Pala di San Zeno (Andrea Mantegna)

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MantegnaSanZeno.jpg
Andrea Mantegna, Pala di San Zeno (1457 - 1459), tempera su tavola
Pala di San Zeno
Opera d'arte
Stato

bandiera Italia

Regione Stemma Veneto
Regione ecclesiastica Triveneto
Provincia Verona
Comune

Verona

Località
Diocesi Verona
Parrocchia o Ente ecclesiastico
Ubicazione specifica Basilica di San Zeno Maggiore, altare maggiore
Uso liturgico quotidiano
Comune di provenienza Verona
Luogo di provenienza ubicazione originaria
Oggetto pala d'altare
Soggetto Madonna con Gesù Bambino in trono tra angeli, san Pietro, san Paolo, san Giovanni evangelista, san Zeno, san Benedetto da Norcia, san Lorenzo, san Gregorio Magno e san Giovanni Battista; Storie della Passione e Risurrezione di Gesù Cristo
Datazione 1457 - 1459
Datazione
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Ambito culturale Ambito veneto
Autore

Andrea Mantegna

Altre attribuzioni
Materia e tecnica tempera su tavola
Misure h. 480 cm; l. 450 cm
Iscrizioni INRI; SPQR
Stemmi, Punzoni, Marchi
Note

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Collegamenti esterni

La Pala di San Zeno è un dipinto, eseguito tra il 1457 e il 1459, a tempera su tavola da Andrea Mantegna (1431 ca. - 1506), ubicato sull'altare maggiore della Basilica di San Zeno Maggiore a Verona.

Descrizione

Registro centrale

Ambientazione

La scena dell'opera è ambientata entro una loggia marmorea quadrata con pilastri, aperta su tre lati, con soffitto a cassettoni con luminosi "bottoni" d'oro, e ricco di elementi classici, come il fregio con finto bassorilievo in grisaille di coppie di putti reggi-festoni o i medaglioni con scene mitologiche. L'insieme riprende molto probabilmente l'aspetto originario dell'Altare di sant'Antonio da Padova (1446 - 1453), realizzato da Donatello (13861466): opera considerata fondamentale per la diffusione dell'arte rinascimentale nell'Italia settentrionale.

Al di fuori si trova un rigoglioso giardino fiorito, mentre in alto, sul lato principale, corrono alcuni festoni di frutta e foglie, un motivo tipico di Francesco Squarcione (13971468) e dei suoi allievi, tra cui lo stesso Mantegna. Sopra la testa della Vergine, incorniciata da un magnifico rosone ingioiellato del trono - che rimanda a quello della Basilica di San Zeno - stanno appesi tra i festoni una lucerna in un bicchiere di vetro decorato da un bordo d'oro con pietre preziose, alcuni fili di corallo lavorato e un uovo di struzzo: è questo un richiamo all'Immacolata Concezione, poiché anticamente vigeva la credenza secondo la quale queste si schiudessero grazie all'azione dei raggi del sole, che ha sempre rappresentato Dio: Dio quindi feconda l'uovo attraverso lo Spirito Santo e fa nascere la Madonna. I festoni che decorano la loggia sono carichi d'uva, simbolo dell'Eucarestia, e di pomi, simbolo del peccato originale redento da Cristo attraverso il suo sacrificio.

Le quattro semicolonne dividono solo apparentemente le tavole, che formano il dipinto, ma in realtà non interrompono lo spazio che il Mantegna ha concepito come unico, profondo e percorribile. L'unicità dello spazio è sottolineata dal pavimento a scacchiera bianca e nera, dal giardino di rose fiorite insinuantesi dietro il trono e a fianco dei santi, e dall'unico cielo dello sfondo, percorso nei tre scomparti da nuvole bianche in strati orizzontali. Le colonne dipinte sono quindi come proiettate all'interno del dipinto. Lo spazio è determinato logicamente attraverso la prospettiva scientifica, la luce è descritta attraverso il colore e le forme sono costruite in modo proporzionato.

Soggetto

Andrea Mantegna, Madonna con Gesù Bambino in trono tra angeli (part. dalla Pala di San Zeno), 1457 - 1459, tempera su tavola

Nella pala, raffigurante una Sacra conversazione, compaiono:

Predella

Nella predella, articolata in tre scomparti, sono raffigurati:

Scomparto sinistro

Lo scomparto presenta l'Orazione di Gesù Cristo nell'orto di Gethsemani, ambientata entro un paesaggio naturale minutamente descritto, sullo sfondo del quale si vede una Gerusalemme ideale, i cui edifici ricordano Roma e Venezia. Nella scena compaiono:

  • Gesù Cristo raccolto in preghiera e isolato su un costone roccioso simile ad un altare.
  • Tre apostoli, addormentati in pose che contribuiscono ad accentuare la ricca movimentazione del paesaggio che li accoglie, si dispongono in primo piano sotto la figura di Cristo.

Scomparto centrale

Lo scomparto raffigura la Crocifissione di Gesù Cristo, ambientata davanti ad un paesaggio naturale, nel quale compaiono:

  • Gesù Cristo crocifisso, campeggia al centro della composizione, è ormai morto,[5] è presentato perfettamente frontale con i segni della Passione ben visibili: i chiodi, il sangue che cola dalle ferite, l'espressione sofferente nel volto, la corona di spine.
  • ai lati, Due ladroni crocifissi
  • Gruppo di dolenti, posto sotto alla croce del ladrone a sinistra, tra i quali si notano:
    • Maria Vergine, vestita con un abito scuro, sta per svenire, mentre viene sorretta da alcune pie donne;
    • san Giovanni evangelista, con il capo mestamente reclinato sulle mani congiunte, ha il volto affranto e l'espressione attonita, quasi come se non potesse credere a ciò che vede e che sta vivendo.
  • Soldati e astanti, che animano la scena, muovendosi in modo distinto, tra i quali si notano:
    • Tre soldati, in basso a destra, si giocano a dadi la veste di Cristo.
  • Teschio di Adamo, a terra davanti alla croce, rimanda al posto della crocifissione (detto Golgota, che nella lingua ebraica significa "luogo del cranio"), dove secondo la tradizione venne sepolto il primo uomo.

Sullo sfondo, posta sul promontorio a sinistra, si vede Gerusalemme che Mantegna raffigura usando gli schizzi architettonici tratti dai taccuini dei viaggi in Grecia e Asia minore dell'archeologo e umanista Ciriaco d'Ancona (13911452), con le rovine romane presenti nel territorio veneto e i monumenti dell'antichità noti grazie alle riproduzioni grafiche che circolavano nelle botteghe degli artisti.

Scomparto destro

Nello scomparto, raffigurante la Risurrezione di Gesù Cristo, compaiono:

  • Gesù Cristo risorto, che nell'atto di benedire appoggia il piede sul bordo del sarcofago pronto a scavalcarlo. Egli si eleva ridestandosi alla vita, la sua figura si erge solenne e ieratica. Il Salvatore stringe con mano sicura il vessillo con la croce rossa in campo bianco, simbolo della Risurrezione.
  • Guardie, disposti a raggiera intorno al sarcofago, hanno un'espressione stupita nei volti con lo sguardo rivolto a Cristo e la bocca aperta. I loro movimenti sono sintetici e bloccati, in netto contrasto con la solennità espressa dall'incedere di Gesù.

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Andrea Mantegna, Predella con Storie della Passione e Risurrezione di Gesù Cristo (1457 - 1459), tempera su tavola

Cornice

La splendida cornice lignea è originale e forse realizzata su disegno dello stesso Mantegna. Essa imita una struttura architettonica che appare come la prosecuzione di quella dipinta, con quattro colonne scanalate che reggono un frontone con fregio a girali e con una cimasa a forma di arco ribassato terminante in due volute decorative. In basso incornicia anche i tre scomparti della predella.

La cornice è in legno dorato con incrostazioni in blu d'Alemagna. Essa solo in apparenza divide l'opera in un trittico: in realtà tutto, comprese le colonne, concorre a creare un'ambientazione spaziale unitaria, per cui è più corretto considerarla come un'unica pala, la cui stesura pittorica è stata tripartita dall'artista.

Note stilistiche, iconografiche e iconologiche

  • La pala, che segna la fine del periodo padovano del Mantegna e quindi la sua fase giovanile verso la piena maturità, mostra un cambiamento di orientamento nello stile. Le architetture hanno, infatti, acquistato quel tratto illusionistico che fu una delle caratteristiche base di tutta la produzione dell'artista. Il punto di vista ribassato intensifica la monumentalità delle figure e accresce il coinvolgimento dello spettatore-fedele, che viene chiamato in causa anche dallo sguardo diretto di san Pietro. Inoltre, le sue figure, con pose tratte anche dall'osservazione quotidiana, sono più libere e psicologicamente definite, con forme più morbide, che suggeriscono l'influenza della pittura veneziana, in particolare di Giovanni Bellini (1427/1430 ca.–1516), cognato del Mantegna. Ancora più che negli affreschi, eseguiti tra il 1449 e il 1455 nella Chiesa degli Eremitani a Padova, la pittura è qui orientata verso una fusione di luce e colore che dà effetti illusionistici, con citazioni dell'antico e virtuosismi prospettici che furono ulteriormente sviluppati dall'artista nel lungo soggiorno mantovano, dal 1460.
  • La portata rivoluzionaria di questa opera che arrivava in una città ancora legata alla propria arte tardogotica che, in ritardo rispetto ad altre località, iniziava ad aprirsi alle novità rinascimentali, fu sconvolgente: perché queste novità arrivarono tutte insieme in un unico momento. Il primo aspetto rivoluzionario, già conquistato nell'Italia centrale grazie ad artisti come il Beato Angelico (1395 ca.–1455) e Domenico Veneziano (1410 ca.–1461), ma nuovo per il nord, consiste nello spazio unitario entro cui si svolge la scena: prima, infatti, a Verona e dintorni, i polittici erano rigidamente divisi e ogni scomparto faceva storia a sé, adesso permane la divisione, per non creare un distacco troppo netto col passato, ma ciò che vediamo al di là delle colonne che dividono gli scomparti è una scena intera, uno spazio unico. Una concezione che derivava dallo studio delle opere di Donatello per la Basilica di Sant'Antonio a Padova: in particolare, il pittore riprese la struttura che Donatello aveva ideato per l'altare del Santo (oggi andata perduta), e la applicò alla sua Pala di San Zeno. E c'è, inoltre, da notare come Mantegna abbia adottato l'espediente di progettare una cornice con gli scomparti suddivisi da colonne classiche, che sembrano quasi far parte esse stesse della scena. L’impressione è quella di trovarsi al di qua di una loggia, scalata in profondità e di cui la cornice è parte integrante, dove trovano posto i personaggi. L'illusionismo prospettico con cui Mantegna rende credibile lo spazio descritto dal dipinto è un altro degli aspetti nuovi della pala, che verrà poi ulteriormente approfondito con le ricerche successive dell'artista.
  • La loggia marmorea decorata con medaglioni con scene mitologiche e il fregio con putti appaiono tutti elementi classicheggianti ed è proprio nella ricerca di legami con l'antichità classica che sta un altro dei motivi della portata rivoluzionaria del polittico. Infatti, non deve sorprendere che, nella stessa scena, compaiano insieme motivi desunti da repertori pagani, ed elementi propri della religione cristiana: per gli uomini del Rinascimento, esisteva una continuità tra il cristianesimo e il paganesimo, e si pensava che gli scritti di molti autori classici annunciassero in qualche modo l'avvento di Cristo. Si deve, inoltre, considerare che Mantegna nutriva una forte passione per l'arte antica, che ebbe modo di sviluppare durante il suo apprendistato nella bottega di Francesco Squarcione, pittore noto per i suoi elevati interessi antiquari. Così, molti dei motivi che appaiono nella Pala di San Zeno, sono desunti dalla conoscenza di monumenti romani, attraverso calchi e riproduzioni in possesso dello Squarcione: Mantegna avrebbe poi approfondito le antichità classiche, più avanti nel tempo, durante un soggiorno diretto a Roma.
  • La luce nel dipinto contribuisce ad unificare i singoli scomparti, le cui scene sono organizzate secondo un unico punto di fuga. Nel caso della predella, infatti, sia l'Orazione nell'orto che la Resurrezione sono composte secondo linee prospettiche che convergono nello scomparto centrale con la Crocifissione.
  • Negli scomparti della predella sono stati individuati dagli studiosi notevoli interventi della bottega, ma l'equilibrio compositivo non può non essere riferito ad un progetto unitario accuratamente studiato dal Mantegna.

Iscrizioni

Nel dipinto si trovano due iscrizioni, in lettere capitali, collocate nello scomparto centrale della predella:

(LA) (IT)
« I(esus) N(azarenus) R(ex) I(udaeorum) » « Gesù il Nazareno, Re dei Giudei »
  • sul piccolo stendardo in mano al soldato al centro, figura:
(LA) (IT)
« S(enatus) P(opulus) Q(ue) R(omanus) » « Il Senato e il popolo romano »

Notizie storico-critiche

Il dipinto, realizzato da Andrea Mantegna tra il 1457 e il 1459 nella sua bottega padovana, venne commissionato da Gregorio Correr (14091464), esponente di una delle più illustri famiglie del patriziato veneziano. All'epoca della commissione, Gregorio Correr ricopriva la carica di abate commendatario di San Zeno: intriso di cultura umanistica, e probabilmente ammirato da ciò che l'artista aveva già fatto a Padova, lo ingaggiò per realizzare la pala per l'altare della Basilica di San Zeno Maggiore, a Verona. Quello con l'abate Correr fu per Mantegna un incontro molto importante: fu, infatti, lo stesso a raccomandare l'artista presso la corte dei Gonzaga, che avrebbe decretato la fortuna del pittore veneto.

Le fasi di esecuzione del dipinto sono descritte nei carteggi tra l'artista e Ludovico III Gonzaga (14121478), marchese di Mantova, il quale era in attesa del suo trasferimento nella sua città per ricoprire la carica di pittore di corte. Secondo i documenti storici, Mantegna, che per il dipinto ricevette 40 ducati, accompagnò personalmente l'opera a Verona che il 31 luglio 1459 venne collocata sull'altare maggiore della basilica.

La sua disposizione fu accuratamente progettata dal pittore, il quale studiò attentamente le direttrici prospettiche tracciate sulla base di quelle del coro della chiesa e richiese la sistemazione del presbiterio, indicando la necessità di aprire una finestra a destra, per far corrispondere al punto di luce adottato nel dipinto con la fonte di luce reale dello spazio dove questo sarebbe stato posto.

La pala rimase integra fino al 1797, quando durante le soppressioni napoleoniche fu requisita come bottino di guerra e inviata a Parigi nel Museo del Louvre.

Durante le restituzioni, seguite alla Restaurazione (1815), si riuscì a recuperare i tre scomparti principali e la cornice, mentre la predella rimase in Francia, andando smembrata tra Parigi e Tours, e nell'ubicazione originaria fu sostituita da una copia moderna, realizzata dal pittore Paolino Caliari (17631835).

Durante la Prima Guerra mondiale, in particolare dopo la battaglia di Caporetto (24 ottobre - 12 novembre 1917), si diffuse il timore di un ingresso in Veneto da parte degli austriaci: così, per motivi precauzionali, l'opera fu smontata e inviata a Firenze per metterla al sicuro. Finita la guerra la pala ritornò, ancora smontata, a Verona, ma fu subito inviata a Milano per un restauro: avrebbe fatto rientro definitivo nella sua città solo nel 1935. Da allora, eccezion fatta per una breve parentesi tra il 2007 e il 2009 (ancora per un nuovo restauro), la vediamo, nella sua ubicazione originale, all'interno della Basilica per la quale fu concepita.

Galleria fotografica

Note
  1. Il tappetto è identico a quello steso ad una finestra che si nota nel dipinto murale con il Martirio di san Cristoforo (1449 - 1455), affresco, realizzato dallo stesso Mantegna nella chiesa degli Eremitani a Padova.
  2. Scheda dello scomparto di predella nel Catalogo della Fondazione "Federico Zeri"
  3. Ibidem
  4. Ibidem
  5. Gesù è già morto, come indica la presenza della ferita sul costato che gli venne inflitta, dopo il decesso da un soldato (Gv 19,34 ).
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni