Arcidiocesi di Milano
L'Arcidiocesi di Milano (in latino: Archidioecesis Mediolanensis) è una sede metropolitana della Chiesa cattolica appartenente alla Regione ecclesiastica Lombardia. Nel 2021 contava 4 908 331 battezzati su 5 608 331 abitanti. È retta dall'arcivescovo Mario Delpini.
La Diocesi è stata segnata profondamente dall'attività pastorale del suo principale patrono Sant'Ambrogio, arcivescovo dal 374 al 397, tanto da essere chiamata anche con l'aggettivo ambrosiana. È compatrono San Carlo Borromeo, arcivescovo dal 1560 al 1584.
Territorio
L'Arcidiocesi comprende le province di Milano, la maggior parte della provincia di Varese, la provincia di Monza e Brianza e la provincia di Lecco esclusa l'alta val San Martino, nonché alcuni comuni in provincia di Como, provincia di Pavia e Treviglio in provincia di Bergamo.
Sede arcivescovile è la città di Milano, dove si trova la Cattedrale di Santa Maria Nascente, il famoso Duomo di Milano.
La provincia ecclesiastica di Milano comprende inoltre le seguenti diocesi suffraganee:
- Diocesi di Bergamo
- Diocesi di Brescia
- Diocesi di Como
- Diocesi di Crema
- Diocesi di Cremona
- Diocesi di Lodi
- Diocesi di Mantova
- Diocesi di Pavia
- Diocesi di Vigevano
L'Arcidiocesi di Milano, composta da 1108 parrocchie e con un numero di abitanti superiore ai 5 milioni, è una delle diocesi più grandi nel mondo.
Le parrocchie sono raggruppate in 73 decanati, a loro volta ragruppati in 7 zone pastorali.
Rito ambrosiano
Per approfondire, vedi la voce Rito ambrosiano |
Elemento fortemente caratterizzante dell'arcidiocesi di Milano è il rito ambrosiano, adottato in quasi tutta l'arcidiocesi (con l'eccezione dei decanati di Monza, Treviglio e Trezzo sull'Adda, delle parrocchie di Civate e Varenna nella zona pastorale di Lecco e delle chiese non parrocchiali rette da religiosi, in cui si adotta il rito romano). Esso prevede, tra le altre particolarità, l'adozione del lezionario, un messale e un calendario liturgico differenti da quelli del rito liturgico romano.
Storia
Le origini
La nascita dell'Arcidiocesi di Milano viene indicata al I secolo dal successivo stratificarsi di tradizioni tese a far risalire le prime predicazioni cristiane a Sant'Anatalone o addirittura a San Barnaba apostolo. Pur essendo improbabile tale datazione, gli storici ritengono attendibile la cronologia dei vescovi precedenti Ambrogio (di cui l'ultimo, Aussenzio, di confessione ariana) seppur dilatata artificiosamente dal III al I secolo. La Chiesa di Milano viene chiamata per la prima volta "Chiesa ambrosiana" durante l'episcopato di Ansperto (868-881). Il primo Arcivescovo eletto cardinale è Attone, vescovo dell'XI secolo.
Ambrogio
A partire dal IV secolo, dopo l'avvento di Costantino come Imperatore romano, le notizie e le datazioni divengono più attendibili. Anche se il primo a venire chiamato "Arcivescovo" fu Teodoro II[4], l'elevazione ad arcidiocesi viene fatta coincidere con l'episcopato di Ambrogio, momento in cui quest'ultimo si adoperò fortemente per ristabilire il predominio della dottrina romana su quella ariana e in cui acquisì grande peso politico, in corrispondenza anche della presenza a Milano della corte imperiale e approfittando delle posizioni di relativa debolezza degli imperatori del suo tempo, Graziano e Valentiniano II. Nonostante la sostanziale accettazione dell'Impero da parte di Ambrogio, con Teodosio I i contrasti furono più accesi, ma vennero infine ricomposti.
