Dino Boffo
Dino Boffo Laico | |
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Incarichi attuali | |
Direttore di TV2000 | |
Età attuale | 72 anni |
Nascita | Asolo 19 agosto 1952 |
Appartenenza | Azione Cattolica Italiana |
Dino Boffo (Asolo, 19 agosto 1952) è un giornalista italiano, direttore del quotidiano Avvenire dal 1994 al 2009.
Gli studi e l'impegno nell'Azione Cattolica
Nato ad Asolo, originario di Onè di Fonte[1], negli anni della scuola media e del liceo classico fu allievo dell'Istituto Filippin dei Fratelli delle Scuole cristiane.
Laureato con lode in Lettere classiche all'Università di Padova (marzo 1982)[2] con una tesi sui primi martiri cristiani[3], nel settembre 1973, ancora giovanissimo, venne chiamato dal professor Vittorio Bachelet in Centro nazionale dell'Azione Cattolica Italiana[4].
Dal 1977 al 1980 fu segretario generale dell'Azione Cattolica[5]; fu preposto a questa carica, a soli venticinque anni, da Mario Agnes[6], all'epoca Presidente nazionale dell'Azione Cattolica. Agnes, poi, era stato chiamato nel 1976 da papa Paolo VI a presiedere la Nuova Editoriale Italiana[7], società editrice Avvenire.
Nel 1980 venne eletto, con 460 voti, primo tra i responsabili unitari, alla quarta assemblea dell'Azione Cattolica[8]. Tre anni dopo, quando Boffo si ripresentò nella lista del Settore adulti, riportò solo 88 voti.
Vicino a Boffo si trovano Straziota e Mattioli del Settore giovani, e Fabio Porta del Movimento studenti[9].
Nel 1981 Dino Boffo incontrò per la prima volta don Camillo Ruini a Reggio Emilia.
Il 26 agosto 1985 Boffo partecipò, in qualità di oratore e di esponente di Azione Cattolica, al sesto Meeting per l'amicizia fra i popoli di Comunione e Liberazione[10]: alla tavola rotonda "Tempo di rischio e di iniziativa per la società italiana" cui partecipavano gli esponenti delle maggiori associazioni laicali[11] .
Nell'Azione Cattolica di quegli anni, Boffo è il leader della parte che propugna l'intesa e la collaborazione con Comunione e Liberazione, all'opposto della parte di Alberto Monticone, allora presidente nazionale, che viene accusato di "neo-protestantesimo".
L'11 luglio 1987, a Lorenzago di Cadore, Boffo, in qualità di presidente diocesano dell'Azione Cattolica della Diocesi di Treviso, insieme ad altri trecento giovani cattolici, poté incontrare Giovanni Paolo II[12]. Boffo ricoprì tale carica associativa dal 1986 al 1990[1].
Direttore di Avvenire
Pubblicista nel 1979, si avviò alla professione attraverso il giornalismo locale, lavorando, dal 1982 al 1992, nella storica testata della Vita del Popolo di Treviso, di cui fu vice-direttore ed in seguito direttore, dal 1989 al 1992[13][4].
Nel 1978 entrò ad Avvenire, dove fece parte per 11 anni del consiglio di amministrazione[5]. Nel 1991 divenne vicedirettore: direttore della testata era, all'epoca, Lino Rizzi[14]
Il 1 gennaio 1994 ne divenne il direttore [14][5], in seguito al gravissimo incidente stradale che Lino Rizzi aveva subito sull'Autosole[15]. La nomina fu voluta dal cardinale Camillo Ruini, allora presidente della Conferenza Episcopale Italiana, come parte della strategia di ingresso della Chiesa cattolica nel dibattito pubblico italiano dopo la fine dell'unità politica dei cattolici[16].
Durante la direzione di Boffo il quotidiano incrementò la propria diffusione, passando da meno di 80.000 a oltre 100.000 copie, e lanciò numerosi inserti, avviando inoltre una sezione internet (1998) e una profonda riforma grafica e contenutistica (2002)[17].
Nel 1995 vinse il premio De Senectute, in quell'anno alla sua settima edizione, insieme ad altri giornalisti quali Enzo Biagi e Federico Rampini[18]. Nel dicembre 2000 ricevette il premio internazionale Myrta Gabardi[19].
Nel 2005 impegnò la testata in un'intensa campagna contro il referendum abrogativo della legge 40 sulla procreazione assistita, invitando all'astensione.
Nel 2006 fu costretto a recidere la collaborazione con il giornale della giornalista Gabriella Caramore, che, nella sua rubrica "Sul confine", aveva difeso l'ammissibilità dell'eutanasia in casi eccezionali[20].
Nei primi giorni di maggio 2009 il giornale auspicò, in un intervento a firma di Rossana Sisti, che il presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, assumesse uno stile di vita più sobrio: "...continuiamo a coltivare la richiesta di un presidente che con sobrietà sappia essere specchio, il meno deforme, all'anima del Paese"[21].
Il 24 luglio 2009 Boffo pubblicò sul giornale da lui diretto tre lettere di lettori dichiaratisi provati per le rivelazioni relative ad episodi della vita privata di Berlusconi, e, nella sua risposta, aggiunse: "Le «rivelazioni» - non sappiamo quanto autentiche -, che si succedono, a disposizione di chi ha la curiosità di continuare a leggerle o ad ascoltarle, non aggiungono (probabilmente) nulla a uno scenario che già era apparso nella sua potenziale desolazione"[22].
Il 28 luglio 2009 rispondendo a una lettera giunta in redazione, da parte di un sacerdote italiano che si dichiarava amareggiato per il fatto che Avvenire e la Chiesa non assumessero posizioni nette riguardo allo stile di vita del presidente Berlusconi, Dino Boffo espresse così la propria posizione in materia:
« | Sia il presidente cardinal Bagnasco sia il segretario generale monsignor Crociata hanno colto le occasioni pastorali che si sono presentate per prendere posizione in modo netto sul piano dei contenuti come della prassi. Chiunque è stato raggiunto dai loro interventi ha capito quello che si doveva capire: alla comunità cristiana tocca tenere alto il contenuto della fede, e non cedere a compromessi". » | |
(Niente «silenzi di convenienza», parole appropriate, Avvenire, 28 luglio 2009)
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Il 12 agosto 2009 tuttavia, lo stesso Boffo, nel rispondere ad un'altra lettera giunta in redazione, prese posizione quanto allo scandalo intorno al presidente del consiglio:
« | La gente ha capito il disagio, la mortificazione, la sofferenza che una tracotante messa in mora di uno stile sobrio ci ha causato. » | |
(L'Avvenire contro Berlusconi "Suo stile di vita ci mette a disagio", La Repubblica, 12 agosto 2009)
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Successivamente, nell'agosto 2009, Vittorio Feltri, direttore de Il Giornale, considerò sconveniente l'atteggiamento censorio adottato dal direttore del giornale dei vescovi, in merito alle vicende sulla vita privata di Berlusconi.
Oltre ad aver diretto Avvenire, Boffo fu direttore e responsabile dei servizi giornalistici del canale televisivo Sat 2000[23] di proprietà della Conferenza Episcopale Italiana. Dal 2003[24] fu membro, per volontà dell'arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, del comitato permanente dell'Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, Ente fondatore e garante dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha il compito di definire le linee guida della stessa Università Cattolica[25].
Le accuse del Giornale e le dimissioni
Nel gennaio 2002 Dino Boffo venne denunciato per ingiuria e molestia alle persone. Il 9 agosto 2004 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Terni emise contro la persona di Dino Boffo un decreto penale (attivo a partire dal 1º ottobre 2004) per il reato di molestia alle persone (art. 660 del Codice Penale). Boffo fu condannato al pagamento di un'ammenda di 516 euro mentre nel frattempo venne ritirata la querela per ingiuria. Boffo provvide al pagamento dell'ammenda pecuniaria Il 7 settembre 2004[26].
Il 20 settembre 2005 il giornalista Mario Adinolfi informò i lettori del suo blog[27] dell'esistenza di un "decreto penale di condanna ("241 dell'annus domini 2004") a carico del "direttore di un quotidiano cattolico", di cui Adinolfi non fornì il nome. Il giornalista e politico disse anche che la visione di questi documenti non fu possibile, a causa dell'opposizione del dott. Augusto Fornaci, il giudice che aveva firmato il decreto: "È lo stesso Fornaci a firmare il 23 agosto 2005 una strana risposta all'istanza di chi chiede formalmente di conoscere gli atti del procedimento. Fornaci scrive che sì, è vero che esiste un articolo del codice di procedura penale (il 116, per la precisione) che afferma che "chiunque vi abbia interesse", possa accedere agli atti di un procedimento penale; ma in questo specifico caso prevale "una prioritaria tutela del diritto alla riservatezza delle parti (imputato e parte offesa) le cui pregresse vicende interpersonali rischierebbero di determinare - se divulgate - un irreparabile danno alla persona".
Il 12 gennaio 2008 il settimanale Panorama pubblicò per la prima volta la sentenza del Tribunale di Terni, rivelando in Dino Boffo quel "direttore di un quotidiano cattolico" condannato per molestie[28].
Il 28 agosto 2009 Il Giornale, in un articolo in prima pagina scritto dal direttore Vittorio Feltri e dal titolo "Il supermoralista condannato per molestie"[29], accusò pubblicamente Dino Boffo di ipocrisia ed inadeguatezza relativamente alle critiche espresse dallo stesso Boffo sulla vita privata di Silvio Berlusconi per lo scandalo che avrebbe visto il presidente del Consiglio coinvolto in un giro di prostituzione, poiché quest'ultimo sarebbe stato coinvolto in un procedimento penale che l'avrebbe visto imputato per molestie telefoniche commesse tra il 2001 e il 2002[30]. Feltri sostenne che le sue accuse erano suffragate dal riscontro di un patteggiamento del 2004[31]. Feltri ha inoltre denunciato, nello stesso articolo del 28 agosto, la presunta omosessualità del direttore di Avvenire [25]. I documenti di cui Feltri si diceva in possesso erano due:
- Un certificato rilasciato dal casellario giudiziale di Terni, la cui autenticità è oggetto di discussione;
- Una lettera anonima[32], comprendente lo stesso certificato allegato alla lettera, intitolata "Riscontro a richiesta di informativa di Sua Eccellenza".
Secondo Feltri Boffo avrebbe esercitato pressioni moleste su una donna, al fine di indurla a lasciare il compagno (i due, all'epoca, non si erano ancora sposati)[33] di cui il direttore di Avvenire sarebbe stato amante. Feltri affermò inoltre, senza provarlo in alcun modo, che tre mesi prima di lanciare la campagna ambedue i documenti sarebbero stati inoltrati a tutti i vescovi d'Italia.
Boffo ricevette solidarietà da gran parte del mondo politico, centrodestra compreso[34]. La vicenda suscitò una ferma presa di posizione da parte del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della CEI, e dichiarazioni di disapprovazione giunsero anche dallo stesso presidente del Consiglio[35][36]. Le informazioni del Giornale su Boffo, secondo alcuni, sarebbero venute dai servizi segreti, ed utilizzate per screditarlo nel suo lavoro[37].
Il 30 agosto, due giorni dopo quello che era stato da lui definito come il "killeraggio giornalistico" messo in atto da Feltri,[38] lo stesso Boffo (anche a seguito della smentita da parte del Ministro Roberto Maroni di qualsiasi "schedatura" da parte della polizia giudiziaria) parlò di "patacca" riferendosi allo scritto anonimo addotto da Il Giornale[39]. Il 1º settembre il GIP di Terni Pierluigi Panariello negò ai giornalisti l'accesso agli atti del procedimento, consentendo solo la diffusione del decreto penale datato 9 agosto 2004, emesso dall'allora GIP Augusto Fornaci, riguardante il processo contro Boffo[40]. I giornali fecero sapere che nel decreto si poteva leggere che Dino Boffo fu imputato:
« | del reato di cui all'articolo 660 c.p. perché, effettuando ripetute chiamate sulle sue utenze telefoniche, nel corso delle quali la ingiuriava, anche alludendo ai rapporti sessuali con il suo compagno (condotta di reato per la quale è stata presentata remissione di querela), per petulanza e biasimevoli motivi recava molestia a '...omissis...'. In Terni dall'agosto 2001 al gennaio 2002.[40] » |
Il 2 settembre il quotidiano della CEI pubblicò un articolo per smentire che vi fosse mai stato un processo a carico di Dino Boffo, in quanto non vi sarebbe stata nessuna sentenza di condanna, ma solo un decreto penale che l'aveva condannato il 9 agosto 2004 a una pena pecuniaria[41].
Lo stesso 2 settembre Feltri, nel corso della trasmissione radiofonica Radio anch'io di Radiouno, sostenne che la "velina" da lui pubblicata sarebbe giunta dai servizi segreti vaticani. Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, dopo aver fatto notare come in Vaticano non esistesse nessun organo con il nome di "servizio segreto", ipotizzò che Feltri si riferisse alla Gendarmeria vaticana, l'unico organo che si occupa della sicurezza oltretevere. Padre Federico Lombardi, inoltre, accusò Feltri di voler "fomentare il caos"[42]. Lo stesso giorno, la donna indicata dal Giornale come oggetto delle molestie di Boffo, raggiunta telefonicamente da un giornalista dell'ANSA, denunciò il fatto che un giornale, da lei non specificato, fosse giunto a rivelare in modo parziale il suo nome[43].
Vittorio Messori in un articolo sul Corriere della sera affermò di aver saputo, a proposito dei sospetti su un possibile coinvolgimento di Boffo in manovre ricattatorie a motivo della sua debole posizione per la sua iscrizione nel casellario giudiziario, che "alcuni avevano cercato di ottenere dal tribunale gli atti: documenti pubblici, secondo la legge, ma non concessi a tutela della reputazione dell'imputato". Nello stesso articolo dichiarò che "prima o poi, c'è sempre qualcuno che (per avversione politica, per vendetta, per ricerca di scoop) porta alla luce i dossier imbarazzanti"[44].
Il 3 settembre, Avvenire respinse in "10 punti" le accuse del Giornale. In particolare affermò:
- la falsità del presunto casellario giudiziario;
- l'assenza di riferimenti all'orientamento sessuale;
- l'assenza di schedatura poliziesca;
- la denuncia contro ignoti;
- l'assenza di intercettazioni;
- l'assenza di patteggiamenti;
- la conclusione con remissione della querela[45].
Tuttavia nella tarda mattinata, all'articolo in cui Dino Boffo si proponeva di confutare le accuse di Feltri, seguì la rassegna delle dimissioni[46] mediante lettera al Card. Angelo Bagnasco[47], il quale le accolse esprimendo "rammarico, profonda gratitudine e stima" nei confronti del direttore dimissionario[48][49].
La ritrattazione di Feltri e la sua condanna da parte dell'Ordine dei Giornalisti
Il 4 dicembre 2009 Vittorio Feltri, in risposta ad una lettera di una lettrice, scrisse sulle pagine del Giornale che "La ricostruzione dei fatti descritti nella nota, oggi posso dire, non corrisponde al contenuto degli atti processuali".
La stessa risposta di Feltri precisava che l'inaccessibilità degli atti giudiziari autentici non ha consentito di discreditare il contenuto della nota, e di "verificare attraverso le carte che si trattava di una bagattella e non di uno scandalo. Infatti, da quelle carte, Dino Boffo non risulta implicato in vicende omosessuali, tantomeno si parla di omosessuale attenzionato"; e conclude aggiungendo che "'Boffo ha saputo aspettare, nonostante tutto quello che è stato detto e scritto, tenendo un atteggiamento sobrio e dignitoso che non può che suscitare ammirazione"[50].
In un articolo su Il Foglio Feltri affermò di aver ricevuto da una "personalità della Chiesa della quale ci si deve fidare istituzionalmente" il documento del casellario giudiziale che attestava la vicenda giudiziaria a carico del direttore di Avvenire. A proposito del personaggio che ha consegnato al direttore del Giornale la velina, lo stesso Feltri comunicò di non aver "dubitato neppure per un attimo di questa persona perché non si poteva dubitare di lei"[51].
Il 2 febbraio 2010 si tenne un incontro chiarificatore tra Boffo e Feltri, accompagnato da Renato Farina, in un ristorante di Milano[52].
Il 9 febbraio 2010, con un comunicato ufficiale della Segreteria di Stato, approvato dal papa Benedetto XVI, e successivamente fatto pubblicare sull'Osservatore Romano il giorno seguente, respinse con forza l'illazione del coinvolgimento della Gendarmeria vaticana e del direttore de L'Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, sulla trasmissione di documenti che portarono alle dimissioni del direttore di Avvenire, accusando i media di una campagna diffamatoria contro la Santa Sede che coinvolgeva lo stesso Pontefice, e auspicando l'affermazione della verità e della giustizia[53].
Lo stesso giorno la Conferenza Episcopale Italiana diramò una nota di adesione al comunicato della Santa Sede[54].
Il 26 marzo 2010 il Consiglio dell'Ordine dei giornalisti di Milano inflisse a Feltri la sanzione disciplinare della sospensione per sei mesi dall'albo dei giornalisti per le false accuse a Dino Boffo che ne violarono la dignità personale e il decoro professionale e per le false rivelazioni attribuite al Tribunale di Terni.
Il ritorno
Il 18 ottobre 2010 viene nominato direttore di TV2000, il canale televisivo di proprietà della Conferenza Episcopale Italiana.
Predecessore: | Direttore di Avvenire | Successore: | |
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Lino Rizzi | 1994 - 2009 | Marco Tarquinio |
Predecessore: | Direttore di TV2000 | Successore: | |
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Stefano De Martis | 2010 - In carica | In carica |