Gloria in excelsis Deo
Il Gloria in excelsis Deo, detto anche inno angelico o dossologia maggiore, è una preghiera della liturgia cattolica. La locuzione latina significa gloria a Dio nel più alto dei cieli.
La frase del Vangelo
La frase con cui l'inno inizia è l'acclamazione degli angeli festanti, per annunziare ai pastori la nascita di Gesù (Lc 2,14): «δόξα ἐν ὑψίστοις θεῷ».
L'inno liturgico
Il testo latino e italiano | ||||||||||||
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L'espressione Gloria in excelsis Deo indica anche l'inno usato nel rito latino dell'Eucaristia tra l'Atto penitenziale e l'orazione colletta. Come è comune nella Chiesa cattolica l'incipit dà il nome alla composizione.
È un testo che, contrariamente a quanto può far pensare il carattere natalizio delle prime parole, è di carattere pasquale. È una lode a Cristo, acclamato come Signore, Agnello di Dio, Figlio del Padre, Santo. Cristo è invocato perché abbia misericordia del suo popolo.
Uso
Nel rito romano e nel rito ambrosiano viene recitato o cantato nelle domeniche, nelle feste e nelle solennità. Viene però omesso nei tempi penitenziali dell'anno liturgico:
- in Avvento, in maniera che la proclamazione abbia più forza liturgica nella solenne celebrazione della notte di Natale;
- in Quaresima, per il suo carattere pasquale;
- nella forma straordinaria del rito romano nel Tempo di Settuagesima.
Viene omesso inoltre nelle Esequie e nel giorno della Commemorazione di tutti i fedeli defunti
Storia
Risale per lo meno al III secolo, ma secondo qualcuno al I.
Conosciamo il testo latino antico, ma esisteva precedentemente in greco.
Appare in una forma leggermente diversa nelle Costituzioni apostoliche (VII,47) all'inizio di una "preghiera del mattino", ed ha un sapore subordinazionista[2].
Una forma molto simile si trova nel Codex Alexandrinus (V secolo) e nello Pseudo-Atanasio, de Virginitate (prima del IV secolo), §20[3].
Esteso ulteriormente e senza più tracce di subordinazionismo, viene cantato nel rito bizantino nella preghiera del Orthros (mattutino). In questa forma ha più versi che in latino e finisce con il Trisagion.
Non viene usato nelle liturgie delle chiese orientali.
La tradizione vuole che fu tradotto in latino da sant'Ilario di Poitiers (morto nel 366). È abbastanza possibile che lo abbia imparato durante il suo esilio in Oriente (360) e che da lì si sia portato una qualche versione dell'inno[4]. In tutti i modi, la versione latina è diversa dalla versione greca attuale. Si corrispondono fin verso il fondo del testo latino, che tuttavia aggiunge Tu solus altissimus e Cum sancto Spiritu. Il greco poi continua: «Ogni giorno ti benedirò e glorificherò il tuo nome per sempre, nei secoli dei secoli» e continua con altri dieci versi, principalmente con espressioni tratte dai salmi, per terminare con il Trisagion e con il Gloria al Padre.
Il liber pontificalis dice che «Telesforo, papa dal 128 a circa il 139, ordinò che il giorno della nascita del Signore si celebrassero Messe di notte e che si recitasse l'inno angelico, cioè il Gloria in excelsis Deo, prima del sacrificio»[5]. Dice anche che «papa Simmaco (498-514) ordinò che l'inno Gloria in excelsis fosse recitato ogni domenica e nelle feste natalizie dei martiri». Il Gloria si recitava al posto dove sta adesso, dopo l'introito e il Kyrie, ma solo da parte del vescovo[6]. Si può notare che il Gloria entra nella liturgia natalizia, che è la festa a cui appartiene in maniera propria e che solo in un secondo momento si estende alle domeniche e a certe grandi feste, ma solo per i vescovi. L'Ordo romanus I dice che quando il Kyrie è finito, «il pontefice, rivolto verso la gente, comincia il Gloria in excelsis, se è il tempo appropriato» (si tempus fuerit) e nota in maniera speciale che i presbiteri potevano recitarlo solo a Pasqua[7]. L'Ordo di santa Amanda[8] concede loro ciò solo la vigilia di Pasqua e il giorno della loro ordinazione.
Il sacramentario gregoriano[9] e il Liber de exordiis[10] di Walafrid Strabo ribadiscono la stessa cosa. Berno di Costanza la ritiene un torto ancora nel XI secolo[11].
Ma verso la fine dello stesso secolo il Gloria era recitato dai presbiteri così come dai vescovi. Il Micrologus dello stesso Berno di Costanza (1048) ci dice che «in tutte le feste che hanno un ufficio completo, eccetto in Avvento e in Settuagesima e nella festa dei Santi Innocenti sia il presbitero che il vescovo recitano il Gloria in excelsis» (c. II).
In seguito divenne, com'è adesso, parte fissa di ogni Messa eccetto nei tempo penitenziali. Veniva recitato anche in Avvento, per lo meno fino a che l'Avvento non cominciò a essere considerato un tempo penitenziale.
Al tempo di Amalario di Metz (IX secolo)[12] era recitato in Avvento «in qualche posto». Ciò si applicherebbe, naturalmente, alle Messe celebrate dal vescovo, nelle domeniche e nelle feste. Così si esprime anche Onorio di Autun (1145), nel XII secolo[13]. Nella Roma della fine di quel secolo, in avvento si usavano paramenti bianchi e si recitava il Gloria[14]. In seguito, l'Avvento venne gradualmente considerato un tempo di penitenza a imitazione della Quaresima. E quindi il Te Deum e il Gloria furono abbandonati durante gli stessi e si introdusse l'uso dei paramenti color porpora.
Nuovo messale
Dal 29 novembre 2020 (I Domenica di Avvento di Rito Romano e III del Rito ambrosiano) è cambiata la Messa nelle diocesi italiane:
- nei riti di introduzione;
- nell'atto penitenziale;
- nella liturgia eucaristica.
Anche la preghiera Gloria in excelsis Deo ha subito un cambiamento dal quale la vecchia formulazione « pace in terra agli uomini di buona volontà» è sostituita da « pace in terra agli uomini amati dal Signore»[1].
Note | |
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