San Satiro
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San Satiro Laico | |
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Santo | |
San Satiro, Mosaico dell'abside della Basilica di Sant'Ambrogio (Milano) (XI secolo). | |
Età alla morte | 42 anni |
Nascita | Roma 337 [1] |
Morte | Milano 379 |
Sepoltura | Cappella di San Vittore in Ciel d'Oro della Basilica ambrosiana |
Venerato da | Chiesa cattolica |
Ricorrenza | 17 settembre |
Attributi | Ostensorio o pisside. |
Patrono di | Sacrestani dell'arcidiocesi di Milano |
Collegamenti esterni | |
Scheda su santiebeati.it |
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![]() | Nel Martirologio Romano, 17 settembre, n. 2 (Nel Rito ambrosiano ha grado di memoria obbligatoria):
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San Satiro, di secondo nome Uranio (Roma, 337[1]; † Milano, 379), è stato un laico, avvocato e testimone latino fratello di Sant'Ambrogio e di Santa Marcellina, venerato anch'egli come santo dalla Chiesa cattolica.
Biografia
Nascita
Satiro nacque a Roma[1] nel 337. Secondogenito di due importanti famiglie senatorie romane, la Aureliana, da parte materna e la Simmaco, da parte paterna, illustri per consolati e prefetture sin dai tempi di Diocleziano. Fratello di Santa Marcellina e Sant'Ambrogio non fu battezzato in tenera età sebbene la famiglia fosse cristiana[2].
Formazione - Viaggio nelle Gallie
Quando il padre Aurelio Ambrogio da Roma si recò nelle Gallie a Treviri, portò con sé la figlia Marcellina, che non aveva ancora dieci anni, Satiro e la moglie, della quale ben poco si conosce, neppure il nome; né alcun episodio della sua vita. Soltanto negli scritti del figlio Ambrogio più volte è ricordata come santissima. Se poi pensiamo che fu data in sposa a un uomo definito di fede splendida, la si può ritenere anch'essa donna di grande fede; a questa ella educò pure i figli Satiro e Ambrogio nato nella stessa città verso il 340.
Satiro visse nell'esempio di buona educazione impartito dalla madre, nella soave compagnia della sorella Marcellina che, se ai sui giochi con Ambrogio più non si accostava, già dedita a superiori contemplazioni, tuttavia lo circondava di un affetto tenerissimo.
Ritorno a Roma
Purtroppo il padre di Satiro morì ancora giovane. Cessati allora i benefici e la sicurezza della sua presenza e divenuta incerta la sorte della vedova e dei figli, questa ritornò a Roma. Era forse la primavera del 352. A quell'epoca Ambrogio aveva dodici anni e Satiro quindici. Ambedue continuarono gli studi a Roma e Satiro precedette il fratello nelle lezioni di retorica e di filosofia. Favorì molto la sua educazione l'esempio familiare della madre e della sorella. Marcellina aveva pronunziato i mistici voti nella Basilica di San Pietro, la notte di Natale del 353. Quel ricordo rimase incancellabile nella mente di Satiro. Ambrogio, più tardi, descriverà la cerimonia nel suo libro De Virginibus (1 - III, c. I). A Satiro rimase come un'immagine di purezza che non si offuscò mai. Forse, in quella notte anch'egli, benché fanciullo, istintivamente, per vocazione, pronunziò il suo voto di castità, a cui non venne mai meno.
All'età di diciott'anni, frequentava la scuola di retorica per divenire avvocato e contava molte amicizie con le quali non era molto espansivo e loquace, preferiva tacere e osservare, si confidava con pochissimi, quasi soltanto con il fratello. Ambrogio e Satiro, dal loro ritorno a Roma, frequentavano un certo Prisco che Ambrogio ricorderà poi spesso nelle sue lettere, e Simpliciano degli Altari il quale, benché più vecchio di dieci anni, li aveva entrambi carissimi per la medesima fede. In casa di Probo, poi, che fu tanto amico del padre, Satiro divideva gli studi con il figlio stesso di Simmaco[3].
