Vizi capitali
I vizi capitali sono desideri non ordinati verso il Bene Sommo, cioè verso Dio; la tradizione cristiana, che li ha codificati sulla base della sapienza dei filosofi dell'antichità, insegna che sono all'origine di tutti i peccati.
La denominazione di vizi capitali risponde al fatto che essi vengano considerati come abitudine o propensione; quando invece essi vengono considerati come atti si parla di peccati capitali. Prima del vizio vi è l'atto peccaminoso: è la ripetizione a creare l'abitudine e quindi il vizio[1].
L'aggettivo "capitali"
Questi vizi sono detti capitali non perché siano i più gravi dei peccati (alcuni di essi non superano la colpa veniale), ma perché sono origine e guida di molti peccati. L'uso dell'aggettivo capitali riprende metaforicamente l'accezione del termine "capo" come colui che presiede e che guida[2].
La causalità di cui si parla non è però né fisica né morale, ma solo impulsiva e occasionale, a motivo particolarmente, a detta di San Tommaso, del fine: colui che è dominato da qualche vizio capitale è capace di commettere qualunque peccato o delitto pur di soddisfare la sua viziosa passione[1].
Le radici bibliche e i primi secoli
La Bibbia nomina molte volte i vari vizi, singolarmente o in gruppo, ma sono enunciazioni che precedono ogni sistemazione settenaria o ottenaria[1].
Un qualche fondamento per la classificazione che diventerà classica può essere stato fornito dai testi Sir 10,13 [3]; 1Tim 6,9-10 ; 1Gv 2,16 . E difatti i primi scrittori che tentano la classificazione pongono la superbia come prima fonte universale, sulla base del primo di tali testi, che nella Volgata suona: "initium omnis peccati est superbia", "la superbia è l'inizio di tutti i peccati". Dietro la superbia enumerano gli altri sette vizi: la vana gloria, l'avarizia, la lussuria, l'invidia, la gola, l'ira e l'accidia, dando il numero otto, che prevale in Oriente.
Il numero settenario (Occidente)
In Occidente viene seguito San Gregorio Magno[4], ed è quindi comunemente è accettato il numero settenario, sia pure con qualche dissenso[5]. Neanche in Oriente, del resto, erano mancati autori che si attenevano per una ragione o l'altra al numero di sette[6].
Enumerazione
In Occidente pertanto i vizi/peccati capitali sono i sette seguenti:
- Superbia: il desiderio disordinato di essere superiori agli altri, fino al disprezzo degli ordini e delle leggi.
- Avarizia: il desiderio disordinato dei beni temporali.
- Lussuria: la dedizione al piacere e al sesso.
- Invidia: la tristezza per il bene altrui, percepito come male proprio.
- Gola: l'abbandono ed esagerazione nei piaceri della tavola.
- Ira: il desiderio disordinato di vendicare un torto subito.
- Accidia: il lasciarsi andare al torpore dell'animo, fino a provare fastidio per le cose spirituali, e in particolare l'abbandono della preghiera e dell'amicizia verso Dio perché faticosa.
La sintesi di Tommaso
San Tommaso d'Aquino osserva[7] che il numero sette risponde alle sette fondamentali tentazioni viziose dell'uomo, il quale disordinatamente desidera quattro specie di beni, e rifugge da tre altri beni, perché a questi è congiunto il male.
- Il primo bene desiderato è di ordine spirituale, ed è la propria eccellenza, l'onore e la gloria, che, desiderati disordinatamente causano la superbia e la vana gloria.
- Altro bene è quello del corpo, che è duplice:
- la conservazione dell'individuo; il disordinato uso dei cibi e delle bevande è causa del vizio della gola (secondo bene);
- la conservazione della specie; il disordinato uso della sessualità è causa della lussuria (terzo bene).
- Il quarto bene sono le ricchezze, l'attaccamento alle quali e l'uso non secondo la retta ragione è causa dell'avarizia.
Vi sono poi i tre beni da cui l'uomo rifugge disordinatamente:
- il proprio bene spirituale, che si trascura a causa della fatica, e in ciò consiste l'accidia;
- il bene altrui, che si rifugge in quanto menoma la nostra eccellenza, da cui l'invidia;
- ancora il bene altrui, che si fugge e spinge alla vendetta; ciò causa l'ira.
Gli otto vizi capitali dell'Oriente
Gli Orientali, seguendo Evagrio Pontico e San Massimo il Confessore, conoscono otto vizi capitali[8]. Tra essi gli autori orientali sostengono con forza l'esistenza di un vizio comune, radice degli altri, la φιλαυτία, philautía ("amor proprio").
L'elenco tipico in Oriente è il seguente:
- γαστριμαργία, gastrimarghía ("gola")
- πορνεία, porneía ("lussuria")
- φιλαργυρία, philargyría ("avarizia")
- λύπη, lýpe ("tristezza")
- ὀργή, orghé ("ira")
- ἀχηδία, achedía ("pigrizia", "accidia")
- χενοδοξία, chenodoxía ("vanagloria")
- ὑπερηφανία, hyperephanía ("superbia")
Rispetto all'elenco occidentale si notano subito varie differenze:
- i peccati o vizi sono disposti in ordine diverso;
- sono presenti la vanagloria e la tristezza, assenti nella tradizione occidentale;
- la superbia e la vanagloria appaiono uno sdoppiamento rispetto all'elenco occidentale;
- non è inclusa l'invidia, anche se essa è certamente inclusa, secondo i diversi autori, a volte nell'ὀργή (ira), altre nell'ἀχηδία (accidia).
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