Eutanasia
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L'eutanasia (letteralmente "buona morte", dal greco ευθανασία, eutanasía, composto da ευ-, "bene" e θανατος, "morte")[2] è l'atto di procurare intenzionalmente la morte di una persona malata.
Il giudizio che ne dà la Chiesa cattolica, riassunto nel brano del Catechismo della Chiesa cattolica in testa alla voce, è di ferma condanna.
Al polo opposto dell'eutanasia si colloca l'accanimento terapeutico, anch'esso da respingere.
Chiarificazioni terminologiche
Possono essere distinti tipi diversi di eutanasia. Secondo la modalità di attuazione, l'eutanasia può essere:
- attiva, quando la morte viene provocata direttamente;
- passiva, quando vengono omessi trattamenti medici necessari alla sopravvivenza.
L'eutanasia rientra nella categoria morale dell'omicidio del consenziente.
Il suicidio assistito è una forma di eutanasia attiva e volontaria, nel quale vengono forniti al suicida i mezzi e le competenze necessarie a porre termine alla propria vita.
L'eutanasia è da distinguire dalla terapia del dolore, nella quale la somministrazione di farmaci analgesici può anticipare il momento della morte; essa non è considerata una forma di eutanasia in quanto la caratterizzazione dell'intervento è lenitiva del dolore, e solo secondariamente si accelera il processo della morte (cfr. la categoria morale del volontario indiretto).
Non può essere considerato eutanasia neppure il rifiuto dell'accanimento terapeutico. È possibile, nei casi in cui la morte è imminente e inevitabile[3]) interrompere o rifiutare trattamenti gravosi per il malato e sproporzionati rispetto ai risultati che è lecito attendersi. Ciò rientra in quella che può essere definita la libertà di cura e terapia[4], nella quale non rientra la somministrazione del sostegno vitale: cibo e bevanda, nutrimento e idratazione.
Non può essere considerata eutanasia neppure la cessazione delle cure dopo la diagnosi di morte, in particolare dopo la diagnosi di morte cerebrale.
Cenni storici
Nell'antichità
Il Giuramento di Ippocrate (420 a.C. ca.) recita:
« | Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo. » |
Simili indicazioni etiche e deontologiche si possono rintracciare nel primo corpus legislativo della storia, il Codice di Hammurabi.
Nel mondo classico, in determinate condizioni, il suicidio (e l'assistenza allo stesso) era spesso considerato con rispetto. Le correnti di pensiero nell'ambito della filosofia morale più diffuse in epoca classica pre-cristiana, cioè l'epicureismo e lo stoicismo, consideravano il suicidio in linea di massima come un atto eticamente accettabile e degno di rispetto, in determinati contesti, senza trattare l'eutanasia medica come tipologia specifica. Erano citati esempi considerati ammirevoli come suicidio di Socrate e quello di Seneca.
Nella Bibbia
Nella Bibbia non si trovano riferimenti espliciti alla pratica dell'eutanasia in quanto tale, poiché non praticata negli ambienti semitici ove la Scrittura è nata.
Nell'Antico Testamento viene riportato un suicidio assistito, quello di Saul che, ferito, chiede a un soldato di finirlo (2Sam 1,6-10 ); ma il Re Davide condanna quel soldato a morte per aver ucciso il consacrato di YHWH (2Sam 1,13-16 ).
La nascita del termine
Il filosofo inglese Francis Bacon introdusse il termine "eutanasia" nelle lingue moderne occidentali nel saggio Sul Progresso della conoscenza (Of the Proficience and Advancement of Learning, 1605). In questo testo, Bacon invitava i medici a non abbandonare i malati inguaribili, e ad aiutarli a soffrire il meno possibile. Non vi era, nell'idea di Bacon, il concetto di dare la morte. Al termine "eutanasia" Bacon attribuiva il significato etimologico di "buona morte", cioè morte non dolorosa; lo scopo del medico doveva essere quello di far sì che la morte, comunque sopraggiunta in modo "naturale", fosse non dolorosa.
Il termine iniziò ad avere corso comune a partire dalla fine del XIX secolo, ad indicare un intervento medico tendente a porre fine alle sofferenze di una persona malata. In tale periodo emerse esplicitamente il concetto di "uccisione per pietà" (talora - anche se non sempre - identificabile con la fattispecie dell'omicidio del consenziente).
Nel nazismo
Il programma eugenetico nazista Aktion T4 fu anche chiamato programma eutanasia, espressione che venne utilizzata allora da molti di coloro che erano coinvolti in quest'operazione, ma non può essere considerata a tutti gli effetti eutanasia[5]. A fronte di una grande opposizione interna il programma fu ufficialmente abbandonato nell'estate del 1941.
L'idea di ricorrere all'eutanasia si ripropose già all'inizio dell'anno successivo, con l'insuccesso dell'Operazione Barbarossa, questa volta in un contesto militare. Le notevoli difficoltà che la Wehrmacht incontrava durante la campagna sul fronte orientale indusse i comandi a prevedere dei gruppi di eutanasia, il cui compito era di "aiutare i soldati feriti". Anche su questo programma i vertici nazisti cercarono di stendere il velo della segretezza.
Nelle ultime fasi del Terzo Reich testimonianze dirette riportano che fosse prevista una sorta di eutanasia di stato, chiamata dai burocrati del regime "morte indolore mediante gas", da preferirsi nettamente al cadere in mano sovietica[6].
La posizione della Chiesa
La Chiesa cattolica scorge nell'eutanasia la tentazione di impadronirsi della morte, procurandola in anticipo e ponendo così fine "dolcemente" alla vita propria o altrui[7]. L'eutanasia, presentata come logica e umana, vista in profondità si presenta assurda e disumana, tanto da far parlare di uno dei più significativi sintomi della cultura di morte[8], tipici delle società del benessere, caratterizzate da una mentalità efficientistica che fa apparire troppo oneroso e insopportabile il numero crescente delle persone anziane e debilitate. Esse vengono molto spesso isolate dalla famiglia e dalla società, sempre più organizzata sulla base di criteri di efficienza produttiva, in base ai quali una vita irrimediabilmente inabile non ha più alcun valore.
La Chiesa insegna che l'eutanasia
« | è una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale[9]. Una tale pratica comporta, a seconda delle circostanze, la malizia propria del suicidio o dell'omicidio. » | |
(Evangelium Vitae 65)
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Sia il suicidio che l'omicidio sono sempre moralmente inaccettabili. Il suicidio, oggettivamente parlando, è un atto gravemente immorale, perché comporta il rifiuto dell'amore verso se stessi e la rinuncia ai doveri di giustizia e di carità verso il prossimo, verso le varie comunità di cui si fa parte e verso la società nel suo insieme[10]. Esso costituisce un rifiuto della sovranità assoluta di Dio sulla vita e sulla morte (cfr. Sap 16,13 ; Tb 13,2 )[11].
Condividere l'intenzione suicida di un altro e aiutarlo a realizzarla mediante il cosiddetto suicidio assistito significa farsi collaboratori, e qualche volta attori, di un'ingiustizia, che non può mai essere giustificata, neppure quando fosse richiesta.
La falsa pietà
Anche se non motivata dal rifiuto egoistico di farsi carico dell'esistenza di chi soffre, l'eutanasia deve dirsi una falsa pietà, anzi una preoccupante "perversione" di essa: la vera compassione, infatti, rende solidale col dolore altrui, non sopprime colui del quale non si può sopportare la sofferenza. E tanto più perverso appare il gesto dell'eutanasia se viene compiuto da coloro che - come i parenti - dovrebbero assistere con pazienza e con amore il loro congiunto, o da quanti - come i medici -, per la loro specifica professione, dovrebbero curare il malato anche nelle condizioni terminali più penose.
L'eutanasia diventa più grave quando viene praticata su una persona che non l'ha richiesta e che non ha mai dato ad essa alcun consenso. Si raggiunge poi il colmo dell'arbitrio e dell'ingiustizia quando alcuni, medici o legislatori, si arrogano il potere di decidere chi debba vivere e chi debba morire. Si ripropone in queste situazioni la tentazione dell'Eden: diventare come Dio "conoscendo il bene e il male" (cfr. Gen 3,5 ). Ma Dio solo ha il potere di far morire e di far vivere (Dt 32,39 ; cfr. 2Re 5,7 ; 1Sam 2,6 ). Egli attua il suo potere sempre e solo secondo un disegno di sapienza e di amore. Quando l'uomo usurpa tale potere, soggiogato da una logica di stoltezza e di egoismo, inevitabilmente lo usa per l'ingiustizia e per la morte.
Con l'eutanasia la vita del più debole è messa nelle mani del più forte; nella società si perde il senso della giustizia ed è minata alla radice la fiducia reciproca, fondamento di ogni autentico rapporto tra le persone.
Il cammino evangelico della pietà
La via dell'amore e della vera pietà, basata sula fede in Cristo Redentore, morto e risorto, illumina con nuove ragioni la domanda che sgorga dal cuore dell'uomo nel confronto supremo con la sofferenza e la morte. La vera pietà è offerta di compagnia, di solidarietà e di sostegno nella prova; è richiesta di aiuto per continuare a sperare, quando tutte le speranze umane vengono meno.
L'appartenenza della vita al Signore
L'apostolo Paolo ha espresso la novità del Vangelo nei termini di un'appartenenza totale al Signore, ad abbracciare qualsiasi condizione umana:
« | Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore. » | |
Morire per il Signore significa vivere la propria morte come atto supremo di obbedienza al Padre (cfr. Fil 2,8 ), accettando di viverla nell'ora voluta e scelta da lui (cfr. Gv 13,1 ), che solo può dire quando il cammino terreno è compiuto. Vivere per il Signore significa riconoscere che la sofferenza, pur restando in se stessa un male e una prova, può sempre diventare sorgente di bene: lo diventa se viene vissuta per amore e con amore, nella partecipazione, per dono gratuito di Dio e per libera scelta personale, alla sofferenza stessa di Cristo crocifisso. In tal modo, chi vive la sua sofferenza nel Signore viene più pienamente conformato a lui (cf. Fil 3,10 ; 1Pt 2,21 ), e viene intimamente associato alla sua opera redentrice a favore della Chiesa e dell'umanità. È questa l'esperienza dell'Apostolo Paolo, che anche ogni persona che soffre è chiamata a rivivere:
« | Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi, e completo nella mia carne quello che manca alle tribolazioni di Cristo nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. » | |
I recenti sviluppi
Nelle ultime decadi del XX secolo alcuni paesi hanno depenalizzato l'eutanasia, primo fra tutti i Paesi Bassi. In Italia istanze legate al Partito Radicale hanno portato avanti la causa della sospensione dell'alimentazione a Eluana Englaro, e premono per la legalizzazione dell'eutanasia attraverso l'introduzione delle direttive anticipate di trattamento.
In Italia
In Italia l'eutanasia attiva è assimilabile all'omicidio volontario[12]. In caso di consenso del malato si configura la fattispecie dell'Omicidio del consenziente[13], punito con la reclusione da 6 a 15 anni. Anche il suicidio assistito è un reato, e cade nella fattispecie dell'Istigazione o aiuto al suicidio[14]
Il caso Moroni (1998)
Un caso che fece scalpore in Italia fu quello di un ingegnere di Monza, Ezio Forzatti, che il 21 giugno 1998 si introdusse nel reparto di terapia intensiva dove la moglie Elena Moroni, di 46 anni, si trovava ricoverata in coma irreversibile a seguito di un edema cerebrale. L'uomo aveva con sé una pistola scarica, che usò per minacciare il personale di servizio e tenerlo a distanza mentre staccava il respiratore che teneva in vita la moglie e, una volta accertatane la morte, si lasciò arrestare dagli agenti di polizia nel frattempo sopraggiunti.
Processato, Forzatti fu condannato nel giugno 2000 dalla corte d'Assise di Monza a sei anni e sei mesi di reclusione. La richiesta del pubblico ministero era di 9 anni di reclusione, ma la corte riconobbe a Forzatti l'attenuante della seminfermità mentale[15].
Al termine del successivo processo d'appello (aprile 2002), tenutosi a Milano, Forzatti fu ritenuto completamente in grado di intendere e di volere, e assolto perché il fatto non sussisteva[16][17]. Tra le motivazioni della sentenza, fu decisiva quella secondo la quale i giudici considerarono la donna clinicamente morta al momento del distacco del respiratore.
La sentenza d'assoluzione suscitò un vivace dibattito tra favorevoli e contrari all'eutanasia.
Il caso Welby (2006)
Alla fine del 2006 Piergiorgio Welby, attivista pro eutanasia vicino al Partito Radicale ed affetto da distrofia muscolare in forma progressiva, chiese che gli venisse staccato il respiratore che lo teneva in vita. Il 20 dicembre 2006 il medico anestesista Mario Riccio, di Cremona, distaccò il respiratore attraverso cui respirava, e Welby morì poco dopo.
Riccio, in una conferenza stampa tenutasi il giorno dopo, informò delle circostanze della morte di Welby e si è autodenunciò. La Procura della Repubblica presso il tribunale di Roma avviò un'indagine sul medico.
Il 1º febbraio 2007 l'Ordine dei medici di Cremona stabilì che la condotta tenuta da Riccio era stata corretta e che non era meritevole di alcuna sanzione[18] sebbene, anche in questa occasione, la notizia suscitò reazioni di sdegno[19]. Il 23 luglio 2007 il GUP di Roma, Zaira Secchi, prosciolse definitivamente il medico ordinando il non luogo a procedere perché il fatto non costituiva reato.
La Chiesa rifiutò i funerali religiosi a Welby, nonostante la richiesta della di lui moglie, cattolica, in base a quanto espresso dallo stesso Welby prima di morire:
« | In merito alla richiesta di esequie ecclesiastiche per il defunto Dott. Piergiorgio Welby, il Vicariato di Roma precisa di non aver potuto concedere tali esequie perché, a differenza dai casi di suicidio nei quali si presume la mancanza delle condizioni di piena avvertenza e deliberato consenso, era nota, in quanto ripetutamente e pubblicamente affermata, la volontà del Dott. Welby di porre fine alla propria vita, ciò che contrasta con la dottrina cattolica (vedi il Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 2276-2283; 2324-2325) » |
Il caso Nuvoli (2007)
Giovanni Nuvoli, ammalato di sclerosi laterale amiotrofica e ormai completamente paralizzato, chiese più volte ai medici che gli staccassero il respiratore artificiale che lo manteneva in vita. Il medico anestesista Tommaso Ciacca, che il 10 luglio 2007 stava per eseguire le sue volontà, fu bloccato dall'intervento dei carabinieri di Alghero e della procura di Sassari[20]. A seguito di ciò, il 16 luglio 2007 Giovanni Nuvoli iniziò uno sciopero della sete e della fame che lo portò alla morte il 23 luglio 2007[21].
Il caso Englaro (2009)
Eluana Englaro, una giovane donna di Lecco, dopo un grave incidente stradale avvenuto nel 1992, rimase in stato vegetativo persistente fino alla sua morte nel febbraio del 2009. Il padre, Peppino, vicino al Partito Radicale, chiese ripetutamente e con ogni mezzo legale di sospendere l'alimentazione e l'idratazione della figlia. Un decreto della Corte d'Appello di Milano, confermato in Cassazione, stabilì l'interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale realizzato mediante alimentazione e idratazione, impartì delle disposizioni accessorie circa il protocollo da seguire nell'attuazione dell'interruzione del trattamento. Nell'istruttoria che portò a tale determinazione si usarono elementi molto vaghi, nell'intento di dimostrare che Eluana aveva espresso volontà di essere lasciata morire se fosse giunta a una situazione come quella in cui si trovava; furono inoltre volutamente tralasciate testimonianze che affermavano il contrario di quanto il decreto sostenne di aver provato.
Prima e dopo la morte della donna, avvenuta nella clinica di Udine nella quale era stata portata 9 febbraio 2009, la vicenda colpì fortemente l'opinione pubblica. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si rifiutò di firmare un decreto che il governo aveva preparato per salvare la donna.
La vicenda ebbe, nelle intenzioni del padre, un chiaro valore di rottura con la prassi deontologica e giuridica corrente, nel tentativo di far passare l'idea della bontà dell'eutanasia.
In Europa
- Albania - Una legge entrata in vigore nell'anno 1999 legalizzava ogni forma di eutanasia volontaria
- Austria - Esisteva una legge permissiva sull'eutanasia, ma fu abrogata nel 1977
- Belgio - Dal 16 maggio 2002 è in vigore una legge che disciplina l'eutanasia
- Danimarca - Le cosiddette "direttive anticipate" hanno valore legale. I parenti del malato possono autorizzare l'interruzione delle cure
- Germania - Il suicidio assistito non è reato, purché il malato sia capace di intendere e di volere e ne faccia esplicita richiesta
- Lussemburgo - Il 19 febbraio 2008 il parlamento ha approvato una proposta di legge che prevede l'eliminazione delle sanzioni penali contro i medici che mettono fine, su richiesta, alla vita dei malati. In particolare, il provvedimento prevede che l'eutanasia venga autorizzata per i malati terminali e coloro che soffrono di malattie incurabili, solo su richiesta ripetuta e col consenso di due medici e una commissione di esperti. Il Lussemburgo è il terzo paese, dopo Paesi Bassi e Belgio, ad aver legalizzato l'eutanasia
- Paesi Bassi - Dal 1994 l'eutanasia cessò di essere perseguita penalmente, pur rimanendo un reato. Nel 2000 i Paesi Bassi divennero il primo Paese al mondo a dotarsi di una legge che regolamentava l'eutanasia, e dal 1º aprile 2002 la legge è in vigore
- Regno Unito - L'aiuto al suicidio è perseguito a norma del Suicide Act del 1961, anche se sul piano giurisprudenziale e giurisdizionale vi sono aperture consistenti all'eutanasia passiva. È attualmente in discussione alla Camera dei Comuni l'Assisted Dying for the Terminally Ill Bill ("Legge sulla morte assistita per malati terminali"), che permetterebbe, una volta approvata, una forma di suicidio assistito simile a quella prevista dallo statunitense Oregon Death with Dignity Act ("Legge dell'Oregon sulla morte degna") del 1997
- Svezia - L'eutanasia non è perseguita penalmente
- Svizzera - È previsto il suicidio assistito. Viene praticato al di fuori delle istituzioni mediche statali dall'associazione Dignitas, che accetta le richieste indipendentemente dalla nazionalità del richiedente
Nel resto del mondo
- Australia - In alcuni Stati le cosiddette "direttive anticipate" hanno valore legale. I Territori del Nord legalizzarono nel 1996 l'eutanasia attiva volontaria, ma il parlamento federale annullò tale provvedimento nel 1998
- Canada - Negli Stati di Manitoba e Ontario le direttive anticipate hanno valore legale
- Cina - Una legge del 1998 autorizza gli ospedali a praticare l'eutanasia ai malati terminali
- Colombia - Non esiste una legge specifica sull'eutanasia. Tuttavia, in seguito a un pronunciamento della Corte Costituzionale, la pratica è permessa
Negli Stati Uniti
La normativa varia a seconda degli Stati. Le direttive anticipate hanno generalmente valore legale.
Nello Stato dell'Oregon è possibile, da parte del malato, richiedere farmaci letali. Una regolamentazione specifica di tale materia è tuttavia bloccata per opposizione di un tribunale federale
Movimenti contrari
Il movimento culturale per la difesa dei diritti dei disabili[22] ha fin dalla sua nascita negli Stati Uniti agli inizi degli anni '70 contrastato la legalizzazione dell'eutanasia.
Sulla sua scia sono nate organizzazioni di disabili espressamente dedicate a contrastare culturalmente e politicamente l'eutanasia durante gli anni '90: Not Dead Yet, Care Not Killing[23]. Posizioni analoghe sono sostenute da associazioni di disabili Svedesi.
Alla base della posizione di queste organizzazioni c'è la considerazione che le motivazioni che spingono una persona all'eutanasia potrebbero essere legate più al loro status e condizione sociale che alla loro sofferenza e condizione fisica.
Il caso di Terri Schiavo (2005)
Negli Stati Uniti fece scalpore il caso di Terri Schiavo, in stato vegetativo persistente (PVS) dal 1990, al cui marito Michael la corte suprema dello Stato della Florida diede nel 2005 il permesso di sospendere la nutrizione. I genitori di Terri si opposero alla richiesta del genero, imputandola solo al suo desiderio di liberarsi della moglie. Alla donna fu infine interrotta l'alimentazione forzata, e morì di fame e di sete.
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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