Compagnia di Gesù

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Compagnia di Gesù
in latino Societas Iesu
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Stemma dei Gesuiti. L'acronimo "IHS" è composto dalle prime tre lettere greche "IHΣOYΣ" di Gesù, in seguito venne anche letto come Iesus Hominum Salvator, "Gesù, Salvatore dell'umanità", Habemus Iesum Socium, "Abbiamo Gesù come Compagno" o come Societas Iesu humilis, "Società umile di Gesù"

Istituto di vita consacrata
Ordine di chierici regolari di diritto pontificio

Altri nomi
Fondatore Sant'Ignazio di Loyola
Data fondazione 1540
sigla S.I.
Preposito generale Adolfo Nicolás Pachón
Collegamenti esterni
Sito ufficiale
Scheda su gcatholic.com
Scheda su catholic-hierarchy.org

La Compagnia di Gesù in latino Societas Iesu è un ordine religioso di Chierici regolari (i membri di questa congregazione pospongono al loro nome la sigla S.I.) e sono comunemente chiamati Gesuiti.

Fu fondata nel 1540 da un gruppo di sei studenti dell'Università di Parigi che erano guidati da sant'Ignazio di Loyola. Tra i cofondatori della Compagnia, si può certamente citare Diego Laínez, che sarà anche il successore di Ignazio[1].

Storia della Compagnia

La storia della Compagnia di Gesù si divide in due grandi periodi:

Dalla fondazione al 1773

Il primo secolo fu contrassegnato da una prodigiosa espansione: sotto il generalato di sant'Ignazio (1541-56) l'attività apostolica si presentò inizialmente in forma itinerante.

I religiosi erano pochi religiosi, richiesti specialmente dai vescovi attivi nella predicazione, nella catechismi e nella riforma ecclesiastica e religiosa; due furono mandati dal papa in Irlanda, altri in Polonia, Portogallo e alle diete e conferenze religiose in Germania.

Con la fondazione dei primi collegi (dal 1548), l'azione si organizzò in forma più stabile per sbarrare il passo al protestantesimo, in piena sintonia con la Riforma cattolica, nel senso pieno e positivo della Parola. Nella stessa direzione si orientò l'attività pedagogica, inizialmente non contemplata da Ignazio.

Un posto a parte ebbero dal principio il Collegio Romano (1551), seminario e modello per gli altri, e il Collegio Germanico di Roma (1552), per il rinnovamento del clero tedesco. Vigorosa fu anche l'azione missionaria: san Francesco Saverio fondò nell'India la sua prima missione che si spinse fino alle Molucche nel 1546 e al Giappone nel 1549 (morì nel 1552 senza poter sbarcare in Cina). Nel 1549 l'India diede il primo martire, Antonio Criminali. Altri missionari furono inviati nel 1547 nel Congo, nel 1548 in Marocco, nel 1549 in Brasile. Alla morte, il fondatore lasciò più di 1000 religiosi, divisi in dodici province, con quasi cento case, in particolare in Italia, Spagna e Portogallo.

Sotto i due generali seguenti, Giacomo Laínez (1558-1565) e san Francesco Borgia (1565-1572), la Compagnia si insediò fortemente in Germania e in Francia, divenendo molto attiva contro il protestantesimo con i teologi Canisio, Possevino, Auger ecc.). Borgia, l'antico viceré di Catalogna, favorì specialmente lo sviluppo organico delle missioni del Messico e del Perù; a Roma intraprese la costruzione della Chiesa del Gesù e vide nascere le Congregazioni mariane.

Dopo il generalato del belga Everardo Mercuriano (1573-1580), che chiuse il periodo prevalentemente spagnolo nella vita dell'Ordine, il lungo governo dell'italiano Claudio Acquaviva (1581-1615) segnò veramente un momento culminante nella storia della Compagnia.

Eletto a 37 anni, il nuovo generale seppe fronteggiare con mirabile prudenza ed energia gravi difficoltà interne ed esterne. Riuscì a mantenere immutato l'istituto di sant'Ignazio, sia contro le alterazioni minacciate da papa Sisto V, sia contro gli intrighi interni. Due Congregazioni appositamente convocate (1595 e 1608) giustificarono Acquaviva. Intanto in Francia i Gesuiti, divenuti bersaglio di ripetuti attacchi, vennero arbitrariamente proscritti dopo l'attentato di Chátel del 1594 e furono recuperati solo nel 1608. In Italia, l'obbedienza all'interdetto pontificio fece bandire la Compagnia dalla Repubblica di Venezia tra il 1606 e il 1656. In campo teologico gravi controversie con i Domenicani, a proposito della Concordia del p. L. Molina (1588), condussero alle famose dispute nelle Congregazioni de Auxilii divinae Gratiae (1598-1607).

Nello stesso tempo Acquaviva seppe evitare una pericolosa crisi di crescenza. Infatti, in 34 anni, vide i suoi sudditi passare da 5.000 a 13.000, con undici nuove province e più di 200 nuovi collegi. La Compagnia penetrò in Cina con Matteo Ricci, nelle Filippine, nell'Indocina, a Costantinopoli, nel Canada, nel Paraguay, dove nel 1606 si fondò la prima della famose riduzioni; nel Giappone sembravano legittime le più rosee speranze. In Europa si assicurava con i suoi collegi una posizione di prima importanza nell'insegnamento umanistico ed ecclesiastico, mentre spingeva le sue conquiste verso il Nord, dove si fiancheggiavano le nazioni protestanti con i cosiddetti "seminari apostolici", a opera, fra altri, del padre Antonio Possevino. Acquaviva assicurò l'osservanza religiosa mediante l'invio di visitatori e d'importanti lettere circolari; molto notevole la preoccupazione costante dell'Acquaviva per mantenere in piena vitalità lo spirito primitivo.

Molti furono i santi della compagnia di quel periodo (San Pietro Canisio, san Luigi Gonzaga, san Roberto Bellarmino, san Pietro Claver, san Bernardino Realino ecc.) e specialmente la grazia del martirio le fu largamente concessa: nel Giappone i tre Santi crocefissi di Nagasaki (1597) e parecchi beati.

Con il generalato di Muzio Vitelleschi (1615 45) comincia un periodo più tranquillo, che durerà in sostanza per tutto il secondo. La forte spinta di crescenza si è ora esaurita.

In Francia, tuttavia, la Compagnia di Gesù partecipa dell'euforia del grand siècle ma anche gravi, controversie, specialmente con l'apparizione del giansenismo. Anche nel Belgio, i Gesuiti conservano la presenza che aveva raggiunto sotto gli arciduchi Alberto e Isabella e se ne può trovare l'espressione nello sfarzo barocco dell'Imago primi saeculi (Anversa 1640). Ne è testimonio pure, in un piano assai più elevato, l'inizio, nel 1643, della pubblicazione degli Acta SS. dei Bollandisti.

Fecero seguito i generalati di Vincenso Carafa (1646 49), Francesco Piccolomini (1649 51), Aldo Gottifredi (1652), Goswino Nickel (1652 64), continua l'alternarsi del lavoro tranquillo e fecondo dei collegi e dei successi apostolici con le prove: in Polonia da parte dei Cosacchi (1648 54; nel 1657 martirizzano s. Andrea Bobola) e degli Svedesi (1655 60), in Irlanda sotto Cromwell (1650), in Inghilterra sotto Carlo Il (1666). Nel 1656 usciva in Spagna contro la Compagnia il Theatrum iesuiticum e lo stesso anno in Francia il molto più pericoloso Lettres d'un Provincial di Blaise Pascal; la lotta ormai non cesserà più contro il lassismo dei Gesuiti.

Figura di forte rilievo, il genovese Giovanni Paolo Oliva generale tra il 1664 e il 1681, incontrò difficoltà per l'atteggiamento di alcuni padri verso politica religiosa dei loro sovrani assoluti, specialmente nella Francia di Luigi XIV e per l'infiltrarsi fra i religiosi d'un nazionalismo eccessivo, che si estese pure alle missioni orientali. In Inghilterra, il complotto immaginario dell'apostata Titus Oates costò la vita a un gruppo di gesuiti, con il provinciale Tommaso Whitebread (1679; otto di essi furono beatificati nel 1929). In Italia, i Gesuiti furono impegnati in varie controversie, quietismo, probabilismo e casistica, che condussero alla condanna di parecchie proposizioni sostenute da alcuni loro da parte di papa Alessandro VII, 1665 e 1666 e di papa Innocenzo XI, 1679). In Francia vi fu un rigoglioso sviluppo dei ritiri spirituali e in Italia quello delle missioni popolari sul tipo segneriano. In Francia comincia pure allora la devozione al Sacro Cuore di Gesù nella sua forma moderna, con il confidente di santa Margherita Maria Alacoque, il beato Claudio La Colombière, morto nel 1682.

Il duodecimo generale, il belga Carlo de Noyelles (1682 86) fu paralizzato dalle esigenze contraddittorie fra le quali lo stringeva la rivalità franco spagnola. Luigi XIV esigeva il trapasso all'assistenza francese delle case della Compagnia situate nei territori da lui conquistati. Sotto il generale seguente, lo spagnolo Tirso González (1687 1705), il conflitto s'inasprì a tal punto che il re richiamò da Roma tutti i gesuiti francesi con lo stesso assistente (1688) e proibì ogni corrispondenza con il generale. Eletto sotto la pressione di papa Innocenzo XI, padre Tirso González doveva gettare i Gesuiti in situazioni penosissime. Ancora in Spagna, si era visto rifiutare, dai padri Oliva e de Noyelles, la facoltà di stampare un libro dove impugnava la dottrina, certo non ufficiale, ma comune nella Compagnia, del probabilismo; egli voleva sradicare dal suo Ordine una dottrina che egli considerava perniciosa. Ma quando volle far stampare in Germania un suo Tractatus succinctus sull'argomento, entrò in lungo e aperto conflitto con i suoi assistenti e altri fra i padri più in vista, come Paolo Segneri. Dopo varie peripezie il padre González poté finalmente pubblicare nel 1684 il suo Fundantentum theologiae moralis e la XV Congregazione generale (1696-1697) rimise la pace negli spiriti.

Ristabilita l'unione interna, il modenese Michelangelo Tamburini (1706 30) si trovò davanti ad altre prove, come le rovine accumulate in parecchie province dalla guerra per la successione spagnola e dalle guerre nell'Europa dei nord, mentre in Francia i padri erano di nuovo al centro della mischia intorno al giansenismo e alla bolla Unigenitus; ma le prove più dolorose vennero dalle missioni, con l'entrare della controversia già secolare sui riti cinesi e malabarici nella sua fase conclusiva: la legazione in Oriente del patriarca Maillard de Tournon, le condanne emanate da lui a Pondichéry (1704) e Nanchino (1705), confermate a Roma con la bolla Ex illa die di papa Clemente XI nel 1710 e con la condanna definitiva di papa Benedetto XIV con la bolla Ex quo sinqulari del 1742. Messi in posizione delicatissima dalla violenta reazione dell'imperatore Kanghi, i missionari gesuiti ne uscirono nell'insieme con onore, e i generali poterono giustificarli dall'accusa di disubbidienza a Roma. Ma il dibattito fu snaturato e gettato in pasto al gran pubblico, con una massa impressionante di opuscoli polemici; questa campagna appassionata non fu senza conseguenze nella lotta per la soppressione dell'Ordine.

Con i generali seguenti, il boemo Francisco Retz (1730-1750), il milanese Ignazio Visconti (1751-1755) il genovese Luigi Centurione (1755-1757) e finalmente il fiorentino Lorenzo Ricci (eletto 1758), si sente sempre più chiaramente che la lotta si stringe ora per l'esistenza stessa dell'Ordine; su di essa convengono ora gli attacchi dei giansenisti francesi e italiani, dei gallicani, degli uomini di Stato della nuova generazione del dispotismo illuminato, delle correnti filosofiche volteriane ed enciclopediche, di tutte le tendenze che a traverso di essi vogliono distruggere l'influsso della Chiesa di Roma.

Gli studi degli ultimi anni hanno ben messo in luce con quale inesattezza si è voluto rappresentare i Gesuiti, nei venti o trenta anni prima della soppressione, come se fosse in vera decadenza spirituale e culturale. Se alcune province mantenevano con pena gli effettivi, altre abbondavano di soggetti e proprio nel 1756 si creò una nuova Assistenza per la Polonia. Le missioni d'Oriente risentono visibilmente delle controversie da poco cessate, ma quelle dell'America spagnola saranno colpite dal bando regio del 1767, mentre erano nel più rigoglioso sviluppo; non pochi meriti vi avevano, con apporti culturali caratteristici, molti missionari dell'Assistenza di Germania. La vita intellettuale dei Gesuiti non sfugge certo alle condizioni generali dell'ambiente, in questa fine dell'antico regime, che non fu ricco di forte speculazione teologica.

La letteratura ascetico mistica si è fatta più timida dopo la crisi quietista, ma, accanto alla produzione tradizionale, soda e abbondante, destinata dai Gesuiti all'insieme del popolo cristiano, scrittori rimessi oggi in auge (il Milley, il Caussade ecc.) stanno a provare che neppure la vena mistica si è mai disseccata. Infatti il fervore religioso, al quale porta nuovi incentivi lo sviluppo della devozione al Sacro Cuore (con i pp. Croiset, de Hoyos, ecc.) sembra essersi mantenuto a un livello molto soddisfacente, dove non manca, come in altri tempi, la santità eminente; ne sono prova, oltre a molti casi individuali, la persistenza delle domande per le missioni e i ministeri austeri e la vita della grande maggioranza dei padri dopo la soppressione.

La soppressione dell'Ordine

L'assalto contro l'ordine cominciò nel Portogallo. Dopo una campagna di libelli diffamatori e l'esecuzione del vecchio padre Gabriele Malagrida, il ministro Pombal fece arrestare e deportare nello Stato pontificio tutti i Gesuiti del Portogallo, del Brasile e dell'India tra il 1759 e il 1761.

In Francia, cogliendo l'occasione dell'infelice bancarotta del padre Lavalette in Martinica, il parlamento condannò le costituzioni e le dottrine dei Gesuiti e fece chiudere i collegi (1761‑1763), costringendo Luigi XV a sciogliere l'Ordine in tutta la Francia (1764). L'intervento deciso di papa Clemente XIII e di molti vescovi in favore dei perseguitati non approdò a nulla.

Seguirono gli altri governi borbonici: in Spagna, dove Carlo III, per motivi celati nel suo regio petto, fece arrestare nella notte tra il 2 e il 3 aprile 1767 e deportare in Italia tutti i Gesuiti del regno e poi in Sicilia (1768) e Parma (stesso anno).

Nelle colonie dipendenti dalle corone spagnola e portoghese l'espulsione dei missionari della Compagnia di Gesù avvenne negli anni 17601769, con gravi conseguenze per mezzo secolo. Si sa come le corti borboniche si legarono poi per ottenere da Clemente XIII la dissoluzione dell'ordine, ma il papa resistette a tutte le pressioni. Poi, con papa Clemente XIV, vi fu la dissoluzione totale dell'Ordine con il breve Dominus ac Redemptor del 21 luglio 1773. Il Pontefice sacrificò un corpo troppo bersagliato, per rendere la pace alla Chiesa, ma la preparazione e l'esecuzione della misura furono spesso d'una meschinità e d'una brutalità ben superflue.

Mentre gli ex‑Gesuiti secolarizzati si davano ai ministeri, dove fu loro concesso, o a una vita di studio (è giustamente nota l'attività letteraria imponente degli ex‑Gesuiti spagnoli esuli in Italia) e parecchi davano il sangue per la Chiesa durante la grande Rivoluzione, alcune circostanze politiche, che i Gesuiti hanno sempre stimate provvidenziali, salvavano dalla distruzione una piccola porzione della Compagnia di Gesù nella Russia bianca, dove Caterina II impedì l'esecuzione canonica del breve di soppressione e in Prussia. In questi paesi l'Ordine vi si ricostituì lentamente, riassumendo antichi membri e ricevendo novizi, specialmente dopo che papa Pio VII ne ebbe ufficialmente riconosciuto l'esistenza con il breve Catholicae fidei del 1801.

Il desiderio di vedere i padri riprendere il posto, rimasto in grande parte vuoto, specialmente nel campo dell'educazione, si faceva sempre più sentire e, dopo parecchie altre concessioni parziali, Pio VII ristabilì finalmente la Congregazione nel mondo intero il 7 agosto 1814 con la bolla Sollicitudo omnium Ecclesiarum. Alcuni vecchi Padri di grandi virtù, in primo luogo il Giuseppe Pignatelli in Italia, il padre de Clorivière in Francia furono i preziosi anelli di collegamento fra le due fasi dell'Ordine.

Note
  1. Ignazio di Loyola[Pagina eliminata dal sito] su zenit.org. URL consultato il 16-01-2019
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