Monastero della Santa Croce di Fonte Avellana (Serra Sant'Abbondio)
Monastero della Santa Croce di Fonte Avellana | |
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Monastero della Santa Croce di Fonte Avellana | |
Stato | Italia |
Regione | Marche |
Provincia | Pesaro e Urbino |
Comune | Serra Sant'Abbondio |
Località | Fonte Avellana |
Diocesi | Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola |
Religione | Cattolica |
Indirizzo | Loc. Fonte Avellana 61040 Serra Sant'Abbondio (PU) |
Telefono | +39 0721 730261 |
Fax | +39 0721 730261 |
Posta elettronica | info@fonteavellana.it |
Sito web | |
Proprietà | Congregazione Camaldolese dell'Ordine di San Benedetto |
Oggetto tipo | Monastero |
Oggetto qualificazione | camaldolese |
Dedicazione | Santa Croce |
Sigla Ordine qualificante | O.S.B. Cam. |
Fondatore | San Lodolfo Pamphyli |
Data fondazione | 980 ca. |
Stile architettonico | romanico, gotico |
Inizio della costruzione | 980 |
Completamento | XVI secolo |
Altitudine | 680 s.l.m. |
Coordinate geografiche | |
Marche | |
Il Monastero della Santa Croce di Fonte Avellana è uno splendido complesso cenobitico camaldolese, situato nel comune di Serra Sant'Abbondio (Pesaro e Urbino), alle pendici del Monte Catria, sul versante orientale in una conca ricoperta da ampie faggete intorno alle quali si aprono i pascoli e i campi che circondano il romitorio.
Toponimo
Il sito, ove sorge il monastero, è denominato "Fonte Avellana" per la sorgente d'acqua che vi sgorga, in mezzo ad un bosco di alberi di Corylus Avellana, popolarmente noti come "noccioli".
Storia
Origini e sviluppo
Il cenobio, secondo la tradizione, venne fondato intorno al 980 da san Lodolfo Pamphyli, giovane eremita eugubino, successivamente diventato vescovo della sua città,[1] che volle costruire in questo luogo un piccolo romitorio, formato da capanne sparse attorno ad un oratorio, che sin dall'inizio fu profondamente influenzato dalla spiritualità derivante dalla riforma della vita monastica in senso eremitico impersonata da san Romualdo (951 ca. – 1027), il quale visse per sette anni nella vicina Abbazia di Santa Maria di Sitria.
A partire dall'XI secolo sorsero numerosi edifici in pietra tra cui il chiostro, la chiesa con la cripta, la sala capitolare, lo scriptorium, le celle dei monaci, la foresteria e la biblioteca, solidi e austeri ambienti che si stringono attorno alla massiccia torre campanaria ed ospitano ancor oggi i monaci camaldolesi.
Nel 1035 qui divenne monaco[2] e nel 1043 ne fu eletto priore, san Pier Damiani (1007 - 1072), figura eccezionale di intellettuale e di uomo di Chiesa, che dette notevole sviluppo al monastero non solo per l'ampliamento delle costruzioni originarie, riconducendo le diverse celle sparse ad un unico complesso e sotto un'unica regola in grado di coniugare le aspirazioni alla vita eremitica con i vantaggi della vita comunitaria, ma anche per il forte impulso spirituale, culturale e organizzativo che egli dette al cenobio, facendone uno dei più importanti centri d'attrazione e di diffusione della vita monastica, che influì fortemente sulla riforma religiosa e sulla vita sociale del Medioevo. Grazie a san Pier Damiani, il monachesimo avellanita e camaldolese è potuto diventare un'esperienza qualificata di cristianesimo, tanto che si formarono in questo cenobio molti vescovi e monaci noti per santità e dottrina, tra i quali si ricordano:
- san Domenico Loricato (995 - 1060),
- san Giovanni da Lodi (1025 ca. - 1105),
- san Rodolfo Gabrielli (1034 - 1064),
- sant'Ubaldo Baldassini (1085 ca. - 1160),
- sant'Albertino da Montone (1250 ca. - 1294).
Nel XII secolo, l'abbazia estendeva il suo potere economico e territoriale su tutte le Marche, parte dell'Umbria, della Romagna e del Lazio. Inoltre, un censimento del 1229 sulle Obbedienze avellinesi elenca tra le sue pertinenze 4 abbazie, 10 priorati e 35 chiese private, diverse chiese rurali, 2 pievi, 7 cappelle, 5 castelli e fattorie.
Dopo il 1260, venne eletto priore sant'Albertino da Montone, il quale avvia una notevole trasformazione di Fonte Avellana, che con la sua opera da monastero austero e regolare diventa un cenobio sociale che non si rapporta più con il territorio come se fosse un potentato, ma lo tutela socialmente e politicamente, garantendo una migliore condizione economica dei suoi abitanti, attraverso - per primo in queste zone - l'applicazione della mezzadria che per quell'epoca rappresentava una straordinaria rivoluzione a livello sociale.
Dalla commenda e alla soppressione
Papa Giovanni XXII con bolla del 17 febbraio 1325 eresse il monastero in abbazia, confermando così la sua potenza amministrativa e politica, oltre che socio-economica; ma nel 1392 Bonifacio IX la concesse in commenda al cardinale Bartolomeo Mezzavacca († 1396). Da questo momento, il cenobio risentì profondamente degli inevitabili condizionamenti degli abati commendatari che lo condussero ad una lenta e inesorabile decadenza della vita monastica.
Fonte Avellana restò "commendata" fino a quasi tutto il XVIII secolo. Tra gli abati commendatari ve ne sono, comunque, alcuni degni di particolare menzione, che lasciarono notevoli segni di miglioramento spirituale e culturale, e che ampliarono e ristrutturarono il complesso architettonico:
- il cardinale Bessarione (1456-1474) che trasformò per qualche tempo il cenobio in un vero centro umanistico;
- il cardinale Giuliano della Rovere (futuro papa Giulio II), il quale fece raddoppiare le celle monastiche, alzando di un piano la fabbrica e aprendo finestre simmetriche lungo i muri di cortina;
- il cardinale Filippo Ridolfi, al quale si deve il restauro di una parte del monastero.
Pio V con bolla Quantum animus noster del 10 dicembre 1569 soppresse la congregazione avellanita, che aveva sino ad allora aveva retto autonomamente il monastero, unendola alla congregazione camaldolese; nel 1579, Gregorio XIII assegnò i beni del cenobio al Collegio Germanico eretto in Roma. Alcuni decenni dopo, nel 1610, l'abbazia fu annessa alla congregazione cenobitica camaldolese di San Michele di Murano.
Il monastero subì nel 1810 la soppressione napoleonica e, dopo essere stato ripristinato nel 1815, quella italiana del 1866.
Dalla rinascita ad oggi
Nel 1935, Fonte Avellana è stata ripresa in gestione dai monaci camaldolesi, ritrovando il suo antico splendore, sia spirituale che architettonico.
Il 5 settembre 1982 papa Giovanni Paolo II ha visitato il monastero in occasione delle celebrazioni del millenario della sua costruzione.
Dal 2007, il giardino botanico del cenobio, da sempre riservato ai monaci, è stato risistemato ed aperto al pubblico.
Descrizione
Il complesso monastico si presenta come un'estesa e articolata costruzione costituita sostazialmente da tre corpi di fabbrica, completati da un interessante orto botanico:
- Basilica di Santa Croce
- Monastero
- Foresteria
Basilica di Santa Croce
La chiesa, dedicata alla Santa Croce, fu costruita a partire dal 1171 e consacrata nel 1197.
Ill 5 settembre 1982 è stata elevata a Basilica Minore da papa Giovanni Paolo II[3] in visita a Fonte Avellana per la conclusione delle celebrazioni del Millenario della fondazione del monastero.
Esterno
L'edifico, in esterno, presenta una semplice facciata a capanna, aperta da una monofora e un portale.
Sul fianco sinistro della chiesa si eleva il campanile, in stile romanico, ricostruito nel 1482, a pianta quadrata con una cella campanaria aperta da due monofore per lato.
Interno
L'interno, che presenta una pianta a croce latina a navata unica coperta da una volta a sesto acuto, ha il transetto e il presbiterio rialzati sulla cripta, e termina in una grande abside semicircolare.
Di particolare interesse storico-artistico:
- all'altare maggiore, Gesù Cristo crocifisso (1567), in legno policromo, dell'artista pavese Francesco Tiraboschi;
- nell'abside, Coro ligneo (1854) eseguito da Belisario Simonelli di Perugia;
- agli altari:
- a sinistra, Madonna con Gesù Bambino in trono e il beato Lodolfo (1740), olio su tela, di Francesco Ferri;
- a destra, Sant'Albertino da Montone benedice un bambino presentato dalla madre (XVIII secolo), olio su tela, attribuito a Giovanni Loreti.
Nella chiesa, inoltre, sono custodite, sotto la mensa dell'altare a lui dedicato (laterale destro), le spoglie di sant'Albertino da Montone (1250 ca. - 1294), abate ed eremita a Fonte Avellana.
Cripta
La cripta, edificata nel X secolo, è la parte più antica e suggestiva di tutto il monastero: questa, infatti, è la chiesa primitiva e forse contemporanea alle origini dell'eremo. L'ambiente si presenta con massicce arcate a tutto sesto in stile romanico e diviso in tre absidi, di cui la centrale è a catino e le laterali a parete, con accenno alla croce latina. L'altare, che è originale, poggia su un cilindro in pietra e su quattro piccole colonne ad angolo smussato.
Con la costruzione della Basilica alla fine del XII secolo la parte occidentale della chiesa primitiva è andata perduta mentre quella orientale, ancora perfettamente conservata, presenta le finestre rivolte a est verso la luce dell'alba, simbolo di Cristo risorto.
Monastero
A destra della facciata della chiesa è situata la porta d'ingresso al monastero, che si articola attorno ad un chiostro ed è costituito da vari ambienti tra i quali si evidenziano:
- scriptorium,
- chiostro,
- sala capitolare,
- refettorio
- celle monastiche
- biblioteche
Sala "San Giovanni da Lodi"
Oltrepassata la porta d'ingresso al cenobio, è situata una sala, costruita nel XI secolo, che si presenta come un ampio ambiente a piano sfalsato coperto da una volta a sesto acuto, progettato inizialmente come una chiesa o una cappella (non fu mai utilizzata come luogo di culto), fu dapprima utilizzato come laboratorio per la preparazione delle pergamene e la rilegatura dei manoscritti, e successivamente come anticamera della residenza degli abati.
La sala è oggi dedicata a san Giovanni da Lodi che fu direttore dello scriptorium, amanuense personale e uomo di fiducia di san Pier Damiani tanto che gli succedette come priore nel 1072. Negli ultimi tre anni della vita fu vescovo di Gubbio, dove morì nel 1105.
Scriptorium
Dalla sala precedente si accede allo scriptorium, tra i più antichi conservatisi in Europa: questo è il luogo dove i monaci amanuensi, obbedendo alle disposizioni della Regola di San Benedetto sul lavoro quotidiano, trascrivevano su pergamena antichi testi classici, greci e latini, realizzando preziosi codici miniati.
Lo scriptorium fu edificato nel XII secolo, in sostituzione di un altro costruito nel secolo precedente e probabilmente divenuto insufficiente a contenere tutti i monaci: esso si presenta come un ampio e luminoso ambiente in pietra, in stile romanico, con volta a sesto acuto e con finestre, aperte sui tre lati in modo da sfruttare al massimo la luce solare.
Dopo la scoperta della stampa, verso la fine del XV secolo, lo scriptorium venne modificato per essere destinato ad altri usi: infatti, è proprio in questo periodo, che furono murate le monofore superiori, fu abbassato il soffitto realizzando delle volte più basse e vennero aperte le sei finestre del registro inferiore. La sala è rimasta in queste condizioni fino al 1958 quando, dopo un'intensa opera di restauro è stata riportata al suo antico splendore. Oggi viene utilizzata per incontri di spiritualità e di lectio divina.
Sulla parete di fondo è collocato un pregevole dipinto raffigurante:
- Sant'Albertino da Montone (terzo quarto del XV secolo), tempera su tavola, di Giovanni Antonio da Pesaro.[4]
Chiostro
Il piccolo chiostro, voluto da san Pier Damiani nel XI secolo, aveva inizialmente la funzione di statio. I monaci confluivano qui, tornando dai loro vari lavori o dalle loro celle per predisporsi con il silenzio alla celebrazione liturgica. Dopo questa sosta preparatoria la comunità entrava processionalmente in chiesa cantando gli inni introitali.
Il chiostro, accanto alle volte a crociera e agli archi a tutto sesto tipici del romanico italiano, è caratterizzato da due archi ogivali, direttamente poggiati sul pavimento, tipici della tradizione medio-orientale che i monaci di Fonte Avellana avevano probabilmente visto durante i pellegrinaggi in Terra Santa e poi descritto, al loro ritorno, alle maestranze che qui lavoravano.
Nel chiostro, di particolare interesse storico-artistico, si notano:
- sopra la porta d'ingresso, Madonna con Gesù Bambino tra san Romualdo e sant'Albertino da Montone (1593), affresco, di ambito umbro.[5]
- Lapide romana di Lucio Sentinate.
- Busto di san Girolamo (XV secolo), in terracotta.
Sala Capitolare
La sala capitolare, edificata nel XII secolo, era l'ambiente nel quale si riuniva il capitolo monastico. La sala presenta un'elegante volta a botte in pietra e tre semplici finestre monofore strombate. Sul soffitto sono visibili tracce di decorazione murale ad affresco del XIV secolo, andata quasi completamente distrutta a causa del cattivo utilizzo dell'ambiente nel corso dei secoli; in particolare nel XVIII secolo quando fu adibita a magazzino e legnaia, collocandovi per comodità un forno per cuocere il pane.
Refettorio
Il refettorio, realizzato nel XVIII secolo, presenta postergali intagliati e tavole del 1735.
Celle monastiche
Dal chiostro si raggiunge il lungo corridoio inferiore su cui si aprono le celle risalenti all'epoca della fondazione dell'eremo, dove si possono ancora notare le piccole finestre da cui i monaci ricevevano il cibo; al termine del corridoio si apre a sinistra la camera dove sarebbe stato ospitato Dante Alighieri, con il busto del poeta e la lapide commemorativa collocati qui nel 1557 dal cardinale Filippo Ridolfi.
Uno scalone conduce al piano superiore, aggiunto con l'ampliamento del monastero dall'abate commendatario Giuliano della Rovere in corrispondenza di quello inferiore si snoda un secondo ampio corridoio sul quale si aprono altre celle.
Biblioteche
Nel monastero sono presenti, inoltre, due importanti biblioteche:
Biblioteca "Giacinto Boni"
La biblioteca antica venne realizzata nel 1733 per volontà dell'abate Giacinto Boni, studioso di scienze e lettere. Gli scaffali (XVIII secolo), in legno intagliato di noce, nel corso del XIX secolo rimasero vuoti per ben due volte: nel 1811, infatti, con la soppressione napoleonica i libri più pregevoli furono trasferiti alla Biblioteca di Brera a Milano e gli altri in quella di Urbino. Questi ultimi furono recuperati nel 1816, ma con la nuova soppressione del 1866, la biblioteca fu nuovamente spogliata e i libri trasferiti alla Biblioteca Marini di Pergola. Fortunatamente il monastero riuscì di nuovo a rientrarne in possesso nel 1933.
Attualmente la biblioteca conserva quasi tutto il patrimonio librario antico di Fonte Avellana che è costituito da circa 20.000 volumi tutti editati a partire dalla scoperta della stampa (il libro più antico è un incunabolo del 1470) fino alla fine del XIX secolo.
La maggior parte dei codici manoscritti prodotti nello scriptorium e conservati nella biblioteca si trova dal XVI secolo alla Biblioteca Apostolica Vaticana, dove li fece trasferire l'abate commendatario Giuliano della Rovere. A Fonte Avellana ne sono rimasti soltanto undici tra cui il Codice NN (XI secolo), un breviario che una tradizione orale vuole sia stato redatto dallo stesso beato Guido d'Arezzo: esso, comunque, testimonia il momento in cui il sistema guidoniano di notazione musicale si è diffuso negli scriptoria dell'Italia centrale.
Nella biblioteca, inoltre, si conservano:
- Stauroteca (XII secolo), in argento sbalzato e dorato, di ambito bizantino.
- Leggio a badalone (XVIII secolo), in legno intagliato e scolpito, di ambito umbro.
Biblioteca "Dante Alighieri"
La biblioteca moderna del monastero è stata allestita nel 1965 (anno in cui ricorreva il VII centenario della nascita di Dante Alighieri) in un ampio ambiente dell'XI secolo - inizialmente utilizzato come foresteria per i pellegrini - con volta a botte e doppio ordine di finestre: vi si conserva un pregevole patrimonio librario costituito da circa 10.000 volumi, di contenuto prevalentemente teologico, letterario, filosofico, storico e patristico.
Giardino botanico
Il giardino botanico racchiude un lembo di bosco secolare, di circa un ettaro, dove vivono maestosi e veterani alberi delle tipiche specie dell'Appennino, uno scrigno di bellezza e sobrietà naturalistica rare che abbraccia in sé l'essenza della montagna, tutta la sua storia, la sua natura e la sua cultura. In particolare, si segnala:
- Tasso monumentale, di circa 1000 anni, alto 15 metri con una circonferenza di quasi 5 metri.
Nella Divina Commedia
Secondo gli Annales Camaldulenses, Dante Alighieri nel 1318 era ospite di Bosone di Gubbio e in quell'anno sarebbe giunto al Monastero di Fonte Avellana, che descrisse nella Divina Commedia, dialogando con san Pier Damiani, con versi che paiono attestare la sua diretta conoscenza del cenobio:
« | Tra due liti d'Italia surgon sassi, e non molto distanti a la tua patria, tanto che i troni assai suonan più bassi, e fanno un gibbo che si chiama Catria, di sotto al quale è consecrato un ermo, che suole esser disposto a sola latria. » | |
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXI, versi 106-111)
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Note | |
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Bibliografia | |
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