San Girolamo Emiliani

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San Gerolamo Emiliani, C.R.S.
Religioso
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battezzato
Santo
Fondatore
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Daniele Crespi, San Girolamo Emiliani (1620), olio su tela
Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte 51 anni
Nascita Venezia
1486
Morte Somasca [1]
8 febbraio 1537
Sepoltura Basilica di San Bartolomeo e San Girolamo Emiliani (Somasca)
Conversione
Appartenenza
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Professione religiosa 6 febbraio 1531
Ordinato diacono
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Incarichi ricoperti
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° vescovo di Roma
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Extra Anni di pontificato


Cardinali creazioni
Proclamazioni
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Eventi

Iter verso la canonizzazione

Venerato da Chiesa cattolica
Venerabile il [[{{{aV}}}]]
Beatificazione 1747, da Benedetto XIV
Canonizzazione 1767, da Pio XI
Ricorrenza 8 febbraio
Altre ricorrenze 20 luglio nei precedenti martirologi.
Santuario principale Santuario San Girolamo Emiliani - Somasca di Vercurago (Lc)
Attributi Libro, cranio, crocifisso, chiavi
Devozioni particolari {{{devozioni}}}
Patrono di Orfani, gioventù abbandonata, Venezia, Treviso
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Incoronazione
Investitura
Predecessore
Erede
Successore
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Onorificenze
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Nomi postumi
Altri titoli
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Coniuge

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Consorte

Consorte di

Figli
Religione {{{religione}}}
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Collegamenti esterni
Sito ufficiale o di riferimento
Invito all'ascolto
Firma autografa
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Tutti-i-santi.jpgNel Martirologio Romano, 8 febbraio, n. 1 (La liturgia di rito ambrosiano ne fa memoria obbligatoria.):
« San Girolamo Emiliani, che, dopo una giovinezza violenta e lussuriosa, gettato in carcere dai nemici, si convertì a Dio; si dedicò, quindi, appieno, insieme ai compagni radunati con lui, a tutti i miserabili, specialmente agli orfani e agli infermi; fu questo l'inizio della Congregazione dei Chierici Regolari, detti Somaschi; colpito in seguito dalla peste mentre curava i malati, morì a Somasca vicino a Bergamo. »

San Gerolamo Emiliani, o Gerolamo Miani (Venezia, 1486; † Somasca [1], 8 febbraio 1537), è stato un religioso e fondatore italiano dell'ordine dei Chierici Regolari di Somasca; è venerato come santo dalla Chiesa cattolica, da cui è considerato "patrono universale degli orfani e della gioventù abbandonata" (papa Pio XI, 1928).

Visse in uno dei periodi più tormentati della storia della Chiesa: quello della Riforma protestante, seguito dalla Controriforma cattolica, di cui fu esponente. Riflette nella sua personalità, anche senza averne una chiara coscienza, le caratteristiche dell'uomo rinascimentale.

Le differenti tappe della sua vita, prima e dopo la conversione, rivelano alcuni tratti salienti che hanno segnato quell'epoca della storia. Da una parte una rinascita del paganesimo, che penetra e contagia perfino alcuni importanti settori e membri della comunità cristiana; dall'altra parte l'affermarsi e l'espandersi, in seno alla stessa comunità, per convinzione o reazione, di forze nuove, con il proposito di riformare la Chiesa, dal di dentro e dal di fuori: come affermò lo stesso Emiliani, "riportando in vita lo stato di santità dei tempi apostolici".

Vita

Nacque a Venezia nel 1486 dalla nobile famiglia veneziana dei Miani, decaduta economicamente e a dieci anni ristò orfano di padre. Essendo il più giovane di quattro fratelli dovette quindi trovarsi una collocazione nella vita politica del paese, non solo per una dignitosa sussistenza, ma anche per realizzare le sue aspirazioni. Probabilmente frequentò gli studi, sebbene preferisse l'azione alla cultura: come quasi tutti i giovani patrizi della Serenissima iniziò la carriera militare. Nel 1506, di fronte alla sua insistenza, la madre Eleonora Morosini lo presentò controvoglia al sorteggio per ottenere un posto nel Consiglio Maggiore di Venezia. La città lagunare era in guerra contro le maggiori potenze europee alleate per frenare il suo grande potere che, nella Lega di Cambrai, l'attaccano dal nord. La guarnigione di soldati posta a difesa della fortezza di Quero, al cui governo è Girolamo, fugge davanti alla schiacciante superiorità del nemico. Egli stesso guida una disperata resistenza. L'assalto decisivo avvenne il mattino del 27 agosto 1511. La sera, Girolamo fu fatto prigioniero e rinchiuso nei sotterranei del castello, con ceppi ai piedi e alle mani e al collo, una catena fissata a una pesante palla di marmo. In una situazione simile a quella di Ignazio di Loyola, ebbe tempo di meditare a lungo sulla caducità della "potenza" secondo la sola accezione militare: nei giorni passati nella solitudine della prigione si avvicinò alla preghiera, trovandosi, secondo la leggenda devozionale, improvvisamente libero. Di questo avvenimento (al di là della data, il 27 settembre 1511) non si seppe mai nulla con esattezza: l'unica cosa certa è che Girolamo attribuì sempre la sua liberazione all'intervento speciale e personale della Madonna.

Terminata la guerra, nel 1516, a Girolamo fu rinnovato l'incarico di governatore a Quero, che manterrà fino al 1527: in seguito ritornò a Venezia.

In questo periodo la sua vita subì una svolta radicale: nuove amicizie, recupero della pratica religiosa, lettura e meditazione della Bibbia. Si affidò inoltre alla guida spirituale di un sacerdote, che arriverà ad affermare:

« [..] la dedizione offerta fino allora agli affari della Repubblica, si orienta ora alla riforma dell'anima e ai desideri della patria celeste. »

Nel 1528 in Italia si diffuse una grave carestia che provocò migliaia di vittime. Nella regione veneta la popolazione della terraferma, informata che a Venezia vi erano migliori condizioni, si riversò in massa nella città. Per contribuire ad alleviare tale situazione, aggravata dal diffondersi della peste, Emiliani si unì ai volontari per prestare soccorso alla popolazione. In pochi giorni spese tutto il denaro che possedeva, giungendo fino a vendere indumenti, tappeti, mobili e altre attrezzature di casa, destinando il ricavato a questa opera; fornì cibo, alloggio e sostegno morale ai popolani.

Contagiato dalla peste, con rassegnazione accetta la situazione interpretandola come volontà di Dio e preparandosi alla morte. Inaspettatamente, però, si rimise e tornò alle sue attività.

Per Girolamo era fondamentale mantenersi in relazione con i rappresentanti della Chiesa, tra cui Gaetano di Thiene e il vescovo Giovanni Pietro Carafa, suo confessore e futuro Papa Paolo IV. Il rapporto con loro segnerà in modo notevole la sua vita spirituale, convincendolo a proseguire nella carità.

Il 6 febbraio 1531 lasciò definitivamente la casa paterna, sostituì gli indumenti patrizi con un saio grossolano e andò a vivere a San Rocco, in un pianterreno in affitto, con un gruppo di trenta ragazzi di strada cui impartisce istruzione di base e formazione cristiana.

Assunse maestri artigiani creando una scuola di arti e mestieri con lo scopo di insegnare ai ragazzi diversi tipi di lavoro per potersi mantenere. Il suo principio pedagogico è "preghiera, carità e lavoro", partecipazione e responsabilità, affinché ognuno prenda in mano le redini della propria vita e non sia un parassita nella società.

Nel 1532 fece tappa a Milano dove istituì alcuni orfanotrofi. Ponendo la sua residenza a Somasca, località allora appartenente alla diocesi milanese, raccolse alcuni discepoli e fondò l'Ordine dei Chierici regolari che poi furono denominati Somaschi. Furono loro ad attuare un grande progetto del fondatore: l'istituzione di scuole gratuite aperte a tutti e in cui veniva adottato il rivoluzionario "metodo dialogato".

L'ordine dei Chierici Regolari di Somasca

Da Milano Girolamo fece alcune puntate a Pavia e a Como, per fondarvi nuove opere di carità. Come già altrove anche in queste città coinvolge molte persone, sacerdoti e laici. Poiché il numero dei collaboratori aumentava, Girolamo diede a questo gruppo un'organizzazione, scegliendo per loro il nome programmatico di "Servi dei Poveri". La nuova famiglia religiosa fu approvata da papa Paolo III nel 1540; successivamente papa Pio IV la elevò a Ordine Religioso, con il titolo di Chierici Regolari di Somasca o Padri Somaschi.

