Pericope del giovane ricco
Pericope del giovane ricco | |
Heinrich Hofmann, Gesù Cristo e il giovane ricco (1889), olio su tela; New York (USA), Riverside Church | |
Passi biblici | |
Insegnamento - Messaggio teologico | |
Distacco dalla ricchezza, necessario per esprimere la piena adesione al Vangelo. | |
La pericope evangelica del giovane ricco è presente in tutti e tre i Vangeli sinottici: Mt 19,16-22 ; Mc 10,17-22 ; Lc 18,18-23 .
L'episodio riporta la domanda di un (giovane) uomo a Gesù su cosa deve fare per ottenere la vita eterna; alla prima risposta del maestro, che indica i comandamenti, il giovane assicura di averli osservati fin dalla giovinezza; allora Gesù lo invita a vendere tutto ciò che ha per darlo ai poveri, e a seguirlo. Il giovane, che era ricco, se ne va triste.
Contesto
Contesto giudaico
L'atteggiamento di Gesù dovette rappresentare qualcosa di nuovo, e probabilmente di paradossale, nell'ambiente giudaico, dove l'abbondanza di beni era considerata un segno della benedizione di Dio.
Contesto evangelico
I racconti di Matteo e Marco sono situati all'interno del viaggio che Gesù compie dalla Galilea a Gerusalemme. All'inizio del capitolo (Mt 19 ; Mc 10 ) gli evangelisti scrivono che molte folle lo seguirono. Poco dopo la pericope del giovane ricco, è Pietro stesso a rilevare come lui e gli altri discepoli hanno lasciato tutto per seguire Gesù (Mt 19,27 ; Mc 10,28 ). Infine, all'uscita da Gerico, ossia sull'ultimo tratto del percorso che conduce a Gerusalemme, sono i due ciechi guariti da Gesù a porsi al suo seguito (Mt 20,29-34 ; Mc 10,46-52 ). Tutto il viaggio verso la città santa (Mt 19-20 ) costituisce dunque un esempio e una metafora della sequela che Gesù chiede.
Lungo il percorso l'evangelista presenta una serie di incontri che illustrano alcuni aspetti della sequela.
- Alla domanda dei farisei sulla liceità del ripudio, Gesù risponde con una breve catechesi sull'indissolubilità del matrimonio (Mt 19,3-9 ; Mc 10,2-11 ), a cui segue (solo in Matteo) l'insegnamento sugli eunuchi per il Regno (Mt 19,10-12 ): entrambe le vocazioni sembrano impraticabili nella loro radicalità; entrambe possono essere capite soltanto da colui al quale Dio lo concede[1]. In realtà, soltanto la venuta di Gesù, che inaugura i tempi messianici, giustifica tale radicalità.
- Nell'episodio di Gesù con i bambini (Mt 19,13-15 ; Mc 10,13-16 ) il lettore scopre che il Regno di Dio è di quelli che sono simili a questi ultimi[2]. Chi vive il matrimonio nel regime messianico dell'indissolubilità, così come chi si è fatto eunuco per il regno, partecipa della beatitudine dei bambini, che è una beatitudine di mitezza, di misericordia, di purezza di cuore e di pace.
Alla pericope del giovane ricco segue l'insegnamento diretto sulla difficoltà del Regno per chi possiede molti beni (Mt 19,23-30 ; Mc 10,23-31 ).
In Luca la collocazione è leggermente diversa: l'evangelista pone la pericope dopo la benedizione dei bambini (18,15-17), come negli altri sinottici, e la fa seguire dallo stesso insegnamento sulla difficoltà del Regno per i ricchi (18,24-30); anche in Luca, poi, poco più avanti, il cieco di Gerico guarito inizia a seguire Gesù (18,35-43). Il terzo evangelista omette però dal contesto la questione del ripudio.
Contesto cristiano
La problematica della proprietà e della ricchezza era molto importante per la comunità cristiana delle origini; c'è chi suppone che i tre racconti del giovane ricco, del pericolo delle ricchezze e della ricompensa per la rinuncia fossero in origine brani distinti, accostati in fase redazionale[3]. La tematica della ricchezza sarebbe stata successivamente ampliata e unificata con quella della sequela.
Esegesi
L'esegesi della pericope parte dall'analisi del racconto di Marco, in quanto l'esegesi moderna considera tale Vangelo letterariamente anteriore agli altri.
Marco
- v. 17. Mentre Gesù riprende il suo viaggio messianico verso Gerusalemme, il ricco corre da lui; la descrizione mostra una certa teatralità, forse un'intenzione adulatrice, ma anche stima verso Gesù, chiamato "Maestro buono"[4]. Il ricco mostra un sincero desiderio, che era comune tra le persone pie, di raggiungere la salvezza eterna. L'espressione "ereditare la vita eterna" esprime la speranza escatologica della salvezza, attribuita alla bontà di Dio, che la concede come un'eredità, cioè come dono gratuito del suo amore. Il ricco si inginocchia (cfr. 1,40), il che rivela il grande rispetto per Gesù[5].
- v. 18. Gesù rifiuta di essere chiamato "buono", forse per respingere l'intenzione adulatrice, ma soprattutto per suggerire che la bontà va riferita unicamente a Dio, sorgente di ogni bene. Si nota la centralità del Padre nel pensiero di Gesù: la sua esistenza è per il Padre, per manifestare il suo amore, per portare ogni uomo a lodarlo con riconoscenza. L'espressione "Dio solo" è un riferimento allo Shemà, cioè al comandamento principale degli israeliti (Dt 6,4 . "La Chiesa, pur professando la fede nella filiazione divina di Gesù, non ha avuto difficoltà a conservare questa affermazione del Maestro, che si era fatto solidale con il mondo peccatore per redimerlo e convertirlo a Dio"[6].
- v. 19. Gesù cita i comandamenti in un ordine diverso da quello canonico che si trova in Es 20,2-17 e Dt 5,6-21 ; i comandamenti che cita appartengono alla seconda tavola, cioè ai precetti riguardanti il prossimo. Probabilmente Gesù non cita i comandamenti riguardanti Dio per sottolineare che l'amore di Dio si realizza concretamente nell'amore verso il prossimo. "Non frodare" si riferisce probabilmente all'ottavo e nono comandamento (Dt 5,19-20 , che in origine avevano lo scopo di tutelare i beni degli altri, in modo particolare la mercede del salariato (cfr. Dt 24,14 ).
- v. 20. La menzione della passata "giovinezza" e il fatto che si tratta di un ricco possidente (v. 22) suggeriscono che non si trattasse propriamente di un "giovane" (come invece afferma Mt 19,20 ). Il ricco avverte nel suo animo una certa inquietudine, che lo rende insoddisfatto; ciò contrasta con l'opinione comune del tempo, secondo la quale bastava osservare i comandamenti per essere sicuri della salvezza, che YHWH doveva concedere per giustizia.
- v. 21. È questo il versetto centrale della pericope. Gesù guarda con simpatia l'uomo retto e pio che lo ha interrogato: l'evangelista esprime ciò con le forme verbali "fissando lo sguardo" (emblépsas, che è quasi un "guardare dentro") e "lo amò" (egápesen; può significare anche "lo baciò"); sono particolari tipici di Marco, che sottolinea i sentimenti umani di Gesù. La richiesta formulata poi da Gesù, "va', vendi quello che hai, e dallo ai poveri... Vieni, seguimi" è sorprendente, anche se in Israele si trovano esempi analoghi nella conversione di qualche persona. Quello che è nuovo è la motivazione: si tratta di seguire il Cristo povero in piena adesione di fede[7] (cfr. Mc 10,29 ). Per il ricco non era sufficiente l'osservanza dei comandamenti: Dio gli esigeva la donazione totale del cuore. Per questo Gesù invita il suo interlocutore a riporre la propria sicurezza soltanto in Dio. Non basta evitare il male, come comanda il decalogo, bisogna fare il bene; l'elemosina rappresenta un tesoro riposto nel cielo (cfr. Lc 12,33-34 ).
- v. 22. Il ricco non ha il coraggio di abbandonare le sue cose per seguire Gesù. L'attaccamento ai beni ("molti possedimenti") gli impedisce di aderire alla chiamata di Gesù. Il rifiuto non è però indolore: "se ne andò rattristato"; le ricchezze non gli procurano la felicità in questo mondo.
Matteo
Il racconto di Matteo dipende da quello di Marco, ma Matteo vi apporta delle modifiche per dare maggior risalto al suo punto di vista riguardo al discepolato.
Matteo poi specifica l'età dell'interlocutore di Gesù; nei vv. 20.22 specifica che si tratta di un "giovane", ha cioè l'età più adatta per fare delle scelte di vita. Matteo lo presenta senz'altro come un giovane serio, che osservava i comandamenti.
- v. 16-17. Matteo appunto corregge la domanda: il ricco non si rivolge a Gesù chiamandolo "Maestro buono", ma gli dice: "Maestro, cosa devo fare di buono"; e anche la controdomanda di Gesù non ha più come oggetto la sua bontà, ma la bontà dell'operato. Matteo elimina così la difficoltà dottrinale della limitazione alla bontà di Gesù, che in quanto Figlio di Dio è buono in senso assoluto, come il Padre: "Uno solo è il buono". Lo spostamento dell'attenzione dal bene da fare a Colui che è buono intende inculcare che nella vita eterna non si entra compiendo qualcosa, ma entrando in relazione di amore e di conoscenza con Colui che è buono (cfr. Gv 17,3 )[8]. Osservare i comandamenti a prescindere da Colui che è buono, sarebbe come ridurre la vita di fede a un manuale di istruzioni; una prospettiva evidentemente erronea, che Cristo corregge immediatamente: "Uno solo è buono". In questo modo le labbra di Cristo ripropongono la Legge di Mosè, ma con un accento marcato soprattutto sul primato di Colui che è buono, al di sopra di ogni altra cosa che possa considerarsi buona. Nulla può essere buono in assenza di Colui che è buono.
- v. 17. Matteo è l'unico che riporta le parole "Se vuoi entrare nella vita" prima di ricordare al giovane l'osservanza dei comandamenti: essi sono in effetti la strada della vita; il linguaggio rieccheggia le esortazioni del Deuteronomio sulle due vie[9];
- v. 21. Matteo omette lo sguardo affettuoso di Gesù al giovane. La protasi "Se vuoi essere perfetto" è propria di Matteo, ed è proprio suo anche il termine perfetto (téleios): l'evangelista lo utilizza anche nel Discorso della Montagna, alla conclusione delle sei antitesi: "Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste" (5,48); la fedeltà al Vangelo richiede al discepolo la pratica di una "giustizia superiore", necessaria per entrare nel Regno dei Cieli (5,20), e che consiste nell'imitazione dell'attività misericordiosa del Padre.
Luca
Anche il racconto di Luca dipende da quello di Marco, ma Luca lo salda più strettamente con l'insegnamento che ne segue, unificando l'intera sezione dei vv. 18-30. In Luca, infatti, il ricco non si allontana subito dopo l'invito a vendere i beni e a dare il ricavato ai poveri (v. 23), ma è supposto presente alle esplicitazioni seguenti di Gesù.
È una costante di Luca l'insistenza sulla pericolosità della ricchezza per entrare nel Regno dei Cieli (8,14;18,24-25) e il conseguente invito a non accumularne (12,13-21;16,1-31); Dio poi emette un giudizio severo sui ricchi (1,53;6,24;16,19-31).
Luca apporta al testo di Marco alcuni miglioramenti stilistici. Omette ogni dettaglio di carattere emozionale, come l'amore di Gesù per il ricco, e sfuma il fallimento della chiamata (v. 23). Il racconto di Luca ha un andamento più sapienziale che negli altri evangelisti, e ciò rende l'insegnamento di Gesù più applicabile a tutti i credenti.
Come già in Matteo, poi, neppure in Luca il ricco è giovane, ma, anzi, è un capo (v. 18), cioè un ricco esponente del giudaismo. Luca omette ogni manifestazione di ossequio da parte sua; la sua domanda, con il maggior accento sul fare, riflette, più che negli altri evangelisti, la mentalità meritocratica comune tra i giudei: pensa che per avere la vita eterna siano necessarie delle prestazioni.
Insegnamento generale
La pericope inculca il distacco dalla ricchezza, soprattutto ai ricchi pagani che si univano alla comunità, come una scelta radicale, traumatica forse, ma necessaria, per esprimere la piena adesione al Vangelo; la vita del discepolo è basata infatti sul possesso del Regno, cioè sull'amore di Dio, unica sicurezza per l'uomo indigente e per il ricco.
La rinuncia ai beni: precetto o consiglio?
Gli esegeti discutono se con la richiesta al ricco Gesù intendeva formulare un precetto, diretto a tutti i suoi discepoli, o solo un consiglio, rivolto a qualcuno, come sembra suggerire l'aggiunta di Matteo "Se vuoi essere perfetto" (19,21).
Angelico Poppi[10] ritiene, con la maggioranza degli esegeti, che la distinzione tra "precetti" e "consigli" sia estranea al Vangelo. La chiamata divina rappresenta un appello per ogni uomo e avviene in molte maniere; per salvarsi, ognuno deve corrispondere alla propria vocazione con il massimo impegno e senza indugio, rinunziando a tutte le cose terrene, e anche alla propria vita, se necessario. Non si può servire a Dio e a Mammona (Mt 6,24 ).
L'invito rivolto da Gesù al ricco è la forma concreta nella quale si è manifestata per lui la chiamata divina, ed esigeva da lui una spogliazione totale.
Non a tutti è richiesta la rinuncia alla proprietà, e neppure di seguire Gesù nell'apostolato itinerante; ma tutti devono corrispondere alla chiamata divina, nella forma in cui a ognuno si manifesta.
Nel magistero
Giovanni Paolo II ha scritto la sua lettera apostolica Dilecti amici come un grande commento a tale pericope. La lettera fu scritta in occasione della Prima Giornata Mondiale della Gioventù del 1985.
In essa la condizione giovanile è vista come la prima grande ricchezza che il Papa invita a mettere al servizio di Cristo.
Nella liturgia del Rito Romano
La liturgia del Rito Romano privilegia la pericope di Marco, che viene letta nella liturgia feriale e festiva:
- Lunedì dell'VIII settimana del Tempo Ordinario (Mc 10,17-27 )
- XXVIII Domenica del Tempo Ordinario, Anno B (Mc 10,17-30 )
La pericope di Matteo viene invece letta solo nella liturgia feriale, il Lunedì della XX settimana del Tempo Ordinario (Mt 19,16-22 )
Nella liturgia del Rito Ambrosiano
La liturgia del Rito Ambrosiano pone le tre versioni della pericope nei giorni feriali di tre tempi differenti:
- dal Vangelo secondo Matteo il lunedì delle IV settimana di Avvento (anno I e II);
- dal Vangelo secondo Marco il martedì nella settimana della I domenica dopo la dedicazione (anno I e II);
- dal Vangelo secondo Luca il giovedì nella settimana della III domenica dopo il Martirio di San Giovanni il precursore (anno I e II).
Note | ||||
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Bibliografia | ||||
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Voci correlate | ||||
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