Discorsi d'addio
« | In modo più ampio degli altri tre Evangelisti, San Giovanni, nella maniera a lui propria, ci riferisce nel suo Vangelo circa i discorsi d'addio di Gesù, che appaiono quasi come il suo testamento e come sintesi del nucleo essenziale del suo messaggio. » | |
I Discorsi d'addio di Gesù si trovano nei capitoli 13-17 del Vangelo secondo Giovanni; sono preceduti dall'episodio-dialogo della lavanda dei piedi (13,1-17) e dallo svelamento del traditore (13,18-30), e contengono un insegnamento privato[1] di Gesù ai discepoli che egli dà nell'imminenza della sua morte e risurrezione (capitoli 18-21). Gli esegeti vedono un disegno unitario nel blocco dei capitoli 13-21, che, convenzionalmente, chiamano Libro della Gloria.
I discorsi d'addio sviluppano temi specifici dell'evangelista Giovanni, rileggendoli però nella loro più matura espressione[2]. "In questi testi l'evangelista ha raccolto i suoi ricordi, le antiche tradizioni ecclesiali e l'approfondita riflessione in cui lo Spirito di Gesù lo ha guidato nei lunghi anni del ministero apostolico"[3].
Contestualizzazione
A differenza di quanto l'evangelista ha fatto nel Libro dei Segni, dove ha manifestato la tendenza a narrare prima la storia di un segno e a farla poi seguire da un discorso che ne desse l'interpretazione, qui il modello è rovesciato: i discorsi spiegano il significato e le implicazioni della più grande delle azioni di Gesù, e cioè il suo ritorno al Padre nella morte[4].
Ma l'ultimo discorso non è semplicemente un altro dei discorsi che interpretano un segno. La morte e risurrezione di Gesù escono dalla categoria dei segni per penetrare nel regno della gloria: in essi Cristo rende presenti e disponibili agli uomini le realtà celesti significate nei miracoli del ministero.
Messaggio
I discorsi perseguono due scopi fondamentali[5]:
- "interpretare la morte e risurrezione di Gesù come il vero avvenimento escatologico, reinterpretando in tal modo le credenze escatologiche della Chiesa primitiva";
- "descrivere la natura della nuova vita nella quale i discepoli (e tutti i cristiani) sono inseriti con la morte e risurrezione di Cristo".
Descrivendo la partenza di Cristo e la reazione dei discepoli, i discorsi fanno comprendere la situazione dei credenti nel mondo, situazione che sarà di perenne persecuzione; essi poi vogliono trasmettere l'idea che la partenza di Gesù è in realtà un ritorno: non è assenza ma presenza: la morte di Gesù non è solamente un passaggio alla gloria, è piuttosto l'irruzione della gloria nel mondo[6].
Solo all'interno di questa prospettiva, e non come elementi a sé stanti, vanno letti i motivi ricorrenti dei discorsi: il comandamento dell'amore (13,34-35; 15,12-16,4), la consolazione per la partenza di Gesù (14,1-31; 16,5-33), l'unione di Gesù con i credenti (15,1-11; 17)[7], il dono del Paraclito (14,16.17.26; 15,26; 16,7.13).
Destinatari
Il Gesù che parla nei discorsi trascende il tempo e lo spazio: è un Gesù già in cammino verso il Padre, e la sua preoccupazione è di non abbandonare quelli che credono in lui ma devono rimanere nel mondo (14,18; 17,11)[8].
I discorsi d'addio non riguardano soltanto le persone presenti nel Cenacolo e il tempo che va dall'Ultima Cena alla Crocifissione di Gesù[9]:
- riguardano tutti i discepoli del dopo, e non solo coloro che continuano la linea apostolica, ma tutta la comunità cristiana;
- riguardano tutto il tempo che separa la Risurrezione di Gesù dalla parusia.
Anche se parla nell'Ultima Cena, Gesù parla dal Cielo.
Genere letterario
Il genere letterario dei discorsi può essere determinato come quello del Testamento[10].
Anzitutto si riscontra nei discorsi un'atmosfera esoterica: le parole pronunciate da Gesù sono rivolte ad iniziati, a persone che sono "intime" al Maestro, e certamente non al mondo[11]. Tale carattere ha il pregio di rendere consapevoli i credenti del loro privilegio, e ha anche il merito di sottolineare il fatto che l'insegnamento che danno si pone nel cuore del mistero cristiano, che solo i credenti sanno comprendere.
È importante poi la parentela con i discorsi della letteratura biblica e giudaica che si fanno rientrare nel genere del Testamento. Tale genere è presente nell'Antico Testamento: Gen 47,29-50,14 ; Gs 23-24; 32 ; 1Sam 12 , e anche l'intero libro del Deuteronomio. Ma esso si fa più frequente negli scritti biblici più tardivi: Tb 14,3-11 ; 1Mac 2,49-70 ; 2Mac 7,1-42 ; fuori dal canone biblico lo troviamo nel quarto libro di Esdra (14,18ss.), e il Testamento di Dodici Patriarchi, ispirato a Gen 49-49 , ne è il capolavoro. Le sue caratteristiche fondamentali sono[12]:
- un personaggio che sta per morire riunisce tutta la famiglia o il popolo e dà un insegnamento definitivo;
- gran parte dell'insegnamento consiste nell'esortare all'osservanza delle leggi, mostrando i vantaggi della fedeltà e gli svantaggi della disobbedienza;
- (raramente) il morente racconta la propria vita, dalla quale trae modelli di comportamento;
- (non sempre) vi sono parole che predicono il destino del popolo negli ultimi giorni.
Il genere del Testamento è attestato anche nel Nuovo Testamento: At 20,17-38 , 1Tim 1,12-17 , e, nella loro interezza, la seconda lettera di Pietro e la seconda lettera a Timoteo; vi è anche Lc 22,21-38 , in cui il discorso di commiato si colloca, come nei discorsi d'addio, nel contesto dell'Ultima Cena. Anche in queste occorrenze neotestamentarie vi sono elementi tipici molto simili a quelli riscontrati per l'Antico Testamento:
- Gesù raduna i discepoli attorno a sé prima della sua morte;
- offre loro un insegnamento supremo e definitivo;
- si presenta come colui che ha portato a compimento ciò che i discepoli dovranno a loro volta perseguire;
- predice tristezza, a causa della sua assenza, e persecuzione da parte del mondo, ma anche vittoria e consolazione;
- (in alcuni testi) prevede le eresie, e quindi invita alla vigilanza.
I discorsi d'addio di Gv 13-17 si possono collocare facilmente nel genere descritto.
È stata ipotizzata anche una parentela con i discorsi di iniziazione della letteratura religiosa ellenistica, ma essa non sembra importante[13].
Unità letteraria
L'unità letteraria dei discorsi è molto discussa, poiché il pensiero di Gesù non è sviluppato con ordine; i motivi si intrecciano, e molti temi sono ripresi in modo disarticolato[14].
Vi è una cesura a 14,31: essa sembra concludere le parole di Gesù, ma subito dopo inizia un discorso più lungo, che in parte ripete e amplifica il precedente.
A livello letterario si riconosce l'utilizzo del caratteristico procedimento a spirale, e il ricorso a accorgimenti stilistici tipici del quarto evangelista.
Non sembra comunque opportuno smembrare il testo attuale a favore di ricostruzioni che rimarrebbero nel campo dell'assolutamente ipotetico.
Note | |
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Bibliografia | |
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