Sant'Eusebio di Vercelli
Sant'Eusebio di Vercelli Vescovo | |
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Santo | |
Sant'Eusebio di Vercelli | |
Età alla morte | circa 88 anni |
Nascita | Sardegna 283 ca. |
Morte | Vercelli 1º agosto 371 |
Consacrazione vescovile | Roma, 15 dicembre 345 da Giulio I |
Incarichi ricoperti | Vescovo di Vercelli |
Venerato da | Chiesa cattolica |
Ricorrenza | 2 agosto |
Attributi | Baculo pastorale, mitria, libro |
Collegamenti esterni | |
Scheda su santiebeati.it |
Nel Martirologio Romano, 2 agosto, n. 1:
1º agosto, n. 5, ricorrenza secondaria:
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Sant'Eusebio di Vercelli (Sardegna, 283 ca.; † Vercelli, 1º agosto 371) è stato un vescovo italiano. Durante gli studi ecclesiastici a Roma si fece apprezzare da Papa Giulio I che lo nominò vescovo di Vercelli. I vercellesi vennero conquistati dalla sua arte oratoria: parlava bene ed esprimeva ciò che sentiva dentro. Si attirò così l'ostilità degli ariani e dello stesso imperatore Costanzo che lo mandò in esilio. Nel 362 ebbe finalmente la possibilità di ritornare a Vercelli dove riprese l'evangelizzazione istituendo la diocesi di Tortona. La tradizione lo considera anche fondatore di due noti santuari: quello di Oropa e di Crea [1].
Biografia
Infanzia e formazione
La tradizione lo vuole nativo della Sardegna. Non si hanno informazioni sulla sua famiglia, che si suppone fosse benestante dato che da giovane Eusebio poté viaggiare.
Ignoriamo quale motivo l'abbia indotto a stabilirsi a Roma. Sotto il pontificato di Papa Giulio I fu ordinato Lettore, fu collega del futuro Papa Liberio nel compito di leggere dall'ambone durante le adunanze liturgiche.
Finché rimase a Roma, unendo l'austerità ascetica al servizio ecclesiastico, Eusebio non ricevette altri sacri ordini. Probabilmente conobbe l'esule alessandrino sant'Atanasio, vescovo di Alessandria d'Egitto, rifugiatosi a Roma dal 339 al 342 in seguito alle violente persecuzioni degli ariani, protetti dall'imperatore d'Oriente, Costanzo, e dalla viva voce del santo poté apprendere la storia dei monaci della Tebaide.
Creazione della diocesi di Vercelli
A quei tempi in Piemonte esistevano fiorenti ma isolate comunità cristiane, che vivevano in mezzo alla popolazione pagana delle campagne e dei monti. Per coordinare quei centri di credenti e convertire al Vangelo la vasta regione, nella primavera del 342, a Milano, san Protasio, vescovo della città, e i messi di papa Giulio I proposero a Costante, imperatore d'Occidente, la creazione di un vescovado a Vercelli.
Con i messi pontifici mandati prima a Milano e poi a Vercelli a trattare l'erezione della nuova diocesi, Giulio I aveva inviato da Roma anche il lettore Eusebio, forse con la segreta speranza che l'esemplare uomo di Dio venisse eletto a quella sede.
Effettivamente, benché d'origine straniera e sconosciuto da tutti, la comunità di Vercelli rimase soggiogata dall'ascetica figura di lui e subito, per acclamazione, lo preferì ai propri concittadini [2].
Eusebio fu consacrato a Roma dallo stesso sommo pontefice. La sua diocesi abbracciava un vastissimo territorio che si estendeva dalle Alpi fino ai territori delle diocesi di Milano e Pavia, in cui prevaleva nella popolazione il politeismo romano e il culto degli antichi celti.
Poiché l'imperatore d'Occidente Costante, di fede cattolica, contrariamente al fratello Costanzo, non ingerì negli affari interni della Chiesa, lo zelante pastore poté procedere ad una razionale organizzazione del suo territorio istituendo le "pievi" o "plebi", vere chiese madri, dirette da ecclesiastici qualificati, con il compito di estendere progressivamente la loro azione di evangelizzazione sui villaggi circostanti rimasti pagani [2].
Secondo Ludovico Antonio Muratori fu questo vescovo per primo a gettare le basi del sacro istituto dei canonici. Eusebio, racconta lo storico, condivideva la sua dimora e la sua mensa con il clero della città. La vita comunitaria dei chierici era retta da una regola, redatta dal santo, volta ad uniformare la vita dei religiosi simile a quella delle comunità monastiche[3].
Predicatore
Eusebio vi predicò un po' ovunque. Di lui scrisse san Massimo di Torino:
« | Con l'arte dell'angelica bocca restituì la vista spirituale ai ciechi erranti, l'udito agl'incapaci di udire la voce di Dio, la santità alle anime ferite dal peccato, la vita agli spiriti morti per i loro delitti; dai cuori occupati dall'iniquità fugò la lussuria, depresse l'ira, estinse l'invidia. Egli coltivò e formò le coscienze con tale alacrità e perseveranza che non se ne può parlare che in modo degno e conveniente. » |
La lotta contro le eresie
Oltre che il paganesimo, il primo vescovo di Vercelli dovette combattere, al tempo di Papa Liberio, succeduto nel 352 a Giulio I, anche l'eresia di Ario. Alle teorie di Ario, solennemente condannate nel concilio ecumenico di Nicea del 325, si era opposto con tutte le forze sant'Atanasio.
Alla morte di Costantino il Grande i suoi figli Costante e Costanze avevano assunto atteggiamenti opposti nei riguardi di quest'eresia. Appena Costanzo, alla morte del fratello nel 350, rimase unico capo dell'impero, volle imporre con la forza l'arianesimo anche all'Occidente[2].
Nel Concilio di Arles del 353, in Galia, tutti i vescovi presenti, fatta eccezione di san Paolino di Treviri, e persino i legati pontifici, firmarono i decreti di condanna di Atanasio, intimoriti dalla presenza dell'imperatore. Papa Liberio, indignato di quel risultato, supplicò Eusebio di interporre i suoi buoni uffici col focoso san Lucifero di Cagliari e i legati romani presso l'imperatore, di stanza a Milano, perché fosse convocato un nuovo concilio in cui le questioni concernenti la fede e le persone dei vescovi fossero trattate con maggiore libertà e regolarità.
Il concilio si tenne a Milano nel 355, ma Eusebio, temendo un duplicato degli avvenimenti di Arles, non intervenne. Oltre che i legati pontifici e i capi del concilio, lo stesso imperatore lo invitò a prendervi parte d'urgenza, mostrando così quale importanza annetteva alla sua adesione. Il santo gli rispose che avrebbe ubbidito ai suoi ordini, ma promise che avrebbe fatto tutto quello che gli sarebbe parso giusto e gradito al Signore.
A Milano ricevette l'intimazione di firmare il decreto di condanna di Atanasio assente. Eusebio promise che avrebbe fatto tutto quello che i capi del concilio gli avrebbero chiesto se prima i vescovi, presenti in quella chiesa, avessero firmato la formula di fede nicena. Gli ariani, furenti, si opposero alla proposta di lui, e tra il tumulto dei fedeli indignati sospesero la sessione.
Quando i vescovi tornarono a riunirsi, ricevettero l'ordine di recarsi nel palazzo reale, dove la loro assemblea fu presieduta dall'imperatore in persona. Dovendo scegliere tra la condanna di Atanasio e l'esilio, i membri del concilio uno dopo l'altro chinarono la testa, fatta eccezione di Eusebio di Vercelli, Dionigi di Milano, Lucifero di Cagliari e i due legati papali i quali furono esiliati all'istante[2].
Il trasferimento a Scitopoli e la persecuzione
Eusebio, con alcuni alunni suoi discepoli, fu relegato a Scitopoli, nella Decapoli (attuale Palestina), sede del vescovo Patrofìlo, uno dei primi e accaniti ariani. In principio trovò ospitalità presso un giudeo convertito, Giuseppe, che da Costantino aveva ricevuto il titolo di conte.
Quando Patrofilo ritornò dal concilio milanese gli fu imposto di trasferirsi in un'altra casa. Fu indurlo in tutti i modi ad aderire alla fede ariana.
Fallite le minacce si ricorse alla persecuzione facendolo rinchiudere più volte in una cella e lasciandovelo per diversi giorni senza cibo e acqua. In seguito fu trascinarono fuori della dimora e dopo essere stato percosso a sangue fu abbandonarono seminudo e quasi esanime per terra. Alle sofferenze del corpo si aggiunsero quelle dello spirito. Per lungo tempo infatti ignorò le sorti della Chiesa che aveva dovuto abbandonare. In seguito giunsero a Scitopoli il diacono Siro e l'esorcista Vittorino a rassicurarlo che a Vercelli non si era insediato nessun vescovo ariano, e che il clero ed il popolo gli erano rimasti fedeli. Quando Siro ripartì, Eusebio gli consegnò una lettera di esortazione al clero e al popolo di Vercelli, Novara, Ivrea e Tortona a perseverare sul retto cammino[2].
Il trasferimento in Cappadocia
Verso il 360, forse in seguito alla morte di Patrofilo, l'intrepido difensore della fede fu trasferito in una imprecisata città della Cappadocia, nell'Asia Minore. Ma dopo poco tempo egli dovette rimettersi in cammino per la Tebaide, ai confini dell'alto Egitto. Di là egli scrisse a Gregorio, vescovo di Elvira, per felicitarlo del fermo atteggiamento contro Osio di Cordova, il quale, già vecchio, si era lasciato indurre ad aderire all'eresia ariana. Per conto suo egli affermava:
« | Desideriamo perdurare nelle sofferenze affinché possiamo essere glorificati nel regno celeste. » |
Ma esse non durarono più a lungo perché nel novembre del 361 morì in Cilicia l'imperatore Costanzo II e suo cugino, Giuliano l'apostata, che gli successe, per motivi politici permise che tutti i vescovi esiliati ritornassero alle loro sedi.
Il concilio di Alessandria
Atanasio approfittò subito della favorevole misura per convocare nel 362 un concilio ad Alessandria e così guarire le ferite inferte alla Chiesa[2].
Furano invitati a prendervi parte, oltre ai vescovi dell'Egitto, anche parecchi stranieri esuli in quel momento in Egitto. Eusebio, insieme con Atanasio e sant'Astero di Perca, vi esercitò una parte preponderante nel riconfermare la fede nicena e nel disporre che gli erranti fossero sottoposti alla penitenza canonica. Dovunque passò, da Antiochia all'Asia Minore, alla Tracia, all'Illirico, all'Italia, Eusebio pubblicò le decisioni di quel concilio, e lavorò a ristabilire la pace e la fede nelle cristianità incontrate sul suo cammino.
Il ritorno
Ripreso il governo della sua vastissima diocesi, il santo continuò a combattere gli ultimi resti dell'arianesimo. Alcuni anni dopo il ritorno, egli si unì a sant'Ilario di Poitiers nella lotta contro Ausenzio, vescovo ariano di Milano. Essendo protetto dall'imperatore Valentiniano I, benché aderente personalmente all'ortodossia, dovettero desistere finché alla sua morte fu eletto Ambrogio.
La tradizione vuole che Eusebio dall'oriente abbia portato con sé il Simulacro della Madonna nera di Oropa, che raffigura il mistero della Purificazione di Maria e della Presentazione di Gesù al Tempio. Per vincere in quella valle i resti del paganesimo, per sostituire al culto delle deità femminili, residenti secondo le credenze celtiche nei massi erratici, il culto della Madre di Dio, Eusebio avrebbe fatto deporre il venerato simulacro sotto uno di quei massi, i cosiddetti Roc della vita, che ancor oggi porta scolpita la data 369 con molte rozze croci.
In seguito Eusebio sistemò definitivamente la statua della Madonna nell'attuale sacello, costruito presso altri massi, segnati anch'essi d'antiche rozze croci, dai pellegrini dei tempi andati. A custodia del sacello, presso il quale amava ritirarsi in solitudine e in preghiera, a istruzione e assistenza dei pellegrini, dei pastori e dei viandanti, egli lasciò alcuni discepoli.
Il ritiro di Oropa diede origine a due diverse residenze eremitiche sotto la giurisdizione religiosa della pieve di Santo Stefano di Biella. Verso la metà del XV secolo essi scomparvero, e allora Papa Pio II affidò il Santuario ai canonici[2].
Eusebio morì a Vercelli nel 371.
Opere
Vengono ascritte al vescovo tre brevi lettere (Migne, Pat.Lat., XII, 947-54 e X, 713-14). San Girolamo parla di una sua traduzione dal greco in latino di un commentario dei Salmi, opera che non ci è pervenuta. Nella cattedrale di Vercelli è tuttora conservato un manoscritto dei vangeli Vetus latina che la tradizione vuole sia stato scritto sotto la direzione del santo.
Culto
La Chiesa cattolica ne celebrava la memoria liturgica il 16 dicembre ma papa Paolo VI, nel 1969, spostò la sua commemorazione al 2 agosto (memoria facoltativa).
Sant'Eusebio è il patrono principale della regione ecclesiastica Piemonte, in cui viene celebrato il 1º agosto.
Note | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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