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14 Januarii - S. Datii Ep. Mediol. et Conf. Sol. (bianco) Ad Basilicam S. Victoris ad corpus quiescit.

14 Gennaio - S. Dazio Vescovo di Milano e Confessore Solenne (bianco). Riposa presso la Basilica di San Vittore al corpo.

Da una lettera di Floriano, abate "ex monasterio Romano" e milanese di origine, si può supporre che Dazio, prima di divenire vescovo, fosse monaco. Pur non essendo possibile stabilire con esattezza in quale anno sia divenuto Vescovo di Milano e Metropolita della sua Provincia Ecclesiastica, si può comunque supporre, tenendo conto che la sua morte deve essere avvenuta nel 552 e che il Catalogo dei vescovi della Chiesa milanese gli attribuisce, a seconda dei diversi manoscritti, 22 o 24 anni di episcopato, sia stato eletto tra il 528 e il 530, negli anni subito successivi alla dura persecuzione dei “romani” ad opera di Teodorico il Grande.

Il primo documento in cui Dazio appare come Vescovo è una lettera delle Variae di Cassiodoro, datata dal Mommsen al 535-536. In essa Cassiodoro, come prefetto del pretorio sotto il governo del Re ostrogoto Teodato, concedeva a Dazio di prendere dai granai pubblici di Pavia e di Tortona un terzo dei panìco da vendere sottoprezzo alla parte più povera della popolazione, colpita da una carestia così terribile che il Santo Vescovo, in una relatio cui fanno riferimento la vita di papa Silverio nel Liber Pontificalis e Paolo Diacono nella Historia Romana, segnalò episodi di antropofagia.

In un successivo momento non facilmente precisabile, ma sicuramente nel pieno della guerra intrapresa da Giustiniano per riconquistare l’Italia, e forse connesso all’armistizio, che nell’inverno 537/8 allentò l’assedio posto dal re vitige alle mura aureliane, il Metopolita Dazio, lasciata la sua sede, dove non sarebbe più tornato in vita sua, raggiunse l’Urbe alla testa di una legazione di milanesi. Lì chiese al potente Belisario un sostegno militare in vista del recupero di Mediolanum e dell’intera Liguria all’Impero. Nella missione di Dazio rientrava forse anche la volontà di vedersi riconosciuta la restituzione della amplissime proprietà fondiarie che, dai tempo di Ambrogio, la Diocesi deteneva in Sicilia, da poco anch’essa recuperata all’Impero.

La missione di Dazio ebbe pieno successo, tanto che, nella primavera del 538, da Roma partì la spedizione per Milano guidata da Mundila e dal milanese Fidelio, già Prefetto del Pretorio. Il contingente, sbarcò a Genova e si scontrò con i Goti a Pavia. Gli imperiali ebbero la meglio sul nemico, ma Fidelio perse la vita sul campo. Liberata agevolmente Milano, gli imperiali ricevettero anche l'adesione di Bergamo, Como, Novara e di molti altri oppida.

Questa riscossa bizantina si rivelò, però, di breve durata e la vendetta gota terribile. Dal giugno del 538 Milano fu infatti posta sotto duro assedio da Uraia, nipote del re ostrogoto Vitige, e, priva di un concreto aiuto da parte dei Bizantini, nella primavera del 539 cadde in mano degli assedianti, i quali arrivarono ad uccidere il prefetto del pretorio Reparato, fratello del papa romano Vigilio, e a darne il cadavere in pasto ai cani. È facile supporre che proprio in questi avvenimenti e nelle successive vicende della guerra gotica vadano ricercate le ragioni che impedirono a Dazio il ritorno a Milano.

Il viaggio a Roma segna infatti per il Vescovo di Milano l'inizio di un allontanamento dalla sua diocesi che si rivelerà definitivo come dimostrato da una lettera scritta, tra la fine del 551 e l'inizio del 552, dal clero milanese e dai Vescovi comprovinciali ai legati franchi che si recavano a Costantinopoli. In essa si pregano i legati di chiedere a Dazio che "post 15 aut 16 annos ad suam Ecclesiam redire concedat" e "quod tam longo tempore ad Ecclesiam suam minime sit reversus".

Se le fonti permettono di determinare gli avvenimenti in cui Dazio fu coinvolto tra il 535 e il 538, tacciono poi almeno fino al 545-546.

