Simbolo Apostolico

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La copertina del libro Introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger: l'opera raccoglie le lezioni tenute dall'autore sul Simbolo Apostolico nel 1967 all'Università di Tubinga
Il testo attuale del Simbolo Apostolico

(LA) (IT)
« Credo in Deum Patrem omnipoténtem, Creatorem caeli et terrae,

et in Iesum Christum, Filium eius unicum, Dominum nostrum, qui concéptus est de Spíritu Sancto, natus ex Maria Virgine, passus sub Póntio Piláto, crucifixus, mórtuus, et sepúltus, descéndit ad ínferos, tértia die resurréxit a mórtuis, ascéndit ad caelos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis, inde ventúrus est iudicáre vivos et mórtuos.

Et in Spíritum Sanctum,
sanctam Ecclésiam cathólicam,
sanctórum communiónem,
remissiónem peccatórum,
carnis resurrectiónem,
vitam aetérnam. Amen. »

« Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra,

e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi;il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti.

Credo nello Spirito Santo,
la santa Chiesa cattolica,
la comunione dei santi,
la remissione dei peccati,
la risurrezione della carne,
la vita eterna. Amen»

Il testo in lingua greca
(EL) Traslitterazione
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«

Πιστεύω εἰς Θεόν Πατέρα, παντοκράτορα, ποιητὴν οὐρανοῦ καὶ γῆς.
Καὶ (εἰς) Ἰησοῦν Χριστόν, υἱὸν αὐτοῦ τὸν μονογενῆ, τὸν κύριον ἡμῶν,
τὸν συλληφθέντα ἐκ πνεύματος ἁγίου, γεννηθέντα ἐκ Μαρίας τῆς παρθένου,
παθόντα ἐπὶ Ποντίου Πιλάτου, σταυρωθέντα, θανόντα, καὶ ταφέντα, κατελθόντα εἰς τὰ κατώτατα,
τῇ τρίτῃ ἡμέρᾳ ἀναστάντα ἀπὸ τῶν νεκρῶν,
ἀνελθόντα εἰς τοὺς οὐρανούς, καθεζόμενον ἐν δεξιᾷ θεοῦ πατρὸς παντοδυνάμου,
ἐκαῖθεν ἐρχόμενον κρῖναι ζῶντας καὶ νεκρούς.

Πιστεύω εἰς τὸ Πνεῦμα τὸ Ἅγιον,
ἁγίαν καθολικὴν ἐκκλησίαν,
ἁγίων κοινωνίαν,
ἄφεσιν ἁμαρτιῶν,
σαρκὸς ἀνάστασιν,
ζωὴν αἰώνιον.
Ἀμήν.  »

«

Pisteúo eis Theón Patéra, pantokrátora, poietèn ouranoû kaì ghês.
Kaì eis Iesoûn Christón, yhiòn autoû tòn monoghĕnê, tòn kýrion hemôn,
tòn syllephthénta ek pneúmatos haghíou, ghĕnnethénta ek Marías tês parthénou,
pathónta epì Pontíou Pilátou, staurothénta, thanónta, kaì taphénta, katelthónta eis tà katótata,
tê tríte heméra anastánta apò tôn nekrôn,
anelthónta eis toùs ouranoús, kathezómenon en dexiâ theoû patròs pantodynámou,
ekaîthen erchómenon krînai zôntas kaì nekroús.

Pisteúo eis tò Pneûma tò Hághion,
haghían katholikèn ekklesían,
haghíon koinonían,
áphesin hamartiôn,
sarkòs anástasin,
zoèn aiónion.
Amén.  »

({{{4}}})


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È il Simbolo accolto dalla Chiesa di Roma, dove ebbe la sua sede Pietro, il primo tra gli Apostoli, e dove egli portò l'espressione della fede comune.
Virgolette chiuse.png
(Sant'Ambrogio, Explanatio Symboli, 7[1])

Il Simbolo degli Apostoli o Simbolo Apostolico (in latino Symbolum apostolorum) è una dei più antichi e venerandi Simboli di fede:

« Il Simbolo degli Apostoli [è] così chiamato perché a buon diritto è ritenuto il riassunto fedele della fede degli Apostoli. È l'antico Simbolo battesimale della Chiesa di Roma. La sua grande autorità gli deriva da questo fatto. » (Catechismo della Chiesa Cattolica, 194)

È tuttora usato nella liturgia domenicale come alternativa al Simbolo niceno-costantinopolitano per la professione di fede; in forma di domande e risposte viene usato poi nel Rito del Battesimo e nella rinnovazione della promesse battesimali della Veglia Pasquale.

Storia

Le origini

Si è arrivati al Simbolo Apostolico come noi lo conosciamo oggi attraverso un processo di crescita determinato dalle esigenze interne delle comunità cristiane. Un ruolo importante l'hanno avuto le esigenze liturgiche[2].

