Cristianesimo e Islam

Da Cathopedia, l'enciclopedia cattolica.
100%Decrease text sizeStandard text sizeIncrease text size
Share/Save/Bookmark
(Reindirizzamento da Islam e Cristianesimo)
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Il Cristianesimo e l'Islam sono due religioni molto diverse tra loro, per quanto accomunate dal comune monoteismo. Pur non essendo credo monolitici e presentando diversi orientamenti di pensiero al loro interno, è comunque possibile individuare tendenze generali che le caratterizzano e le differenziano.

Cenni storici

I rapporti tra Islam e Cristianesimo sono stati prevalentemente all'insegna del conflitto armato. La prima ondata di espansione militare (VII-VIII sec.) ha visto la conquista da parte delle tribù arabe di territori con una forte e viva tradizione cristiana: Palestina, Siria, Egitto, Africa del nord. In questi territori le ricorrenti persecuzioni anticristiane, unite allo statuto sociale della "protezione", che impone ai non musulmani una condizione fortemente deficitaria sotto diversi punti di vista (sociale, politico, economico, religioso), hanno portato i cristiani a diventare una sparuta minoranza. Anche una volta arginata l'avanzata della prima ondata, la cristianità europea ha subìto secoli di razzie e saccheggi da parte di flotte e truppe musulmane ("saraceni"). Un breve periodo caratterizzato da un certo riscatto e contrattacco si è avuto a partire dall'inizio del II millennio con la "reconquista" spagnola, le crociate e l'ascesa delle repubbliche marinare. L'aggressione militare alla cristianità ha sperimentato una nuova virulenza con la seconda ondata, in particolare in seguito alla conquista di Cosantinopoli nel 1453, ad opera delle truppe e flotte ottomane.

La tradizione cristiana ha dunque sperimentato l'Islam come un fenomeno religioso, culturale e sociale prevalentemente negativo.[1] Dal punto di vista teologico l'Islam è stato variamente considerato come una religione pagana, oppure eretica (in particolare di derivazione ariana), oppure scismatica, complice anche la scarsa e superficiale conoscenza della dottrina musulmana. I successi militari dell'Islam erano interpretati in chiave apocalittica, con Maometto inteso come l'anticristo o il suo precursore, oppure in chiave morale, come punizione divina per i peccati dei cristiani. Diversi scrittori cristiani produssero inoltre opere apologetiche col fine di mantenere salda la fede dei cristiani nei territori islamici.

Interpretazioni sull'invasione islamica

I più antichi accenni di cristiani bizantini relativi all'Islam e agli arabi li descrivono in una luce fortemente negativa e "demoniaca". Non devono essere intesi come frutto di un odio razziale e dogmatico su base religiosa, ma vanno contestualizzati tenendo conto dell'effettiva violenza della jihad araba.

Massimo il Confessore in una lettera scritta ad Alessandria tra il 634-640, mentre esorta a tornare a Dio nei momenti di difficoltà, accenna implicitamente all'invasione islamica, descrivendo il popolo arabo come empio, rozzo e violento. Confida comunque nella vittoria finale garantita da Dio.

Sofronio di Gerusalemme (m. 639), patriarca all'epoca dell'invasione musulmana (terminata con battaglia dello Yarmuk, 636), in alcune occasioni accenna all'Islam. Esorta i cristiani alla preghiera contro il violento assalto saraceno, visto come punizione divina per i peccati dei cristiani.

La Dottrina di Jacob (Doctrina Jacobi nuper baptizati, Insegnamento di Jacob appena battezzato), uno scritto apologetico cristiano di autore ignoto redatto attorno al 640, presenta fittiziamente un dialogo tra un ebreo convertito al cristianesimo, Jacob, e altri ebrei, collocandolo nella Cartagine del 634.[10] In esso viene tra l'altro riferito il parere di un rabbino di Cesarea di Palestina circa Maometto (lasciato anonimo), ritenuto un falso profeta per la violenza del suo operato. Il testo attribuisce a Maometto l'annuncio del messia che deve venire, ma deve trattarsi verosimilmente di una errata comprensione della dottrina islamica, e Maometto viene anche anacronisticamente presentato come vivente all'epoca dell'invasione della Palestina.

Una riflessione relativamente più matura ed evoluta si trova nella Cronaca del vescovo egiziano monofisita Giovanni di Nikiu,[12] redatta poco dopo al 640, fonte preziosa per l'invasione araba dell'Egitto. Oltre a descrivere battaglie, assedi, saccheggi, massacri e riduzione in schiavitù dei cristiani, l'autore attribuisce le cause dell'invasione e della sconfitta alla debolezza politica e sociale dell'impero bizantino: in particolare, l'Egitto era segnato dall'attrito tra la locale fede monofisita e quella calcedoniana, ufficiale nell'impero (donde l'epiteto siriaco melkita, "del re") e nel resto della cristianità. Giovanni accenna anche alla pesanti tasse che i musulmani imposero ai cristiani (jizya), lasciando implicito il nesso causale tra questa persecuzione economica e le conversioni all'islam.

In occidente, la Cronaca del franco Fredegario (circa 642, successivamente ampliata da altri autori)[13] contiene alcuni riferimenti all'invasione islamica. Le informazioni appaiono in alcuni punti inesatte, p.es. circa la provenienza geografica degli arabi, l'esagerato numero dei contingenti e lo svolgimento della battaglia di Yarmuk, il monotelismo di Eraclio confuso col monofisismo. Le interpretazioni sulle cause della sconfitta sono ancora di ordine soprannaturale, essendo vista come punizione attiva di Dio verso l'eretico e incestuoso imperatore, inquadrata in un'ottica apocalittica con gli arabi implicitamente identificati con Gog e Magog.

Nella Storia di Eraclio[14] (c.a 670) attribuita al vescovo armeno Sebeo ma forse pseudoepigrafa, viene tra l'altro descritta l'invasione islamica della Mesopotamia settentrionale, presentata come conseguenza di un'alleanza militare tra ebrei (figli d'Israele) ed arabi (figli d'Ismaele), che si consideravano eredi della promessa fatta ad Abramo. La cronaca prosegue con l'incrinarsi dell'alleanza ebreo-islamica e con la costruzione a Gerusalemme del luogo di culto islamico dove poi sorgerà la moschea della roccia.

Il calcedoniano Anastasio sinaita (m. ca. 700), nella sua terza Omelia, riconduce le cause dell'invasione islamica e della sconfitta e devastazione subite dai bizantini alle persecuzioni inflitte al papa di Roma dall'imperatore monotelita. Similmente attribuisce la stasi dell'avanzata islamica all'accordo dottrinale trovato nel terzo concilio di Costantinopoli (680-681).[15]

Riflessioni teologiche

Giovanni Damasceno nella sua Sulle eresie (circa 743) ne elenca 103, dedicando quasi sempre a ognuna di essa poche righe. Alla 101esima eresia, l'islam, viene però dedicata una trattazione più ampia.[16]


Apologetica cristiana

L'occupazione islamica impose un trattamento particolarmente iniquo ai cristiani sottomessi rispetto ai dominatori islamici (cf. il Patto di Omar). Lungo i secoli si verificarono così continue defezioni dalla religione cristiana e diversi scrittori cristiani composero opere apologetiche con lo scopo di mantenere salda la fede in Cristo. Tra questi si segnalano Timoteo I, Abu Qurra, Abu Ra'ita Habib ibn Hudayfa al-Takriti, Ammar al Basri, Ibrahim al-Tabarani, e soprattutto al-Kindi (Abd al-Masih ibn Ishaq al-Kindi, da non confondere col filosofo islamico Abu Yusuf Ya'qub ibn Ishaq al-Sabbah al-Kindi).

Papi e magistero

Papa Martino I (649-655) sembra aver tentato un approccio dialogico con l'Islam. Le dinamiche non sono chiare e vanno contestualizzate nel panorama religioso dell'epoca. L'eresia monotelista era stata condannata dal Sinodo Lateranense (649), voluto dallo stesso papa, ma l'imperatore bizantino Costante II (641-668) continuava a sostenerla. Costante ordinò di arrestare il papa, che fu deportato prima a Costantinopoli e quindi esiliato a Cherson, in Crimea, dove morì. L'accusa mossagli è stata quella di aver cospirato coi saraceni contro l'imperatore, ma il papa negò (inutilmente) le accuse:[23]

« Non ho mai inviato lettere ai saraceni, e nemmeno un testo ["tomo"] come credono [coloro che mi accusano], e nemmeno ho inviato denaro, eccetto quello per i servi di Dio diretti a quel luogo per fare elemosina, e quel poco loro dato non l'abbiamo per niente dato ai saraceni »

Il presunto "tomo" papale rivolto ai saraceni, se esistito, può essere stato "un tentativo di comunicazione coi musulmani in un'era in cui credenze e pratiche musulmane erano credute in divenire, e dunque malleabili. Forse alcuni credevano che non ci fosse un gap incolmabile tra cristiani e musulmani. Non è chiaro se le presunte relazioni di Martino fossero coi musulmani in oriente, o nel nord-Africa, o con entrambi. La spiegazione può essere più complessa. Martino I è stato accusato di aver intrapreso un qualche contatto coi musulmani, e più specificatamente di aver attuato un qualche tipo di transizione finanziaria con loro. È possibile che abbia cercato di comunicare con chierici cristiani in aree sotto il dominio musulmano e che abbia tentato di fornire aiuto finanziario a questi chierici, per assistere i cristiani che vivevano in condizioni disperate in queste aree [...]. Sebbene queste attività (e il reale svolgimento dei fatti rimane poco chiaro) fossero a fin di bene, strettamente parlando possono aver implicato pagamenti o accordi con le autorità musulmane".[24]

In epoca contemporanea il testo ecclesiale sull'Islam più rilevante è contenuto nella dichiarazione conciliare Nostra Aetate (1965):

« 3. La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno.

Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà » (Nostra Aetate 3)

Elementi comuni

L'Islam, fondato da Maometto circa 600 anni dopo il cristianesimo, ha con esso alcuni punti in comune, sulla base della stessa radice monoteista propria anche dell'ebraismo. Il Concilio Vaticano II identifica questi elementi comuni (cf. NA 3):

Differenze teologiche

Rivelazione

Nell'Islam, come anche nel Cristianesimo e nell'Ebraismo, è presente il concetto di rivelazione, per il quale Dio ha comunicato agli uomini determinate informazioni che questi, per la loro limitata natura, non potrebbero conoscere.

Secondo il cattolicesimo, la rivelazione (cf. CCC 50-100) è basata principalmente sulla scrittura (Antico Testamento e Nuovo Testamento) ispirata dallo Spirito Santo, sulla tradizione (in particolare gli insegnamenti dei padri della Chiesa) e sul magistero (in particolare concili e pronunciamenti pontifici). La rivelazione ha raggiunto il suo apice nella vita e predicazione di Gesù: "Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, è la Parola unica, perfetta e definitiva del Padre, il quale in lui dice tutto, e non ci sarà altra parola che quella" (CCC 65; cf anche 102, Eb 1,1-2 ; 2Cor 11,4 ss.). Il ruolo della tradizione e del magistero dunque non è quello di un ampliamento estensivo della rivelazione, ma di un approfondimento ed esplicitazione dei dati già rivelati nella scrittura. In particolare, la natura composita della scrittura, che è anche parola di uomini e può occasionalmente contenere discordanze o errori, oltre al fatto che può talvolta contenere in maniera implicita le verità di fede, portano la tradizione e il magistero a considerare necessaria una certa interpretazione della Bibbia (cf. anche 2Pt 1,20 ), che dunque non deve necessariamente essere presa alla lettera in ogni sua affermazione (fondamentalismo) ma interpretata correttamente e prudentemente (cf. CCC 115-119).

Secondo l'Islam, la rivelazione consiste nel libro del Corano (القرآن, al-qurʾàn, lett. "lettura, proclamazione") dettato da Dio (tramite l'angelo Gabriele) a Maometto, che a sua volta lo dettò a uno scriba in quanto analfabeta. Il Corano rappresenta il compimento della rivelazione iniziata con la Toràh (توراة Tauràt) di Mosè (che indica in senso esteso l'intero AT) e il Vangelo (إنجيل‎ Ingîl) di Gesù (che indica l'intero NT).

« 3. Ha fatto scendere su di te il libro con la verità [il Corano], a conferma di ciò che era prima di esso. E fece scendere la Toràh e l'Ingîl 4. in precedenza, come guida per le genti [...] 7. È lui che ha fatto scendere il Libro su di te » (Corano 3,3-4.7)

L'Islam dunque accetta i testi dell'AT e del NT come propedeutici alla rivelazione definitiva del Corano. Tuttavia, in particolare quanto al Vangelo, secondo l'Islam i testi che ci sono pervenuti non corrispondono effettivamente al messaggio predicato da Gesù, in quanto manipolati o fraintesi dai cristiani:

« [Allah disse:] 13. Ma essi [i figli di Israele] ruppero l'alleanza e noi li maledicemmo e indurimmo i loro cuori: stravolgono il senso delle parole e dimenticano gran parte di quello che è stato loro rivelato. Non cesserai di scoprire tradimenti da parte loro, eccetto alcuni. Sii indulgente con loro e dimentica. Allah ama i magnanimi. 14. Con coloro che dicono: "Siamo cristiani", stipulammo un patto. Ma dimenticarono una parte di quello che era stato loro ricordato [...]. 15. O gente della scrittura [ebrei e cristiani], ora è giunto a voi il nostro messaggero, per spiegarvi molte cose della scrittura che voi nascondevate e per abrogarne molte altre! Una luce e un libro chiaro vi son giunti da Allah » (Corano 5,13-15)

Un chiaro esempio della presunta distorsione operata dai cristiani può essere trovato nella profezia del paraclito. Nel vangelo (Gv 14,16.26;15,26;16,7 ) Gesù ha promesso un paraclito (παράκλητος, parákletos, lett. "chiamato vicino, avvocato, aiutante"), identificato nello stesso NT con lo Spirito Santo effuso nella Pentecoste (Gv 14,26;15,26 ; At 2 ). Invece l'interpretazione islamica vede nel "paraclito" preannunciato da Gesù la figura di Maometto. La profezia sarebbe implicitamente contenuta nel Corano: "[Allah] disse: [...] coloro che seguono il messaggero, il profeta illetterato che trovano chiaramente menzionato nella Torâh e nell'Ingil [...]" (Corano 7,157); "Gesù disse: [... Sono inviato] per annunciarvi un messaggero che verrà dopo di me, il cui nome sarà Ahmad [variante di Muhammad]" (Corano 61,6). In seguito Ibn Ishaq (m. ca. 770), il più autorevole biografo antico di Maometto, nella sua vita sul profeta (Sirat rasul Allah) commentando Gv ha esplicitato che "Muhammad [Maometto] è al-Manhamannà in siriaco, e in greco è al-baraqlitis [traslitterazione araba di paraclito]".[26] In realtà il biografo ha fatto confusione (o ipotizzato una corruzione cristiana) tra il termine παράκλητος (il paraclito giovanneo) con περικλυτός (periklitós), "famoso, illustre",[27] che effettivamente corrisponde etimologicamente al nome Muhammad (dalla radice trilittera ح م د HMD, "lodare, esaltare").[28]

Quanto al Corano, che costituisce la rivelazione vera e propria, esso è caratterizzato da un diretto legame con Dio, molto più forte e immediato di quello ammesso dalla tradizione cristiana per la Bibbia. Per esso non si parla di ispirazione ma di una vera e propria "discesa" (تنزيل tanzìl) da Dio verso gli uomini. L'interpretazione allegorica, legittimo lavoro degli esegeti della Bibbia cristiani, non è consigliabile per il Corano sulla base di un suo stesso passo:

« Esso [il Corano] contiene versetti espliciti, che sono la Madre del libro, e altri che si prestano ad interpretazioni diverse. Coloro che hanno una malattia nel cuore, che cercano la discordia e la [scorretta] interpretazione, seguono quello che è allegorico, mentre solo Allah ne conosce il significato. Coloro che sono radicati nella scienza dicono: "Noi crediamo: tutto viene dal nostro Signore". Ma i soli a ricordarsene sempre, sono i dotati di intelletto » (Corano 3,7)

La lettura immediata del Corano, che non abbisogna di un qualche magistero autorevole per la sua interpretazione, può predisporre in una certa misura al fondamentalismo.

Dopo i testi biblici e il Corano, un terzo elemento proprio della rivelazione islamica è la la Sunna, composta da diversi detti attribuiti a Maometto o ai suoi primi compagni. Tra le varie raccolte di detti le più autorevoli sono quelle di Bukhari e Muslim, che hanno entrambi titolato i loro lavori Sahìh, "autorevole, genuino".

Cristologia

Sulla base del Corano i seguaci dell'Islam onorano la figura di Gesù (عيسى ʿIsà). L'Islam crede nel suo concepimento virginale da Maria, definita appunto al-Batùl, "la vergine" (3,47; 19,20; 21,91; 66,12). Gesù è un grande profeta di Dio (ﺭﺴﻮﻝ الله rasùl Allah, 3,157; 61,6; 6,85), ma la sua natura divina viene fermamente rifiutata assicurando ai cristiani la dannazione eterna:

« 171. O Gente della scrittura, non eccedete nella vostra religione e non dite su Allah altro che la verità. Il Messia Gesù, figlio di Maria non è altro che un messaggero di Allah, una sua parola che egli pose in Maria, uno spirito da lui [proveniente]. Credete dunque in Allah e nei suoi messaggeri » (Corano 4,171)

« 72. Sono certamente miscredenti quelli che dicono: "Allah è il Messia, figlio di Maria!". Mentre il Messia disse: "O Figli di Israele, adorate Allah, mio Signore e vostro Signore". Quanto a chi attribuisce consimili ad Allah, Allah gli preclude il paradiso, il suo rifugio sarà il fuoco. Gli ingiusti non avranno chi li soccorra! [...] 75. Il Messia, figlio di Maria, non era che un messaggero. Altri messaggeri erano venuti prima di lui, e sua madre era una veridica. Eppure entrambi mangiavano cibo » (Corano 5,72-75)

Gesù ha compiuto miracoli "col permesso di Allah" (5,110), cosa che non fu concessa a Maometto. Non fu Gesù a essere crocifisso e morire in croce ("qualcuno fu reso ai loro occhi simile a Lui", 4,157). Ascese al cielo (3,55) senza risorgere ("Iddio lo innalzò a sé", 4,158). In base al versetto «Egli non è che un Presagio per l'Ora» (43,61), Gesù sarebbe destinato a tornare nel mondo, come Mahdi, prima del giorno del Giudizio, apparendo all'altezza del minareto cosiddetto "di ʿĪsā" nella Moschea degli Omayyadi di Damasco. Il suo fine di combattere e sconfiggere il Dajjal sarà coronato da successo ed egli potrà avviare quindi un quarantennio di perfetta vita islamica sulla Terra, prima di morire, infine, di morte naturale ed essere sepolto a Medina, risorgendo subito dopo, nell'apocalittico Yawm al-dīn per il definitivo giudizio divino.[29] La necessità della sua morte sembra d'altronde coerente con l'assioma per cui a nessun uomo è concessa l'immortalità, tanto anche Maometto dovette morire nel 632.

Alcuni commentatori del Corano (tra cui Zamakhsharî e Baydâwî)[30] sostengono che uno degli apostoli (magari Pietro) si sia offerto come "sostituto" per il maestro, nella speranza di ottenere il paradiso come ricompensa. Tra le altre ipotesi avanzate circa l'identità del sostituto: Simone di Cirene,[31] Giuda Iscariota[32], Satana, un soldato romano di nome Titanus, o un altro sconosciuto.

Unicità e Trinità di Dio

Cristiani e islamici hanno in comune la credenza in un solo Dio. La fede cristiana però riconosce la divinità di Gesù (Gv 1,1 et al.) e considera Dio uno e trino (Padre, Figlio, Spirito Santo, cf. Mt 28,19 ; 2Cor 13,13 ), mentre la concezione islamica è più monolitica. Al monoteismo (توحيد tawhìd) è in particolare dedicata una breve sura coranica che rigetta implicitamente il "generato non creato, consustanziale al Padre" proprio della fede cristiana:

« 1. Di': Egli Allah è Unico, 2. Allah è l'Assoluto. 3. Non ha generato, non è stato generato 4. e nessuno è eguale a lui » (Corano 112)

Altri passi rifiutano fermamente la divinità di Gesù (cf. sopra) e il dogma trinitario:

« 171. [...] Non dite "Tre", smettete! Sarà meglio per voi. Invero Allah è un dio unico. Avrebbe un figlio? Gloria a Lui! A Lui appartiene tutto quello che è nei cieli e tutto quello che è sulla terra. Allah è sufficiente come garante » (Corano 4,171)

« 73. Sono certamente miscredenti quelli che dicono: "In verità Allah è il terzo di tre". Mentre non c'è dio all'infuori del Dio unico! E se non cessano il loro dire, un castigo doloroso giungerà ai miscredenti » (Corano 5,73)

Nell'Islam viene negata anche la divinità dello Spirito Santo, che andrebbe invece identificato con l'angelo Gabriele, sulla base di un'implicita affermazione coranica: "Le inviammo [a Maria nell'annunciazione] il nostro Spirito che assunse le sembianze di un uomo perfetto" (Corano 19,17). Un detto successivo afferma implicitamente l'identificazione: "Gabriele, l'inviato di Allah, è tra noi e lo Spirito Santo non ha pari" (Muslim 1136).

Altre differenze

Altre principali differenze di tipo dottrinale e teologico sono:

  • mancanza di dogmi e misteri;
  • mancanza di strutture gerarchiche e intermediari tra uomo e Dio: "Non esistendo nel mondo islamico un'istituzione sopranazionale la cui autorevolezza è accolta da tutti unitariamente come risolutiva e vincolante, il ruolo delle diverse e pur prestigiose scuole antiche o contemporanee viene ridotto al rango di interpreti e di guide di tipo nazionale o locale" (Discernimento cristiano sull'Islam, CE Siciliana);
  • mancanza di riti sacramentali.

Condizione della donna

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Condizione della donna nell'Islam e Matrimonio islamico

Complessivamente, sotto diversi aspetti, la condizione della donna nell'Islam rimanda a una "antropologia culturale e religiosa profondamente diversa" da quella cristiana (CEI, 2005, I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia, 4). Sebbene alcuni accenni del Corano rimandano a una posizione formalmente paritaria, sono diversi gli elementi che portano a pensare a una posizione svantaggiata della donna nell'islam:

  • secondo numerosi detti, la maggior parte delle persone dannate nell'eternità sono donne, a causa della loro mancanza di fede, intelletto e gratitudine verso i mariti;
  • le donne non sono incoraggiate a partecipare alla preghiera pubblica nella moschea, e quando lo fanno la loro posizione fisica è separata e subalterna all'assemblea maschile;
  • dal punto di vista giuridico la loro posizione è dimezzata rispetto agli uomini quanto alla testimonianza legale e all'eredità;
  • numerosi elementi disparitari sono ravvisabili nel diritto matrimoniale islamico;
  • in molti paesi africani esiste la prassi della mutilazione genitale femminile, debolmente suffragata da un detto di Maometto;
  • le donne hanno l'obbligo di portare il velo.

Schiavitù

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Schiavitù nell'Islam

La schiavitù nell'Islam è legittimata da diversi passi del Corano (attento in particolare a normare la schiavitù sessuale femminile), dalla prassi di Maometto e dei primi musulmani, e dalla secolare tradizione islamica. Possono essere ridotti in schiavitù solo i non musulmani, e mantengono (come negli altri sistemi sociali e culturali schiavistici) un ruolo marginale nella società.

Nella prima fase dell'espansione islamica araba gli schiavi provenivano dalle popolazioni conquistate. La stasi delle armate di terra nell'VIII secolo non ha fermato la deportazione di schiavi che venivano razziati dai territori cristiani del sud Europa, dall'Asia centrale e soprattutto dall'Africa sub-sahariana e orientale. Nel solo periodo 1530-1780 i cristiani ridotti in schiavitù da pirati con scorrerie costiere e con abbordaggi in mare aperto sono stimabili in 1-1,25 milioni. Tra il 650 e il 1900, il numero degli africani schiavizzati da mercanti islamici è stimabile (con larga approssimazione) tra 11-18 milioni di persone, cifra pari o superiore alle stime della ben più nota tratta atlantica "cristiana" (7-12 milioni).

In epoca contemporanea, nelle nazioni islamiche la schiavitù è gradualmente venuta meno per imposizione delle potenze occidentali.

Guerra santa

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Jihad

La jihad è un elemento centrale nell'Islam. Nella sostanza, corrisponde alla guerra santa, combattuta dagli islamici contro gli infedeli per diffondere la religione di Allah e "fare terrore sui suoi nemici". Ogni maschio musulmano ha l'obbligo di aderirvi, e ha un valore religioso e morale superiore alla preghiera.

