García de Loaysa y Mendoza
García de Loaysa y Mendoza, O.P. Cardinale | |
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Età alla morte | 68 anni |
Nascita | Talavera de la Reina 1478 |
Morte | Madrid 23 aprile 1546 |
Sepoltura | Convento domenicano di Santo Domingo y San Ginés, Talavera |
Vestizione | Salamanca, 25 novembre 1496 |
Ordinazione presbiterale | in data sconosciuta |
Nominato vescovo | 8 giugno 1524 da papa Clemente VII |
Consacrazione vescovile | chiesa domenicana di San Pablo a Valladolid, 29 settembre 1524 dall'arc. Alfonso de Fonseca y Ulloa |
Elevazione ad Arcivescovo | 21 giugno 1539 da papa Paolo III |
Creato Cardinale |
9 marzo 1530 da Clemente VII (vedi) |
Cardinale per | 16 anni, 1 mese e 14 giorni |
Incarichi ricoperti | |
Collegamenti esterni | |
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García de Loaysa y Mendoza conosciuto anche come Juan e Francisco (Talavera de la Reina, 1478; † Madrid, 23 aprile 1546) è stato un arcivescovo e cardinale spagnolo.
Cenni biografici
Nacque nel 1478 a Talavera de la Reina, arcidiocesi di Toledo. I genitori erano Pedro de Loaysa e Catalina de Mendoza. Uno dei suoi fratelli, Jerónimo de Loaysa, fu arcivescovo di Lima; e un altro, Domingo de Mendoza, che adottò il cognome di sua madre come a volte si faceva allora, era un frate domenicano.
Primi anni
Entrò nell'Ordine dei Predicatori presso il convento di San Esteban a Salamanca, il 25 novembre 1496; a causa della sua salute cagionevole, fu mandato nal convento di Peñafiel, dove la sua salute migliorò e gli fu permesso di professare nell'ordine. Studiò presso il convento di Santo Tomás a Ávila; e poi fu inviato a Valladolid al colegio de San Gregorio; li, molto stimato, fu poi lettore e due volte rettore.
Nel 1512 gli fu conferito il titolo di magister di teologia. Nei sei anni successivi fu priore dei conventi di Ávila e Valladolid. Il 19 aprile 1516, nel capitolo tenutosi nel convento di San Ildefonso a Toro, fu eletto provinciale della provincia domenicana di Spagna, carica che mantenne solo due anni. Nel 1517 divenne membro del consiglio dell'Inquisizione Generale e Suprema. Nel 1518 fu elevato alla dignità di maestro di tutto l'Ordine nel capitolo generale celebrato nel convento romano di Santa María sopra Minerva. Presiedette ancora quello tenuto a Valladolid nel 1523, ma non poté nemmeno finire questo ufficio.
Come maestro generale, il suo slogan era povertà e studio; diede un impulso straordinario alla devozione del Rosario. Su sua richiesta, papa Adriano VI, concesse la prima grazia per chi recitava il Rosario; e le confraternite del Rosario ebbero gran sviluppo in tutto il Regno. Dopo aver visitato i conventi di Napoli e della Sicilia, si recò in Spagna, arrivando in Navarra il 1º novembre 1520. Stabilì il suo quartier generale a Valladolid. La rivolta dei comuneros era in corso e in alcuni luoghi fu sostenuta dai frati domenicani; l'imperatore chiese a padre Loaysa di intervenire; agì immediatamente e punì severamente quattro dei capi ribelli che erano maestri in teologia; nel capitolo provinciale celebrato a Salamanca, furono privati dei loro gradi e condannati al carcere. In seguito visitò numerosi conventi della provincia di Spagna cercando di pacificare gli spiriti e rafforzare l'osservanza. Promosse e sostenne i piani di riforma di padre Juan Hurtado de Mendoza[1], autorizzando la fondazione di diversi conventi di stretta osservanza e così furono istituiti i conventi di Talavera, Atocha, Ocaña, Villaescusa de Haro, Mombeltran e Aranda; il convento di San Esteban di Salamanca raggiunse una posizione d'avanguardia che lo rese famoso e influente in pochi anni.
Nel marzo 1522 divenne inquisitore generale di Castiglia e Aragona e dall'agosto di quell'anno fino al settembre dell'anno seguente fu presidente del consiglio dell'Inquisizione. Il suo governo divenne arbitrario e autoritario; la disaffezione crebbe nei conventi domenicani, dove si mormorava che il maestro generale Loaysa non aveva più il suo cuore nell'Ordine, ma a corte e al servizio dell'imperatore. Per essere più vicino all'imperatore, non accompagnò il nuovo papa Adriano VI nel suo viaggio a Roma. L'imperatore Carlo V, al suo ritorno dalle Fiandre nel 1522, si stabilì in quella città e rimase affascinato dai modi dolci del maestro generale. L'imperatore lo prese come suo confessore. Questa posizione cambiò la sua vita dandogli una nuova direzione. Ben presto capì che la sua posizione di confessore dell'imperatore era incompatibile con quella di maestro generale dell'Ordine dei Predicatori e all'inizio del 1524 presentò le sue dimissioni da maestro generale, mantenendo l'incarico fino al successivo capitolo generale dell'ordine.
Episcopato
Eletto vescovo di Osma l'8 giugno 1524, il 16 luglio seguente, l'imperatore ordinò a tutti i vescovi di risiedere nelle loro diocesi ad eccezione del presidente del consiglio reale; l'arcivescovo di Siviglia, Alfonso Manrique de Lara, maggiore inquisitore; e il vescovo Loaysa, confessore reale ed elemosiniere.
Fu primo presidente del nuovo Consejo Real y Supremo de las Indias dal 4 agosto 1524 fino alla sua morte; adottò la tesi del suo confratello padre Bartolomé de las Casas[2], e soppresse le encomiendas[3].
Fu consacrato vescovo, il 29 settembre 1524, nella chiesa domenicana di San Pablo a Valladolid, da Alfonso Fonseca Acevedo, arcivescovo di Toledo, alla cerimonia presenziò anche l'imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V.
Nella riunione del Consiglio di Stato, celebrata dopo la battaglia di Pavia, il vescovo Loaysa sostenne la posizione di liberare il re Francesco I di Francia senza riscatti e condizioni; il vescovo era convinto che il monarca avrebbe risposto nobilmente all'atto di generosità.
Nel 1526, il gran cancelliere Mercurino Arborio di Gattianara, futuro cardinale, riorganizzò il Consiglio di Stato e nominò il vescovo Loaysa come uno dei suoi membri permanenti. Ma non correva buon sangue tra di loro e l'animosità tra i due era nota. L'influenza del vescovo Loaysa con l'imperatore cominciò a indebolirsi all'inizio del 1528, l'imperatore non lo convocò alle riunioni del Consiglio di Stato; e l'anno seguente, quando l'imperatore si recò in Italia, prese con sé il vescovo e ottenne la promozione di quest'ultimo al cardinalato; e in seguito lo nominò ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede con residenza a Roma.
Cardinalato
Fu creato cardinale da papa Clemente VII nel concistoro del 9 marzo 1530; ricevette la berretta rossa e il titolo presbiterale di santa Susanna il 16 maggio 1530. Il cardinale non si rassegnò a rimanere a Roma e in numerose occasioni pregò l'imperatore di permettergli di tornare se non a corte, almeno alla sua sede.
Trasferito alla sede di Sigüenza nel 1532. Infine, dopo questo trasferimento, al cardinale fu permesso dall'imperatore di tornare in Spagna. Loaísa inoltre chiese e ottenne da papa Clemente VII il 20 febbraio 1533 il permesso di tornare in spagna e risiedere a corte. Ottenne anche il permesso di trasferire i resti dei suoi genitori dalla chiesa dove erano stati sepolti a una nuova.
Il 25 aprile 1533 arrivò a Barcellona; occupò immediatamente di nuovo la presidenza del Consejo de Indias, che non era rimasta vacante durante la sua assenza ed aveva regolarmente riscosso lo stipendio di quel incarico. Divenne di nuovo un consigliere fidato dell'imperatore, ma non il suo confessore.
Non partecipò al conclave del 1534, che elesse papa Paolo III. Dal 21 ottobre di quell'anno, il cardinale partecipò alle Cortes celebrate a Madrid e a molte altre tenute in seguito. Commissario generale della crociata, dal 1536; occupò l'incarico fino alla sua morte. Il 19 aprile 1536 il cardinale si recò a Talavera per traslare le spoglie dei suoi genitori nella cappella maggiore della chiesa del monastero domenicano di San Ginés che aveva fondato; il 4 maggio tornò in tribunale. A causa della gotta di cui soffriva, il cardinale non poté accompagnare l'imperatore Carlo V nei suoi colloqui con il re di Francia e il papa a Nizza nel 1538; fu costretto a rimanere convalescente a Barcellona e in seguito si recò a Sigüenza fino al ritorno dell'imperatore.
Questa fu la sua ultima visita a quella sede. Fu elevato arcivescovo della sede metropolitana di Siviglia nel 1539. In quell'anno raggiunse l'apice del potere politico quando fu nominato reggente delle Indie durante l'assenza dell'imperatore, che durò quasi due anni; aveva il potere di decretare tutto ciò che l'imperatore poteva decretare con alcune limitazioni; è stato un caso unico nella storia della Spagna.
Intervenne nell'elaborazione delle prime Ordenanzas per il Consejo de Indias e le Instrucciones alle autorità coloniali per la difesa delle popolazioni indigene, promulgati a Barcellona il 20 novembre 1542. Nell'estate dell'anno seguente, rientrò in sede in osservanza delle disposizioni imperiali e perché il clima della corte non aiutava la sua salute. Fu per un breve periodo inquisitore generale di Spagna nominato nel febbraio 1546 morì il 22 aprile seguente, Giovedì Santo a Madrid. La salma fu traslata a Talavera e inumata nel convento domenicano di Santo Domingo y San Ginés.
Successione degli incarichi
Predecessore: | Maestro generale dell'Ordine dei Predicatori | Successore: | |
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Tommaso De Vio, O.P. | 23 maggio 1518 - 8 giugno 1524 | Francesco Silvestri, O.P. |
Predecessore: | Vescovo di Osma | Successore: | |
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Juan Pardo de Tavera | 8 giugno 1524 - 23 febbraio 1532 | Pedro González Manso |
Predecessore: | Cardinale presbitero di Santa Susanna | Successore: | |
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Antonio Sanseverino, O.S.Io.Hieros. | 16 maggio 1530 - 22 aprile 1546 | Georges II d'Amboise |
Predecessore: | Vescovo di Sigüenza | Successore: | |
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Fadrique de Portugal Noreña, O.S.B. | 23 febbraio 1532 - 21 maggio 1539 | Fernando de Valdés y Salas |
Predecessore: | Arcivescovo metropolita di Siviglia | Successore: | |
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Alfonso Manrique de Lara | 21 maggio 1539 - 22 aprile 1546 | Fernando de Valdés y Salas |
Predecessore: | Inquisitore generale di Spagna | Successore: | |
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Juan Pardo de Tavera | 1º febbraio - 22 aprile 1546 | Fernando de Valdés y Salas |
Note | |
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Bibliografia | |
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- Domenicani spagnoli
- Vescovi di Osma
- Vescovi di Sigüenza
- Vescovi di Siviglia
- Cardinali presbiteri di Santa Susanna
- Inquisitori generali di Spagna
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- Presbiteri del XVI secolo
- Presbiteri per nome
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