Fin dai tempi apostolici, infatti, per l'ammissione al Battesimo si richiedeva una esplicita professione di fede; di qui la necessità di riassumere per i fedeli le principali verità cristiane in una formula breve, precisa e di facile comprensione; tale formula aveva anche il compito di aiutare a discernere la verità cristiana dall'eresia. Tra le formule che contenevano le verità più importanti della Redenzione è significativa quella che si trova in 1Cor 15,34 .

Confessioni simili di carattere cristologico si incontrano più tardi, verso la fine del I secolo, in Sant'Ignazio di Antiochia[3]. Accanto alle formule cristologiche si trovano anche formule di carattere trinitario, il cui sorgere fu determinato dal comando battesimale di Gesù (Mt 18,19 ).

Una tipica professione di fede di tipo trinitario, ma alquanto ampliata, in cinque articoli, si trova nella apocrifa Epistula Apostolorum, la cui origine si fa risalire agli anni 160-170 in Asia Minore[4]:

(LA) (IT)
« (Credo) in Patrem omnipotentem[5]; et in Jesum Christum, [Salvatorem nostrum][6], in Spiritum Sanctum [Paraclitum]; in Sanctam Eeclesiam, et in remissionem peccatorum. » « (Credo) nel Padre onnipotente; e in Gesù Cristo, nostro Salvatore, e nello Spirito Santo Paraclito; nella santa Chiesa, e nel perdono dei peccati»
(DS, 1 )

Analoghe formule si trovano in Sant'Ireneo[7] e nella liturgia del papiro Der Balyzech.

Forse fin dalla metà del II secolo si sentì il bisogno di aggiungere a tali formule molto essenziali nuovi elementi di carattere cristologico. A questo riguardo ebbe importanza il fatto che l'azione di grazie della liturgia eucaristica (Prefazio) comprendeva fin dalle origini una diffusa confessione di Cristo[8].

Sì giunse così in Roma alla redazione di un tipo di Simbolo che conteneva il comma ampliato nei riguardi di Cristo, e quindi in certo modo alterava l'equilibrio simmetrico del Simbolo primitivo di carattere trinitario. Questa formula, che poi si cristallizzò nella forma che comprendeva circa 12 articoli, è conosciuta verso la fine del IV secolo sotto la denominazione precisa di Simbolo degli Apostoli o Simbolo Apostolico. Tale qualifica, attribuita alla professione di fede battesimale della Chiesa romana, si incontra per la prima volta nella Lettera, certamente redatta da Sant'Ambrogio, inviata dal Sinodo Milanese del 393 a Papa Siricio[9].

Il Simbolo Apostolico primitivo

Il Simbolo Apostolico nel suo testo integro primitivo è attestato per la prima volta in greco da Marcello d'Ancira in una lettera scritta verso il 340 a papa Giulio I, e in latino in San Niceta di Remesiana e in Rufino di Aquileia, entrambi verso il 400[10].

L'antica formula del Simbolo Apostolico fu la base di tutti gli altri Simboli battesimali dell'Occidente: data la posizione privilegiata goduta dalla Chiesa di Roma nei confronti dell'Occidente, la sua confessione battesimale riuscì ad affermarsi rapidamente in tutto il mondo di lingua latina.

In Oriente il Simbolo romano rimase sconosciuto. Anzi, l'Oriente non poté mai impostare un Simbolo unitario, poiché nessuna Chiesa vi giunse mai ad assumere una posizione nemmeno lontanamente paragonabile a quella della sede romana in Occidente. In Oriente è sempre rimasta una pluralità di Simboli, che ovviamente differiscono considerevolmente dal Simbolo romano anche nella struttura teologica[11].

La questione dell'origine apostolica

A Rufino si deve la prima affermazione di un'origine strettamente apostolica del Simbolo romano con tutti i suoi articoli[12]. Gli Apostoli, narra Rufino, prima di separarsi per predicare il Vangelo, avrebbero di comune accordo compilato questo riassunto della loro futura predicazione, che chiamarono Simbolo e che stabilirono quale regola di verità da insegnare ai nuovi credenti. Rufino dice di aver appresi questi particolari dagli "antenati" (tradunt maiores nostri, "insegnano i nostri antenati"), ed il suo racconto ebbe fortuna in Occidente durante tutto il medioevo; e poiché gli articoli erano dodici, nel VI secolo si pretese che ciascuno di questi fosse da attribuire a uno degli Apostoli[13]. Fu grande perciò la sorpresa dei Padri latini nel Concilio di Ferrara del 1438, quando, avendo essi invocato contro i Greci l'autorità del Simbolo Apostolico, si sentirono rispondere da Marco Eugenico, arcivescovo di Efeso, che la Chiesa greca non aveva mai conosciuto un Simbolo degli Apostoli. La tradizione rufiniana è quindi sicuramente di carattere leggendario[14], come per primo affermò Lorenzo Valla († 1457).

Però se il Simbolo Apostolico non è opera strettamente apostolica, rimonta tuttavia ad un'epoca molto antica:

È quindi sommamente probabile la sentenza del Batiffol[20] e del Burn[21] che ne fissano la data intorno agli anni 100-120.

Il Vacant[22] fa risalire agli Apostoli, e precisamente ai fondatori della Chiesa di Roma, come istituzione battesimale, almeno la parte essenziale del nostro Simbolo, e cioè la professione di fede esplicita nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Gli altri elementi secondari proverrebbero da aggiunte posteriori che ne hanno completato i diversi articoli.

Altri critici cattolici più recenti considerano il Simbolo romano come il risultato della fusione di due formule, entrambe di origine apostolica: una formula trinitaria e una formula cristologica; il Simbolo risultante è il riassunto dei tratti essenziali della catechesi primitiva sui due grandi misteri del cristianesimo. Le due formule, utilizzate dapprima separatamente, sarebbero state riunite, nel quadro della formula trinitaria, agli inizi del III secolo, allo scopo di combattere più efficacemente il monarchianismo nascente[23].

Il testo attuale

Il testo attuale differisce sensibilmente da quello di Rufino d'Aquileia: quello di Rufino, infatti, è composto di dodici articoli invece di quattordici, e manca di vari incisi[24].

La più antica attestazione della formula attuale si trova nella Expositio vel traditio Symboli ("Esposizione o tradizione del Simbolo") contenuta nel Missale gallicanum vetus: poiché in tale Expositio si manifesta in modo evidente la mano di San Cesareo di Arles († 543), ciò significa che tale testo era già in uso nella Gallia meridionale per quest'epoca.

Non si sa bene per opera di chi e in quali circostanze siano confluite nel testo attuale le varianti sopra riferite, le quali prima del VI secolo si trovano già sparse or in uno, or in un altro dei Simboli in uso presso alcune grandi Chiese. Non si sa nulla neppure sul luogo dove questa elaborazione sia stata compiuta. Il Vacandard[25] pensa nella Gallia, l'Hahn[26] in una Chiesa dell'alta Italia, il Burn[27] nella Chiesa di Roma o forse in un monastero influente come quello di Bobbio; tutti però sono d'accordo nell'affermare che la diffusione del testo attuale nell'Occidente, qualunque ne sia la provenienza, poté avvenire solo per il prestigio della Chiesa romana.

Carlo Magno fece riconoscere in tutto il suo impero una forma testuale che, basata sul vetusto testo romano, aveva ricevuto la sua configurazione definitiva nelle Gallie; tale testo unitario venne accolto nel IX secolo anche a Roma.

Contenuto

Il Simbolo Apostolico esprime un riassunto della fede cattolica, articolandosi in maniera trinitaria.

Esso ha un'accentata impronta storico-salvifica e cristologica[11]: si ferma insistentemente sul nucleo centrale positivo della storia cristiana; si limita ad accennare al fatto che Dio si è fatto uomo per la nostra salvezza, e non tenta nemmeno di scavare dietro questa storia, per appurarne le basi portanti e la connessione con l'intero complesso dell'essere[28].

Le verità di fede professate nel Simbolo Apostolico sono le seguenti:

Autorità

Il Simbolo Apostolico ritenne sempre nella liturgia battesimale il posto d'onore che vi ebbe fin dai primi secoli[29]. Inoltre, la conoscenza del medesimo si ritenne sempre come un elemento fondamentale della vita cristiana: i sinodi medievali raccomandavano ai sacerdoti di insegnarlo e commentarlo ai fedeli e di farlo loro recitare ad alta voce nelle chiese parrocchiali[30].

Il Concilio di Nicea (325) riprese e fece piccole aggiunte al Simbolo Apostolico, in ragione del dogma, da esso definito contro Ario, dell'identità di sostanza del Figlio col Padre: nel secondo articolo aggiunse: "generato dal Padre [..] cioè dalla sostanza del Padre [..] Dio vero da Dio vero, generato non fatto, consustanziale (ὁμοούσις, homooúsis) col Padre[31]. Tale testo fu poi ulteriormente arricchito nel I Concilio di Costantinopolitano, che promulgò quello che è conosciuto come Simbolo niceno-costantinopolitano.

Il Simbolo Apostolico fu considerato di particolare efficacia contro le tentazioni diaboliche[32]; il Rituale Romano ne prescrive la recita durante gli esorcismi.

Ben presto fu introdotto nell'Ufficio divino: lo si trova in tutti i salteri dei secoli VIII e IX[33].

