Sacra rappresentazione

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Frontespizio de La rappresentazione di Judith hebrea. In Firenze, 1554'

La sacra rappresentazione è una forma di antico teatro religioso italiano, di genere drammatico e musicale, analogo ai misteri francesi (mystères) e inglesi (mistery plays), al tedesco Geistspiele e all'auto sacramental spagnolo.

Sorse nel Medioevo con la nascita delle lingue volgari e lo sviluppo delle nuove espressioni letterarie e si diffuse nei secoli XV e XVI fino alla Controriforma. Dopo secoli di abbandono o di stanca e poco apprezzata ripetizione, gode attualmente di un'interessante fase di riscoperta.

Origine

Forme precedenti di liturgia drammatizzata

Il luogo principe della nascita e del primo sviluppo della sacra rappresentazione fu la chiesa, nella quale erano già maturate esperienze di canto e di prosa: in particolare le sequenze ed i tropi avevano preparato il terreno per forme assai più elaborate, non solo nel campo strettamente liturgico (dove di lì a poco avrebbe trionfato la polifonia rinascimentale di Palestrina), ma anche per generi più popolari e paralleli all'ambito rituale, come appunto la sacra rappresentazione.

D'altronde, da secoli la liturgia (parola che etimologicamente significa azione del popolo[1]) era ricca di forme dialoganti, come le antifone, la lettura della Passio[2] o le preghiere in forma di responsorio.

Ma la dura condanna che sin dal II-III secolo i Padri della Chiesa avevano calato su ogni tipo di spettacolo, a causa della licenziosità e della scurrilità che erano dilagate al tempo del Basso Impero, aveva fatto sparire per centinaia di anni ogni forma di esibizione che fosse più di un semplice numero di giocolieri.

Con la rinascita carolingia (IX secolo) e con i primi passi della musica verso le invenzioni dei tropi e delle clausulae anche le forme per così dire teatrali ripresero timidamente, e già nel 970 il vescovo di Winchester aveva descritto una Pasqua a Limoges celebrata con una azione scenica.

La mistione dei tropi con i testi canonici diede luogo agli uffici drammatici, che nei secoli IX e X fiorirono, a partire dalla Francia, come cicli liturgici che rappresentavano i due grandi cardini della vita di Gesù:

In generale, la sacra rappresentazione viene fatta risalire più direttamente alle Laude spirituali[3] cantate nel XII secolo, dapprima dalle popolazioni dell'Italia centrale, specie quelle umbre, come accompagnamento alle processioni in onore di Gesù, della Vergine e dei Santi.

Nelle ricorrenze solenni, al termine della processione nella chiesa si offrivano veri e propri spettacoli di drammi spirituali, ai quali partecipava con grande entusiasmo tutto il popolo. Le prime rappresentarono soprattutto la Passione di Cristo; ma ben presto si aggiunsero episodi di San Pietro, San Tommaso, Santa Susanna. Il testo era cantato dai chierici officianti in latino[4]. Una traccia sicura della evoluzione di questa forma liturgica fu il presepe di Greccio realizzato da san Francesco nel 1223: gli studiosi concordano nel riconoscere che il Santo non costruì una scena ferma come quelle che allestiamo oggi, ma realizzò un Officium della nascita[5].

La nascita nella forma primigenia

La Passione di Cristo, sacra sappresentazione realizzata il 2 Aprile 1979 nel Duomo di Teramo, desunta dal codice V.E. 361 della Biblioteca Nazionale di Roma, a mano della monaca copista chietina Maria Jacoba Fioria, 1576-1577.

Il genere divenne molto popolare e in poco tempo fiorirono numerose, in tutta la penisola, le laude drammatiche o devozioni e le sacre rappresentazioni[6].

In un primo tempo l'azione drammatica seguì l'impianto architettonico delle chiese, nelle quali l'altare e il presbiterio divennero il palcoscenico, mentre il pubblico seguiva dalle navate. L'afflusso popolare sempre più massiccio costrinse a spostare lo "spettacolo" fuori dall'edificio, sul sagrato. La maggior disponibilità di spazi consentì allora una più ampia libertà di azione, che poteva dunque svolgersi in diversi luoghi e diversi tempi, consentendo la moltiplicazione degli episodi. Sul modello della Via crucis, vennero messi in scena veri e propri cicli composti dalla narrazione di una serie di vicende legate in una unità narrativa (per esempio, gli episodi della nascita di Gesù); i singoli passi si svolgevano davanti ad una apposita struttura di legno, detta mansio, e attori e spettatori passavano da una mansio all'altra.

La molteplicità delle scene sganciò subito la sacra rappresentazione dalle ferree regole aristoteliche del teatro classico, poiché l'evento drammatizzato non rispettava quasi mai le unità della tragedia greca di tempo, di luogo e di azione: al contrario, spesso nelle diverse mansiones si svolgevano varie distinte azioni site in luoghi molto diversi e collocate in tempi a volte distanti anche secoli: la vera unità era costituita dal messaggio biblico (un versetto, un evento o una festa) o dal personaggio (un santo, un profeta) che si voleva spiegare ai fedeli.

Si distinguevano generalmente tre tipi:

  • mistero, quando era una rappresentazione della vita di Gesù;
  • miracolo, se si narrava la vita dei santi o un avvenimento biblico;
  • moralità, quando veniva messa in scena la lotta tra i vizi e le virtù.

Le sacre rappresentazioni, in quanto azioni drammatiche nate dalla liturgia dialogante di natura responsoriale, erano sempre cantate, anche se nei primordi, più che una melodia in senso moderno, si trattò di una recitazione ritmica, di un salmodiare nel quale il testo aveva preponderante importanza. La musica, che risentiva moltissimo delle sue origini liturgiche, non aveva una funzione ornamentale ma serviva a conferire accentuazione e senso di trascendentalità.

Lo sviluppo a Firenze

Ricostruzione del modello dell'ingegno dell'Annunciazione di Filippo Brunelleschi nella Chiesa di san Felice in Piazza per il Concilio di Firenze del 1439, da una mostra del 1975 di Ludovico Zorzi

Il genere acquistò ben presto dignità letteraria nell'ambiente quattrocentesco fiorentino, dove poté collocarsi agevolmente nella cultura della città divisa fra le infuocate prediche di Girolamo Savonarola e lo splendore della corte medicea.

Fu quindi coltivato da poeti e musicisti che scrissero sacre rappresentazioni in onore del santo patrono della città: una delle più antiche risale alla prima metà del XV secolo ed è la Rappresentazione del dì del giudicio, composta a quattro mani da Feo Belcari e Antonio Araldo[7], a cui fecero seguito l'Abramo e Isac ancora di Feo Belcari, rappresentata per la prima volta nel 1449 nella chiesa che allora era dedicata a Santa Maria Maddalena in Cestello, e molte altre. Scrissero sacre rappresentazioni anche Lorenzo de' Medici[8], Antonia e Bernardo Pulci, Castellano Castellani; tuttavia la maggior parte di esse rimase anonima.

Lo schema dell'azione era tipico: essa veniva introdotta da un angelo che annunciava l'argomento ed incitava gli spettatori al raccoglimento e ad un benevolo ascolto (Annunzio); lo stesso angelo al termine accomiatava il pubblico ringraziando per l'attenzione prestata e chiedendo perdono per le imperfezioni (Licenza).

Spesso da un'apertura sotto il palco principale si apriva la bocca dell'Inferno da cui uscivano i diavoli, mentre una tribuna appesa allo sfondo e opportunamente decorata rappresentava il Paradiso.

I testi, scritti soprattutto in ottava rima[9], erano tratti per la maggior parte dalla Bibbia o dalle agiografie, ma includevano talvolta anche scene secolari e persino elementi comici.

Gli attori appartenevano sempre a una confraternita o più raramente a un ordine religioso, spesso dovevano sciogliere un voto, e non ricevevano alcuna paga. Le mansioni di regista, buttafuori, macchinista e suggeritore erano svolte da un'unico confratello che veniva chiamato il festaiolo. La confraternita di solito possedeva abiti di scena, barbe, parrucche, armi e quanto poteva occorrere.

A Firenze fiorirono diverse confraternite o compagnie (come la Compagnia del Vangelista, in onore di San Giovanni evangelista, che fu la più rinomata, ma anche la Compagnia del Nicchio e la Compagnia della Scala) che si occupavano di allestimenti e messe in scena, il cui successo, dato il contenuto religioso e quindi vicino alla Chiesa e al Papa, si diffuse soprattutto negli ambienti guelfi (mentre la poesia cavalleresca, cortese e "profana", era adatta alle corti imperiali e perciò di matrice ghibellina). Della Compagnia del Vangelista fece parte persino Piero[10], figlio di Lorenzo il Magnifico, che celebrò l'avvenimento nel 1491 con la Rappresentazione dei Santi Giovanni e Paolo.

Ludovico Zorzi e Cesare Lisi - Ipotesi di ricostruzione dell'ingegno di Brunelleschi per la sacra rappresentazione dell'Ascensione del XV secolo nella chiesa di Santa Maria del Carmine

Giorgio Vasari[11] nella biografia di Filippo Brunelleschi raccontò come questi inventò anche macchinari di scena che venivano utilizzati nelle rappresentazioni annuali dell'Annunciazione nella Chiesa di san Felice in Piazza e dell'Ascensione nella Chiesa di santa Maria del Carmine; sempre secondo le Vite, nel 1439, in occasione del Concilio di Firenze fra cattolici e ortodossi, venne messa in scena una rappresentazione straordinaria dell'Annunciazione la cui spettacolare scenografia fu curata dal grande architetto: un angelo sospeso sopra gli spettatori attraversò tutta la navata centrale della chiesa, dalla tribuna sopra al portale dove era inscenato Dio nell'Empireo fino a raggiungere l'altare dove Maria attendeva in una cella, e tornando poi indietro con lo scoppio di un fuoco d'artificio che rappresentava lo Spirito Santo[12].

Gli allestimenti ebbero un tale successo da divenire fonte di ispirazione per le commedie allestite nei giardini e nei palazzi delle colte famiglie signorili italiane: i temi religiosi e moraleggianti impregnarono le rielaborazioni dei temi classici in opere come la Favola di Cefalo di Niccolò da Correggio e il Timone di Matteo Maria Boiardo.

La musica

Dal punto di vista musicale si verificò un mutamento significativo, per cui la sacra rappresentazione in alcune parti veniva cantata ma in altre era semplicemente declamata.

La musica, che in origine era composta da canti della chiesa, subì un fenomeno analogo a quello che accadde al linguaggio parlato: come nel latino si era inserito il volgare, così l'aria profana si mescolò al gregoriano. E così mentre i passi liturgici (come il Te Deum) conservavano la propria melodia originale, gli episodi che erano celebrati dalla liturgia popolare avevano un'aria a sé, il più delle volte presa a prestito da canzonette profane.

I versi erano quindi intonati usando formulae melodiche mischiate a laude, frottole, canzoni; inoltre, accanto alle musiche corali apparvero anche i canti sulla lira, meno frequenti ma assai diversi da quelli predominanti in tutta la sacra rappresentazione, in quanto monodici.

Spesso poi le voci dovevano essere accompagnate dagli strumenti, un liuto o una viola, che servivano ai recitanti per prendere la perfetta intonazione.

XVI secolo

Frontespizio de La rapresentatione & festa di Agnolo hebreo del 1554

Nel Cinquecento la sacra rappresentazione divenne un genere sempre più raffinato, con numerosi - a volte numerosissimi[13] - attori[14] laici in costume che interpretavano copioni a scena multipla su palcoscenici con scenari disegnati e in alcuni casi anche elaborati macchinari: un esempio pervenutoci dai paralleli misteri francesi è la miniatura della Passione di Valenciennes del 1547, un faraonico e dispendioso allestimento dove vennero rappresentati simultaneamente Paradiso e Inferno, Nazaret, Gerusalemme (Tempio, Palazzo e Prigione) e mar di Galilea con una piccola nave.

Le rappresentazioni venivano eseguite di solito all'ora del vespro, ma qualche volta erano talmente lunghe che cominciavano la mattina.

Le musiche riecheggiavano il madrigale, nuovo genere assai in voga; i numeri musicali furono concepiti sempre più come unità distinte, sino a diventare intermedi, cioè interludi drammatici con musica eseguiti fra le scene recitate, per dilatare l'azione o enfatizzare un episodio[15].

Ma già alla metà del secolo, a causa dell'infiltrazione sempre più invasiva dell'elemento comico nel tessuto religioso, di passo con l'accresciuta tendenza sensuale licenziosa del Rinascimento e del dilagare dell'umorismo triviale e scurrile, la sacra rappresentazione divenne sempre più scadente.

Divenne sempre più massiccia l'introduzione di elementi del tutto eterogenei che avevano ben poco a che fare col dramma religioso: conciliaboli di malandrini, battibecchi di osti, liti tra mercanti, canzonature di giudici ed ecclesiastici, e tutta una serie di macchiette sgangherate e spesso volgari.

Fu combattuta violentemente dalla Controriforma, che ne stigmatizzò la degenerazione. Alla fine del Cinquecento la cultura alta aveva perso ogni interesse per la sacra rappresentazione, che cadde in disuso nelle città. Tuttavia essa conobbe ancora una nuova fioritura nelle campagne, dove si diffuse ridotta però alla pura azione scenica: alcuni elementi furono ancora rielaborati solo da qualche poeta, come Giovanni Maria Cecchi (Figliuol Prodigo, Esaltazione della Croce, L'acquisto di Giacobbe, Tobia) ed Emilio de' Cavalieri (L'Ascensione del Nostro Salvatore e La rappresentatione di Anima et di Corpo).

Secoli successivi

Con la condanna della Chiesa la sacra rappresentazione rimase un genere di livello popolare, circoscritto ai paesi di campagna (curiosamente, a Vienna nel Seicento il termine sacra rappresentazione era applicato ai sepolcri).

Tuttavia, nonostante i divieti, specie in occasione del Natale e della Pasqua, si continuò per un certo tempo a scrivere e realizzare sacre rappresentazioni. Sono rimasti celebri il Gelindo e La Cantata dei Pastori (il cui titolo originale era Il vero lume tra l’ombre, ovvero la spelonca arricchita per la nascita del Verbo incarnato), scritta nel 1698 da Casimiro Ruggero Ugone, pseudonimo di padre Andrea Perrucci, che inserì nell'operina elementi tipici del teatro popolare e della commedia dell'arte.

La decadenza progressiva fece scemare sempre più la composizione di nuove rappresentazioni, ed impoverì anche gli allestimenti, spesso ridotti a scene mute realizzate con pupazzi o marionette.

Nella piazza san Giacomo di Velletri, nel XV secolo, era stato costruito un monumentale "teatro di ordine corinzio", consistente in un basamento con quattro porte e al di sopra cinque edicole di grandezze diverse: al centro un grande arco absidato e agli estremi due archi monumentali con colonne, fregi e timpani; il tutto raccordato da un muro su cui si aprivano altri archi più piccoli. La notizia ci è pervenuta da un'incisione del 1780 del cardinale Stefano Borgia, il quale fece indicare nella didascalia che si trattava di un teatro eretto per la rappresentazione della Passione nella Settimana Santa e che l'impianto era stato distrutto nel 1765 per fare posto ad un granaio[16].

Nel Sette-Ottocento non si hanno quasi notizie: ma a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo e soprattutto nel Novecento gli studi filologici e storico-letterari hanno rivalutato e approfondito questo particolare genere drammatico.

Attualmente sono numerose le riprese delle antiche tradizioni, con la riedizione di molte sacre rappresentazioni presso santuari e chiese nelle diverse occasioni liturgiche.