Egli preferiva intrattenersi con Ponzio Meropio Paolino (futuro Santo della Chiesa col nome di San Paolino di Nola), parente di Melania anch'essa santa col nome di Santa Melania la giovane. Con lui Satiro poteva liberamente parlare senza timore d'essere frainteso, e per misterioso che fosse il loro confabulare, come di cose proibite, il loro argomento riguardava la sorte di papa Liberio, in esilio, che tutti i giovani di nobili sentimenti, educati a sani principi religiosi, volevano tornasse al più presto. A tal proposito, Satiro s'incaricò di far firmare da tutti coloro che conosceva e stimava, una petizione per ottenere la liberazione del Pontefice. Le dame la presentarono all'imperatore Costanzo II[4] con le firme della popolazione, soprattutto dei giovani patrizi. L'imperatore non poté più opporsi poiché il fermento minacciava di travolgerlo. Richiamò il Papa ed espulse l'antipapa Felice II. Quando Liberio fece visita alla famiglia degli Aureli, Satiro si chinò reverente innanzi a lui senza però aver nemmeno l'ardire di baciargli la mano.
Morto l'imperatore Costanzo II[4], salì al potere Giuliano l'apostata che, sebbene educato nel cristianesimo per volere dello zio Costantino I[5], per tutta la sua vita, che fu ignobile e senza alcuna pietà, per tutta la durata del suo regno che fortunatamente fu breve, perseguitò i cristiani, favorì in ogni modo il paganesimo e l'idolatria, bandì Atanasio, invano tentò di riedificare il tempio di Gerusalemme, pur di negare la profezia di Cristo, e, in Roma, per dispregio dei cristiani, volle collocata nel Senato la dea della Vittoria[6].
Satiro non cessò di pregare, non dubitò un istante che la giustizia di Dio avrebbe colpito quell'empio traditore che ad uno ad uno riapriva nell'urbe i templi pagani, commetteva sacrilegi e nefandezze ogni giorno, ritenendo poi niente, o men che niente, se un pagano uccideva dieci cristiani. Satiro non temeva per sé, ma per la vita di Ambrogio che, più impulsivo, avrebbe certamente ed imprudentemente reagito ad un affronto, paventava per la quieta e santa esistenza di Marcellina e per quella delle tante vergini che, in nessun modo, avrebbero potuto opporsi alla furia sanguinaria dell'imperatore.
Avvocato curiale
Nel 363, nonostante le persecuzioni inflitte ai cristiani durante l'infausto regno di Giuliano, terminò regolarmente gli studi letterari e quelli giuridici e si iscrisse nel ruolo degli avvocati curiali. Il taciturno Satiro aveva palesato doti di rara eloquenza nel suo esordio nella pretura di Roma. Il fratello Ambrogio, ancora studente, che aveva assistito ai suoi primi discorsi, non mancò di tramandarci una eco di quei successi nel Trattato sulla morte del fratello Satiro:
(LA) | (IT) | ||||
« | Nam quid spectam stipendiis forensibus eius facundiam loquar! Quam incredibili
admiratione in auditorio Praefecturae sublimis emicuít! » |
« | Guardando a quanto sono elevati i suoi compensi da avvocato, mi rendo conto di quanto sia un bravo oratore » | ||
(Sant'Ambrogio, De excessu fratris Satyri, 1, 48 )
|
Nella citazione si percepisce un'ammirazione commossa e profondo affetto di Ambrogio che era pur sempre il migliore amico di Satiro, quello che lo comprendeva anche nei silenzi e ne indovinava, per affinità, i più reconditi pensieri. Gli altri, i compagni di studio e delle sobrie ricreazioni, non potevano penetrare sin nel profondo di quell'anima timida e timorosa, un po' schiva dei contatti mondani, che si sottraeva a una completa comunione spirituale con coloro che non facevano parte della sua famiglia. Solo Paolino di Nola e Simpliciano degli Altari erano stati in grado di comprendere quale anima si nascondesse sotto l'apparente carattere ruvido e aspro, ma taluni, come per esempio il figlio di Simmaco[3], che la sua stessa bellezza rendeva un po' frivolo, si discostavano da lui, troppo solitario.
Satiro a Milano
Il 7 dicembre 374 Marcellina e Satiro si recarono a Milano per assistere alla nomina di Ambrogio. Dopo l'evento, Marcellina ritornò a Roma chiamata della sua piccola comunità di vergini. Satiro, invece, si fermò nel capoluogo ad assistere il fratello. Lasciò i suoi studi senza rimpianto, rinunziò agli onori, si dimise dalla carica della prefettura che tanto successo gli aveva offerto. Non ebbe un attimo di esitazione, nessun pentimento: il fratello aveva bisogno di lui, e per lui si ritirava dalla vita pubblica.
In quel sottrarsi a una vita propria, nel cedere ogni ambizione, nell'umiltà felice con cui egli mutò le proprie abitudini e spontaneamente il corso della sua esistenza, sta il maggior merito di Satiro. Poteva sembrare una diminuzione, una perdita di personalità e invece proprio in quel modo, accanto ad Ambrogio, non perse il suo nome, anzi lo elevò a una rinomanza eterna. Satiro ascendeva da quel momento verso la gloria dei santi. Egli non percepiva affatto la sua scelta come un dovere fraterno, in lui non sorgevano dubbi, gli pareva tanto naturale che, ad un certo momento, Ambrogio, più giovane, avesse bisogno del fratello maggiore. Era quel grande amore che finalmente poteva dimostrargli.
La situazione in cui si trovava Milano in quel periodo era quanto di peggiore si potesse immaginare. Il mal governo di Aussenzio l'aveva lasciata in uno stato di avvilimento o di bassezza morale. Un contrasto sociale estremo risaltava dalla povertà più penosa agli sfarzi e agli sperperi dei ricchi. Il freddo e la fame da una parte e l'abbondanza superflua dall'altra. Cupidigia, lussuria, delinquenza, odio regnavano senza freno. Il matrimonio era divenuto un peso, una noia, considerato un vincolo che a piacimento si poteva infrangere.
Uno dei primi provvedimenti di Ambrogio a capo dell'arcidiocesi fu quello di distribuire tutto il suo denaro ai poveri e di legare le sue terre alla Chiesa, lasciandone l'usufrutto alla sorella e nominando Satiro quale amministratore delle sostanze ecclesiastiche. Per reprimere la corruzione e il fasto ignominioso che proveniva dai ricchi, per vietare ogni abuso dei potenti a danno dei poveri, Ambrogio denunciò subito all'imperatore le vessazioni e le violenze dei governatori. E Valentiniano[7] l'ascoltò e moderò l'ingordigia degli amministratori nelle provincie. Per dimostrare inoltre la deferenza che provava per Ambrogio, gli affidò anche la cura della propria anima.
Satiro diventò l'amministratore del fratello, in lui era concentrata tutta l'azienda privata e pubblica della casa del vescovo, in modo che questi non ne fosse minimamente distolto dal suo incarico. Satiro divenne anche diacono laico di Ambrogio, occupandosi di tutte le questioni materiali che riguardavano l'arcidiocesi[8].
Ambrogio non poteva fare a meno di lui, non poteva stare senza lui, gli serviva come sostegno, come dell'unica scorta che lo guidasse. Nelle decisioni più nobili di Ambrogio, si avverte il suggerimento del fratello. Satiro era il custode vigile della quiete e del lavoro di Ambrogio.
Morto l'imperatore Valentiniano I[7] gli succedettero i figli Valentiniano II[9], anch'egli molto devoto ad Ambrogio, e Graziano[10] che ottennero, dividendolo, la guida dell'Occidente, mentre sull'Oriente dominava lo zio Valente[11]. Papa Damaso nell'agosto del 378 convocò un concilio a Roma al quale prese parte Ambrogio, lieto di recarsi per rivedere Marcellina. Satiro sostituì il fratello venendo incontro ai più urgenti bisogni del popolo che per la guerra[12] soffriva dell'accresciuta miseria. Ambrogio temeva che il fratello, senza di lui, eccedesse nel concedere aiuti, anche a figure immeritevoli, tanta era la semplicità e l'innocenza con cui si prodigava nella carità. Per sé riservava lo stretto necessario, tutto gli sembrava superfluo tralasciando spesso anche il meritato riposo, anteponeva ai più modesti bisogni della sua persona l'urgenza di provvedere invece agli altri, viveva nell'astinenza e nel digiuno. Durante l'assenza di Ambrogio visse tra i poveri e per i poveri. Non solo, la sua casa era aperta a chiunque invocasse soccorso, ma di persona si recava nei quartieri più miserabili della città, e vi portava ogni giorno cibo, vesti, e sostentamento di denaro.
Quando Ambrogio ritornò a Milano, verso la fine del 378, fu accompagnato da Marcellina che desiderava prendersi cura dei fratelli vigilando sulla loro vita, soprattutto su quella di Ambrogio. Tutto sembrava tornare ai tempi felici di Roma, quando fra i tre regnava l'armonia in cui Ambrogio era il fratello tenuto con più riguardo, Satiro il consigliere più ascoltato.
« | Se qualche volta mi accadeva di intrattenermi in discussioni con Marcellina, e se fra noi sorgeva qualche dubbio, noi prendevamo Satiro come giudice, il quale non criticava né l'uno né l'altro, ma studiava solo di accontentare l'uno e l'altro, esponendo con tale dolcezza il suo modo di vedere, che ambedue ne restavamo contenti, e di me e di lei si cattivava la simpatia. Se poi, per decidere, portava un suo argomento, con quanta bella maniera lo faceva! » | |
(Ambrogio, Trattato sulla morte del fratello Satiro)
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La castità di Satiro
Satiro rifiutò sempre di prender moglie, anche quando i fratelli gli facessero proposte di matrimonio, più per provarne ancora una volta i suoi sentimenti di castità, che per reale intenzione di fargli mutare vita. A volte insistevano, specialmente Ambrogio, ma se Satiro non rifiutava apertamente era forse per non dispiacergli. Ogni volta si traeva d'impaccio con dilazioni che erano un mezzo per non abbandonare lo stato di castità. Satiro era troppo distaccato dai beni terreni per poter prender moglie. L'intima unione spirituale che lo legava ad Ambrogio e Marcellina, era già sufficiente. La sua famiglia più grande era quella dei poveri.
« | Non si compiacque di ricchezze, né credette mai che a lui mancasse cosa alcuna. Contento del proprio non invidiò l'altrui, soddisfatto del suo, l'infastidiva il superfluo. Quindi non attese che a ricuperare, se occorreva, il fatto suo, non per arricchire, ma per non essere la vittima di una frode illecita. » | |
(Ambrogio, Trattato sulla morte del fratello Satiro)
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Satiro parte per l'Africa
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Accadde che la famiglia degli Aureli ebbe dei seri problemi per questioni legate ad alcuni beni che possedeva in Africa. Tali beni erano stati da molti anni affidati ad un amministratore, un certo Prospero, che fino all'ordinazione episcopale di Ambrogio aveva svolto egregiamente il suo compito. Quando però Ambrogio diventò a tutti gli effetti vescovo di Milano pensò bene di non corrispondergli più gli affitti annui e i relativi conteggi, comportandosi come se le rendite fossero diventate sue supponendo che Ambrogio e i suoi fratelli non ne avrebbero più avuto bisogno in futuro o che non avrebbero più avuto il tempo di dedicarsi a simili faccende.
Satiro nell'inverno del 378, e proprio nella stagione peggiore, decise di intraprendere il viaggio in Africa che tutti gli sconsigliarono, ma che lui reputò indispensabile sia per quel senso innato della giustizia che aveva, sia perché voleva distribuire quel denaro ai poveri. Non valutò i pericoli, sebbene Ambrogio cercasse di dissuaderlo dal viaggio. Non lo trattenne il pensiero del rischioso viaggio in una stagione così poco propizia, non lo dissuasero le difficoltà accresciute dalla guerra, né la dolce serena vita familiare, né il presentimento di una lunga separazione lo fermarono a Milano. L'unica cosa che Ambrogio poté fare per lui fu quella di raccomandarlo per mezzo di Aurelio Simmaco[3] a Celsino Tiziano, vicario d'Africa, suo fratello.
(LA) | (IT) | ||||
« | Revocabam te, frater, ne ipse Africam petens ac potius aliquem destinares, timebam te committere viae, fluctibus credere, et solito metus maior incesserat animum. » | « | Ti avevo avvisato, fratello, di non dirigerti tu stesso in Africa, ma piuttosto di designare qualcun altro. Temevo che tu affrontassi il viaggio, affidandoti alle onde, e una paura più grande del solito si insinuò nel mio animo. » | ||
(Ambrogio, Trattato sulla morte del fratello Satiro )
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Satiro giunse senza troppi ostacoli in Africa[13]. Qui incontrò Prospero con il quale patteggiò proficuamente. Convinto delle ottime ragioni dei suoi creditori, e non potendo più dilazionare il pagamento, saldò il suo debito con una certa larghezza. Satiro non si soffermò a lungo in Africa e per quanto l'ospitalità di Celsino Tiziano gli fu molto gradita, non protrasse la partenza e si imbarcò per tornare a Milano.
Il viaggio di ritorno fu pessimo. Poco dopo le coste della Sicilia, un violento nubifragio deviò la nave dalla rotta verso il porto di Ostia. Fortemente danneggiata l'imbarcazione stava per affondare, e quei pochi passeggeri che essa portava sembravano destinati a perire. Vi era fra questi un cristiano battezzato, il quale, secondo l'usanza di quei tempi e con l'autorizzazione della Chiesa, recava con sé le Specie Eucaristiche con cui potersi cibare nei momenti d'un estremo pericolo. Satiro, invece, poiché non era ancora battezzato, ne era sprovvisto, e quindi, non turbato per la sua vita, bensì per la sua anima, si rivolse al passeggero e lo pregò di voler dividere con lui le Sacre Specie. Al consenso dell'altro, mentre i compagni già si erano gettati nelle acque, Satiro non se ne cibò, preoccupato solo di non profanare l'Eucaristia. L'avvolse nel lino e dopo essersela messa al collo, per ultimo, abbandonò la nave quasi sommersa e si gettò nei flutti, confidando nell'aiuto divino[14].
A lungo rimase in mare: senza perdersi d'animo, lottò contro le onde, e finalmente toccò terra. Non sapeva dove si trovasse, ma prima ancora di cercare rifugio e conforto per sé, innalzò una preghiera di ringraziamento a Dio, prestò aiuto ai naufraghi e li fece ricoverare in qualche chiesa. Egli stesso, prima ancora di una casa, cercò una chiesa, soltanto allora, dopo la sua salvezza che riteneva miracolosa, sentì forte il desiderio di ricevere il battesimo. Scoprì dagli abitanti di trovarsi in Sardegna.
Salpò dall'isola con una nave più sicura diretta in Sicilia dove ricevette il Battesimo e finalmente si comunicò con Cristo[15].
Dalla Sicilia fece tappa a Roma dove, a causa del viaggio difficoltoso, si ammalò. La notizia giunse a Milano con le aggravanti che lo davano quasi in fin di vita. Ambrogio si lamentava, non del suo male, ma della lontananza di Satiro e lo desiderava e lo chiamava al suo letto; voleva che fosse lui con la santa sorella a chiudergli gli occhi col fraterno tocco delle dita.
Satiro resistette e si rimise con grande sollievo di Ambrogio e Marcellina. Quando Satiro riacquistò le forze doveva essere maggio o giugno del 379, il suo primo pensiero fu quello di affrettarsi a tornare a Milano. Egli, tuttavia, sapeva che sarebbe morto presto, forse fra qualche settimana, e non s'illudeva del suo stato di miglioramento, faceva anzi credere di sentirsi più forte di quanto non lo fosse, per partire subito, perché voleva morire a Milano. Invano Simmaco[3] tentò di trattenerlo senza esito.
Giunto a Milano Satiro pensava che soltanto la stanchezza del viaggio lo prostrasse in quel modo; tentò anche di riprendere le sue mansioni familiari e le sue consuetudini caritatevoli, ma le forze gli mancarono. Dapprima non voleva rassegnarsi al riposo del letto, poi, accorgendosi ogni giorno di più che la fine per lui stava approssimandosi, ne rendeva grazie a Dio che l'aveva esaudito nel concedergli di terminare i suoi giorni a Milano. Lentamente si spegneva fra la costernazione di Ambrogio e Marcellina ai quali non pareva vero che Satiro potesse morire. Si erano rivolti ai migliori medici che lo confortavano con illusorie speranze, alle quali, per amor dei fratelli, Satiro fingeva di credere.
Ambrogio, nel Trattato sulla morte del fratello Satiro, esprime rammarico di non poter continuare la vita col fratello, tuttavia ringrazia Dio per aver permesso a lui e a Marcellina di rivederlo prima della sua morte, e scrive:
« | Almeno, o Satiro avessi tu chiesto con la grazia di finire i tuoi giorni tra noi, quella ancora di una più lunga vita in nostra compagnia...ma
no, o Dio, siano grazie a Te, che non ci hai negato il supremo conforto di rivedere l'amatissimo fratello ritornato a noi dalle sponde sicule o africane. Presto lo rapisci, quasi tu avessi differito a chiamarlo a Te, finché non l'avessimo noi stretto al nostro cuore. » |
La morte
Satiro si spense a Milano il 17 settembre 379 con le ultime parole rivolte a Macellina e Ambrogio: « Darete ai poveri ciò che vorrete.»[16] Le ultime volontà di Satiro furono rispettate, Ambrogio e Marcellina distribuirono i suoi beni ai poveri. La notizia della morte si sparse in un baleno per la città con il popolo che ne traeva dolore e motivo di pianto.
Nel giorno dei funerali una marea di popolo seguiva il feretro che Ambrogio sorreggeva dall'uno dei lati. Anche Marcellina veniva fra le donne e amorosa scrutava l'incedere del fratello. Pianse ancora Ambrogio, quando salito sull'ambone nella Basilica Fausta[17] incominciò l'orazione in morte del fratello Satiro, ma a poco a poco dai ricordi della comune infanzia e della vita trascorsa insieme, venendo alla speranza della vita futura si asciugò le lacrime. Era anche per lui venuta la divina speranza nella Resurrezione.
« | Cesseranno dunque le lagrime, ci lasceremo vincere dai divini conforti. Tra i fedeli e gli infedeli ci deve pur essere qualche cosa che li distingue. Piangano dunque quei che non possono sperare nella risurrezione, piangano i cultori degli idoli, piangano essi i loro cari che credono perduti per sempre; per loro non rimane tregua alcuna nel pianto, non resta più riposo, poiché non credono nel riposo dei morti. A noi, per i quali la morte non è annientamento della natura, ma termine di questa vita e rinascita a vita migliore, il pianto è balsamo alla ferita che lascia la morte. Se essi, gli infedeli, hanno trovato qualche conforto nel credere che dopo la morte tutto è finito, quanto più ci consoleremo noi che, dopo la morte, speriamo raggiungere il premio delle nostre buone opere » | |
(Ambrogio, Trattato sulla morte del fratello Satiro.)
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Satiro fu sepolto, per volontà del fratello, nella Cappella di San Vittore in Ciel d'Oro della Basilica ambrosiana, accanto alle reliquie di San Vittore. Dal 1980 i resti mortali di San Satiro sono collocati in un'urna di cristallo, nella prima cappella della navata destra della Basilica di Sant’Ambrogio.
A lui è dedicata la Chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano, risalente al IX secolo, ricostruita nel 1478 dal Bramante.
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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