Girolamo giunse nella Valle di San Martino[2] alla ricerca di un luogo per la sua Compagnia. Nei dintorni su un promontorio roccioso si eleva un vecchio castello abbandonato (che la leggenda indica come residenza dell'Innominato manzoniano) cui si apre un magnifico panorama sul lago. Poco al disotto del castello una spianata, "la Valletta", offre un posto adatto per ospitarvi gli orfani: qui aprì una scuola di grammatica e una specie di seminario per la Compagnia ancora alle sue origini: vi si alternavano lo studio, il lavoro agricolo e attività di rilegatura e tornitura. Forse fu allora che creò le sue giaculatorie che riassumono il fondamento della devozione religiosa:

« Dolcissimo Gesù, non esser mio giudice, ma mio Salvatore! Signore, aiutami! Aiutami, Signore e sarò tuo! »

Nel 1535 devette tornare a Venezia, richiamato dal suo confessore, perché le opere, sviluppatesi oltre misura, dovevano essere ristrutturate ed era necessario il suo consiglio. Ritornando poi in Lombardia, passò per Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo; rivisitò le opere, i confratelli, i ragazzi e i collaboratori.

Qualcuno lo soprannominò "vagabondo di Dio". C'è chi pensa che gli si addica meglio "pellegrino della carità". A Pavia creò una nuova fondazione e a Brescia un capitolo della nascente Compagnia: occorreva riesaminare il funzionamento della vita nelle istituzioni, unificare i criteri, stabilire in concreto le condizioni che devono possedere gli aspiranti e il loro processo di formazione, concordare e fissare le basi della vita comune:

« Non sanno che si sono offerti a Cristo, che stanno nella sua casa e mangiano del suo pane e si fanno chiamare Servi dei Poveri di Cristo? Come dunque vogliono compiere ciò che hanno promesso, senza carità né umiltà di cuore, senza sopportare il prossimo, senza cercare la salvezza del peccatore e pregare per lui, senza mortificazione (..) senza obbedienza e senza rispetto delle buone usanze stabilite? »

Così egli stesso commentò, nell'ultima sua lettera, il cammino ascetico che devono percorrere i Servi dei Poveri.

In quei giorni ricevette da Roma una lettera del suo confessore, il cardinal Carafa che gli chiedeva di andare a Roma per fondare le stesse opere realizzate nell'Italia del nord. Un semplice laconico commento ai suoi fratelli:

« Mi invitano allo stesso tempo a Roma e al cielo. Credo che me ne andrò a Cristo. »

La morte

Alla fine del 1536 per la Valle di San Martino si propagò un'epidemia che faceva strage fra la popolazione e il 4 febbraio 1537, Girolamo, contrasse il morbo e domenica 8 febbraio morì mentre assisteva i malati di peste a Somasca. La leggenda vuole che prima di morire tracciasse con del liquido color mattone una croce sulla parete per poter contemplare il "mistero" del Crocifisso durante l'agonia. Chiamò a sé i suoi orfani per l'ultimo commiato e, con le forze che gli rimasero, lavò loro i piedi. Agli amici di Somasca raccomandò di non offendere Dio con scostumatezze e bestemmie e in cambio lui dal cielo avrebbe pregato affinché la grandine non rovinasse il raccolto. Da qui quello che è considerato il testamento spirituale per i devoti:

« Seguite la via del Crocifisso; amatevi gli uni gli altri; servite i poveri! »

Il culto

Nel 1928 papa Pio XI lo proclamò "Patrono universale degli orfani e della gioventù abbandonata", riconoscendogli il merito e l'originalità del servizio reso.

L'opera di Girolamo Emiliani è proseguita dai Padri Somaschi, continuatori della Compagnia dei Servi dei poveri. L'8 febbraio la liturgia di rito ambrosiano ne fa memoria obbligatoria.

Note
  1. Somasca è una frazione di Vercurago, comune della provincia di Lecco in Lombardia, fino al 1992 provincia di Bergamo. All'epoca di Girolamo Emiliani Repubblica di Venezia, Diocesi di Bergamo.
  2. La Valle San Martino è una valle della Lombardia. I comuni che la costituiscono sono Pontida, Caprino Bergamasco e Cisano Bergamasco (appartenenti alla provincia di Bergamo) e Calolziocorte, Carenno, Erve, Monte Marenzo, Torre de' Busi e Vercurago (appartenenti alla provincia di Lecco).
Bibliografia
  • Carlo Pellegrini, San Girolamo Emiliani - Santuario di San Girolamo, Somasca, 1982
Voci correlate
Collegamenti esterni