Il Catechismo della Chiesa Cattolica, così come il relativo Compendio lo ha preso come base per l'esposizione della sezione dedicata ai contenuti della fede:

« La prima parte, intitolata "La professione della fede", contiene un'opportuna sintesi della lex credendi, e cioè della fede professata dalla Chiesa Cattolica, ricavata dal Simbolo Apostolico illustrato con il Simbolo Niceno-Costantinopolitano, la cui costante proclamazione nelle assemblee cristiane mantiene viva la memoria delle principali verità della fede»
(Joseph Ratzinger, Introduzione al Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 3, online)

Rilevanza ecumenica

A partire dal XVI secolo il Simbolo Apostolico trovò il favore delle comunità ecclesiali riformate, ed è tuttora in uso nel loro culto, spesso in alternativa al Simbolo niceno-costantinopolitano; ciò avviene, tra le altre, nelle comunità luterane, calviniste, anglicane, presbiteriane, valdesi[34].

Note
  1. CSEL 73, 10; PL 17, 1196
  2. Guglielmo Zannoni (1953) 604.
  3. Lettera agli Efesini, 18, 2; Lettera agli Smirnioti, 1,1.
  4. Così Heinrich Joseph Dominicus Denzinger, Adolf Schönmetzer, Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, Herder, Barcellona-Friburgo-Roma 1976, ISBN 8425408652, introduzione al n. 1. L'Epistula Apostolorum è conservata solo in lingua etiope.
  5. Guglielmo Zannoni (1953) 605, ha omnipotentem; DS 1 riporta dominatorem universi ("dominatore dell'universo").
  6. Le parole tra parentesi quadre sono addizioni posteriori.
  7. Adversus Haereses, I, 10, n. 48.
  8. Cfr. Giustino, I Apologia, 61, 3, 10, 13; Ireneo, Adverus Haereses, I, 10.
  9. PL 16, 1126.
  10. È solo nel IV secolo che la liturgia della Chiesa di Roma passò definitivamente dal greco al latino.
  11. 11,0 11,1 Joseph Ratzinger (1990) 51.
  12. Commentarius in Symbolum apostolicum, 2: PL 21, 337.
  13. PL 39, 2189-2190.
  14. Guglielmo Zannoni (1953) 605.
  15. De virginibus velandis, I; Adversus Praxeam, 2; De praescriptione haereticorum, 13 e 36.
  16. Cfr. Bernard Capelle, Le Symbole romaine au second siecle, in Revue bénédictine, 39 (1927), 33 e seguenti.
  17. Adversus haereses, I, 10.
  18. Dialogo con Trifone, 76, 85, 116; I Apologia, 61
  19. Lettera ai Trallesi, 9.
  20. Littérature grecque, Parigi 1898, p. 70.
  21. The Apostles Creed, Londra 1906, p. 30.
  22. Dictionnaire de Théologie Catholique, I, c. 1675-1676.
  23. Cfr. P. Lebreton, La formation du Symbole des Apôtres, in Recherches de Science Religieuse, 13 (1923), 349-353.
  24. Gli incisi che mancano in Rufino sono: "Creatore del cielo e della terra", "fu concepito", "patì", "morì", "discese agli inferi", "onnipotente", "cattolica", "la Comunione dei santi", "la Vita eterna". Vedi il testo in DS 16, e il testo attuale in DS 30.
  25. Apôtres (Symbole des), in Dictionnaire apologétique de la Foi catholique, Parigi 1911-1928, vol. I, c. 272-283.
  26. Bibliothek der Symbole, 3ª ediz., Breslavia 1897.
  27. The Apostles Creed, Londra 1906.
  28. Questa impostazione è opposta a quella dei Simboli orientali, che hanno invece "sempre cercato di cogliere la fede cristiana in una prospettiva cosmico-metafisica, che trova la sua sedimentazione soprattutto in professioni di fede in cui cristologia e fede nella creazione vengono poste in stretta relazione fra loro, facendo risultare serratamente interdipendenti l'unicità irreiterabile di quella storia e la componente perenne, universale della creazione" (Joseph Ratzinger, 1990, 51).
  29. Guglielmo Zannoni (1953) 607.
  30. Cfr. Mario Righetti, Manuale di storia liturgica, I, Milano 1945, pp. 173-74.
  31. Umberto Fracassini (1931).
  32. Sant'Ambrogio, De virginitate, 3, 5; Sant'Atanasio]], Vita S. Antonii, 25.
  33. Suibert Bäumer, Histoire du Bréviaire, I, Parigi 1905, p. 377.
  34. Francesco Pio Tamburrino, Conferenza stampa di presentazione della terza edizione del Messale Romano, online.
Fonti
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni
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Il contenuto di questa voce è stato firmato il giorno 3 ottobre 2012 da don Paolo Benvenuto, baccelliere in Teologia.

Il firmatario ne garantisce la correttezza, la scientificità, l'equilibrio delle sue parti.