« Combattete coloro che non credono in Allah e nell'ultimo giorno, che non vietano quello che Allah e il suo messaggero hanno vietato, e quelli tra la gente della scrittura [ebrei e cristiani] che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo e siano soggiogati » (Corano 9,29)

« Il messaggero di Allah disse: "Certamente, le porte del paradiso sono all'ombra delle spade". Un uomo in condizione umile sorse e disse: "AbuMusa, hai sentito il messaggero di Allah dire questo?". Disse: "Sì". Ritornò dai suoi amici e disse: "Addio". Quindi ruppe la custodia della sua spada, la gettò via e avanzò con la spada contro i nemici combattendoli, finché fu ucciso" » (Muslim 882)

I musulmani moderati contemporanei la intendono come doverosa solo per la primitiva comunità islamica situata nell'Arabia politeista, intendendola in chiave difensiva, ma non è stata questa l'interpretazione prevalente lungo i secoli e quella attuale dei musulmani fondamentalisti.

Negli ultimi anni in alcune zone del mondo a maggioranza islamica (in particolare Egitto, Nigeria, Iraq) le comunità cristiane sono state oggetto di numerosi attentati, attacchi e vessazioni da parte di estremisti islamici.

Libertà religiosa

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Libertà religiosa nell'Islam

La libertà religiosa nell'Islam è fortemente vincolata sotto diversi aspetti:

  • se da un lato è lasciata libera l'adesione all'Islam (basta recitare la shahada, "confesso che non c'è dio se non Allàh e Maometto è il profeta di Allàh"), i musulmani che scelgono di abbandonare l'Islam (apostasia) sono punibili con la morte;
  • i popoli non musulmani ("popolo del libro") che sono stati conquistati dall'Islam con la jihad sono liberi di scegliere tra la conversione all'Islam, la morte, la schiavitù o la condizione di dhimmi. Questa è caratterizzata da una lunga serie di limitazioni religiose e sociali (cf. Patto di Omar); prevede una protezione da parte dello stato islamico; impone ai protetti il pagamento di una tassa (jizya) che rappresenta un deterrente economico al mantenimento della fede non musulmana;
  • la protezione che lo stato islamico ha il dovere di garantire ai dhimmi, lungo i secoli è spesso venuta meno, sfociando anzi in vere e proprie persecuzioni e genocidi dei "protetti", che è verosimile siano stati vittime di quotidiane e continue vessazioni e violenze che non hanno lasciato traccia nella storia;
  • l'espressione delle proprie idee personali religiose è vincolata al reato di blasfemia (o bestemmia), punibile anche con la pena capitale, ma la cui definizione e applicazione pratica è arbitrio dei legislatori islamici.

Diritti umani

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Diritti umani nell'Islam

La concezione dei diritti umani nell'Islam risente del fatto che l'antropologia e la morale islamica sottese e derivate dalla sharia sono diverse, sotto molti elementi (condizione femminile, schiavitù, guerra, libertà religiosa), da quelle proprie della tradizione cristiana e dunque occidentale, che si basano su principi universali paritari (cf. Gal 3,28 ). La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (Nazioni Unite, 1948) è dunque rifiutata da nazioni e pensatori islamici, che hanno proceduto all'elaborazione di diverse dichiarazioni dei diritti dell'uomo in accordo con la sharia.

Note
  1. Cf in particolare Tolan, J.V. (2000). Medieval Christian perceptions of Islam, anteprima.
  2. PG 91,540
  3. PG 87c,3197.
  4. Sofronio, Omelia della notte di Natale, tr. latina parziale in PG 87c,3201 ss.; testo greco intero pubblicato da Usener, H. (1886). "Weihnachtspredigt des Sophronios herausgegeben". In Rheinisches Museum für Philologie, 41/4: 500-516, online. Usener 506.
  5. Usener 507.
  6. PG 87c,3207/Usener 508-09.
  7. PG 87c,3212/Usener 514.
  8. Usener 515.
  9. L' Omelia sull'Epifania (od Omelia sul santo battesimo, Logos eis to hagion baptisma è pubblicata in Papadopoulos-Kerameu, a cura di, (1898). Analekta Hierosolymitikes Stachyologias, vol. 5, San Petersburg, 151-68, in particolare 166-67. Una citazione parziale con greco e tr. inglese è in Seeing Eye to Eye: Islamic Universalism in the Roman and Byzantine Worlds, 7th to 10th Centuries, p. 34 (online); cf. anche un stralcio in Hoyland, R.G. (1997). Seeing Islam as Others Saw It: A Survey and Evaluation of Christian, Jewish and Zoroastrian Writings on Early Islam, online.
  10. Una versione etiopica della prima parte del testo è pubblicata in Patrologia Orientalis 3,547 ss., e il testo greco incompleto è presente in PO 8,711 ss. La versione greca completa è stata pubblicata recentemente in Doctrina Jacobi nuper Baptizati, in Dagron, G.; Déroche, V.; "Juifs et chrétiens dans l'Orient du VIIe siècle", Travaux et Mémoires 11: 17-248.
  11. Il passo (5,16) non è presente nelle due versioni contenute nella PO.
  12. L'opera, scritta verosimilmente in copto, ci è pervenuta mutila e in una versione etiope. Cf. online la traduzione inglese di Charles, 1916.
  13. Testo ltino online.
  14. Tr. inglese, francese.
  15. Anastasio sinaita, Omelia 3, PG 89,1156C.
  16. Giovanni Damasceno, Sulle eresie 101, PG 94,763. Cf. anche Frammento sopra i draghi, PG, 94,1600-1601; Controversia tra un saraceno e un cristiano, PG 94, 15—85 1596. [1]
  17. Giovanni Damasceno riprende l'informazione da Erodoto, che accenna al culto arabo preislamico alla "celeste Afrodite", chiamata Alilàt (Erodoto, Storie 1,131, online).
  18. Secondo la tradizione islamica questo monaco siriaco si chiamava Bahira, e avrebbe identificato nel giovane (9-12 anni) Maometto un profeta divino, cf. voce sulla Encyclopaedia of Islam, online.
  19. La citazione del proverbio manca nel testo.
  20. Il "socio" Zeid era figlio adottivo di Maometto. Il matrimonio qui descritto, accennato anche nel Corano (33,36) può apparire imbarazzante per la dottrina islamica: oltre al presunto abuso di autorità sacra e alla natura endogamica del matrimonio (erano cugini di primo grado), Maometto sposò Zaynab come quinta moglie (mentre il limite da lui imposto era 4 mogli) ed era stata moglie del figlio adottivo.
  21. Il versetto coranico di 2,223 da alcuni detti successivi è metaforicamente interpretato come l'invito all'uomo a compiere i preliminari dell'atto sessuale, lasciando libera la posizione della penetrazione (che deve comunque essere vaginale).
  22. Tale racconto non è contenuto nel Corano, deve essersi trattato di un ampliamento di un accenno in 7,73.
  23. Martino I, Lettera 14, PL 87,119.
  24. Walter Kaegi, W.E. (2010). Muslim Expansion and Byzantine Collapse in North Africa. Cambridge University Press, 89, online.
  25. Il documento conciliare su questo punto riprende la lettera del 1076 di Gregorio VII indirizzata ad Anazir, re della Mauritania: noi (cristiani) e voi (musulmani) "crediamo e confidiamo nell'unico Dio, per quanto in modo diverso, il quale quotidianamente lodiamo e veneriamo, lui, creatore dei secoli e governatore di questo mondo" (PL 148,451A).
  26. Cit. da McAuliffe, J.D. (1991). Qur'anic Christians: An Analysis of Classical and Modern Exegesis. Cambridge University Press, p. 183, n. 10, online.
  27. Cf. voce sul Liddell-Scott, online.
  28. Cf. dizionario arabo-inglese online.
  29. Nel lemma «ʿĪsā», curato da Georges Chehata Anawati, su: Encyclopédie de l'Islam, oltre Bayḍāwī ( Anwār al-tanzīl wa-asrār al-taʾwīl ), il dotto orientalista domenicano cita in proposito il sunnita hanafita Muḥammad Anwār Shāh al-Kashmīrī al-Hindī ( al-Taṣrīḥ bi-mā tawātara fī nuzūl al-Masīḥ, Aleppo, 1965)
  30. Vedi Christine Schirrmacher, The Crucifixion of Jesus in View of Muslim Theology, 1997.
  31. Vedi Basilide, citato da Ireneo di Lione (Contro le eresie 1,24,4, testo EN): «Costui fu crocifisso per errore, in quanto Cristo l'aveva trasformato in maniera tale che essi lo scambiarono per Gesù. A sua volta Gesù prese l'aspetto di Simone e stava lì vicino prendendosi gioco di loro».
  32. Vedi Vangelo di Barnaba, nn. 216-217, testo EN.
Voci correlate
Collegamenti esterni