Simbolo Apostolico
Il testo attuale del Simbolo Apostolico | ||||||||||||||||||
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Il testo in lingua greca | ||||||||||||||||||
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Il Simbolo degli Apostoli o Simbolo Apostolico (in latino Symbolum apostolorum) è una dei più antichi e venerandi Simboli di fede:
« | Il Simbolo degli Apostoli [è] così chiamato perché a buon diritto è ritenuto il riassunto fedele della fede degli Apostoli. È l'antico Simbolo battesimale della Chiesa di Roma. La sua grande autorità gli deriva da questo fatto. » (Catechismo della Chiesa Cattolica, 194) |
È tuttora usato nella liturgia domenicale come alternativa al Simbolo niceno-costantinopolitano per la professione di fede; in forma di domande e risposte viene usato poi nel Rito del Battesimo e nella rinnovazione della promesse battesimali della Veglia Pasquale.
Storia
Le origini
Si è arrivati al Simbolo Apostolico come noi lo conosciamo oggi attraverso un processo di crescita determinato dalle esigenze interne delle comunità cristiane. Un ruolo importante l'hanno avuto le esigenze liturgiche[2].
Fin dai tempi apostolici, infatti, per l'ammissione al Battesimo si richiedeva una esplicita professione di fede; di qui la necessità di riassumere per i fedeli le principali verità cristiane in una formula breve, precisa e di facile comprensione; tale formula aveva anche il compito di aiutare a discernere la verità cristiana dall'eresia. Tra le formule che contenevano le verità più importanti della Redenzione è significativa quella che si trova in 1Cor 15,34 .
Confessioni simili di carattere cristologico si incontrano più tardi, verso la fine del I secolo, in Sant'Ignazio di Antiochia[3]. Accanto alle formule cristologiche si trovano anche formule di carattere trinitario, il cui sorgere fu determinato dal comando battesimale di Gesù (Mt 18,19 ).
Una tipica professione di fede di tipo trinitario, ma alquanto ampliata, in cinque articoli, si trova nella apocrifa Epistula Apostolorum, la cui origine si fa risalire agli anni 160-170 in Asia Minore[4]:
(LA) | (IT) | ||||
« | (Credo) in Patrem omnipotentem[5]; et in Jesum Christum, [Salvatorem nostrum][6], in Spiritum Sanctum [Paraclitum]; in Sanctam Eeclesiam, et in remissionem peccatorum. » | « | (Credo) nel Padre onnipotente; e in Gesù Cristo, nostro Salvatore, e nello Spirito Santo Paraclito; nella santa Chiesa, e nel perdono dei peccati. » | ||
(DS, 1 )
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Analoghe formule si trovano in Sant'Ireneo[7] e nella liturgia del papiro Der Balyzech.
Forse fin dalla metà del II secolo si sentì il bisogno di aggiungere a tali formule molto essenziali nuovi elementi di carattere cristologico. A questo riguardo ebbe importanza il fatto che l'azione di grazie della liturgia eucaristica (Prefazio) comprendeva fin dalle origini una diffusa confessione di Cristo[8].
Sì giunse così in Roma alla redazione di un tipo di Simbolo che conteneva il comma ampliato nei riguardi di Cristo, e quindi in certo modo alterava l'equilibrio simmetrico del Simbolo primitivo di carattere trinitario. Questa formula, che poi si cristallizzò nella forma che comprendeva circa 12 articoli, è conosciuta verso la fine del IV secolo sotto la denominazione precisa di Simbolo degli Apostoli o Simbolo Apostolico. Tale qualifica, attribuita alla professione di fede battesimale della Chiesa romana, si incontra per la prima volta nella Lettera, certamente redatta da Sant'Ambrogio, inviata dal Sinodo Milanese del 393 a Papa Siricio[9].
Il Simbolo Apostolico primitivo
Il Simbolo Apostolico nel suo testo integro primitivo è attestato per la prima volta in greco da Marcello d'Ancira in una lettera scritta verso il 340 a papa Giulio I, e in latino in San Niceta di Remesiana e in Rufino di Aquileia, entrambi verso il 400[10].
L'antica formula del Simbolo Apostolico fu la base di tutti gli altri Simboli battesimali dell'Occidente: data la posizione privilegiata goduta dalla Chiesa di Roma nei confronti dell'Occidente, la sua confessione battesimale riuscì ad affermarsi rapidamente in tutto il mondo di lingua latina.
In Oriente il Simbolo romano rimase sconosciuto. Anzi, l'Oriente non poté mai impostare un Simbolo unitario, poiché nessuna Chiesa vi giunse mai ad assumere una posizione nemmeno lontanamente paragonabile a quella della sede romana in Occidente. In Oriente è sempre rimasta una pluralità di Simboli, che ovviamente differiscono considerevolmente dal Simbolo romano anche nella struttura teologica[11].
La questione dell'origine apostolica
A Rufino si deve la prima affermazione di un'origine strettamente apostolica del Simbolo romano con tutti i suoi articoli[12]. Gli Apostoli, narra Rufino, prima di separarsi per predicare il Vangelo, avrebbero di comune accordo compilato questo riassunto della loro futura predicazione, che chiamarono Simbolo e che stabilirono quale regola di verità da insegnare ai nuovi credenti. Rufino dice di aver appresi questi particolari dagli "antenati" (tradunt maiores nostri, "insegnano i nostri antenati"), ed il suo racconto ebbe fortuna in Occidente durante tutto il medioevo; e poiché gli articoli erano dodici, nel VI secolo si pretese che ciascuno di questi fosse da attribuire a uno degli Apostoli[13]. Fu grande perciò la sorpresa dei Padri latini nel Concilio di Ferrara del 1438, quando, avendo essi invocato contro i Greci l'autorità del Simbolo Apostolico, si sentirono rispondere da Marco Eugenico, arcivescovo di Efeso, che la Chiesa greca non aveva mai conosciuto un Simbolo degli Apostoli. La tradizione rufiniana è quindi sicuramente di carattere leggendario[14], come per primo affermò Lorenzo Valla († 1457).
Però se il Simbolo Apostolico non è opera strettamente apostolica, rimonta tuttavia ad un'epoca molto antica:
- si trova quasi per intero in Tertulliano[15];
- se ne hanno sicuri elementi in Sant'Ippolito[16], in Sant'Ireneo[17], in San Giustino[18], e forse anche Sant'Ignazio di Antiochia[19].
È quindi sommamente probabile la sentenza del Batiffol[20] e del Burn[21] che ne fissano la data intorno agli anni 100-120.
Il Vacant[22] fa risalire agli Apostoli, e precisamente ai fondatori della Chiesa di Roma, come istituzione battesimale, almeno la parte essenziale del nostro Simbolo, e cioè la professione di fede esplicita nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Gli altri elementi secondari proverrebbero da aggiunte posteriori che ne hanno completato i diversi articoli.
Altri critici cattolici più recenti considerano il Simbolo romano come il risultato della fusione di due formule, entrambe di origine apostolica: una formula trinitaria e una formula cristologica; il Simbolo risultante è il riassunto dei tratti essenziali della catechesi primitiva sui due grandi misteri del cristianesimo. Le due formule, utilizzate dapprima separatamente, sarebbero state riunite, nel quadro della formula trinitaria, agli inizi del III secolo, allo scopo di combattere più efficacemente il monarchianismo nascente[23].
Il testo attuale
Il testo attuale differisce sensibilmente da quello di Rufino d'Aquileia: quello di Rufino, infatti, è composto di dodici articoli invece di quattordici, e manca di vari incisi[24].
La più antica attestazione della formula attuale si trova nella Expositio vel traditio Symboli ("Esposizione o tradizione del Simbolo") contenuta nel Missale gallicanum vetus: poiché in tale Expositio si manifesta in modo evidente la mano di San Cesareo di Arles († 543), ciò significa che tale testo era già in uso nella Gallia meridionale per quest'epoca.
Non si sa bene per opera di chi e in quali circostanze siano confluite nel testo attuale le varianti sopra riferite, le quali prima del VI secolo si trovano già sparse or in uno, or in un altro dei Simboli in uso presso alcune grandi Chiese. Non si sa nulla neppure sul luogo dove questa elaborazione sia stata compiuta. Il Vacandard[25] pensa nella Gallia, l'Hahn[26] in una Chiesa dell'alta Italia, il Burn[27] nella Chiesa di Roma o forse in un monastero influente come quello di Bobbio; tutti però sono d'accordo nell'affermare che la diffusione del testo attuale nell'Occidente, qualunque ne sia la provenienza, poté avvenire solo per il prestigio della Chiesa romana.
Carlo Magno fece riconoscere in tutto il suo impero una forma testuale che, basata sul vetusto testo romano, aveva ricevuto la sua configurazione definitiva nelle Gallie; tale testo unitario venne accolto nel IX secolo anche a Roma.
Contenuto
Il Simbolo Apostolico esprime un riassunto della fede cattolica, articolandosi in maniera trinitaria.
Esso ha un'accentata impronta storico-salvifica e cristologica[11]: si ferma insistentemente sul nucleo centrale positivo della storia cristiana; si limita ad accennare al fatto che Dio si è fatto uomo per la nostra salvezza, e non tenta nemmeno di scavare dietro questa storia, per appurarne le basi portanti e la connessione con l'intero complesso dell'essere[28].
Le verità di fede professate nel Simbolo Apostolico sono le seguenti:
- c'è un Dio che è Padre, qualificato come onnipotente; egli ha creato tutto ciò che esiste, espresso nella coppia di opposti cielo-terra;
- Dio ha un Figlio, l'unico suo Figlio, riconosciuto come suo Signore dalla Chiesa;
- vengono espressi i dati fondamentali della sua parabola storica:
- fu concepito verginalmente e nacque da Maria;
- subì la passione sotto il procuratore romano Ponzio Pilato e crocifisso;
- morì e fu sepolto;
- viene espresso il dato teologico della discesa agli inferi;
- il Figlio di Dio risuscitò al terzo giorno e salì al cielo, dove si assise alla destra di Dio Padre;
- verrà per il giudizio universale (vivi e morti);
- vengono espressi i dati fondamentali della sua parabola storica:
- viene creduto lo Spirito Santo: l'articolo suppone che sia Dio anch'Egli;
- seguono i punti principali legati alla Chiesa, frutto del dono dello Spirito:
- la sua connotazione di Cattolica;
- la comunione dei santi che si vive in essa: può significare sia la comunione-unione tra i credenti, sia la Comunione eucaristica alle "cose sante";
- il perdono dei peccati, che si ottiene in primo luogo nel Battesimo;
- la risurrezione della carne, cioè la risurrezione finale;
- la vita che non ha fine in Cielo.
Autorità
Il Simbolo Apostolico ritenne sempre nella liturgia battesimale il posto d'onore che vi ebbe fin dai primi secoli[29]. Inoltre, la conoscenza del medesimo si ritenne sempre come un elemento fondamentale della vita cristiana: i sinodi medievali raccomandavano ai sacerdoti di insegnarlo e commentarlo ai fedeli e di farlo loro recitare ad alta voce nelle chiese parrocchiali[30].
Il Concilio di Nicea (325) riprese e fece piccole aggiunte al Simbolo Apostolico, in ragione del dogma, da esso definito contro Ario, dell'identità di sostanza del Figlio col Padre: nel secondo articolo aggiunse: "generato dal Padre [..] cioè dalla sostanza del Padre [..] Dio vero da Dio vero, generato non fatto, consustanziale (ὁμοούσις, homooúsis) col Padre[31]. Tale testo fu poi ulteriormente arricchito nel I Concilio di Costantinopolitano, che promulgò quello che è conosciuto come Simbolo niceno-costantinopolitano.
Il Simbolo Apostolico fu considerato di particolare efficacia contro le tentazioni diaboliche[32]; il Rituale Romano ne prescrive la recita durante gli esorcismi.
Ben presto fu introdotto nell'Ufficio divino: lo si trova in tutti i salteri dei secoli VIII e IX[33].
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, così come il relativo Compendio lo ha preso come base per l'esposizione della sezione dedicata ai contenuti della fede:
« | La prima parte, intitolata "La professione della fede", contiene un'opportuna sintesi della lex credendi, e cioè della fede professata dalla Chiesa Cattolica, ricavata dal Simbolo Apostolico illustrato con il Simbolo Niceno-Costantinopolitano, la cui costante proclamazione nelle assemblee cristiane mantiene viva la memoria delle principali verità della fede. » | |
(Joseph Ratzinger, Introduzione al Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 3, online)
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Rilevanza ecumenica
A partire dal XVI secolo il Simbolo Apostolico trovò il favore delle comunità ecclesiali riformate, ed è tuttora in uso nel loro culto, spesso in alternativa al Simbolo niceno-costantinopolitano; ciò avviene, tra le altre, nelle comunità luterane, calviniste, anglicane, presbiteriane, valdesi[34].
Note | |
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Fonti | |
Bibliografia | |
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Collegamenti esterni | |
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