Abbazia di Sant'Antonio Abate di Ranverso (Buttigliera Alta)

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Abbazia di Sant'Antonio Abate di Ranverso
Sant'Ant.Ranverso insieme esterno.jpg
Chiesa abbaziale (esterno)
Stato bandiera Italia
Regione Stemma Piemonte
Regione ecclesiastica
Regione ecclesiastica Piemonte
Provincia Torino
Comune Buttigliera Alta
Località Sant'Antonio di Ranverso
Diocesi Torino
Religione Cattolica
Indirizzo Loc. Sant'Antonio di Ranverso
10090 Buttigliera Alta (TO)
Telefono +39 011 9367450
Fax +39 011 9367450
Posta elettronica ranverso@ordinemauriziano.it
Sito web Sito ufficiale
Proprietà Ordine Mauriziano
Oggetto tipo Abbazia
Oggetto qualificazione antoniana
Dedicazione Sant'Antonio abate
Sigla Ordine qualificante C.R.S. Ant.
Comunità laicale Ordine Mauriziano
Stile architettonico Gotico
Inizio della costruzione 1188
Coordinate geografiche
45°04′52″N 7°26′58″E / 45.0811, 7.4494 Stemma Piemonte
Mappa di localizzazione New: Piemonte
Abbazia di Sant'Antonio Abate
Abbazia di Sant'Antonio Abate
Torino
Torino

L'Abbazia di Sant'Antonio Abate di Ranverso è un complesso monastico, situato nel comune di Buttigliera Alta (Torino), sul tratto della via Francigena tra Rivoli ed Avigliana, all'imbocco della Val di Susa.

Dedicazione e toponimo

La denominazione del complesso mette insieme la dedicazione a sant'Antonio abate e il toponimo Rivus inversus (dal latino ruscello inverso), che indica un piccolo corso d'acqua situato a nord delle colline moreniche.

Storia

Chiesa abbaziale (interno)

Epoca medievale: fondazione ed espansione

Dopo la metà del XII secolo due monaci dell'ordine dei Canonici Regolari di Sant'Antonio di Vienne, provenienti dall'Abbaye de Saint-Antoine, vicino a Vienne (Francia), attraversarono le Alpi, passando per il Moncenisio e percorrendo la via Francigena. Secondo alcune fonti, si trattava di Giovanni e Pietro, due fratelli, vicini alla famiglia Savoia e probabilmente imparentati con essa.[1]

Essi scesero in Italia per continuare l'opera di assistenza dei pellegrini che percorrevano la via Francigena[2] ed alla cura dei malati di herpes zoster (il "fuoco di Sant'Antonio").

Inizialmente, i monaci sistemarono un primo sito, che offriva non solo spedalità, ma anche ospitalità ai numerosi pellegrini e viandanti che vi giungevano.

Con un atto datato 27 giugno 1188,[3] il beato Umberto III di Savoia donò ai frati di Sant'Antonio e agli infermi (Deo et Sancto Antonio et fratribus et infirmis) di Ranverso un mulino posto alla confluenza delle strade che, provenendo da Torino e da Rivoli, si riunivano in una unica via verso Avigliana, nonché terreni e boschi circostanti ad calefaciendum et construendum (latino, trad. per fondare e costruire). All'epoca della donazione, l'ospedale doveva quindi già esistere, poiché nell'atto sopracitato si legge che la stessa viene fatta anche infirmis, cioè ai malati), ma senza una struttura giuridica consolidata e senza una propria chiesa.

Secondo la tradizione, il beato Umberto III aveva scelto questo sito perché vicino al suo luogo di nascita, Avigliana: egli, infatti, profondamente religioso ed animato da spirito caritatevole verso il prossimo, in tutta la sua vita fu particolarmente generoso ed attento alle necessità dell Chiesa e delle sue istituzioni. La designazione, fu probabilmente dettata anche dall'esigenza politica dei Savoia di rinsaldare la propria posizione nella penisola italiana, messa in pericolo dall'imperatore Federico Barbarossa e del vescovo di Torino Carlo, dopo la pace con il papa del 1185. Inoltre, la località si trovava in una collocazione strategica, molto frequentata, poiché era situata lungo il tracciato della via Francigena.

Successivamente, altri notabili piemontesi incrementarono il patrimonio abbaziale con donazioni ed elargizioni.

Non si conoscono le date dell'inizio della costruzione, della sua messa a punto e della consacrazione della chiesa.

Comunque anche Sant'Antonio di Ranverso, che in Italia fu quasi certamente la prima chiesa degli Antoniani, fu strutturata con lo scopo terapeutico tipico dell'Ordine, e per questo furono costruiti, accanto alla chiesa, un ospedale ed una fattoria, con uno sviluppato allevamento di suini che furono usati, oltre che per la cura del fuoco, anche in occasione della terribile peste nera del 1347.

Il primo precettore fu Giovanni; nel 1194 vi fu una ulteriore donazione in favore del precettore Iohanni Gerso de Sancto Antonio: si discute se si tratti sempre dello stesso; certamente travisò il Regaldi[4] quando individuò in questo nome il Jean Gerson autore o coautore del De imitatione Christi e vissuto due secoli dopo.

Epoca moderna: sviluppo e declino

L'attività dei monaci era incessante, rispetto ai religiosi che abitavano le altre tappe di quel tratto della via Francigena (la Sacra di San Michele, l'Abbazia dei Santi Pietro e Andrea (Novalesa) e la Cattedrale di San Giusto (Susa) di Susa), infatti, essi oltre ad ospitare i pellegrini curavano gli infermi, e poiché facevano ciò senza chiedere alcuna ricompensa, come ricordano anche i dipinti della chiesa, i contadini dei dintorni, riconoscenti, donavano spesso ai monaci i loro prodotti.

L'Abbazia divenne ben presto un importante e fiorente centro, e fu la base per la diffusione in Italia dell'Ordine.

Nei tre secoli successivi, si resero necessari ampliamenti strutturali a più riprese, e nel tardo XV secolo infine la chiesa assunse l'aspetto attuale.

Nel XVII secolo iniziò la decadenza dell'Ordine e con essa anche dell'abbazia.

Gli ospedali gestiti dai vari Ordini ospitalieri vennero via via accorpati; nel medesimo tempo migliorarono le condizioni di vita in Europa, dove dopo la ultima grande peste del 1630[5] le grandi epidemie andavano riducendosi di intensità e soprattutto di estensione; infine, l'Ordine era sempre più diviso da conflitti interni.

Nel 1774 il Capitolo Generale degli Antoniani deliberò l'unione con l'Ordine di Malta, anch'esso ordine ospitaliero dedito all'assistenza e alla cura dei pellegrini.

Il 17 dicembre 1776 papa Pio VI con la bolla Rerum humanarum condicio sopresse l'Ordine antoniano ed i beni passarono all'Ordine di Malta.

A Ranverso i monaci Antoniani superstiti entrarono nei Cavalieri di Malta e la proprietà di tutto il complesso venne affidata all'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (attuale Ordine Mauriziano), cui ancora oggi appartiene.

Età contemporanea

Lapide commemorativa dei restauri (1913 - 1922)

Tra il 1887 e il 1914, grazie all'iniziativa di Alfredo D'Andrade (1839 - 1915), sovrintendente alle Belle Arti in Liguria e Piemonte, fu effettuato un importante intervento di restauro che riportò la chiesa all'aspetto che doveva avere nel XV secolo.

Durante i lavori, nel rimuovere una parte del coro ligneo, venne portata alla luce, nella fiancata sinistra del presbiterio, la firma di Giacomo Jaquerio, confermando così le ipotesi di attribuzione dei dipinti murali della chiesa e della sacrestia.[6]

Nel giugno 2001 è terminato l'ultimo intervento di restauro (1999 - 2001), che ha restituito al complesso i suoi antichi colori.

Descrizione

Attualmente dell'antico complesso abbaziale restano la chiesa con il campanile e la sacrestia, un lato del chiostro, l'ospedale trasformato in casa colonica, le cascine e una parte del monastero del XV secolo che è stata incorporata nell'odierno edificio dell'economato mauriziano.

Chiesa

La prima chiesa, di modeste dimensioni, terminata già alla fine del XII secolo, era ad una navata con abside semicircolare ed un basso campanile.

L'attuale assetto è frutto di continui ampliamenti e modifiche eseguite nel corso dei secoli. Una prima trasformazione dell'impianto si ebbe nel XIII secolo con la demolizione dell'abside semicircolare e con la costruzione, al suo posto, di un presbiterio a pianta quadrata coperto da volta a crociera.

Nella prima metà del XIV secolo, vennero edificate le cappelle del lato settentrionale e nella seconda metà dello stesso furono compiuti importanti lavori di ampliamento:

  • venne demolita la parete di fondo del presbiterio, che permise l'allungamento della chiesa verso oriente e la costruzione di uno nuovo, sempre a pianta quadrata e coperto da volta a crociera;
  • fu costruita la sacrestia e vennero realizzate le volte della navata centrale tuttora visibili.

Nella stessa epoca venne innalzato l'edifico a due piani, addossato alla facciata esistente; il pianterreno costituiva l'atrio porticato (nartece) della chiesa, mentre il piano superiore serviva da coro dei monaci.

Nella prima metà del XV secolo non vennero eseguiti ulteriori ampliamenti, mentre vennero compiute importanti opere di decorazione, mentre nell'ultimo quarto del secolo, per volere di Jean de Montchenu II, vescovo di Viviers, nominato nel 1470 da papa Paolo II abate commendatario, la chiesa venne nuovamente allungata verso oriente con la costruzione dell'abside poligonale; contemporaneamente vennero demolite le volte del presbiterio e della campata a fianco del campanile per essere ricostruite ad un'altezza superiore e in relazione con la volta dell'abside. Nello stesso periodo venne realizzato il chiostro e la ricca decorazione in laterizio delle facciate della chiesa e dell'ospedale.

Esterno

Particolare della facciata
Facciata

La chiesa, alla fine del XV secolo, così come l'ospedale, venne dotata di una facciata a ghimberghe e coronamento con pinnacoli in cotto.

La parte inferiore è caratterizzata da tre arcate, che immettono nel nartece, sormontate da ghimberghe ornate da motivi vegetali e floreali, terminanti con pinnacoli. Di questi, quello centrale è leggermente spostato verso destra per non coprire completamente il rosone che si apre al di sopra di due monofore, alla base delle quali corre un'elegante fascia orizzontale, sempre in cotto, ad archetti intrecciati; il coronamento, anch'esso in cotto, è sormontato da tre pinnacoli, nota dominante di tutta la costruzione.

Inoltre, la facciata ha una decorazione pittorica, realizzata all'inizio del XV secolo, che presenta motivi geometrici a punta di diamante, in chiaro-scuro, e due grandi Stemmi dell'Ordine antoniano, ai lati del rosone.

Formelle con Motivi vegetali e floreali, terracotta

Alfredo D'Andrade, durante i lavori di restauro eseguiti nel primo quarto del XX secolo, aveva prelevato dalla facciata sessanta formelle in cotto, ordinandone la riproduzione al fine di preservarle, e per salvarle dall'imminente guerra le aveva "nascoste" nel chiostro, poiché l'accesso a questo durante il conflitto finì a sua volta nascosto dalla vegetazione, di queste se ne era persa traccia e furono, infine, ritrovate nell'ultimo intervento del 2001.

Abside

L'abside poligonale presenta, all'esterno, sei alti pinnacoli, posti su robusti contrafforti, terminanti con motivi ad archetti intrecciati e con un cornicione a sbalzo. Ogni lato del poligono absidale presenta, inoltre, una finestra monofora di notevole dimensione, incorniciata da decorazioni in cotto; al di sopra delle monofore sono sistemati altrettanti rosoni, anch'essi con decorazioni in cotto.

Nartece

Nartece

Il nartece (atrio porticato della chiesa) presenta tre arcate a sesto acuto sulla fronte ed è coperto da volte a crociera, delle quali la mediana è decorata con dipinti murali, ad affresco, databili al XVI secolo, che rappresentano:

La lunetta del portale centrale è decorata con un dipinto murale raffigurante:

Nel nartece si trovano pilastri a colonnina sormontati da interessanti capitelli in pietra verde, scolpiti in stile gotico-lombardo, rappresentanti teste di mostri, animali, volti femminili, volti maschili bifronti che recano ancora evidenti tracce dell'antica coloritura e ornamenti vegetali anche qui di foglie di quercia e ghiande[8].

Interno

La chiesa, dalla pianta disomogenea - a seguito dei continui interventi di trasformazione - presenta pilastri laterizi a fascio che reggono le volte a crociere costolonate della navata centrale: volte che si impostano su mezzi pilastri addossati alle pareti, dei quali, quelli a nord, chiudono in parte le arcate delle cappelle.

Dipinti murali

L'edificio, dalla fine del XII al XV secolo, venne dotato di un imponente decorazione pittorica ad affresco, che fino al 1914 era occultata da un'estesa scialbatura del XVIII secolo, eliminata nel restauro di Cesare Bertea.

I dipinti murali più antichi, databili alla fine del XII secolo, si trovano sulla parete sinistra della navata centrale, tra le due cappelle laterali, e raffigurano:

Giacomo Jaquerio, Gesù Cristo in pietà e simboli della Passione (1410 - 1419), affresco

All'inizio del XIV secolo, sono databili i lacunosi affreschi, collocati sopra l'arcata della terza cappella della navata sinistra, che presentano:

In una successiva campagna decorativa, intorno al 1395, furono realizzate nella prima cappella della navata sinistra:

La decorazione pittorica più importante venne eseguita da Giacomo Jaquerio (1375 ca. - 1453), pittore attivo nella prima metà del XV secolo ed è annoverato come il più importante promotore del gotico internazionale in Piemonte. I dipinti murali, a lui attribuiti, sono collocati:

Defendente Ferrari, Polittico con Natività di Gesù e santi (1531), tavola
Giacomo Jaquerio, Quattro evangelisti in trono e simboli (1410 ca.), affresco

Altri dipinti murali, ad affresco, furono eseguiti alla fine XV secolo), tra questi si segnalano nella parete sinistra della navata centrale, sopra l'ingresso della seconda cappella:

Opere mobili

Inoltre, tra le opere d'arte mobili conservate all'interno, sono da segnalare:

Sacrestia

La sacrestia presenta un splendido ciclo di dipinti murali, ad affresco, opera attribuita a Giacomo Jacquerio e datata intorno al 1410:

Giacomo Jaquerio, Salita di Gesù Cristo al monte Calvario (part.), 1410 ca., affresco
  • sulle vele della volta: Quattro evangelisti in trono e simboli.[14]
  • sulle lunette delle pareti:
    • Annunciazione;[15]
    • San Pietro e san Paolo;
    • Orazione di Cristo nell'orto di Gethsemani;[16]
    • Salita di Gesù Cristo al monte Calvario: il dipinto, considerato il capolavoro della pittura tardo-gotica piemontese, presenta una scena, molto affollata, con una cortina di figure umane e sopra di esse una selva di lance ed alabarde, a contorno della figura dolente di Gesù Cristo carico della croce strattonato e molestato da personaggi grotteschi e crudeli. Sorprende la grande varietà di tipi umani ritratti: il ricco e il povero, il giovane e il vecchio, il biondo nordico e lo scuro caucasico; stupisce anche la raffinata delineazione dei dettagli, nei costumi, nelle armi, nel legno della croce. Ciò nonostante, l'insieme ha una grande potenza espressiva. Ogni elemento del dipinto aveva lo scopo di suscitare nei fedeli i sentimenti di partecipazione alla sofferenza di Gesù.

Campanile

Il campanile, che ancora oggi si eleva sul fianco settentrionale della chiesa, venne costruito nel XIV secolo, sulla base della primitiva torre campanaria, in cotto, a tre ordini di bifore arricchite da lunette con bacini ceramici invetriati, terminante con quattro pinnacoli ed una cuspide ottagonale, sulla quale è issata una banderuola metallica rappresentante:

Facciata dell'ospedale

Chiostro

Poco o nulla resta del chiostro, appoggiato al lato meridionale della chiesa, eretto nell'ultimo quarto del XV secolo.

Concentrico ed ospedale

Il resto degli edifici costituiva il cosiddetto concentrico, cioè tutto ciò che gravitava intorno alla chiesa: solitamente nei monasteri si trattava del convento e dei cascinali, ma in questa struttura la parte più importante era costituita dall'Ospedale, che sorgeva un po' discosto da chiesa e monastero.

Pinnacoli con Croci a tau

Nell'ospedale i monaci antoniani fornivano assistenza ai malati del cosiddetto fuoco di Sant'Antonio (o ignis sacris).

Dell'ospedale, attualmente inglobato in una casa rurale, si conserva integra solo la facciata in laterizio, che similmente con quella della chiesa, è arricchita da una grande ghimberga centrale, coronata da pinnacoli e cuspidi.

Presenza del tau

I monaci antoniani avevano nel stemma dell'Ordine ed erano soliti portare al collo una croce a tau - a forma di T - che spesso compare anche sugli architravi e in altri elementi decorativi degli ospedali e delle chiese dove essi operavano, come è possibile ancora oggi osservare a Ranverso (sulle facciate della chiesa e dell'ospedale, nei pinnacoli sui tetti, etc.)

Galleria fotografica

Note
  1. Così ritiene lo storico piemontese del XIX secolo Luigi Cibrario, Brevi notizie storiche e genealogiche dei Reali di Savoia colla serie cronologica dei loro acquisti, Editore Eredi Botta, Torino, 1859.
  2. La via Francigena, all'epoca era molto frequentata, ma altrettanto malsicura, poiché spesso i banditi assalivano i pellegrini che la percorrevano: era, infatti, così tanto pericolosa da meritare il soprannome di via Fura dal latino fur, ladro.
  3. La datazione non è certa, l'atto proviene da tarde copie, fra cui alcuni manoscritti che indicano il 1181: per un esame accurato delle fonti cfr. Italo Ruffino, Le origini della precettoria… op.cit.
  4. Giuseppe Regaldi, op.cit., capitolo XXXV
  5. Quella descritta da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi
  6. Nell'iscrizione si legge:
    (LA) (IT)
    « (Picta) fuit ista capella p(er) manu(m) Jacobi Jaqueri de Taurino » « Codesta cappella fu dipinta per mano di Giacomo Jaquerio da Torino »
  7. Questo secondo dipinto potrebbe essere attribuito alla bottega itinerante che decorò la volta del Battistero di Parma
  8. Questi capitelli sono assai somiglianti con quelli della vicina Sacra di San Michele
  9. Scheda dell'opera nel Catalogo della Fondazione "Federico Zeri"
  10. Ibidem
  11. Ibidem
  12. Ibidem
  13. Ibidem
  14. Ibidem
  15. Ibidem
  16. Ibidem
Bibliografia
  • Marta Cardinale, Roberto Varacalli, Il convento di Sant'Antonio di Ranverso. Ipotesi di restauro, Politecnico di Torino, Facoltà di Architettura , 2000
  • Goffredo Casalis, Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli stati di S.M. il Re di Sardegna - volume II, Editore Maspero, Torino, 1834
  • Enrico Castelnuovo, Giovanni Romano, Giacomo Jaquerio e il gotico internazionale, Editore Quasar, 1979
  • Giorgio Giaccaglia, Sant'Antonio di Ranverso, Editore Gribaudo, 1990
  • Andreina Griseri, Jaquerio e il realismo gotico in Piemonte, Editore Fratelli Pozzo, 1965
  • Andreina Griseri, Le vie dei pellegrinaggi e il segno degli antoniani, Editore Deputazione subalpina di storia patria, 1988
  • Gianfranco Gritella, Il colore del gotico : i restauri della Precettoria di S. Antonio di Ranverso, Editrice artistica piemontese, 2001
  • Giuseppe Regaldi, Canti e prose - La Dora, Tipografia Scolastica di Sebastiano Franco e Figli, 1861
  • Italo Ruffino, Le origini della precettoria antoniana di Ranverso (Torino), in "Bollettino Storico Bibliografico Subalpino", anno L, Torino, 1952
  • Italo Ruffino, Studi sulle precettorie antoniane piemontesi. S. Antonio di Ranverso nel XIII secolo, in "Bollettino Storico Bibliografico Subalpino", anno L, Torino, 1956
  • Italo Ruffino, L'Ospedale antoniano di Ranverso e l'Abbazia di S. Antonio in Delfinato alla luce di un documento del 1676, in "Annali dell'Ospedale Maria Vittoria di Torino", in Studi di storia ospedaliera piemontese in onore di Giovanni Donna D'Oldenico, Torino 1958
  • Italo Ruffino, Ricerche sulla diffusione dell'Ordine Ospedaliero di S. Antonio di Vienna, in "Atti del Primo Congresso di Storia Ospitaliera", Editore Centro Italiano di Storia Ospitaliera, Reggio Emilia 1960
  • Italo Ruffino, Le prime fondazioni ospitaliere antoniane in Alta Italia, Relazioni e comunicazioni al XXXII Congresso storico subalpino, Pinerolo 1964
  • Italo Ruffino, Storia ospedaliera antoniana - studi e ricerche sugli antichi ospedali di sant'Antonio abate, Editore Effatà, 2006
  • Attilio Zuccagni-Orlandini, Corografia fisica, storica e statistica dell'Italia e delle sue isole corredata di un atlante di mappe geografiche e topografiche, e di altre tavole illustrative, Firenze, 1837
Voci correlate
Collegamenti esterni
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Il contenuto di questa voce è stato firmato il giorno 25 febbraio 2020 da Teresa Morettoni, esperta in museologia, archeologia e storia dell'arte.

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