolico de Cock ad andarsene, nel 1724 nominò di sua iniziativa, senza autorizzazione da Roma, un proprio arcivescovo (Steenhoven), che ricevette la consacrazione episcopale da un vescovo missionario francese, sospeso a divinis.

Giansenismo in Italia

Pietro Tamburini (1727-1827), importante teologo giansenista italiano

In Italia ebbe un'influenza limitata, fatta salva l'opera del vescovo di Pistoia e Prato, Scipione de' Ricci, che riuscì ad influenzare il clero e i politici toscani, soprattutto il granduca Pietro Leopoldo organizzando il Sinodo di Pistoia per promuovere il Giansenismo. Tale sinodo fu condannato da papa Pio VI con la bolla Auctorem Fidei del 28 agosto 1794.

Influenze gianseniste emergono fra il clero napoletano che aderì alla repubblica partenopea,[2] le cui connessioni con il regalismo borbonico non sono state ancora del tutto chiarite. Fra i giansenisti che operarono a Napoli si ricorda Vincenzo Troisi.

Fenomeno di rilievo è l'influsso giansenista su diverse figure del Risorgimento italiano che passeranno poi al Protestantesimo, come Salvatore Ferretti e Camillo Mapei.

Sul giansenismo italiano, l'opera fondamentale è quella di Pietro Stella[3].

Il movimento in varie forme e con varie coloriture, con accentuazioni sull'uno o sull'altro dei diversi aspetti, raggiunse ancora a lungo le valli più sperdute d'Italia o viceversa personaggi di spicco nella Chiesa e nella cultura.

Nel primo e nel secondo tomo dell'opera di Stella dominano la figura del vescovo Ricci, e la "geografia del movimento" si estende al Centro-sud dell' Italia, fino alla sua rapida crisi a fine Settecento. Nel terzo tomo appaiono, a vario titolo, i nomi del vescovo Luigi Tosi di Pavia e dell' abate Eustachio Degola di Genova.

L'ambiente giansenista e Manzoni

Luigi Tosi, allievo dello spiccato giansenista Pietro Tamburini, professore nell' Università pavese, fu un «giansenista temperato» e sarà il «catechista di casa Manzoni»; mentre l' abate genovese Eustachio Degola, che ebbe molti rapporti con la Francia, fu l'assistente spirituale della prima moglie di Manzoni, la calvinista ginevrina Enrichetta Blondel, convertita a Parigi nel maggio del 1810.

Il Degola preparò per i due coniugi una lista di letture devote, in cui la rappresentanza degli scrittori giansenisti francesi era molto elevata.

Casa Manzoni fu anche frequentata da un altro allievo di Tamburini, l'abate Gaetano Giudici, che nei decenni agitati tra fine Settecento e inizio Ottocento prese parte attiva alla vita anche politica della Lombardia; a lui Manzoni diede da leggere varie bozze degli Inni sacri e delle Osservazioni sulla morale cattolica. Stella, che pur non approfondisce molto i tratti giansenistici nella spiritualità manzoniana, ha un’osservazione felice là dove sottolinea la tenacia con cui i giansenisti affermarono sempre la loro comunione con Roma e ripeterono un insegnamento del loro maestro sant’Agostino, secondo cui «talora anche i santi possono essere considerati come perversi»: dovevano essere due punti fermi anche per Manzoni.

Si può aggiungere, in campo letterario, che l'inno manzoniano Il nome di Maria fu composto dal poeta su sollecitazione dello stesso Tosi, nel 1813. Ed è interessante percorrere con lo Stella la vicenda della celebre traduzione italiana della Bibbia di monsignor Antonio Martini, una traduzione che ha segnato un'epoca, venendo ad affiancarsi a quella "protestante" seicentesca di Giovanni Diodati, e che rimase classica per più di un secolo a partire dalla prima edizione, in sei volumi, presso la Stamperia Reale di Torino fra il 1769 e il 1771.

Eseguita sulla Vulgata latina, la Bibbia martiniana (di cui si servì Manzoni stesso sia nelle Osservazioni sulla morale cattolica sia nei Promessi sposi sia in componimenti poetici) presenta, pur nella più rigida ortodossia e totale estraneità a quel mondo, legami con la celebre versione francese, anch’essa dal latino di san Gerolamo, detta "Bibbia di Port-Royal" e prodotta da uno dei grandi solitari di quell'abbazia, Isaac-Louis Le Maître de Sacy, nella seconda metà del Seicento, riedita anche in Italia nel 1789. Molte sono le coincidenze fra le due versioni, l'italiana e la francese, e anche molti passi del commento derivano da altri autori giansenisti e portroyalisti.

Persistenze gianseniste nel clero dell' 800

Fra il clero, anche fra il basso clero, non mancarono pii e pensosi preti e parroci soprattutto piemontesi o lombardi, zelanti e ferventi, desiderosi di riforme e in rapporto fra loro, che vissero intensamente la vita religiosa e attinsero stimoli dagli opuscoli morali dei grandi scrittori di Port-Royal.

Ancora nella seconda metà dell'Ottocento la sorella di san Leonardo Murialdo lasciava in dono al proprio figlio un libretto, Le jour évangélique, in cui erano stati raccolti alcuni pensieri religiosi di un grande giansenista di Francia, l' oratoriano Pasquier Quesnel, un autore che – a proposito di santi – fu molto letto e utilizzato anche da Sant' Alfonso Maria de' Liguori[4].

Venature e simpatie gianseniste, come pure ripresa di temi polemici giansenisti, si ritrovano in alcuni ecclesiastici durante i moti risorgimentali, come ad esempio a Forlì nel 1831, quando un tal don Pollini, parroco del Ronco, guidò una schiera di 140 contadini a difesa degli insorti[5].

Giansenismo in Olanda

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Chiesa vetero-cattolica

All'inizio del XVIII secolo alcuni giansenisti in fuga dalla Francia si rifugiarono in Olanda. Lì furono accolti dalla chiesa locale, all'epoca in controversia con Roma proprio per via delle simpatie gianseniste di alcuni suoi precedenti vescovi. L'aiuto fornito ai giansenisti francesi fece sì che la chiesa nazionale olandese venisse con essi identificata (pur essendo questa identità destituita di fondamento), e che questo equivoco si trascinasse per secoli.

Conclusione

Come movimento ideologico il giansenismo si è smorzato alla fine del '700. Nell' '800 perdurarono, però, atteggiamenti giansenistici abbastanza diffusi nella morale (tuziorismo: in caso di dubbio stare dalla parte della legge) e nella sacramentaria (scarsa frequenza alla Comunione, frequente confessione, ritardo nella ricezione dell'eucaristia da parte dei giovinetti) ma senza giustificazioni dottrinali che si rifacessero alle dottrine del vescovo di Ypres. I gesuiti ottocenteschi erano vigilantissimi che il giansenismo non rispuntasse fuori per altra strada. Per questo, tra l'altro, incrementarono enormemente la devozione al Sacro Cuore di Gesù, detestata invece e avversata con tutti i mezzi dai giansenisti del '600 e del '700. In morale si impose gradualmente l' insegnamento di Sant'Alfonso Maria de' Liguori ossia l' (Equiprobabilismo: Lex dubia non obligat, cioè la legge dubbia non obbliga in coscienza).

Note
  1. G. Martina, La Chiesa nell'età dell'Assolutismo, Brescia 1989, pp. 154-156
  2. G. De Giovanni, Il Giansenismo a Napoli nel XVIII secolo, Asprenas I, 1954
  3. Pietro Stella, Il giansenismo in Italia Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2007,pp. 1.300
  4. Cfr. C. Carena, Grazia, rigorismo e cultura in Jesus, n. 9 settembre 2007
  5. Il giansenismo di un secolo, Tipografia camerale, Modena 1835, pp. 304-305.
Bibliografia
  • Giacomo Martina, La Chiesa nell'età dell'Assolutismo, Brescia 1989, pp. 154-156
  • Giuseppe M. De Giovanni, Il Giansenismo a Napoli nel secolo XVIII, Asprenas, I, 1954
  • Pietro Stella, Il giansenismo in Italia, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2007
  • Carlo Carena, Grazia, rigorismo e cultura in Jesus, n. 9, settembre 2007
  • Benvenuto Matteucci, Giansenismo in P. Chiocchetta (a cura) Dizionario storico-religioso, Studium, Roma 1966
  • Abate Tosini, Storia e sentimento dell'abate Tosini, sopra il Giansenismo online
Voci correlate
Collegamenti esterni