Abbazia di San Salvatore in Valdicastro (Fabriano)
Abbazia di San Salvatore in Valdicastro | |
Abbazia di San Salvatore in Valdicastro, complesso monastico | |
Stato | Italia |
---|---|
Regione | Marche |
Regione ecclesiastica |
Regione ecclesiastica Marche |
Provincia | Ancona |
Comune | Fabriano |
Località | Valdicastro |
Diocesi | Fabriano-Matelica |
Religione | Cattolica |
Indirizzo |
Fraz. Poggio San Romualdo Loc. Valdicastro, 31 60044 Fabriano (AN) |
Telefono |
+39 0732 74017 +39 0732 74326 |
Fax | +39 0732 749014 |
Posta elettronica | agriturismo@valdicastro.it |
Sito web | Sito ufficiale |
Proprietà | proprietà privata, cooperativa Agricola "San Romualdo" |
Oggetto tipo | Abbazia |
Oggetto qualificazione | camaldolese |
Dedicazione | Gesù Cristo |
Sigla Ordine qualificante | O.S.B. Cam. |
Sigla Ordine reggente | O.S.B. Cam. |
Fondatore | San Romualdo |
Data fondazione | 1005 |
Stile architettonico | Romanico e gotico |
Inizio della costruzione | XI secolo |
Soppressione | 1810 |
Materiali | pietra calcarea |
Altitudine | 930 m s.l.m. |
Note | L'abbazia è stata trasformata in agriturismo. |
Coordinate geografiche | |
Marche | |
L'Abbazia di San Salvatore in Valdicastro è un complesso monumentale, che ospitò un monastero camaldolese, situato in una valle posta ad oriente del comune di Fabriano (Ancona).
Storia
Origini e fondatore
L’abbazia venne fondata da san Romualdo, come si legge nella Vita del santo scritta da san Pier Damiani negli anni 1042-1043:
« | Nel frattempo Romualdo, sentendo che il beatissimo Bonifacio aveva subìto il martirio, ardentemente acceso dal desiderio di spargere il suo sangue per Cristo, dispose di andare subito in Ungheria. Sempre restando fermo su questa intenzione, costruì in breve tempo tre monasteri: cioè uno in Val di Castro, dove ora è sepolto il suo santissimo corpo, un altro presso il fiume Esino, un terzo che costruì presso la città di Ascoli. » | |
(San Pier Damiani, Vita beati Romualdi, cap. 39)
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La data di fondazione del monastero è da collocarsi, pertanto, tra il 1009, anno della morte di san Bruno di Querfurt (detto anche san Brunone Bonifacio), discepolo di san Romualdo, e il 1010, anno della partenza del santo ravennate per la missione in Ungheria. Tuttavia già intorno al 1005, il Santo, giunto nella zona di Camerino, aveva costruito a Valdicastro un piccolo eremo sulle terre donategli da feudatari locali.
A Valdicastro, san Romualdo soggiorna altre due volte: la prima verso il 1012, allorché trova che l'abate, contravvenendo alle sue indicazioni aveva lasciato l'eremo; la seconda quando il Santo vi ritorna poco prima di morire, e proprio in questo cenobio si spegnerà il 19 giugno 1027; verrà sepolto nella chiesa del monastero sotto l'altare maggiore.
Sviluppo e affermazione sul territorio
In breve tempo, l'abbazia diventa un importante centro di spiritualità e, con il sostegno dei feudatari locali, raggiunge una notevole prosperità economica, estendendo la propria giurisdizione su numerosi castelli, ville e chiese del territorio fabrianese.
Nel XIII secolo la posizione egemonica e la potenza politico-economica dell'abbazia inizia, tuttavia, ad essere contrastata dai progetti espansionistici del comune di Fabriano, al quale nel 1218 i monaci di Valdicastro sono costretti a cedere i castelli di Cerreto e di Albacina.
Secondo una bolla di Urbano IV del 1262, l'abbazia aveva, comunque, competenza su 47 chiese nel territorio fabrianese ed estendeva le sue molteplici proprietà nelle diocesi di Camerino, Recanati, Osimo, Fermo, Senigallia, Nocera, Gubbio, Perugia e Spoleto. I rettori o cappellani, nominati dall'abate di Valdicastro, erano tenuti a corrispondere annualmente al monastero nella festa di san Romualdo (19 giugno) un tributo in denaro o in natura: ducati, soldi d'argento, focacce, porchette, capretti, olio, grano, spalle di porco e polli. Nel medesimo anno (1262), vengono compiuti importanti lavori di ristrutturazione e di ampliamento, soprattutto nella chiesa abbaziale, sotto il governo dell'abate Marino, come testimonia la lunga iscrizione posta sull'arco trionfale.
Dai documenti a noi pervenuti incisiva risulta la presenza di Valdicastro nella vita ecclesiastica fabrianese, soprattutto nella prima metà del XIV secolo. Nel 1320, ad esempio, il comune di Fabriano venne colpito da un interdetto per aver tenuto una posizione di neutralità nei confronti della lega ghibellina capeggiata da Federico di Montefeltro, che tentava di sottrarre le Marche al controllo della Sede Apostolica. Fra i colpiti dal provvedimento c'era anche l'abate di Valdicastro, che al pari degli altri ecclesiastici ottenne il condono dal rettore Amelio di Lautrec nel 1322. Nel 1328, durante l'ultimo grande conflitto tra papato e impero, l'abate Ermanno, a differenza di altri ecclesiastici del contado, si schierava, insieme con Matteo da Esanatoglia, priore generale di Montefano, a favore di Giovanni XXII. L'antipapa Niccolò V, eletto dall'imperatore Lodovico il Bavaro in opposizione al legittimo pontefice, nella bolla, emanata da Viterbo, il 5 novembre 1328, con la quale elevava la ghibellina Fabriano a sede vescovile, deponeva l'abate Ermanno per essere rimasto fedele al pontefice, assegnando al nuovo vescovado tutti i beni di Valdicastro e di Montefano. Due giorni dopo l'antipapa nominò come primo vescovo di Fabriano Morico, abate di S. Biagio in Caprile, conferendogli anche il titolo di Valdicastro e di priore generale dei Silvestrini.
Decadenza e soppressione
Le tormentate vicende politiche locali della seconda metà del XIV secolo (lotte interne al comune di Fabriano), la peste nera del 1348, le calamità naturali (epidemie, carestie, terremoti, ecc.), la crisi nell'agricoltura, l'isolamento e la mancanza di monaci provocarono la decadenza dell'abbazia.
Nel 1394 il cenobio, ormai fatiscente, privo di monaci e divenuto ricovero per animali, venne ridotto da Bonifacio IX a priorato e incorporato con tutti i beni all'Eremo di Camaldoli. Nel 1397 lo stesso pontefice riconfermava l'unione, ordinando comunque di restaurare Valdicastro e di insediarvi una comunità religiosa; decretava, inoltre, che il procuratore generale dei camaldolesi, restasse superiore di Valdicastro con il titolo di abate e che i monaci assumessero l'abito e le consuetudini della Congregazione Camaldolese. In questo frangente i beni di Valdicastro sempre più frequentemente vengono usurpati o illegittimamente alienati da chierici e laici, non essendo più in grado la sparuta comunità monastica di far valere i propri diritti di proprietà sull'esteso patrimonio terriero.
Nel 1406 Innocenzo VII incaricò l'abate di S. Croce dei Conti di ricuperare i possedimenti di Valdicastro "illecitamente alienati", ma ormai il monastero sempre più soggetto ad incursioni e devastazioni, venne abbandonato a più riprese dai religiosi. Nel 1427, l'abate Eustachio e Anselmo, abate di S. Biagio in Fabriano (in precedenza monaco silvestrino), costatando che le proprie comunità versavano in condizioni di estrema povertà a causa dei conflitti e delle frequenti incursioni di briganti, chiesero con una supplica a papa Martino V di unire i propri monasteri e far traferire i monaci della oramai fatiscente Abbazia di San Salvatore, all'interno delle mura sicure di Fabriano, nel cenobio di San Biagio, i cui religiosi a loro volta non riuscivano più a provvedere da soli alle proprie esigenze. Il pontefice accolse la richiesta: S. Biagio venne incorporato a Valdicastro, il cui abate Eustachio, dopo la morte di Anselmo, sarebbe divenuto unico superiore dei due cenobi; i monaci del monastero urbano, governati da un priore claustrale nominato dall'abate di Valdicastro, avrebbero dovuto rivestire l'abito monastico e conformarsi alle consuetudini della Congregazione Camaldolese.
Nel 1475 Sisto IV concesse l'abbazia in commenda al nipote, il cardinale Giuliano della Rovere (futuro Giulio II) e l'anno successivo, in seguito alla sua rinuncia, gli succedette Giacomo Minutoli, vescovo di Nocera Umbra.
Nel 1481 il corpo di san Romualdo fu traslato nella chiesa di S. Biagio a Fabriano, dove tuttora è conservato.
Valdicastro rimase in commenda fino al 1511, quando il cardinale Francesco Soderini restituisce l'abbazia ai camaldolesi.
Nel 1652, in seguito alla soppressione disposta da papa Innocenzo X, il cenobio è ridotto a fattoria. I monaci, tuttavia, continueranno ad officiare la chiesa.
Il terremoto del 1741 provocò gravi danni al complesso monastico e la caduta di parte della chiesa, che fu restaurata verso la fine del XVIII secolo.
Nel 1810, con la soppressione napoleonica, il monastero fu chiuso e i beni assegnati in appannaggio al viceré Eugenio Beauharnais; dopo la restaurazione passò in mano a privati, come è tuttora.
Nel 2006, dopo un lungo e articolato lavoro di restauro seguito al sisma del 1997, durato circa venti anni, il complesso è stato riportato al suo antico splendore e trasformato dagli attuali proprietari in azienda agrituristica.
Descrizione
Il complesso monastico, inizialmente costituito da due corpi di fabbrica ortogonali, assunse alla metà del XIV secolo l'aspetto di un'abbazia-fortezza, grazie all'aggiunta delle torri angolari.
Chiesa
La chiesa, probabilmente rimaneggiata nel corso del XIV e XV secolo, anche se più corta dell'originale per la perdita delle prime tre campate della navata crollate con il violento terremoto del 1741, presenta ancora oggi la grandiosità della struttura originaria progettata nel 1262 da un tale maestro Tebaldo (come documentato nell'iscrizione dell'arco trionfale), secondo le linee dell'architettura gotica, ma con un originalità planimetrica che non trova riscontri nelle Marche centrali.
Esterno
La facciata odierna, costruita nel 1799, si presenta a semplice a capanna, aperta da un oculo, una monofora e un unico portale. Il tetto è sormontato da un piccolo campanile a vela.
Interno
L'interno, a pianta a croce commissa con transetto triabsidato, si articola in tre campate e presenta sotto il transetto la cripta.
All'interno si conservano di particolare interesse storico-artistico:
- sotto la mensa dell'altare maggiore, Sarcofago romano (III secolo d.C.), dove per oltre quattro secoli furono custodite le spoglie di san Romualdo.
- alla parete sinistra, si notano interessanti dipinti murali, ad affresco, di ambito marchigiano, raffiguranti:
- a sinistra, dipinti murali frutto della sovrapposizione di tre diversi strati di intonaco, eseguiti in tempi diversi:
- in alto, Madonna con Gesù Bambino in trono, un angelo reggicortina e un santo (XIV secolo), opera di ambito fabrianese.
- al centro, Sant'Apollinare e Sant'Apollinare appare a san Romualdo e ad un converso (prima metà del XIV secolo), opera di ambito fabrianese;[1][2]
- in basso, San Romualdo in cattedra, Madonna e san Cristoforo (ultimo quarto del XIV secolo), attribuiti al cosiddetto Maestro di Esanatoglia: la figura del Santo camaldolese è tagliata dal pilastro aggiunto al momento della ricostruzione della facciata nel 1799;
- a destra, San Cristoforo tra san Romualdo e san Bartolomeo con committente inginocchiato (ultimo quarto del XIV secolo), attribuito al cosiddetto Maestro di Esanatoglia.
- a sinistra, dipinti murali frutto della sovrapposizione di tre diversi strati di intonaco, eseguiti in tempi diversi:
- parete di fondo del transetto sinistro, dipinto murale, ancora parzialmente coperto dall'intonaco, raffigurante San Giacomo Maggiore (o San Rocco) e San Romualdo (terzo quarto del XV secolo), affresco, attribuito ad Antonio da Fabriano.
Cripta
La cripta, che conserva quasi sicuramente le sue forme originarie ed è accessibile da una scala posta sul lato destro della chiesa, è divisa in tre navate, di cui quella centrale terminante in un'absidiola, e coperta da volte a botte.
Monastero
Il monastero, a destra della chiesa, costruito in pietra calcarea, si articola attorno ad un chiostro quadrangolare, circondato da un portico con basse volte a crociera poggianti su pilastri, intono al quale gravitavano gli ambienti destinati alla vita monastica, alcuni dei quali conservano ancora inalterate le strutture del XIII secolo. Di particolare interesse:
- Sala capitolare, alla quale si accede dal transetto destro della chiesa, presenta tre navate coperte da sei volte a crociera, poggianti su colonne poligonali, i cui capitelli, tipicamente romanici, sono decorati da elementi fitomorfi e zoomorfi, e sono datati tra l'XI e il XII secolo.
- Dormitorio con le celle dei monaci, tra cui anche quella di san Romualdo. Durante gli ultimi lavori di restauro del cenobio è stata ritrovata, nel corridoio e in quattro celle, sotto lo strato di scialbatura, una serie di cinque interessanti dipinti murali del secondo quarto del XV secolo, attribuiti al Maestro di Staffolo, raffiguranti:
- Gesù Cristo in pietà: le immagini sono praticamente identiche, si differenziano solo per alcuni piccoli particolari nel modo di dipingere i capelli, ora raccolti, come nella figura della seconda cella a partire dal fondo del corridoio, ora lasciati cadere sulle spalle con effetto più naturale, come nella quarta.
Note | ||||
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Bibliografia | ||||
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Voci correlate | ||||
Collegamenti esterni | ||||
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