Rinuncia all'ufficio di Romano Pontefice

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Papa Benedetto XVI ha annunciato l'11 febbraio 2013 la propria rinuncia all'ufficio di Sommo Pontefice a partire dalle ore 20.00 del successivo 28 febbraio

L'eventualità della Rinuncia all'ufficio di Romano Pontefice è prevista dal vigente Codice di Diritto Canonico:

(LA) (IT)
« Si contingat ut Romanus Pontifex muneri suo renuntiet, ad validitatem requiritur ut renuntiatio libere fiat et rite manifestetur, non vero ut a quopiam acceptetur. » « Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti. »

Il Codice Pio-Benedettino si limitava ad affermare più semplicemente:

(LA) (IT)
« Si contingat ut Romanus Pontifex renuntiet, ad eiusdem renuntiationem validitatem non est necessaria Cardinalium aliorumve acceptatio. » « Nel caso che il Romano Pontefice rinunci, per la validità della stessa rinuncia non è necessaria l'accettazione dei cardinali né di altri. »
(Can. 221 )

Lo status del papa che ha rinunciato

Con un papa dimissionario, come nel caso di Benedetto XVI, si dovrebbe stabilire la prassi canonica vigente per i vescovi dimissionari: essi diventano "emeriti".

Quindi si ha un vescovo di Roma pleno jure ("con pienezza di potere") che è anche papa, su Roma e su tutta la Chiesa Cattolica; e un vescovo di Roma emerito, che però non è più papa.

Il Romano Pontefice ha un duplice "incarico", in latino munus:

  • Il munus Apostolatus: è l'incarico pastorale, comune ad ogni vescovo, ricevuto con la consacrazione episcopale. In caso di dimissioni, o altro legittimo impedimento, esso resta, ma soltanto come emerito della sede di cui è stato vescovo; per il papa, il munus è stato quello di essere vescovo di Roma, ricevuto nel momento della elezione.
  • Il munus Capitis: è l'incarico di essere Capo della Chiesa, ricevuto dai Cardinali riuniti in conclave, come conseguenza della elezione a vescovo romano. Esso cessa nel caso della rinuncia volontaria, o altro legittimo impedimento.

Il papa dimissionario conserva quindi il titolo di vescovo emerito di Roma, ma non ha più potere giurisdizionale su Roma e quindi neppure sulla intera Chiesa Cattolica.

Il titolo con cui sarà chiamato resta sempre quello di "Santità"; potrà continuare a portare la talare bianca (senza mozzetta); l'anello sarà quello episcopale: quello Piscatorio sarà reso inservibile.

Le rinunce nella storia dei Papi

Vari Sommi Pontefici hanno rinunciato al pontificato. Tra tutti i casi riportati di seguito sembra che solamente quelli di Celestino V e Benedetto XVI rispondano alle norme canoniche vigenti. Possono essere considerati casi di Sommi Pontefici che hanno rinunciato i seguenti:[1]

