Basilica di Santo Stefano Rotondo al Celio (Roma)
Basilica di Santo Stefano Rotondo al Celio | |
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Roma, Basilica di Santo Stefano Rotondo al Celio | |
Stato | Italia |
Regione | Lazio |
Provincia | Roma |
Comune | Roma |
Diocesi | Roma Vicariatus Urbis |
Religione | Cattolica |
Indirizzo | Via di Santo Stefano Rotondo 00184 Roma (RM) |
Telefono | +39 06 421199 |
Fax | +39 06 42119125 |
Posta elettronica | santo.stefano.rotondo@cgu.it |
Sito web | |
Proprietà | Pontificio Collegio Germanico-Ungarico |
Oggetto tipo | Chiesa |
Oggetto qualificazione | basilicale |
Dedicazione | Santo Stefano |
Sigla Ordine qualificante | O.S.P.P.E. |
Fondatore | papa Leone I |
Data fondazione | V secolo, metà |
Architetto |
Bernardo Rossellino (restauri del XV secolo) |
Stile architettonico | paleocristiano, manierismo |
Inizio della costruzione | V secolo, metà |
Completamento | XV secolo, metà |
Data di consacrazione | V secolo, terzo quarto |
Consacrato da | papa Simplicio |
Titolo | Santo Stefano al Monte Celio (titolo cardinalizio) |
Strutture preesistenti | caserma romana dei Castra peregrina e mitreo |
Pianta | centrale (circolare) |
Diametro Massimo | 40 m. |
Coordinate geografiche | |
Roma | |
La Basilica di Santo Stefano Rotondo al Celio è una chiesa di Roma, situato nel centro storico della città, nel rione Monti: questa è la chiesa nazionale degli ungheresi.
Storia
Dalle origini all'Alto Medioevo
La chiesa venne edificata su di una parte della caserma romana dei Castra peregrina, ossia alloggi per le truppe provinciali imperiali, dove intorno al 180 venne impiantato un ricco mitreo, costituito da un ambiente rettangolare con due podi, sui quali prendevano posto i seguaci, e un'edicola a nicchia del II secolo con la raffigurazione a rilievo in stucco dorato della Tauroctonia (uccisione del toro) da parte del dio.[1]
La costruzione fu probabilmente voluta da papa Leone I (440-461), sotto il quale era stata edificata anche un'altra chiesa dedicata a santo Stefano, iniziata negli anni finali del suo pontificato: sono, infatti, state rinvenute in un tratto delle fondazioni dell'edificio due monete dell'imperatore Libio Severo (461-465). Inoltre, tramite la dendrocronologia si è appurato che il legno utilizzato nelle travi del tetto era stato tagliato intorno al 455. Secondo la testimonianza del Liber Pontificalis, tuttavia, la chiesa venne consacrata solo successivamente, da papa Simplicio (468-483).
L'edificio aveva una pianta centrale (circolare), costituita in origine da tre cerchi concentrici: uno spazio centrale (diametro 22 m) era delimitato da un cerchio di 22 colonne architravate con capitelli ionici, sulle quali poggia un tamburo (alto 22,16 m); tale parte centrale era circondata da due ambulacri più bassi ad anello: quello più interno (diametro 42 m) era definito da un secondo cerchio di colonne collegate da 44 archi poggianti su 36 colonne e su otto pilastri (attualmente inseriti in un muro continuo), mentre quello più esterno (diametro 66 m), oggi scomparso, era chiuso da un basso muro scandito in otto settori e aperto da altrettante porte (in gran parte tamponate già nel VI secolo), che immettevano nei "cortili coperti", dai quali si poteva accedere agli "atrii", messi in comunicazione con i cortili da una trifora su due colonne.
All'interno, una croce greca era inscritta nella circonferenza maggiore e quattro cappelle erano poste in corrispondenza dei quattro bracci, riconoscibili anche all'esterno per la differenza di altezza delle coperture. I tratti intermedi dell'anello più esterno, di altezza inferiore, erano ulteriormente suddivisi in uno stretto corridoio esterno, coperto da una volta a botte anulare e in uno spazio più interno, probabilmente scoperto. Dai corridoi, a cui si accedeva dall'esterno mediante otto piccole porte, si passava agli ambienti radiali della croce greca e da qui all'ambulacro interno e allo spazio centrale, coperti probabilmente con volte autoportanti, costituite forse da tubi fittili. Gli interni erano riccamente decorati con lastre di marmo: sono stati rinvenuti tratti del pavimento originale, con lastre in marmo cipollino e fori sulle pareti che testimoniano la presenza di un rivestimento parietale dello stesso materiale. Nell'area centrale si trovava l'altare, inserito in uno spazio recintato. Il colonnato che circonda lo spazio centrale è composto da 22 colonne con fusti e basi di reimpiego (di altezza diversa l'una dall'altra), mentre i capitelli ionici furono appositamente eseguiti nel V secolo per la chiesa. Anche gli architravi sopra le colonne, probabilmente rilavorati da blocchi reimpiegati di diversa origine, hanno altezze leggermente diverse. L'edificio si inserisce nella "rinascita classica" dell'architettura paleocristiana, che raggiunse la sua massima espressione negli anni tra il 430 e il 460 (Basilica di Santa Maria Maggiore, Basilica di Santa Sabina, Battistero lateranense, Mausoleo di Santa Costanza) e fu caratterizzata dal richiamo consapevole all'architettura imperiale. La pianta riprende, fondendoli, i due modelli di edifici a pianta centrale, la pianta circolare con deambulatorio e la pianta a croce greca, utilizzate già in epoca costantiniana per gli edifici di culto e in particolare per i martyria, memorie dei martiri. La struttura dell'edificio presenta analogie con la pianta della rotonda (Anastasis) della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme che, per il suo grande prestigio, rappresentò un modello duraturo per l'architettura occidentale, fino a tutto il Medioevo.
Tra il 523 e il 529, durante i pontificati di Giovanni I e Felice IV, sappiamo dalle fonti che l'interno di Santo Stefano Rotondo fu riccamente decorato con mosaici e lastre marmoree intarsiate in porfido, serpentino e madreperla; al centro fu inserita una tribuna per la schola cantorum e per la cattedra, la cosiddetta Sedia di san Gregorio Magno, un antico sedile marmoreo di epoca imperiale romana dal quale, secondo la tradizione, il celebre pontefice pronunciò alcune sue omelie e al quale, nel XIII secolo, furono tolti la spalliera e i braccioli (oggi è collocato a sinistra dell'ingresso).
Il primo intervento di restauro si deve a papa Teodoro I (642-649), il quale dette alla chiesa anche una nuova funzione facendovi traslare dalla catacomba sulla via Nomentana le spoglie dei santi Primo e Feliciano, martirizzati intorno al 286, durante la persecuzione di Diocleziano; nell'occasione fu aperta, nel muro perimetrale, una cappella ad essi dedicata decorata nel catino absidale con uno splendido mosaico raffigurante:
Ulteriori lavori furono effettuati durante il pontificato di Adriano I (772-795), in particolare volti a riparare i danni del tetto. Nel IX secolo iniziarono però le spoliazioni, alle quali si aggiunsero, nell'847, i danni causati da un terremoto e nel 1084 quelli provocati dalle truppe di Roberto il Guiscardo (1015 ca. – 1085).
Dal Basso Medioevo al Rinascimento
Fra il 1139 e il 1143 papa Innocenzo II (1130-1143) fece restaurare la chiesa, ma la navata anulare esterna, rimasta senza tetto, non venne più ricostruita e cadde definitivamente in rovina. Dei quattro bracci della croce rimase intatto soltanto quello in cui si trovava la cappella dei santi Primo e Feliciano. Il colonnato mediano fu chiuso con laterizi e divenne il muro esterno; davanti all'ingresso dalla via del Laterano si aggiunse un atrio a volta. La chiesa fu coperta con tetti bassi a cono. Per la parte centrale a tamburo non si trovarono travi sufficientemente lunghe; perciò, per sorreggere la copertura, si eresse in alto, lungo un diametro, un muro trasversale (poggiante su archi disuguali sostenuti a loro volta dal colonnato interno e da altre due colonne di granito aggiunte) che finì per dividere l'ambiente in due. Delle ventidue finestre originarie del tamburo ne furono murate quattordici, per dare maggior robustezza all'alta parete cilindrica. A causa di tali interventi radicali la chiesa risultò decisamente più piccola; ma pur così semplificata, Santo Stefano Rotondo non resse il passare del tempo: agli inizi del XV secolo la basilica risulta priva di tetto e in stato di abbandono.
Nel XIV secolo, il complesso era di nuovo pericolante e così nel 1452-1453 papa Niccolò V (1447-1455) ne affidò il restauro all'architetto Bernardo Rossellino (1409-1464), che rifece le coperture e il pavimento, rialzandone la quota, collocò al centro dell'edificio un altare marmoreo, eliminò definitivamente il cadente ambulacro esterno e tamponò con un muro le colonne del secondo anello con un robusto cilindro murario corrisponde all'attuale parete esterna dell'edificio. Dei bracci della croce greca ne rimase quindi uno solo utilizzato come vestibolo in corrispondenza dell'atrio. Alcuni autori hanno ipotizzato un ruolo progettuale anche di Leon Battista Alberti.
Pochi anni dopo, nel 1462, la cura della basilica fu affidata all'Ordine paolino ungherese, grazie al confessore e procuratore Kapusi Bálint († 1473), che era in buoni rapporti con il pontefice.
Il 6 maggio 1527, la chiesa fu devastata dai lanzichenecchi durante il Sacco di Roma.
Dal tardo Cinquecento a oggi
Nel 1580 papa Gregorio XIII assegnò il complesso al Pontificio collegio germanico-ungarico, un convitto retto dai gesuiti e destinato ai sacerdoti di lingua tedesca. Nello stesso anno venne realizzata la nuova porta della sacrestia e intorno all'altare venne costruito un recinto ottagonale a stucco, decorato da Antonio Tempesta (1555–1630) con le Storie della vita di santo Stefano d'Ungheria. Inoltre, nel 1582 Nicola Circignani detto il Pomarancio (1530–1597 ca.) ricevette l'incarico di decorare le pareti della chiesa che chiudevano l'ambulacro con un ciclo di 34 dipinti murali con Storie di martirio.
Nel 1778, Pio VI (1775 - 1799) a risarcimento per la distruzione della chiesa nazionale ungherese di Santo Stefano Minore al Vaticano, fece edificare da Pietro Camporese il Vecchio (1726 – 1781) nella basilica una nuova cappella, dedicata a santo Stefano d'Ungheria, per gli studenti e i fedeli provenienti dal Regno d'Ungheria.
Santo Stefano Rotondo fu nuovamente restaurata nel 1735 e nel 1802.
Dal 1958 sono iniziati gli scavi archeologici nel sottosuolo della chiesa e nell'area circostante, che portarono nel 1973 alla scoperta dei resti dei Castra peregrina e del mitreo.
La chiesa, dopo un lungo e complesso restauro, è stata riaperta al pubblico nel 1990.
La basilica attualmente è luogo sussidiario di culto della parrocchia di Santa Maria in Domnica alla Navicella.
Titolo cardinalizio
La chiesa è sede del titolo cardinalizio di Santo Stefano al Monte Celio, istituito nel V secolo: l'attuale titolare è il cardinale Friedrich Wetter.
Descrizione
Esterno
La basilica presenta la facciata su un ampio giardino circondato da alte mura di età romana. Il prospetto frontale, edificato nel XII secolo, è costituito da un portico, a cinque arcate su colonne antiche con capitelli tuscanici, dove apre un portale architravato dal quale si accede all'ambulacro cicolare.
Interno
Vestibolo e ambulacro
Dal vestibolo, che occupa parte del braccio superstite della croce greca, si entra nel vasto interno, formato da un ambulacro circolare (in origine il più interno) chiuso da un muro in cui sono inserite le 34 colonne antiche di marmo e granito dell'ambulacro esterno e da una parte centrale, separata da 22 colonne di granito con capitelli ionici in marmo di diversa fattura e datazione; su di esse grava un architrave continuo da cui s'innalza la muratura cilindrica del tiburio, aperto da finestre centinate alcune tamponate altre racchiudenti bifore marmoree, risalenti al restauro rinascimentale. Due pilastri e altrettante colonne con capitelli corinzi sono disposti diametralmente nel circolo interno a sostenere tre arcate (quella mediana più ampia) e il muro di appoggio per le travi del tetto.