La storia della diocesi di Milano rimarrà profondamente legata alla figura di Sant'Ambrogio, vescovo della città dal 374 al 397.
Già nel settembre del 600 papa Gregorio Magno parlò del neoeletto vescovo di Milano, Deodato, non tanto come successore, bensì come "vicario" di sant'Ambrogio.[5] Nell'anno 881 invece papa Giovanni VIII definì per la prima volta la diocesi "ambrosiana", termine che è rimasto ancora oggi per identificare non solo la Chiesa di Milano, ma talvolta anche la stessa città.
L'eredità di Ambrogio è delineata principalmente a partire dalla sua attività pastorale: la predicazione della Parola di Dio coniugata alla dottrina della Chiesa cattolica, l'attenzione ai problemi della giustizia sociale, l'accoglienza verso le persone provenienti da popoli lontani, la denuncia degli errori nella vita civile e politica.[5]
La caduta dell'Impero e l'esilio genovese
Dopo Ambrogio, nel periodo finale dalla tarda antichità fino al regno dei Goti di Teoderico (tra il IV e la prima metà del VI secolo), con il trasferimento della corte imperiale da Milano a Ravenna prima e con la caduta dell'Impero poi, l'arcivescovo assunse sempre più un ruolo civile di "supplenza" delle istituzioni imperiali in disfacimento, arrivando anche ad amministrare la giustizia.
La situazione cambiò radicalmente con l'avvento dei Longobardi in Italia, meno tolleranti dei Goti (anche se ariani come loro) nei riguardi delle istituzioni preesistenti il loro dominio. Con la discesa di Alboino e l'occupazione del 568, l'arcivescovo del tempo, Onorato Castiglioni, lasciò addirittura Milano trasferendosi con tutto il seguito a Genova, dove la curia rimase per 80 anni affievolendo così la conduzione della diocesi e favorendo indirettamente l'affermarsi a Milano dello scisma tricapitolino. Con la conquista da parte di Rotari della Liguria, l'allora arcivescovo Forte fuggì a Roma lasciando la carica a Giovanni Bono (oggi venerato come santo) che nel 649 riportò la sede a Milano.
Il periodo carolingio
La seconda metà del VII secolo vide il ritorno del ruolo dell'arcivescovo in ambito prettamente spirituale, cosa che consentì una coesistenza pacifica con le autorità civili longobarde. Con la discesa in Italia di Carlo Magno e la conseguente sconfitta dei Longobardi da parte dei Franchi, la situazione subì un ulteriore mutamento. Dato che la politica carolingia aveva forti connotazioni religiose, la nuova classe dirigente preferì assecondare la nomina di figure a lei fedeli la prima delle quali fu Pietro I Oldrati. Seguirono una serie di arcivescovi sempre più attivi nella sfera politica fino ad arrivare a partecipare alla lotta di successione per il Regnum Italiae tra Ludovico il Pio e Berengario d'Italia in cui Anselmo I prese le parti di quest'ultimo.
Questo episodio indusse la fazione vincente della contesa (quella di Ludovico) a favorire l'elezione di successivi arcivescovi di origine franca: Angilberto I e Angilberto II. Quest'ultimo, in particolare, assunse un ruolo politico preminente che lo portò a farsi intermediario nel contrasto sorto tra Lotario (allora re d'Italia) e l'imperatore Ludovico. Il successo di tale mediazione fece sì che Angilberto acquisisse, oltre che un notevole prestigio politico, anche numerose donazioni feudali nelle zone d'influenza di Pavia e del Canton Ticino.
Angilberto fu figura preminente anche durante l'impero di Ludovico II e lasciò ai suoi successori una situazione di grande prestigio. Fu poi Ansperto Confalonieri, anch'egli uomo di fiducia di Ludovico II seppur di origini longobarde, a consolidare definitivamente il potere politico dell'arcidiocesi.