Papi rinunciatari all'ufficio di Romano Pontefice, prima di Benedetto XVI
  • Marcellino. Papa dal 296, morto il 26 aprile 304, durante la grande persecuzione di Diocleziano. La sua rinuncia (o deposizione) è dubbia. I Donatisti nel V secolo, nelle controversie con sant'Agostino, accusarono questo papa di aver abiurato e di aver consegnato i libri sacri ai funzionari di Diocleziano. Il santo di Ippona smentì le documentazioni da loro presentate ma con scarsa energia e neppure accenna al suo presunto martirio. Il suo nome, infatti, non risulta nell'elenco ufficiale dei papi ed anche papa Damaso I lo ignorò completamente quando compose versi in omaggio dei papi suoi predecessori. Non vi sono neppure prove che sia stato martirizzato. Fu sepolto nel cimitero di Priscilla sulla via Salaria, perché era di proprietà privata. Vi sono molte incertezze nelle fonti.
  • San Silverio. Papa dal 536 all'11 marzo 537. Alcuni storici posticipano la fine del suo pontificato all'11 novembre dello stesso anno, quando fu indotto ad abdicare ufficialmente in favore di Vigilio, che nel frattempo era stato eletto Papa irregolarmente. Le sue dimissioni non furono volontarie, e sono legate alle vicissitudini sofferte dalla Corte di Bisanzio, in particolare dal generale Belisario e per gli inizi della guerra greco-gotica. Dovette rinunciare al pontificato a favore di papa Vigilio. Dopo la rinuncia fu mandato in esilio a Patara, in Licia. Il vescovo locale fece ricorso presso l'imperatore Giustiniano. Questi istituì un regolare processo a favore di Silverio che fu ricondotto in Italia. Papa Vigilio, però, lo fece relegare nell'isola di Palmarola, in Liguria, dove morì di stenti e di fame.
  • Benedetto IX. Personalità non degna del pontificato, fu eletto tre volte al soglio di Pietro. Il 1° maggio 1045 abdicò in favore di Giovanni Graziano, che fu eletto papa in maniera simoniaca con il nome di Gregorio VI. Tornò ad essere pontefice nel novembre del 1047, ma l'anno successivo abdicò di nuovo, sotto pressione degli imperiali, e fu eletto in sua vece Damaso II, che resse la Chiesa per poco più di venti giorni. Un documento di donazione del 1055 lo registra ancora come papa.
  • Gregorio VI, al secolo Giovanni Graziano. Comperò il pontificato da Benedetto IX. Fu condannato alla deposizione dal Sinodo di Sutri.[2] Giovanni Graziano, non più Gregorio VI, si ritirò in Germania, dove morì l'anno seguente, 1047. Gli successe papa Clemente II, che morì, pure lui, nel 1047. Il cappellano di Graziano, suo compagno fino alla morte in esilio, era il giovane Ildebrando Aldobrandeschi di Soana, destinato, ventisei anni dopo, a essere eletto con il nome di Gregorio VII.
Vetrata con Papa Celestino V, vetro policromo; L'Aquila
  • Gregorio XII, al secolo Angelo Correr. Più che di una rinuncia, nel caso di questo papa si deve parlare di deposizione forzata. Nel 1406, dopo la morte di Innocenzo VII, per mettere fine allo scisma che durava dal tempo di Urbano VI († 1389), i cardinali riuniti in conclave si impegnarono a dimettersi in caso di elezione se così avesse fatto anche l'antipapa, Benedetto XIII, sedente in Avignone. Anche costui effettuò lo stesso giuramento. Si arrivò, invece, con il sinodo di Pisa (1409) all'elezione di un terzo papa, Alessandro V. Gli altri due furono dichiarati scismatici, spergiuri ed eretici. L'ultimo morì nel 1410 e subito fu proclamato papa Giovanni XXIII, poi deposto dal Concilio di Costanza nel 1415; tale assemblea avviò i negoziati con Gregorio XII. Quest'ultimo si dichiarò pronto ad abdicare, e nel luglio 1415 lo fece. Egli fu nominato vescovo di Porto e legato a vita della Marca di Ancona; fu anche dichiarato ineleggibile alla carica di papa, ma gli fu garantito un rango inferiore soltanto a quello del nuovo pontefice. Gregorio morì però tre settimane prima dell'elezione di Martino V, l'8 ottobre del 1417, a Recanati (Ancona), dove fu sepolto nel Duomo di San Flaviano. Sulla sua tomba, la lapide ricorda la singolarità della rinuncia[3].
Note
  1. La lista è suscettibile di correzioni, in quanto la valutazione degli storici sui singoli personaggi, o per altri non elencati, non è unanime.
  2. Il Concilio o Sinodo di Sutri fu indetto da papa Gregorio VI su richiesta dell'imperatore Enrico III, e aperto il 20 dicembre 1046 a Sutri nella Tuscia. Non è considerato un concilio ecumenico. Fu convocato per porre fine ai disordini fra diversi candidati rivali al papato. Una parte della Chiesa incoraggiò Enrico III ad intervenire, sia per risolvere il conflitto sia per ricevere l'incoronazione dal papa. L'obiettivo di Enrico era quello di essere incoronato imperatore in modo che non potessero sorgere dubbi sulla sua legittimità e di ristabilire l'ordine a Roma.
  3. "Il Massimo Principe della Chiesa e Sommo Monarca Gregorio XII è chiuso in quest’arca. Costui, donato per volere del Cielo a riportare la pace, si adoperò sempre a riconciliare in ogni modo i popoli con i sovrani. Ma per due volte un brutto scisma – questa pazzia fu fatta a Pisa – egli per la sua pietà, risanò. Costanza ne è sicura testimone. Conscia del tuo doppiamente sacro ufficio di Pastore, la Marca ti accolse a Recanati nel duomo di san Flaviano l’anno del Signore 1417".
Fonti
Voci correlate