Note
  1. Dalla parola greca λειτουργία, leitourghía
  2. Questa fu probabilmente la più antica forma di liturgia drammatizzata: infatti, fin dal II secolo, con papa Alessandro I, la lettura del racconto della Passione avveniva mediante la partecipazione di un coro, di un lettore e di un interprete di Cristo.
  3. Ma vedi in proposito la diversa opinione di Paola Ventrone, che slega la sacra rappresentazione dalla lauda, e la considera un "(...) genere drammaturgico dalla finalità pedagogica, inizialmente inventato per servire alla edificazione di fanciulli riuniti in compagnie devozionali specificamente create per la loro educazione morale, e in seguito immesso anche in altri contesti di spettacolo.": Paola Ventrone, op.cit., 2006, pag. 3.
  4. Per gli stretti rapporti fra predicazione e sacra rappresentazione vedi l'approfondita disamina di Paola Ventrone, op.cit., 2006, pagg. 6-16
  5. Rimane il dubbio se si sia trattato di un Officium stellae o Pastorum.
  6. Secondo alcuni studiosi non è netta la distinzione fra sacra rappresentazione e lauda drammatica: infatti molte laude (come la famosa Pianto de la Madonna de la passione di Nostro Signore Jesù Cristo di Jacopone da Todi) avevano già tutti gli elementi di un complesso spettacolo e avevano bisogno di una notevole quantità di scenari, costumi e suppellettili varie. Vedi Gabriele Tardio, op.cit., 2003.
  7. Messer Antonio Araldo è citato come autore o realizzatore di questa sacra rappresentazione in Le rappresentazioni di Feo Belcari : ed altre di lui poesie ; edite ed inedite, citate come testo di lingua nel vocabolario degli Accademici della Crusca edito a Firenze nel 1833 online
  8. Lorenzo di Piero de' Medici, detto Lorenzo il Magnifico (Firenze, 1º gennaio 1449 – Firenze, 9 aprile 1492), signore di Firenze dal 1469 alla morte, fu scrittore, poeta e mecenate.
  9. L'ottava rima è il metro usato nei cantari trecenteschi e nei poemetti del Boccaccio, diventato in seguito la misura metrica di poeti popolari e colti fino a sostituire la terzina dantesca.
  10. Piero di Lorenzo de' Medici, detto il Fatuo o lo Sfortunato (Firenze, 15 febbraio 1472 – Garigliano, 28 dicembre 1503), figlio primogenito di Lorenzo de' Medici e Clarice Orsini, fu un politico e militare.
  11. Giorgio Vasari (Arezzo, 30 luglio 1511 – Firenze, 27 giugno 1574), pittore, architetto e storico dell'arte, scrisse il trattato Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri, pubblicato nel 1550 e riedito con aggiunte nel 1568.
  12. Elena Capretti, op.cit., 2003.
  13. Negli allestimenti per le feste maggiori si arrivò a circa 150 attori che impersonavano 3-400 personaggi diversi.
  14. Si trattava di attori maschi: alle donne era proibito recitare in pubblico e le parti femminili venivano interpretate da ragazzi.
  15. La sacra rappresentazione viene generalmente considerata l'antenato sia dell'oratorio che dell'opera. Verso la fine del XV secolo Angelo Poliziano, sul tipo della sacra rappresentazione, aveva composto l'Orfeo, che costituisce il primo dramma profano in volgare.
  16. Marco Nocca, op.cit., 1989.
Bibliografia
  • Giorgio Vasari, Le Vite Di Filippo Brunelleschi: Scultore Ed Architetto Fiorentino, N. e M. Pagliarini, 1759, ristampa Nabu Press, 2012 online
  • Alessandro D'Ancona, Sacre rappresentazioni dei secoli XIV, XV e XVI, Le Monnier, 1872 online
  • Bianca Becherini, La musica nelle sacre rappresentazioni fiorentine, Riv.mus.ital., LIII, 1951, pp. 193-241
  • Italo De Bernardi, Disegno storico della letteratura italiana, SEI, 1974
  • (EN) Howard E. Smither, Voce Rappresentazione sacra in Stanley Sadie (a cura di), The New Grove Dictionary of Music and Musicians, Macmillan, Washington, 1980
  • Marco Nocca, Sacra Rappresentazione e teatro classico a Velletri nel Rinascimento, in Teatro e Storia, Il Mulino, aprile 1989
  • Paola Ventrone, La sacra rappresentazione fiorentina, ovvero la predicazione in forma di teatro, Firenze, 2003 online
  • Elena Capretti, Brunelleschi - Vita d'artista, Giunti Editore, 2003
  • Gabriele Tardio, Le antiche rappresentazioni sacre a San Marco in Lamis, Smil, 2003
  • Nazzareno L. Todarello, Le arti della scena. Lo spettacolo in Occidente da Eschilo al trionfo dell'opera., Latorre Editore, 2006
  • (EN) Voce Sacra rappresentazione in Enciclopedia britannica online
  • Voce Sacra rappresentazione nell'Enciclopedia Treccani online
Voci correlate
Collegamenti esterni