Precetto festivo
Il precetto festivo è l'obbligo che i cristiani hanno di santificare le domeniche e le altre feste di precetto mediante la partecipazione alla celebrazione eucaristica e l'astensione da determinati lavori[1].
Storia
Per approfondire, vedi la voce Terzo Comandamento |
Nell'Antico Testamento
Il precetto festivo ha le sue radici nell'Antico Testamento, poiché è incluso nel Decalogo: "ricordati del giorno di sabato per santificarlo" (Es 20,8-11 ; cfr. Dt 5,12-15 ); è il terzo comandamento nella numerazione della tradizione cattolica. Nell'Antico Testamento tale precetto ha valore individuale e sociale; nel giorno di sabato non solo si deve osservare il riposo, ma si devono anche offrire a Dio sacrifici (Ez 46,4 ), e gli ebrei si raccoglievano nelle sinagoghe per pregare e per ascoltare la parola di Dio (At 15,21; 13,27 ).
Il Nuovo Testamento e il passaggio dal sabato alla domenica
Nel Nuovo Testamento Cristo pone l'accento sul culto al Padre in Spirito e verità (Gv 4,23 ); corregge poi la casistica farisaica sulle osservanze da rispettare di sabato, affermando che il sabato è fatto per l'uomo e non viceversa (Mc 2,27 ). La tradizione cristiana ha inteso in ciò l'abrogazione da parte di Cristo della parte cerimoniale del sabato[2].
San Paolo rimprovera ai galati convertitisi al cristianesimo l'osservanza secondo la legge di Mosè di giorni, mesi, tempi e anni (Gal 4,10 ), e avverte i colossesi che non vige più l'obbligo di osservare i noviluni e i sabati (Col 2,16 ).
Anche se per qualche tempo gli Apostoli e le comunità cristiane continuarono a riunirsi insieme ai giudei di sabato per la lode a Dio (At 2,46; 3,1; 5,12; 21,26 ), ben presto ebbero adunanze proprie per la preghiera e per la celebrazione eucaristica (At 2,42 ), e venne introdotta la consuetudine della santificazione del giorno seguente al sabato, in forza del fatto che fu al mattino del giorno dopo il sabato che Cristo risuscitò. Anche se non si può determinare la data certa della sostituzione della domenica al sabato, è però indiscusso che al tempo in cui fu scritta la prima lettera ai Corinzi (56) e al tempo della redazione degli Atti degli Apostoli (ca. 63[3] le riunioni liturgiche dei cristiani si tenevano la domenica (1Cor 16,2 ; At 20,7 ); tale uso fu costante ed universale alla fine del I secolo e durante il II, come testimoniano il Nuovo Testamento (Ap 1,10 )) e gli scritti dei Padri Apostolici:
- Didaché 14: parla del giorno del Signore come giorno di riunione, ma anche come giorno per la rappacificazione;
- Lettera di Barnaba 15: riprende l'insegnamento dell'Antico Testamento sul sabato, terminando con la critica di esso da parte dei profeti[4];
- Sant'Ignazio d'Antiochia, Lettera ai Magnesi, 9: i cristiani non osservano il sabato, ma "vivono secondo la domenica", il giorno della risurrezione di Gesù atteso dai profeti.
Nei Concili e nei Padri della Chiesa
Nel II secolo l'osservanza della domenica è attestata in Giustino[5], nella Lettera di Romani di Dionigi di Corinto († 180)[6], in Tertulliano[7].
Moltissime testimonianze affermano che la santificazione della domenica comportava la partecipazione alla Messa. Così prescrivono i concili di Elvira[8] (306), di Sardi[9], di Agde[10] (506), di Orléans[11] (541), di Clermont[12] (535). La Messa domenicale è attestata anche in San Cesario d'Arles[13] e in Agostino[14].
L'osservanza del riposo domenicale è prescritta dalle Costituzioni Apostoliche[15] (fine IV secolo) e ne parla Tertulliano[16] († 230 ca.). Se ne interessa il Concilio di Mâcon[17] (585), quello di Mayence[18] (813), il Concilio di Meaux[19] (845), quello di Cloveshoe[20] (747) e quello di Aenham[21] (1009).
L'aggiunta di altre feste
Oltre alla domenica, nel corso dei secoli furono aggiunti nelle varie diocesi vari altri giorni festivi. Il numero di tali giorni crebbe molto, e il Concilio di Oxford[22] del 1122 (ma non solo esso) pensò di ridurre l'astensione dai lavori servili secondo la classificazione delle feste. Fu Urbano VIII a fissare il numero dei giorni festivi a trentasei (oltre le domeniche), con la Costituzione Universa del 13 settembre 1642.
In tempi più recenti Pio X, con il Motu Proprio Supremi disciplinae[23] del 2 luglio 1911, ne ritenne soltanto otto.
Il can. 1274 del Codice Pio-Benedettino (1917) portò tale numero a dieci: Natale, Circoncisione del Signore, Epifania, Ascensione, Corpus Domini, Assunzione di Maria, Immacolata, San Giuseppe, Santi Pietro e Paolo, Ognissanti.
La situazione attuale
Per approfondire, vedi la voce Festa di precetto |
La promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983 non ha variato il numero delle feste di precetto.
Aspetti morali
La dottrina comune insegna che l'obbligo del precetto festivo si basa sul diritto naturale-positivo-divino, ma riceve la sua determinazione (nella scelta della domenica invece del sabato e nel modo della santificazione) dal diritto ecclesiastico[3]. Conseguentemente, non è pensabile un'abrogazione universale di tale precetto; sono invece possibili [[dispense particolari.
L'obbligo del precetto festivo è grave e riguarda tutti i fedeli che hanno raggiunto l'uso di ragione. La ragione di ciò sta nel fatto che con l'osservanza del precetto festivo si rende più facile il culto interno ed esterno, individuale e comunitario dovuto a Dio[3]. Trattandosi di legge, che nella sua determinazione è puramente ecclesiastica, qualsiasi causa grave, ossia qualunque notevole danno proprio o altrui, può scusare la non osservanza del precetto.
Riguardo alla partecipazione alla Messa, la teologia precedente il Concilio Vaticano II specificava che si richiedeva:
- assistenza devota;
- presenza corporale: non soddisfa il precetto il seguire la Messa attraverso i mezzi di comunicazione sociale;
- assistenza all'intera Messa, con la casistica di quali omissioni di parti della Messa invalidavano l'osservanza del precetto;
- luogo prescritto: la Messa di qualunque rito cattolico, in una chiesa o edificio pubblico o semipubblico.
Riguardo al riposo lavorativo, bisogna dire che esso è quasi il presupposto per l'osservanza della partecipazione alla Messa. Anche qui, in passato si specificava quali lavori potessero essere ammessi e quali vietati nei giorni festivi[24]:
- proibiti:
- permessi:
- le opere liberali, cioè quelle che coinvolgono l'ingegno e tendono all'istruzione o alla ricreazione: leggere, scrivere, cantare, suonare, ecc.;
- le opere comuni: viaggiare, cacciare, giocare, ecc.
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |