Tito Flavio Vespasiano (imperatore)
Tito Flavio Vespasiano Pagano | |
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Imperatore romano | |
Ritratto di Tito; (I secolo d.C.), marmo; Monaco di Baviera, Gliptoteca | |
Età alla morte | 41 anni |
Nascita | Roma 30 dicembre 39 |
Morte | Roma 13 settembre 81 |
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Tito Flavio Vespasiano (Roma, 30 dicembre 39; † Roma, 13 settembre 81) è stato il decimo imperatore romano, il secondo della dinastia Flavia.
Come generale effettuò la repressione della ribellione in Giudea durante la quale venne distrutto il secondo Tempio di Gerusalemme.
Figlio primogenito di Vespasiano e di Flavia Domitilla maggiore, succedette sul trono al padre nel 79.
Infanzia
Primogenito di tre fratelli, venne educato assieme al figlio dell'imperatore Claudio, Britannico. Rischiò da giovane di morire avvelenato, nella stessa occasione in cui perse la vita il suo amico Britannico, alla cui memoria fece erigere una statua d'oro sul Palatino.[2] Oltre a una educazione militare, Tito approfondì gli studi letterari che gli consentirono di padroneggiare poesia e oratoria in latino e in greco.
Carriera
Dopo una breve parentesi in Germania, dove esercitò nel ruolo di tribuno militare assieme a Plinio il Vecchio, e in Britannia,[3] dal 63 ritornò a Roma dove in breve tempo ottenne l'incarico di questore. Nel giro di due anni si sposò due volte, dapprima con Arrecina Tertulla e poi con Marcia Fumilla, dalle quali ebbe varie figlie, di cui solo una, di nome Giulia, sopravvisse.
Nel 67 fu inviato dall'imperatore Nerone in Medio Oriente per reprimere la ribellione dei Giudei (prima guerra giudaica). Dopo aver conquistato i centri di Iotapata, Giaffa, Tiberiade, Taricace e Gamala, e aver dimostrato le sue brillanti capacità militari, come affermò lo storico Giuseppe Flavio, iniziò nell'aprile del 70 un assedio durato cinque mesi alla città di Gerusalemme che si concluse con il saccheggio, la riconquista della città e la distruzione del secondo Tempio (cf. Caduta di Gerusalemme del 70 d.C.). Avrebbe voluto preservare il Tempio dalla distruzione, ma durante lo scontro con gli ebrei che si erano precipitati fuori di esso, fu appiccato il fuoco all'edificio.
Durante la sua permanenza in Medio Oriente intraprese una relazione sentimentale con Berenice di Cilicia, figlia di Erode Agrippa I, che suscitò molte critiche presso il popolo romano, ancora memore di Cleopatra, che costrinsero Tito alla separazione e all'allontanamento da Roma della sua amata.
Nel 71, dopo il suo trionfale ritorno a Roma immortalato dall'arco di Tito eretto sulla via Sacra, assunse il ruolo di correggente dell'Impero.
Succedette come imperatore al padre Vespasiano nel 79. Incarico che produsse qualche timore tra la popolazione per il pericolo che Tito si rivelasse un novello Nerone, sia per la sua adesione a certi costumi dissoluti in auge a quell'epoca, sia per le sue responsabilità sugli atti di violenza accaduti durante l'amministrazione del padre.[4].
Nonostante le prime perplessità, come imperatore Tito riuscì a accattivarsi le simpatie popolari al punto da spingere lo storico Svetonio a definirlo come "Amore e delizia del genere umano" (amor et deliciae generis humani). Di lui, inoltre, si ricorda il detto secondo cui era un giorno perduto quello in cui non era stata fatta alcuna gentilezza.
Si impegnò in opere pubbliche, come terme, acquedotti, strade e al completamento del Colosseo. Allestì svariate manifestazioni gladiatorie e di intrattenimento e inoltre si dimostrò generoso nel venire incontro alle esigenze ed ai bisogni del popolo in occasione di disastri, come l'eruzione del Vesuvio del 24 agosto del 79 che distrusse Pompei, Ercolano e Stabia, e un devastante incendio che colpì la capitale l'anno seguente.
Dal punto di vista della politica estera l'iniziativa più significativa fu il proseguimento della conquista della Britannia, portata a termine da Agricola.
Morte
Dopo appena due anni di regno, nell'81, Tito si ammalò gravemente di una grave forma febbrile che lo portò alla morte. Secondo alcune fonti storiche, la causa della morte di Tito sarebbe da ricercarsi in un avvelenamento organizzato da un complotto di corte guidato dal fratello Domiziano, mentre per Svetonio sarebbe stato colpito dalla malaria durante la sua assistenza ai malati.
Nella Divina Commedia
Tito è ricordato nella Commedia di Dante. Secondo il poeta, nella persona di Tito l'aquila romana, simbolo dell'autorità imperiale, fu lo strumento della punizione divina verso gli ebrei, colpevoli di aver rinnegato e fatto crocifiggere Gesù Cristo, che a sua volta con la sua morte espiò il peccato originale. Con queste parole l'imperatore Giustiniano descrive l'azione dell'aquila imperiale:
« | Or qui t'ammira in ciò ch'io ti replìco: poscia con Tito a far vendetta corse de la vendetta del peccato antico. » | |
(Paradiso VI, 91-93)
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Predecessore: | Imperatore romano | Successore: | |
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Vespasiano | 24 giugno 79 - 13 settembre 81 | Domiziano |
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |