Superbia
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La Superbia è il primo dei vizi capitali[1], principio e radice di ogni vizio.
È un amore disordinato ed eccessivo del proprio io, per cui la persona si compiace di se stessa e cade in una forma di idolatria di sé; come tale è rifiuto di Dio. È negazione ostinata della creaturalità, del limite che connota l'uomo e quindi negazione dell'Alterità che lo pone in essere. La superbia è farsi Dio, è voler essere come Dio, è ribellarsi a che ad altri venga riconosciuto d'essere a immagine di Dio.
È il vizio contrario della virtù dell'umiltà.
Nella Bibbia
La concezione dell'uomo che troviamo nella Bibbia parte dal fatto che egli è terra e cenere (Gen 2,7 ), ed è perciò superbia il falso concetto che l'uomo ha di sé e della propria condizione[2] (Sir 10,9 ).
La superbia è rimproverata nelle donne (Is 3,16-22; 32,9-11 ; Am 4,1-2 ) e negli uomini (Lc 14,7-8 ). Israele deve guardarsene (Dt 8,17-18 ) e come lui anche i regni pagani (Is 10,8-14 ; Dn 4,27-28 ). Scribi e farisei ne sono affetti (Mt 23,5 ; Lc 11,43 ).
La superbia si erge contro Dio (Gen 11,4-5 ; Es 5,2 ; Dt 8,14 ; Sir 10,12 ; Is 14,13-14; 36,18-20; 37,23-24 ; Ez 28,2 ; Dn 5,22-23 ; At 12,21-22 ) ed è frutto di tentazione diabolica (Gen 3,5-6 ). Essa è severamente punita (Gen 3,16-19;11,7-9 ; Sir 10,13-18 ; Is 14,15-17; 37,36-38 ; Ez 28,7-10 ; Dn 5,24-28.30 ; Mt 23,12 ; Lc 18,14 ; At 12,23 ).
Nella Tradizione della Chiesa
Fu San Gregorio Magno[3] a fare della superbia "la regina dei vizi". A suo dire quando essa asservisce il cuore e quindi lo consegna alla devastazione di tutti gli altri vizi come fossero sue guide; dalla superbia nasce tutta la moltitudine dei vizi[4]. Essa non è quindi per Gregorio uno dei vizi capitali, ma al di sopra e come madre di tutti essi.
Dopo Gregorio, anche Agostino definisce la superbia come perversae celsitudinis appetitus, "desiderio smodato di soprastare".
Anche Cassiano, Boezio, pur nella varietà delle rispettive prospettive, convergono nell'affermare non solo che la superbia è peccato e che è la radice di tutti i peccati.
Secondo Isidoro[5] il superbo è detto così perché vuole vedersi maggiore di quel che è: colui che vuole sopravanzare ciò che è, è superbo. Il supra ("sopra") è la chiave interpretativa della superbia[6].
Anselmo[7] ha modulato questo vizio distinguendo una superbia di volontà, di parole, di azioni.
Bernardo[8], ricalcando i gradi dell'umiltà di cui parla il capitolo 7 della Regola di San Benedetto, distinse dodici gradi di superbia: curiosità, leggerezza del pensare, sciocca contentezza, iattanza, singolarità, arroganza, presunzione, apologia dei peccati, simulazione di confessione, ribellione, libertinismo, abitudine al peccato.
San Tommaso d'Aquino aderisce all'impostazione di San Gregorio che fa della superbia la madre di tutti i vizi[9]. Riprendendo Isidoro[10], poi, afferma che la superbia prende nome dal fatto che uno indirizza la sua volontà "sopra" (super) ciò che è e, aggiunge, con "sproporzione" a se stesso, cioè irrazionalmente rispetto alla realtà. Le modalità diverse di declinazione di questa "sproporzione" avevano suggerito a Gregorio[11] di individuare quattro specie di superbia, corrispondenti al fatto che l'uomo pensa d'aver valore (bonum):
- da se stesso;
- dall'alto, ma per proprio merito;
- oltre quello che è realmente;
- a dispetto degli altri in modo singolare.
Si tratta dunque di una sopravvalutazione, connessa sempre a un errore di valutazione, a una lettura falsa della propria realtà, in contraddizione con il buon senso e con la ragione, la quale dovrebbe invece regolare la corretta stima di sé e degli altri.
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |