Abbazia di Santa Maria di Farfa
Abbazia di Santa Maria di Farfa | |
Abbazia di Santa Maria di Farfa, complesso monastico | |
Stato | Italia |
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Regione | Lazio |
Regione ecclesiastica |
Regione ecclesiastica Lazio |
Provincia | Rieti |
Comune | Fara Sabina |
Località | Farfa |
Diocesi | Sabina-Poggio Mirteto |
Religione | Cattolica |
Indirizzo |
Via del Monastero, 1 02032 Fara Sabina (RI) |
Telefono | +39 0765 277065 |
Sito web | Sito ufficiale |
Oggetto tipo | Abbazia |
Oggetto qualificazione | benedettina |
Dedicazione | Maria Vergine |
Sigla Ordine qualificante | O.S.B. |
Sigla Ordine reggente | O.S.B. |
Fondatore | san Lorenzo Siro |
Data fondazione | VI secolo |
Stile architettonico | Romanico, Tardo rinascimentale |
Inizio della costruzione | 680 |
Completamento | 913 |
Coordinate geografiche | |
Lazio | |
L'Abbazia di Santa Maria di Farfa è un monastero benedettino, situato nel territorio del comune di Fara Sabina (Rieti), alle pendici del monte Acuziano ed in prossimità del fiume Farfa (in latino, Farfarus), affluente della riva sinistra del fiume Tevere.
Storia
Dalle origini al IX secolo
L'origine dell'Abbazia è ancora incerta, ma la quasi sicura identificazione di san Lorenzo Siro con il vescovo di Forum Novum (Vescovio) del 554 accerterebbe la fondazione, nel VI secolo, di questo importante centro di fede e di spiritualità.
Secondo la tradizione, il monastero, verso la fine del VI secolo, venne distrutto dai Longobardi, e ricostruito intorno al 680 per opera di san Tommaso di Maurienne, con l'aiuto del duca di Spoleto Faroaldo II e di papa Giovanni VII: egli era giunto a Farfa da Gerusalemme, a seguito di una visione di Maria Vergine, che lo esortava a cercare in Sabina, un luogo detto Acuziano, dove fondare una comunità monastica.
Da quel momento iniziò lo sviluppo dell'abbazia che si ingrandì con nuovi fabbricati e diventò sempre più ricca grazie alle rinnovate piantagioni di olivi e la bonifica di molte terre circostanti. Alla morte di san Tommaso di Maurienne, divennero abati due monaci transalpini, Auneperto di Tolosa e Lucerio di Maurienne.
Nel tempo, l'abbazia crebbe in importanza e considerazione, ricevendo numerosi privilegi, elargizioni, esenzioni, da parte di imperatori e papi, e divenendo così una vera e propria potenza interposta fra il patrimonio di San Pietro ed il Ducato di Spoleto. Il cenobio di Farfa, infatti, era un'abbazia imperiale, svincolata dal controllo pontificio, ma vicina alla Santa Sede, tant'è vero che il suo abate era a capo di una diocesi suburbicaria[1]
Nel periodo di maggior prestigio, il monastero aveva giurisdizione su 600 tra chiese e conventi, 132 castelli o piazzeforti e 6 città fortificate, per un totale di più di 300 villaggi: si diceva che l'abate facesse ombra alla potenza del papa, ma in realtà il suo potere era quello di un vero e proprio legatario imperiale incaricato della difesa del territorio laziale e della rappresentanza degli interessi imperiali presso la Santa Sede.
Grazie alla sua posizione strategica il cenobio venne protetto sia dai Longobardi sia dai Franchi; lo stesso Carlo Magno volle che passasse alle dirette dipendenze della sua amministrazione e proprio durante il suo regno, l'abbazia ebbe il massimo sviluppo edilizio, che ne modificò così tanto la struttura originale che solo di recente è stato possibile ricostruirla. In pochi decenni divenne uno dei centri più conosciuti e prestigiosi dell'Europa medievale; Carlo Magno stesso, poche settimane prima di essere incoronato nella Basilica di San Pietro in Vaticano, il 25 dicembre 800, visitò il monastero e vi sostò.
Nel terzo decennio del IX secolo, sotto l'abate Ingoaldo, il monastero possedeva una nave commerciale esentata dai dazi nei porti dell'impero carolingio.
Dopo questo periodo di splendore sotto i Carolingi, che raggiunse il suo massimo nella prima metà del IX secolo con l'abate Sicardo (830 - 841), parente di Carlo Magno, nell'891 l'abbazia venne assalita dai Saraceni. Dopo aver resistito per sette anni agli attacchi, l'abate Pietro I decise di abbandonare Farfa, dividendo i monaci in tre gruppi ed il tesoro in altrettante parti. Dei tre nuclei il primo fondò il monastero di Santa Vittoria di Matenano nelle Marche, il secondo fu trucidato a Rieti dalle truppe saracene ed il terzo, trovò riparo a Roma.[2] Il monastero fu occupato dai Saraceni i quali ne fecero una base strategica per le loro scorrerie e saccheggi.
I monaci, che si erano rifugiati a Roma, passato il pericolo saraceno, tornarono a Farfa sotto la guida dell'abate Ratfredo, trovandola in completa rovina. Fu però solo un periodo di breve ripresa, poiché perduta la protezione imperiale si allentò l'unità territoriale, tanto che alcune famiglie romane (Crescenzi, Ottaviani e Stefaniani) s'impadronirono di vaste aree precedentemente appartenute all'abbazia.
Dal X secolo ad oggi
L'ultima fase di ripresa dell'abbazia si ebbe con la discesa in Italia, nel 967, di Ottone I di Sassonia e per opera dell'abate Ugo I (997 - 1038), grazie al quale, nel 999, venne introdotta la riforma cluniacense. Egli riorganizzò la vita monastica e ristrutturò gli edifici abbaziali, dove si svolgevano complesse celebrazione liturgiche secondo l'uso dell'Ordine.
Sotto il suo successore, Berardo I (1047 - 1089) sorse il celebre scriptorium che ebbe la capacità di creare una propria scrittura, che redigeva splendidi codici con una propria caratteristica maiuscola.[3]
In questo periodo il monastero riassunse i caratteri di abbazia imperiale partecipando alle contese politiche, lottando contro le grandi famiglie romane (in particolare i Crescenzi) per difendere la propria libertà ed appoggiando, durante la lotta per le investiture, Enrico IV di Franconia (1050 - 1106) in aperto contrasto perciò con i Papi con la conseguenza che, nel 1097, i monaci decisero, per motivi di sicurezza, di trasferire il cenobio sul sovrastante monte Acuziano, dove ancora oggi sono visibili le imponenti rovine dell'opera iniziata e mai terminata. I possedimenti abbaziali di questo periodo sono enormi, tanto che in un diploma del 1118, l'imperatore Enrico V di Franconia (1081 - 1125) riconferma pertinenti al cenobio le zone di S. Eustachio e Palazzo Madama in Roma, Viterbo, Tarquinia, Orte, Narni, Terni, Spoleto, Assisi, Perugia, Todi, Pisa, Siena, Camerino, Fermo, Ascoli, Senigallia, Osimo, Chieti, Tivoli, il territorio aquilano, il Molise, il porto e metà della città di Civitavecchia.
L'irreversibile declino dell'abbazia ebbe inizio con il Concordato di Worms (1122) che segnò il passaggio del monastero all'autorità pontificia e con l'abate Adenolfo (1125) si sancì ufficialmente la sua totale sottomissione ai Papi.
La crisi economica e monastica aggravarono in modo irreparabile la vita del cenobio ed alla metà del XIV secolo si giunse all'interdizione e alla scomunica dell'abate per il mancato pagamento delle decime alla Camera Apostolica.
All'inizio del XV secolo, il papa Bonifacio IX la costituì in commenda affidandola al nipote, il cardinale Francesco Carbone Tomacelli († 1405), il quale vi introdusse monaci tedeschi. Dal 1421 al 1553 fu commenda degli Orsini; nel 1567 passò ai Farnese, quindi dal 1627 al 1728 ai Barberini ed ai Lante della Rovere; infine, nel 1769 la carica di abate di Farfa fu data al vescovo della Sabina.
Nel 1798, il monastero subì il devastante saccheggio delle truppe napoleoniche.
Soppressa nel 1841 la commenda abbaziale, la comunità monastica scomparve con l'unità d'Italia (1861) e l'abbazia venne confiscata dallo Stato, passando poi in mani private: la famiglia Volpi di Misurata che nel 1919 la donò ai monaci della congregazione cassinese.
Dal 1921, il beato Alfredo Ildefonso Schuster, abate di San Paolo fuori le Mura di Roma, determinò la definitiva rinascita dell'abbazia trasferendovi un cospicuo numero di monaci, provenienti dal cenobio da lui guidato.
Descrizione
Il complesso monastico è attualmente costituito costituito da vari corpi di fabbrica, dei quali si evidenziano:
- Chiesa abbaziale
- Due chiostri:
- Chiostro longobardo detto anche Chiostrino
- Chiostro grande
- Biblioteca
- Appartamento abbaziale
Ingresso e cortile
Attraverso un portale tardo romanico del XIV secolo di Anselmo da Perugia, si accede ad un cortile, dove affacciano:
- a sinistra, Torre merlata detta Palazzaccio, residenza dal 1477 agli abati commendatari, dove si conservano alcune opere di notevole interesse storico-artistico, tra le quali si notano:
- nell'ambiente alla base, Ascensione di Gesù Cristo (metà del XII secolo), affresco di ambito romano.[4]
- nell'appartamento abbaziale, Madonna con Gesù Bambino ed angelo reggicartiglio (primo quarto del XVI secolo), tavola di Antonio Rimpatta.[5]
- di fronte, Chiesa abbaziale.
Chiesa
La chiesa, ricostruita nel 1492 dal cardinale Orsini, sul precedente edificio carolingio (orientato diversamente e completato nel 913 dall'abate Ratfredo), fu consacrata nel 1496.
Esterno
La facciata a salienti, segnata da paraste, presenta tre oculi ed altrettanti portali, in corrispondenza di ciascuna navata interna, dei quali i centrali sono di dimensioni maggiori.
Il portale centrale, decorato da una con cornice marmorea, è sormontato da una lunetta dipinta raffigurante:
- Madonna con Gesù Bambino tra san Benedetto da Norcia e santa Scolastica (fine del XV secolo), affresco, di scuola umbra.
Interno
La chiesa, a pianta basilicale, è suddivisa in tre navate da due file di colonne, in granito e marmo cipollino, provenienti da edifici romani della zona, con capitelli dorici a destra e ionici a sinistra.
La navata mediana è coperta da un soffitto ligneo a cassettoni del 1495 con al centro lo Stemma degli Orsini e termina con un abside poligonale illuminato da grandi finestre gotiche.
All'interno, si conservano di particolare interesse storico-artistico:
- nella navata sinistra, Pala d'altare con Sant'Orsola in gloria (1597 - 1599), olio su tela, di Orazio Gentileschi.[6]
- nel transetto:
- Pavimento originario (prima metà del IX secolo), marmo e mosaico della bottega dei Cosmati.
- Due dipinti con San Lorenzo Siro e San Tommaso di Farfa (seconda metà del XVI secolo), olio su tavola, di ambito romano.[7][8]
- nella seconda cappella a destra, Madonna con Gesù Bambino e due angeli, detta Madonna di Farfa (fine del XIII secolo), tempera su tavola, di ambito romano: l'opera nel XIX secolo è stata coperta con una lamina d'oro sbalzata che lascia scoperti solo i volti delle figure.[9]
- nella controfacciata, Giudizio Universale (1561), affresco del pittore fiammingo Henrik van der Broek.
Inoltre, nella chiesa riposano le spoglie del beato Placido Riccardi (1844 - 1915), monaco benedettino che spese gran parte della sua vita per la ripresa spirituale del monastero farfense e l'assistenza delle popolazioni rurali.
Campanile
Accanto alla chiesa, s'innalza il campanile quadrangolare, a quattro ordini con trifore (IX - XIII secolo), dove in un ambiente alla base si conservano, anche se frammentari, alcuni interessanti dipinti murali, ad affresco, databili alla seconda metà del XI secolo, tra i quali si notano:
- Resurrezione dei morti (seconda metà del XI secolo), affresco.[10]
- Sacrificio di Noè (seconda metà del XI secolo), affresco.[11]
- Visita di Naaman ad Eliseo (XII secolo), affresco.[12]
- Angelo (XII secolo), affresco.[13]
Cortile e chiostro longobardo
A destra della chiesa si trova un grande cortile con una fontana al centro, dal quale si vede l'alta parete corsa da lesene del coro quadrato appartenente alla chiesa carolingia: in essa si apre una porta che conduce al Chiostro longobardo, detto anche Chiostrino, che conserva elementi romanici (bifore ed un capitello).
Chiostro grande e cripta carolingia
Nel chiostro grande del XVII secolo sono raccolti epigrafi romane e frammenti architettonici appartenenti alle varie fasi di costruzione dell'abbazia.
Dal lato sinistro del Chiostro grande si accede alla cripta, a pianta semilunare, appartenente al periodo carolingio, è situata sotto il transetto della chiesa attuale, e venuta in luce durante gli scavi del 1938: in essa è collocato:
- Sarcofago romano con Scene di battaglia fra Greci e Persiani (inizi III secolo d.C.).
Biblioteca ed orto dei monaci
Nel lato di fondo del Chiostro grande si aprono due pregevoli portali gotici a punta di diamante, dei quali quello a sinistra introduce nella biblioteca, ospitata in un vaso ambiente coperto con volta a botte, è dotata di oltre 45.000 volumi, 60 incunaboli, pregevoli codici e cinquecentine.
Il portale a destra immette nell'orto dei monaci.
Villaggio
Al di fuori dell'abbazia, è ubicato un piccolo borgo costituito da case a schiera di uguale altezza, che venne ristrutturato ed ampliato dagli abati commendatari della famiglia Barberini. Queste abitazioni venivano affittate dai monaci ai commercianti che qui convenivano per le due grandi fiere del 25 marzo e dell'8 settembre - in corrispondenza delle festività legate a Maria Vergine alla quale il monastero è dedicato - che richiamavano gente da tutta l'Italia centrale.
Il borgo in grande decadenza, venne restaurato ed in gran parte ricostruito per volontà dell'ultimo proprietario, conte Giuseppe Volpi di Misurata (1877 - 1947), nel corso degli anni Trenta del XX secolo.
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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