Ansperto divenne messo di Ludovico II ed entrò nel merito della successione dell'imperatore il quale, non avendo figli maschi, aveva designato lo zio Ludovico o uno dei figli di quest'ultimo. Al contrario papa Giovanni VIII appoggiava la candidatura di Carlo il Calvo, appartenente al ramo francese della famiglia. Ansperto, la cui opinione risultò essere determinante, si schierò col papa e Carlo il Calvo venne incoronato. Ovviamente l'appoggio di Ansperto venne ripagato con nuove donazioni imperiali che, sia in termini di ricchezza che di forza militare, riportarono Milano in posizione di preminenza nel nord Italia.
Dal IX secolo all'epoca del Comune
L'influenza politica dell'arcidiocesi si mantenne forte anche dopo l'abbandono di Milano da parte della dinastia carolingia. L'arcivescovo Valperto de' Medici ricevette dall'imperatore Ottone I diverse donazioni di castelli nell'area lombarda, ma i suoi successori cercarono di limitare il potere dei vescovi operandosi per favorire l'elezione di figure a loro più vicine. Questa strategia culminò con l'elezione di Landolfo II, il quale però venne costretto dalla cittadinanza a lasciare la città. In questo periodo iniziò a prendere forma la lotta tra l'autorità religiosa, rappresentata dalla curia e quella civile, rappresentata dalle famiglie comitali fedeli all'imperatore, per la supremazia del governo delle città, contrasto che sfocerà più tardi nella lotta per le investiture.
Due figure rilevanti di questo periodo furono Arnolfo II e Ariberto da Intimiano. Il primo fu molto vicino a Ottone III, tanto da dare il proprio appoggio militare al figlio Enrico II nella sua lotta contro Arduino d'Ivrea, ottenendone onori e ricompense; con il secondo l'arcidiocesi di Milano arrivò a tenere sotto controllo (sempre con il consenso di Enrico II) gran parte del territorio delimitato dal Po, dall'Adda e dal Ticino.
Fu però proprio questa presenza di Ariberto a far sì che le città vicine e antagoniste e gli stessi feudatari della città si rivoltassero contro l'arcivescovo. Tali lamentele furono appoggiate da Corrado II che vide un'occasione per poter ridimensionare il peso di Ariberto. L'arcivescovo riuscì però a ricompattare la città con lo spauracchio della perdita di autonomia di Milano rispetto all'impero; resistette all'impero fino alla morte di Corrado e si riconciliò con il suo successore Enrico III. Venuto a mancare il pericolo comune che aveva riunito le componenti della Milano dell'XI secolo, le famiglie più potenti ritornarono a cercare di svincolarsi dal potere dell'arcivescovo per governare la città in maniera autonoma attraverso le istituzioni comunali.
Il periodo comunale
Nel periodo successivo gli arcivescovi milanesi furono coinvolti nella lotta per le investiture e nella rivolta dei Patarini. Si alternarono così elezioni, non sempre considerate legittime, dettate spesso dall'imperatore o dai Patarini (sostenuti questi in chiave anti-imperiale anche da papa Gregorio VII) come ad esempio quelle di Guido da Velate, di Goffredo da Castiglione e di Attone. Tali figure dovettero affrontare spesso rivolte tanto da dover sostenere scomuniche, accuse di simonia e da essere talvolta persino costretti alla fuga come successe a Tedaldo da Castiglione.
Dopo questo periodo di disordine, la Chiesa milanese tornò a svolgere un ruolo di rilievo nella politica del nord Italia, riuscendo a sfruttare l'intenzione del papato di farne un avamposto contro l'impero. Il primo arcivescovo che assunse questo ruolo fu Anselmo III da Rho. Egli non volle però rompere in maniera definitiva i rapporti con Enrico IV di cui accettò le regalie, cosa che secondo le regole stabilite da Gregorio VII gli sarebbe dovuta costare la scomunica. La sua posizione, però, si alleggerì con l'elezione del successore di Gregorio, Urbano II, la cui politica più pragmatica gli consigliò di limitarsi a farlo ritirare per un certo periodo in un convento lombardo per poi reintegrarlo nel suo incarico.
Nel XII secolo i successori di Anselmo III, Arnolfo III e Anselmo IV da Bovisio, continuarono la politica del predecessore osteggiando Enrico IV anche mediante l'appoggio dato a Corrado di Lorena, il suo figlio "ribelle". Anselmo IV fu anche promotore della [[Crociata del 1101]] indetta da Urbano II, tanto da raccogliere delle forze armate e partire per la Terra santa per non fare più ritorno.
Le nomine successive furono condizionate da papa Pasquale II (allora in lotta con l'imperatore Enrico V) che fece eleggere prima Grossolano, per poi farlo deporre successivamente a favore di Giordano da Clivio. Tali nomine finirono però per produrre, come un secolo prima, distacco e ostilità della società milanese nei confronti di Roma, che preferì cambiare atteggiamento per non acuire troppo i contrasti con la più importante diocesi dell'Italia settentrionale.
Appena fu allentato il controllo del papato, l'arcivescovo Anselmo V Pusterla sostenne la guerra di Milano contro Como (partecipando persino alle azioni militari) cosa che provocò un forte "raffreddamento" dei rapporti con Roma, che culminò nell'incoronazione da parte di Anselmo V di Corrado di Svevia a Re dei Romani in opposizione a Lotario, la cui nomina a imperatore era stata favorita dal papa. La situazione divenne ancora più confusa nel 1130, anno in cui la morte di papa Onorio II portò a uno scisma con l'elezione di Innocenzo II e dell'antipapa Anacleto II. Quest'ultimo cercò e ottenne l'appoggio di Anselmo, ma con la finale affermazione di Innocenzo II, l'arcivescovo venne scomunicato e deposto.
Dopo un altro periodo d'instabilità, con l'elezione di Oberto da Pirovano si riformò l'unità delle componenti della società milanese. Oberto, seppur riavvicinatosi al papato, era riuscito a mantenere i tradizionali rapporti di vicinanza dell'arcidiocesi con l'impero. La situazione era però destinata a cambiare con la salita al trono di Federico Barbarossa. Questi infatti, deciso a ridimensionare l'influenza di Milano nell'ambito dell'Italia del nord, accolse le proteste delle città vicine e si dimostrò immediatamente ostile alla metropoli. In seguito poi alla contesa tra Alessandro III e Vittore IV (sostenuto da Federico), che si contesero il soglio papale alla morte di Adriano IV, Oberto decise di appoggiare Alessandro contro Vittore, ponendosi così definitivamente in contrasto con l'autorità imperiale. Si creò quindi un conflitto aperto tra Alessandro III e Milano da una parte e Federico, Vittore IV e le città antagoniste di Milano dall'altra. Tale conflitto sfociò negli assedi e nella resa e distruzione totale di Milano da parte del Barbarossa del marzo 1162. Oberto si rifugiò a Genova da Alessandro III e non fece mai più ritorno a Milano.
La distruzione di Milano diventò il simbolo della dominazione imperiale sul nord Italia e in reazione a essa si organizzò l'opposizione a Federico, che si concretizzò in seguito nella Lega Lombarda. Tale opposizione fu sostenuta da Alessandro III e quando, in seguito alla Battaglia di Legnano e ad altre sconfitte subite, Federico stipulò il Trattato di Costanza, Milano poté godere di nuovo della sua autonomia (pur riconoscendo formalmente l'autorità dell'impero). L'arcivescovo di Milano divenne così la figura di riferimento per le relazioni tra Milano e Federico (e quindi tra il papato e l'impero).
Il successore di Oberto, Galdino della Sala (oggi venerato come santo), si assunse questo importante compito, divenendo il referente di Alessandro III e una delle figure più influenti del suo tempo in tutto il nord Italia: curò infatti le alleanze formatesi nella Lega Lombarda e anche per sua iniziativa venne fondata la città di Alessandria per contrastare il Marchesato del Monferrato, fedele a Federico. La sua opera pastorale fu tale che Galdino venne presto nominato compatrono della città insieme ad Ambrogio, sia per la sua opera di defensor civitatis (difensore e addirittura "ricostruttore" di Milano dopo la distruzione della città), sia per quella di pater pauperum ("padre dei poveri") attraverso opere di carità e di assistenza rivolte nello specifico ai poveri e a quanti erano finiti in prigione per debiti non saldati.[6]
Dopo la fine dello scisma con l'affermazione definitiva di Alessandro III, Milano firmò nel 1185 un trattato con Federico in cui le era permesso di espandere la propria influenza verso sud (Pavia e Cremona), purché si impegnasse a sostenere l'impero nella sua lotta per il riottenimento dei beni che aveva perso in Italia durante lo scisma e il cui possesso non era stato definito dai trattati precedenti.
Milano si trovava quindi di nuovo tra impero e papato. Per questo motivo il clero milanese elesse arcivescovo il cardinale Uberto Crivelli, deciso sostenitore del papato. La figura di Uberto si rivelò tanto forte da imporsi anche nella successione al soglio pontificio dopo la morte di papa Lucio III, il cardinale arcivescovo divenne così papa con il nome di Urbano III, senza però per questo lasciare l'arcidiocesi di Milano. La città venne così, pur avendo siglato un trattato che la legava all'impero, a trovarsi sede di una delle arcidiocesi più impegnate nella lotta anti-imperiale. Ciò fece sì che gli organismi comunali segnassero il loro progressivo distacco dalla curia. In risposta Urbano III diede il proprio appoggio a Cremona (avversaria di Milano e dell'impero). Il contrasto tra curia e Comune si arrestò solo con la morte di Urbano III, a cui fece seguito l'elezione ad arcivescovo di Milone da Cardano, già vescovo di Torino.
Milone, che faceva parte della curia Milano già all'epoca della sua distruzione da parte del Barbarossa ed era stato al seguito di Alessandro III, si dimostrò più diplomatico del predecessore riuscendo a ricomporre i dissidi creatisi in precedenza con la classe nobile che dominava il Comune. Anche i suoi successori, continuando sulla stessa linea, si avvicinarono sempre più al ceto dominante e vennero trascinati nei conflitti con l'allora nascente Partito del Popolo, perdendo in questo modo autorità anche in campo ecclesiastico. Solo nella seconda metà del XIII secolo, con l'ascesa di Ottone Visconti e la definitiva sconfitta del Partito del Popolo, si riaffermò il potere dell'arcidiocesi a Milano, anche se in una forma totalmente diversa, legata all'inizio del periodo delle Signorie.
L'età dei Visconti
Dopo la morte di Leone da Perego nel 1257, che aveva cercato invano di ricomporre i dissidi interni tra la fazione dei nobili e quella popolare (tanto da essere costretto all'esilio a Legnano), l'elezione del successore risultò essere problematica.
La figura politica di spicco di Milano a quel tempo era Martino della Torre, Capitano del Popolo e successore del fratello Pagano, il quale fu di fatto il primo dei reggenti di Milano a dare al comune la forma di signoria. Di ispirazione guelfa, nominò però, per mantenere un ampio consenso all'interno della città, il ghibellino Oberto Pallavicino come capitano delle milizie, più vicino alla fazione nobiliare.
Tale nomina provocò una certa frizione con Roma e finì con l'impedire l'elezione ad arcivescovo sia di Raimondo della Torre (nipote di Martino), appoggiato dai popolari, sia di Francesco da Settala appoggiato dai nobili, così nel 1262 papa Urbano IV nominò arcivescovo Ottone Visconti.
La reazione dei Della Torre si esplicitò nella confisca dei beni dell'arcidiocesi e nell'attacco da parte del Pallavicino dei numerosi castelli e possedimenti dei Visconti nell'area del Lago Maggiore. In questo modo però, Ottone divenne il punto di riferimento per gli oppositori dei Della Torre e del partito del popolo. Gli scontri si protrassero per anni, ben oltre la morte sia di Urbano IV sia di Martino della Torre che del Pallavicino.
Nel 1277 la battaglia di Desio segnò la vittoria definitiva di Ottone che sconfisse il partito del popolo e ridusse in prigionia l'allora signore di Milano Napoleone della Torre, ottenendo così di fatto, oltre l'arcivescovato, la signoria. L'affermazione di Ottone ebbe come effetto l'avvicinamento della curia alla fazione nobile, egli infatti con la Matricula nobilium familiarum sancì che l'accesso alle maggiori cariche ecclesiastiche del clero milanese dovesse essere riservato a chi provenisse dalla cerchia della nobiltà locale. Nel 1287 poi Ottone indicò il nipote Matteo come capitano del popolo, istituendo di fatto la dominazione viscontea su Milano.
La morte di Ottone coincise con un momentaneo ritorno in auge dei Della Torre che potevano contare sull'appoggio di Raimondo (nel frattempo diventato Patriarca di Aquileia), ma il controllo ottenuto dai Visconti su Milano permise loro di superare il momento interlocutorio culminato con la cacciata da Milano di Matteo Visconti e l'elezione ad arcivescovo di Cassono della Torre. Dopo qualche anno l'arcidiocesi ritornò ai Visconti nella persona di Giovanni Visconti.
Nella seconda metà del XIX secolo l'arcivescovo Ballerini fu impedito dall'autorità civile a esercitare la sua attività pastorale; la diocesi venne di fatto retta da mons. Carlo Caccia Dominioni (1859-1866) nella sua duplice veste di vicario capitolare di fronte allo stato italiano e di vicario generale di mons. Ballerini di fronte alla Santa Sede.
Cronotassi dei vescoviLa cronotassi dei vescovi è incerta per i primi secoli, la tradizione vuole che l'apostolo San Barnaba fondasse la diocesi nel 52. Una lapide con l'elenco dei vescovi è presente nel Duomo nella navata meridionale. Quattro arcivescovi sono diventati papi (Uberto Crivelli, Giovanni Angelo Medici, Achille Ratti e Giovanni Battista Montini) e uno antipapa (Pietro Filargo). OrganizzazioneArcivescovo attuale
Vicario generale
Vescovi ausiliari
Vicari episcopali di zonaCittà Forese
Vicari episcopali di settore
Consulenti del Consiglio Episcopale Milanese
StatisticheL'arcidiocesi nel 2021 su una popolazione di 5 608 331 persone contava 4 908 331 battezzati, corrispondenti al 87,5% del totale.
ParrocchieL'arcidiocesi, composta da 1108 parrocchie e con un numero di abitanti superiore ai 5 milioni, è una delle diocesi più grandi nel mondo. Le parrocchie sono tutte comprese nel territorio della Lombardia. Esse sono divise sotto l'aspetto dell'amministrazione civile tra le province di Bergamo, Como, Lecco, Milano, Monza e Brianza, Pavia e Varese. In ogni parrocchia dell'arcidiocesi è distribuito il mensile Il Segno, voluto dal card. Giovanni Battista Montini per accompagnare e rendere più "universale" il ruolo dei singoli bollettini parrocchiali. Le parrocchie sono raggruppate in 73 decanati, a loro volta raggruppati in 7 zone pastorali.
Parrocchie dell'arcidiocesi per provincia
Provincia di Bergamo
Provincia di Como
Provincia di Lecco
Provincia di Milano
Provincia di Pavia
Provincia di Varese
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