In questo periodo però va collocato un altro episodio che lo riguarda. Nel III libro dei suoi Dialogi, San Gregorio Magno così scrive: «Al tempo del medesimo imperatore, Dacio, Vescovo di Milano, per motivi ecclesiastici, dovette recarsi a Costantinopoli. Giungendo a Corinto, vide una grande casa dove venne accolto con i compagni di viaggio e ristorato. Quando chiese di poter alloggiare, gli fu detto che vi era un membro di quella famiglia che era indemoniato, ed egli lo guarì, compiendo molti altri miracoli in seguito che gli garantirono la fama di Santo». ( Dialoghi, Capitolo 4, Libro III)

Gregorio non dà una esplicita indicazione per la data del viaggio a cui si riferisce il racconto miracoloso. Gli studiosi lo datano tuttavia al 544-45 oppure già al 538-39.

Se la data del viaggio, in cui sarebbe avvenuto l'episodio ricordato da Gregorio, è incerta, è invece sicuro che Dazio si recò a Costantinopoli in questi anni. Era infatti nella Capitale quando Giustiniano nel 543-544 emanò l'editto di condanna dei Tre Capitoli.

Il Santo Metropolita vide nell'atto dell'Imperatore un attacco gravissimo al concilio di Calcedonia del 451 e alla fede cattolica; perciò, insieme con l'apocrisario Stefano e con gli altri sacerdoti occidentali presenti a Costantinopoli si rifiutò di sottoscrivere l'editto imperiale e interruppe la comunione con il patriarca costantinopolitano Menna che aveva aderito alla decisione di Giustiniano. Da quest’atto sarebbe derivato uno scisma che per decenni avrebbe rotto la comunione ecclesiastica dell’intero Nord Italia con Costantinopoli prima, e ben presto anche con Roma. Infine, Dazio abbandonò Costantinopoli per raggiungere papa Vigilio che era stato costretto con la forza in Sicilia dai Bizantini, alla fine del 545. Dazio informò il papa romano della rottura dei rapporti con Menna e sottolineò i pericoli che erano insiti nella decisione imperiale.

Anche se non è possibile stabilire se Dazio abbia accompagnato il pontefice nella seconda parte del viaggio che lo condurrà nel 547 a Costantinopoli, è comunque certo che dal momento in cui nasce la questione dei Tre Capitoli, egli sarà uno dei più convinti oppositori della decisione imperiale e affronterà, almeno dal 550 e fino al momento della sua morte nel 552, insieme con Vigilio, sofferenze e pericoli.

Dazio era sicuramente a Costantinopoli nel 550, quando partecipò, insieme con altri vescovi, al colloquio in cui Giustiniano e Vigilio decisero di convocare un concilio per risolvere la questione. Durante la preparazione dei concilio, però, crebbero notevolmente le intimidazioni di Giustiniano nei riguardi dei sostenitori dei Tre Capitoli, fino a che l'imperatore, contrariamente agli accordi presi con il pontefice, fece affiggere alle porte delle chiese una Ομολογία πίστεως di condanna dei Tre Capitoli, che, prese poi la forma di un editto.

Con questo atto si aprì il periodo più difficile nei rapporti tra l'imperatore e il papa, un periodo però in cui Vigilio prese una posizione estremamente decisa e in cui Dazio fu accanto al pontefice come il suo più stretto collaboratore e il suo più sicuro e valido sostenitore.

Vigilio a Costantinopoli presenta infatti Dazio quale primo presule dell’episcopato occidentale come il patriarca Menas lo era di quello orientale («praesentibus etiam Mena Constantinopolitanae ciuitatis et Datio Mediolanensis urbis antistite aliisque tam Graecis quam Latinis episcopis»: Agosto 550).

Quando infatti nel 551 la delegazione imperiale consegnò a Vigilio il nuovo editto di Giustiniano, alle proteste del pontefice si unirono immediatamente quelle di Dazio, che dichiarò di parlare a nome anche dei Vescovi “Galliae, Burgundiae, Spaniae, Liguriae, Aemiliae atque Venetiae” e riaffermò la decisione di allontanarsi dalla comunione di tutti coloro che avrebbero firmato l'editto perché i Tre Capitoli erano contrari alle decisioni del concilio di Calcedonia e alla stessa fede cattolica. Ma la ferma posizione di Dazio e del pontefice non riuscì a far retrocedere i Vescovi orientali che avevano già sottoscritto l’editto imperiale, tanto che Vigilio fece preparare un atto di scomunica per tutti i firmatari e l'atto di deposizione di Teodoro Askida, vescovo di Cesarea.

In quei giorni il Papa romano e il Metropolita milanese furono trasferiti in diverse residenze e subirono ogni tipo di pressione. Solo la mediazione di Belisario, vecchio amico di Dazio e del pontefice, inviato da Giustiniano per garantire a Vigilio, se fosse tornato nel palazzo di Placidia, l'incolumità, convinse il papa e Dazio a far ritorno nel palazzo. Malgrado le promesse, però, Dazio e il pontefice seguitarono ad essere sottoposti a continui maltrattamenti, mentre Giustiniano con falsi documenti cercava di screditare in Occidente la figura di papa Vigilio. Il palazzo di Placidia si trasformò infine per tutti in una prigione, tanto che nella notte tra il 23 e il 24 dicicembre 551 Vigilio e Dazio riuscirono a fuggire e raggiunsero, per mare, Calcedonia dove si rifugiarono nella chiesa di S. Eufemia.

Ancora una volta, il 28 gennaio 552, Belisario venne inviato da Giustiniano per convincere il pontefice a tornare a Costantinopoli. Ma Vigilio non accettò la proposta dell'imperatore, e il 5 febbraio 552 decise di far conoscere, attraverso un'enciclica diretta "Universo populo Dei", tutti i soprusi che aveva dovuto subire insieme con Dazio. Nelle parole del pontefice quest'ultimo appare la personalità più importante del suo seguito e sicuramente il suo più vicino e sicuro aiuto negli ultimi gravi avvenimenti. Ottenuta poi la necessaria garanzia di sicurezza, Vigilio inviò Dazio a Costantinopoli, come suo rappresentante, per discutere i problemi religiosi.

Dopo questa data non si hanno più notizie di Dazio, il cui nome non compare tra quelli dei vescovi che sottoscrissero il Constiturum di papa Vigilio nel 553.

Infatti, anche se Vittore Tunnense pone la morte di Dazio nel 554, come ha giustamente evidenziato lo Stein, essa non può essere avvenuta che nel febbraio o nel marzo del 552.

La data del 14 gennaio, ricordata nel Catalogo dei vescovi della Chiesa milanese, non può quindi corrispondere al giorno della sua morte, ma quasi certamente si riferisce alla data nella quale il corpo di Dazio, morto a Calcedonia o a Costantinopoli, fu traslato a Milano, dove fu sepolto a S. Vittore e dove fu fatto da subito oggetto di un culto locale.

La canonizzazione popolare di Dazio è testimoniata, almeno dalla prima metà del sec. X, dal carme De sancto Datio episcopo del De Christi triumphis apud Italiam di Flodoardo di Reims. L'esistenza di questo carmen acquista un particolare valore se si considera che Flodoardo si era procurato il materiale necessario a questa parte della sua opera durante il viaggio in Italia (936-37) dove aveva potuto consultare anche i libri liturgici che vi erano in uso. Un'ulteriore conferma dell'esistenza del culto si ha in un calendario della Chiesa milanese. scritto tra il 1055 e il 1074; la ricorrenza della festa di san Dazio è posta al 14 gennaio. Così è definito santo nel testo del Catalogo tramandato nel Beroldo nuovo (redatto intorno al 1262-1268). Una sua biografia è presente nel Liber notitiae sanctorum Mediolani dei primi anni del XIV secolo.

La sua santità non venne messa in discussione neanche ne corsi del XVI secolo, quando Michele Sovico sottopose il Breviario ambrosiano ad un attento esame delle letture agiografiche che vi erano contenute.

Così nella Tabula archiepiscoporum di Galesini e nella nuova revisione (1582) del Breviario - entrambe volute da Carlo Borromeo - Dazio è annoverato tra i santi della diocesi ambrosiana. Nel 1583, per opera di Galesini, sarà inserito con gli altri santi milanesi nella nuova edizione del Martyrologium Romanum.

Il Bosca, pubblicando nel 1695 il Martyrologium Mediolanensis Ecclesiae, ricordava a proposito di Dazio che le sue ceneri, con quelle dei santi arcivescovi Protasio e Mirocle, erano state composte in una particolare arca da S. Carlo nella chiesa di S. Vittore.

Nel ritratto ideale della Collezione Erba Odescalchi, il Santo è raffigurato nell’atto di scacciare con un gesto benedicente un gruppo di spiriti che, secondo la tradizione, lo assaltarono una notte in un palazzo di Costantinopoli.