Il muro perimetrale è decorato con un suggestivo ciclo di 34 dipinti murali ad affresco, eseguiti nel 1582 da Nicolò Circignani detto il Pomarancio, con la collaborazione di Matteo da Siena per le prospettive, raffiguranti:
- Storie di martirio o Martirologio: l'opera inizia a sinistra dell'ingresso con la Strage degli innocenti, continua con la Crocifissione di Gesù Cristo, prosegue con il Martirio di santo Stefano e degli Apostoli, e di alcuni santi in ordine cronologico. I dipinti, forniti di didascalie in latino e in italiano, avevano lo scopo didattico di insegnare ai novizi gesuiti che sarebbero andati missionari in paesi lontani per convertire le popolazioni al cristianesimo sui pericoli che avrebbero potuto incontrare. Alcune delle scene, in cattivo stato di conservazione, vennero ridipinte da Marcello Leopardi nel XVIII secolo. Tra i dipinti si notano:
- Strage degli innocenti;
- Crocifissione di Gesù Cristo;[3]
- Martirio di santo Stefano;
- Crocifissione di san Pietro apostolo;
- San Giovanni evangelista immerso nell'olio bollente;[4]
- Martirio di san Pietro d'Alessandria;[5]
- Martirio di san Giovanni, san Paolo e santa Bibiana;[6]
- Martirio di san Dioniso;[7]
- Martirio di santa Blandina;[8]
- Martirio di sant'Ignazio d'Antiochia;[9]
- Martirio di sant'Eustachio;[10]
- Martirio di san Vito, san Modesto e santa Crescenza;[11]
- Martirio di san Policarpo di Smirne;
- Martirio di santa Margherita di Antiochia.
Inoltre, lungo l'ambulacro, nel settore meridionale, opposto all'ingresso, si conserva:
- Tabernacolo monumentale (1613), in legno intagliato di Giovanni Gentner: l'opera era originariamente ubicata nel recinto ottagonale centrale.
Altare maggiore
Al centro dell'aula liturgica è posto l'altare maggiore eseguito nel 1455 da Bernardo Rossellino, circondato da un recinto marmoreo ottagonale decorato con un ciclo di dipinti murali raffiguranti:
- Storie della vita di santo Stefano (1580), affreschi attribuiti a Nicolò Circignani detto il Pomarancio.
Cappella dei Santi Primo e Feliciano
A destra dell'ingresso si trova la cappella, dedicata ai santi Primo e Feliciano, ricavata nel terminale del braccio superstite della croce greca, dove si possono ammirare:
- nel catino absidale, Croce gemmata tra i santi Primo e Feliciano (648-649), in mosaico di maestranze romane:[12] nell'opera, a fondo d'oro, sono raffigurati i due santi martiri ai lati di una croce gemmata, sormontata da un medaglione con il busto di Gesù Cristo; da un anello superiore si intravede il cielo stellato, con la mano di Dio Padre che offre la corona del martirio.
- alle pareti, Storie della vita dei santi Primo e Feliciano (1567), affreschi attribuiti ad Antonio Tempesta o a Nicolò Circignani detto il Pomarancio:
- alla parete di fondo, Martirio di san Feliciano (a sinistra) e Martirio di san Primo (a destra);
- alla parete sinistra, Funerali dei santi Primo e Feliciano.[13]
- all'ingresso, nella parete destra, Madonna dei Sette Dolori (terzo quarto del XVI secolo), affresco di Antonio Tempesta.
Cappella di Santo Stefano d'Ungheria
Nella cappella, dedicata a santo Stefano d'Ungheria, progettata nel 1778 da Pietro Camporese il Vecchio, si conserva:
- alla parete sinistra, Monumento funebre del poeta Bernardino Capella (1524 - 1527), in marmo, eseguito dal Lorenzetto con la collaborazione di Raffaello da Montelupo.[14]
Note | |
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Bibliografia | |
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