Peccato

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Michelangelo Buonarroti, Peccato originale e cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre (1508 - 1509), affresco; Città del Vaticano, Cappella Sistina: il racconto di Gen 3 presenta il peccato originale come archetipo di ogni peccato
« Nella storia dell'uomo è presente il peccato: sarebbe vano cercare di ignorarlo o di dare altri nomi a questa oscura realtà. Per tentare di comprendere che cosa sia il peccato, si deve innanzi tutto riconoscere il profondo legame dell'uomo con Dio, perché, al di fuori di questo rapporto, il male del peccato non può venire smascherato nella sua vera identità di rifiuto e di opposizione a Dio, mentre continua a gravare sulla vita dell'uomo e sulla storia. »

Il peccato è la trasgressione intenzionale della volontà di Dio: in quanto tale, presuppone la conoscenza e la libera decisione[1]. È una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all'amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Il peccato ferisce la natura dell'uomo e attenta alla solidarietà umana[2]. "Peccato", in quanto "mancanza", indica il mancato raggiungimento del fine a cui si è chiamati come esseri umani.

Nell'Antico Testamento

L'Antico Testamento usa molti termini per indicare il peccato, anche se spesso non distingue tra la trasgressione intenzionale della norma e lo sbaglio involontario; ugualmente, non distingue tra peccato e castigo o conseguenza (per esempio per il popolo o per i discendenti).

Inoltre il peccato è visto nel contesto della storia d'Israele, e quindi sempre in una luce teologica, anche quando ha per oggetto il prossimo o le cose:

Nell'Ebraismo prende piede il convincimento che tutti gli uomini peccano, o a motivo di un istinto cattivo, che è in azione fin dalla nascita, o a motivo di potenze demoniache che dominano il mondo[3].

Nel Nuovo Testamento

Il Nuovo Testamento si apre con l'annuncio della nascita di Colui che "salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,21 ).

Gesù riprende la concezione dell'Antico Testamento per cui tutti gli uomini sono peccatori[4]: essi devono convertirsi alla volontà di Dio. Il peccato ha il suo culmine nella superbia che non ritiene di aver bisogno di convertirsi (Mt 23,28 ): legato a ciò vi è l'insegnamento sul peccato contro lo Spirito Santo (Mt 12,22-32 ).

Paolo e Giovanni elaborano una riflessione sul peccato: a loro giudizio esso ha un aspetto di fatalità, sia come potenza del peccato presente nell'uomo (Paolo), sia come come peccato del mondo (Giovanni); al tempo stesso però è un atto della volontà libera. Nessuno può venirne fuori senza la misericordia e l'aiuto di Dio.

Il Nuovo Testamento fornisce parecchi elenchi di peccati (Rm 1,28-32 ; 1Cor 6,9-10 ; Ef 5,3-5 ; Col 3,5-9 ; 1Tim 1,9-10 ; 2Tim 3,2-5 ). La lettera ai Gàlati contrappone le opere della carne al frutto dello Spirito:

« Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio»

Nella storia della teologia

Il peccato è, nella storia della teologia, strettamente collegato all'interpretazione della grazia e della redenzione operata da Cristo.

I Padri greci guardano il peccato alla luce del piano e dell'opera della salvezza: il peccato è una malattia della volontà di fronte all'azione salvifica di Dio. Per essi solo la pervicace mancanza di fede è mortale, perché si chiude definitivamente all'azione misericordiosa di Dio.

I Padri latini invece cercano di comprendere il peccato con concetti giuridici: il peccato è allora un'ingiustizia contro Dio, ingiustizia che distrugge il rapporto salvifico con lui. Questo può essere ripristinato solo da Dio stesso. Ogni mancanza volontaria grave contro i comandamenti di Dio ha come conseguenza automatica la morte e la dannazione.

La Scolastica elaborò in questa visuale la distinzione tra peccato grave e peccato veniale, cioè tra il peccato che separa da Dio e quello che si limita a mettere in pericolo o a indebolire il rapporto con lui.

Caratteristica della teologia occidentale è la concentrazione sul rapporto individuale del singolo con Dio e sul grado della colpa.

Nel XVI secolo i riformatori elaborarono una dottrina del peccato ancora più individualista di quella cattolica: per essi ogni uomo è in maniera pura e semplice il responsabile del peccato davanti a Dio. Contro il pensiero riformato il Concilio di Trento ribadì la visuale classica occidentale[5].

I peccati nel Catechismo di Pio X
Il Catechismo di Pio X (o Catechismo Maggiore) elenca i sei peccati contro lo Spirito Santo: disperazione della salvezza, presunzione di salvarsi senza merito, impugnare la verità conosciuta, invidia della grazia altrui, ostinazione nei peccati, impenitenza finale.

Lo stesso Catechismo parla anche dei quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio: omicidio volontario, peccato impuro contro natura, oppressione dei poveri, defraudare la giusta mercede a chi lavora.

Ancora, è significativa la lista dei sette vizi capitali: superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia, accidia.

Il Concilio Vaticano II ha sottolineato in maniera particolare la dimensione sociale del peccato in Sacrosanctum Concilium 109[6], Lumen Gentium 11, Gaudium et Spes 25.

Approfondimento

La distinzione classica è tra peccato mortale (o grave) e veniale:

  • il peccato mortale è detto tale perché interrompe la vita di Grazia e di amicizia con Dio. La teologia morale indica tre condizioni che devono sussistere perché un peccato possa essere mortale; esse sono la materia grave, la piena avvertenza e il deliberato consenso[7].
  • si dice invece veniale quel peccato che non interrompe, ma si limita a indebolire la vita di grazia e l'amicizia con Dio.

L'esperienza odierna del fatto che il male morale diventa minaccioso attraverso la concatenazione psico-sociale porta la Chiesa a parlare oggi di struttura di peccato[8]: esse sono l'espressione e l'effetto dei peccati personali. Inducono le loro vittime a commettere, a loro volta, il male. In un senso analogico esse costituiscono un peccato sociale[9].

Note
  1. Cf. Georg Langemeyer (1990) 484.
  2. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1849.
  3. La presenza di elementi demoniaci è significativa soprattutto nell'apocalittica.
  4. Cfr. anche 1Gv 1,8-9 : "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa".
  5. Decretum de Iustificatione, sessione VI, 13 gennaio 1547, DS 1544; Doctrina de Sacramento Paenitentiae, sessione XIV, 25 novembre 1551, DS 1680-1682.
  6. "La penitenza quaresimale non sia soltanto interna e individuale, ma anche esterna e "sociale".
  7. Reconciliatio et Paenitentia, 17.
  8. Cfr. Sollicitudo Rei Socialis, 36.
  9. Reconciliatio et Paenitentia, 16.
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni