Leonidas Proaño

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Leonidas Proaño
Vescovo
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Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte 78 anni
Nascita San Antonio de Ibarra
29 gennaio 1910
Morte Quito
31 agosto 1988
Sepoltura
Appartenenza diocesi di Ibarra
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Professione religiosa [[{{{aPR}}}]]
Ordinato diacono
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Ordinazione presbiterale 4 giugno 1936
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Nominato vescovo 18 marzo 1954 da Pio XII
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Consacrazione vescovile Ibarra, 26 maggio 1954 da Opilio Rossi
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Emblem of the Papacy SE.svg Informazioni sul papato
° vescovo di Roma
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Devozioni particolari {{{devozioni}}}
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Nomi postumi
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Leonidas Proaño (San Antonio de Ibarra, 29 gennaio 1910; † Quito, 31 agosto 1988) è stato un vescovo ecuadoriano.

Esponente della Teologia della liberazione, si impegnò nella sua diocesi per lo sviluppo della giustizia sociale. Lavorò soprattutto per i diritti dei popoli indigeni e per il loro accesso alla vita pubblica e politica; per questo suo ministero fu chiamato "il vescovo degli indios" i quali lo chiamavano affettuosamente Taita, che il lingua kiwchua significa papà.

Biografia

Il Vescovo degli Indios
Taita Leonidas con un gruppo di Indios

Alcuni mesi dopo l'ingresso a Riobamba, il professor Roberto Morales Almeida, vecchio insegnante di Proaño a Ibarra, gli scrisse spronandolo a pubblicare una lettera pastorale sugli indios. La risposta di Proaño, datata 10 ottobre 1954, fu questa:

« Lei mi chiede quando scriverò una lettera pastorale sugli indios? Quando potrò concretizzare un obiettivo e trasformare in opere i miei sogni. Non voglio semplicemente aumentare la letteratura sull'indio. A che pro? Quando potrò dire: "Faremo questo in loro favore", allora scriverò. Credo però che questo giorno tarderà, perché il problema dell'indio è complesso e formidabile e non c'è modo di dargli soluzioni parziali, né io lo voglio. Se ci lamentiamo della situazione dell'indio in altre province, che dire della sua situazione nel Chimborazo? È da piangere. Vestono di nero o di grigio. Non portano i colori vivaci degli indios di Imbabura. Hanno un aspetto sudicio, ripugnante. Non si lavano mai. Con i capelli tutti arruffati davanti alla faccia, non gli resta neppure mezzo dito di fronte. Mi creda: molte volte non ho neppure dove fare l'unzione in occasione delle cresime. Neri e cariati i denti. La loro voce sembra un lamento. Hanno uno sguardo da cani maltrattati. Vivono - Signore, come vivono! - in capanne della grandezza di una tenda da campeggio, o come topi, in buche scavate nella terra. Sfruttati senza misericordia dai grandi milionari della provincia che, dopo aver venduto i loro raccolti, se la svignano a Quito, a Guayaquil, nelle grandi città dell'America o dell'Europa, a buttare via il denaro spremuto da questo miserabile straccio che è l'indio del Chimborazo. Quando vedo questo, mi sento un peso sul cuore e intuisco l'opera formidabile che è il problema della sua redenzione.

(...) Io vorrei dare all'indio coscienza della sua personalità umana, terre, libertà, cultura, religione... Come ottenere tutto questo? Quando ci penso, mi si crea il buio nella testa. Ma non voglio perdermi d'animo. »

(Mons. Leonidas Proaño, La revolución del poncho[1])
I frutti del Concilio
Monsignor Proaño con Giovanni Paolo II nel 1985

In una lettera del 13 giugno 1966, indirizzata all'indomani del Concilio Vaticano II al clero di Riobamba, Proaño illustrò il progetto di riorganizzazione della diocesi con queste parole:

« Finora le mete del nostro ministero sacerdotale sono state principalmente la sacramentalizzazione; la conservazione di gruppi minuscoli e chiusi, di pie congregazioni marcate da devozionalismo e da una spiritualità individualista; il centralismo burocratico degli uffici. D'ora in poi, le mete pastorali saranno: prima di sacramentalizzare, evangelizzare; andare alla ricerca delle novantanove pecore smarrite, senza tralasciare l'unica rimasta nell'ovile; formare e educare le comunità cristiane, lì dove esistono comunità naturali e dove possano nascerne, in modo da organizzare la comunità parrocchiale in maniera vitale. Finora, i metodi di lavoro sono stati: chiamare e aspettare che la gente arrivi; minacciare coloro che non vengono e insistere su una pastorale del mero assolvimento del precetto domenicale, del precetto pasquale, del prendere i sacramenti; favorire una sorta di speranza da lotteria, inculcando l'azzardato desiderio di ottenere una buona morte, al posto della ferma volontà di conquistare ogni giorno una buona vita. D'ora in avanti, senza smettere di chiamare, dobbiamo uscire e andare a incontrare gli uomini là dove essi vivono; dobbiamo seminare amore, questa forza capace di spezzare la dura e fredda scorza della semplice cortesia, del semplice complimento, in modo che il seme della Parola di Dio si spanda e cresca; dobbiamo coltivare la virtù teologale della speranza, che è già godimento di Dio, sebbene non ancora completo e definitivo. Finora il nostro modo di vivere è stato più statico che dinamico; più da amministratori che da pastori; più polemico che attraente; più da costruttori di edifici e opere materiali che da costruttori della Chiesa viva. In futuro dobbiamo essere meno statici e più dinamici; meno amministratori e più pastori; meno lottatori e più aperti; meno occupati in opere d'ornamento e più operai della Chiesa di Cristo. »
(Mons. Leonidas Proaño, La revolución del poncho[1])

La formazione

Nacque a San Antonio de Ibarra, in diocesi di Ibarra, il 29 gennaio 1910 da Agustin Proaño Recalde e Zoila Villalba Ponce.

Dal 1917 al 1923 frequentò la scuola elementare Juan Montalvo. Dal 1923 al 1930 continuò gli studi presso il seminario minore San Diego di Ibarra e dal 1930 al 1936 presso il Seminario maggiore di Quito.

Il 4 giugno 1936 fu Ordinato presbitero e iniziò il suo ministero come cappellano della scuola dei Fratelli delle Scuole Cristiane e professore del Seminario minore. Si occupò anche dell'organizzazione della Gioventù operaia cristiana e fondò, nell'ottobre 1941, una libreria e, nel maggio 1944, il periodico La Verdad che dal 1952 diventerà quotidiano.

Il 2 agosto 1947 venne nominato canonico della cattedrale di Ibarra.

Il ministero episcopale

Il 18 marzo 1954 fu nominato Vescovo di Bolivar, diocesi che prenderà il nome, nel 1955, di Riobamba. Fu ordinato il 26 maggio 1954 nella cattedrale di Ibarra da Opilio Rossi e il 29 maggio arrivò a Riobamba per prendere possesso della diocesi.

Tra le molte iniziative che sostenne come vescovo vi fu la fondazione della rivista Mensaje, espressione ufficiale della diocesi, la creazione della casa indigena Nuestra Señora de Guadalupe, la nascita del gruppo sacerdotale Juan XXIII, la fondazione, il 1º ottobre 1960, del Centro de estudios y acciōn social e, il 19 marzo 1962, delle Escuelas radiofonicas populares del Ecuador.

Nel frattempo venne nominato delegato sostituto al Consiglio episcopale latinoamericano del quale diventerà poi delegato titolare.

Dal 1962 al 1965 partecipò a tutte e quattro le sessioni del Concilio Vaticano II. Dal 1964 al 1968 presiedette ii Dipartimento di pastorale d'insieme del Consiglio episcopale latinoamericano.

Il 28 marzo 1965 diresse la Mission radiofonica a Riobamba per 246 assemblee cristiane.

Sempre nel 1965 fondò e diresse l'Istituto pastorale latinoamericano (IPLA) e iniziò la formazione delle comunita ecclesiali di base nella diocesi di Riobamba.

Il 20 luglio 1968 fondò l'Hogar Santa Cruz, una casa di formazione comunitaria della diocesi e nall'agosto dello stesso anno partecipò alla II Conferenza dell'episcopato latinoamericano a Medellin, in Colombia e diede vita all'Equipo misionero itinerante di Riobamba.

Il 7 novembre 1978 fondò e divenne presidente del Frente de solidaridad de Chimborazo.

Nel febbraio 1979 partecipò alla III Conferenza dell'episcopato latinoamericano che si svolse a Puebla, in Messico, collaborando alla stesura del documento dedicato alla analisi socio-culturale della realtà latinoamericana.

Dopo essere stato nominato, il 1º febbraio 1985 responsabile del Dipartimento di pastorale indigena della Conferenza episcopale ecuadoriana, elaborò un "Piano nazionale di pastorale indigena" che fu approvato dalla Conferenza episcopale il 22 febbraio 1986.

Il 20 marzo 1985 divenne Vescovo emerito di Riobamba.

Nel 1986 ricevette il "Premio Rothko per la Pace" e nel 1988 il "Premio Bruno Kreiski" per la difesa dei diritti umani.

Il 12 agosto 1988, pochi giorni prima della sua morte, eresse la Fundación Pueblo Indio del Ecuador.

Il 31 agosto 1988 morì, dopo una lunga malattia, a Quito. Fu poi sepolto a Pucahuaico, ai piedi del vulcano Imbabura.

Nel 2008, in occasione del ventesimo anniversario dalla morte, l'Assemblea Nazionale Costituente dell'Ecuador all'unanimità dichiarò il Vescovo Leonidas Proaño personaggio simbolo nazionale ed esempio per tutte le generazioni per la sua lotta contro l'oppressione, l'esclusione e la marginalizzazione nel Paese e per il suo impegno di ricerca di libertà, giustizia e solidarietà come condizioni per la pace[2].

Genealogia episcopale

Monsignor Proaño durante una visita a un villaggio di Indios

Successione degli incarichi

Predecessore: Vescovo di Riobamba Successore: Bishopcoa.png
Alberto Maria Ordóñez Crespo 18 marzo 1954-20 marzo 1985 Victor Alejandro Corral Mantilla I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
con
con
Alberto Maria Ordóñez Crespo {{{data}}} Victor Alejandro Corral Mantilla
Note
Bibliografia

Testi di Leonidas Proaño pubblicati in italiano:

  • Evangelizzazione e promozione umana nel Chimborazo, Jaca Book, Milano 1976
  • Coscientizzazione, evangelizzazione, politica, ASAL, Roma 1976

Testi su Leonidas Proaño:

  • Giovanni Ferrò, Taita Proaño. L'avventura di un vescovo tra gli indios dell'Ecuador, Torino 1998
  • Giulio Girardi, Seminando amore come il mais. L'insorgere dei popoli indigeni e il sogno di Leonidas Proaño, Roma 2001
Voci correlate
Collegamenti esterni
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Il contenuto di questa voce è stato firmato il giorno 4 gennaio 2014 da Padre Mimmo Spatuzzi, licenziato in Teologia Fondamentale.

Il firmatario ne garantisce la correttezza, la scientificità, l'equilibrio delle sue parti.